Qualcosa di nuovo sui giovani e gli adolescenti?

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Qualcosa di nuovo sui giovani e gli adolescenti?
Qualcosa di nuovo sui giovani e gli adolescenti?
Una rassegna delle ultime indagini sociologiche
Domenico Cravero
(NOTE DI PASTORALE GIOVANILE / 11-03-16)
Che cosa c’è di nuovo nel mondo degli adolescenti e dei giovani? Cosa emerge dalle ricerche e
dagli studi sociologici degli ultimi due anni sulla condizione giovanile italiana, a livello nazionale
e locale? Quali sono le accentuazioni o le tendenze nell’area dei valori, della ricerca di identità e
nelle relazioni con il mondo adulto? Come evolve il rapporto tra le nuove generazioni e la fede?
Come si pongono i nuovi giovani di fronte all’esperienza religiosa?
Tentare una risposta, anche sommaria e sintetica, a queste domande può risultare utile ai
responsabili della pastorale giovanile, ai formatori e agli animatori che quotidianamente
s’interrogano sulle loro pratiche educative e cercano indicazioni e buone prassi a cui riferirsi.
Il 2010 è stato per l’Onu «Anno internazionale dei giovani». Il tema, «il dialogo e la
comprensione reciproca», si proponeva di favorire l’incontro intergenerazionale e di motivare i
giovani all’impegno per la pace, la solidarietà e il rispetto per i diritti umani.
Tutti gli osservatori sociali ammettono che oggi esiste una «questione giovanile», difficile e
complessa, dal momento che è divenuto evidente che nessuna problematica giovanile può
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sottrarsi all’evoluzione della società di cui i giovani sono gli anticipatori. Esiste anche una
questione giovanile nella Chiesa, a motivo dell’evidente difficoltà nella trasmissione della fede.
Per produrre buone prassi sociali servono, però, buone ipotesi riguardo alle trasformazioni della
società, dei problemi delle famiglie, dei conflitti intergenerazionali. Gli adolescenti e i giovani
sono sensori acuti delle contraddizioni sociali. Ascoltare le nuove generazioni e considerare la
loro condizione è una preziosa opportunità educativa per gli adulti e per le comunità cristiane.
Questo dossier vuole offrire una breve sintesi di alcuni contribuiti che ricercatori e studiosi della
realtà giovanile italiana hanno offerto in questi ultimi due anni per far emergere le novità o tratti
emergenti dell’evoluzione sociale che i progetti educativi e pastorali possono prendere in
considerazione.
APRIRE UN VARCO NEL PESSIMISMO
Il 2010 è stato un anno in cui si è parlato molto della condizione giovanile, insistendo soprattutto
sui temi delle difficoltà dei giovani e del loro svantaggio sociale, come emerge chiaramente dai
titoli di alcuni testi spesso citati (Ambrosi E. – Rosina A., Non è un paese per giovani, Boeri T.
– Galasso V.,
Contro i giovani
, M. Livi Bacci,
Avanti giovani alla riscossa
).
Gli adolescenti sono per lo più descritti come marginali, invisibili o assenti nei processi storici e
culturali della società, apolitici e disimpegnati. I titoli della cronaca, gli argomenti dei dibattiti, i
motivi d’interesse di chi si ferma a parlare oggi delle nuove generazioni, insistono, per lo più,
sulle tinte oscure del disagio: le preoccupazioni sono la crisi del sistema educativo e gli
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abbandoni scolastici, le difficoltà del mercato del lavoro, lo scarso peso e la poca voce dei
giovani. Sul versante più psicologico si ritorna, a ogni occasione, a presentare il travaglio di
un’età attraversata da dolorose tensioni e da profondi turbamenti (teenager annoiati che danno
fuoco a un barbone, ragazze che vendono le proprie fotografie intime per un ricarica del
cellulare, adolescenti che si impasticcano il sabato sera, i fatti quotidiani della violenza...).
Anche la scuola sembra investita da problemi educativi gravi, come l’aumento dell’aggressività
(bullismo e teppismo), il difficile inserimento sociale, la demotivazione allo studio, la poca voglia
di crescere e di investire sul futuro. Sul versante delle droghe la società sembra ormai
arrendersi di fronte al dilagare dei comportamenti di abuso; non sa cosa rispondere alla
domanda crescente di modificazione artificiale degli stati mentali.
Romanzi e fiction presentano dell’adolescenza soprattutto la fragilità ma anche la sensibilità a
volte disarmante e il disperato bisogno di modelli (cf l’intervista a Alessandro D’Avenia autore
del romanzo «Bianca come il latte, rossa come il sangue», Mondadori)1.
Si guarda, così, alle nuove generazioni come a un mondo opaco, misterioso, un territorio che
spesso gli adulti e gli educatori non sono più in grado di riconoscere. Ne è prova il ricorso
frequente ai luoghi comuni che rimandano quasi immediatamente, parlando delle nuove
generazioni, a immagini di passività, a volte di svogliatezza o anche di fuga di fronte alle
responsabilità. Abbondano i luoghi comuni di pronto utilizzo e subito compresi che permettono
alle persone di dare giudizi, risparmiando la fatica del pensiero.
Adolescenti e giovani, però, non amano definirsi disimpegnati, e meno ancora si percepiscono
in condizioni di disagio o di rischio. Se, a volte, appaiono distratti, «disconnessi», come se
abitassero in un mondo a parte, forse è solo per sfuggire alla complessità insopportabile della
vita, nel tentativo di cercare una momentanea sospensione dalle tensioni quotidiane e dagli
obblighi della prestazione in ogni ambito della vita. Non tutti gli adolescenti però sono «schiavi
del marchio», molti di loro stupiscono per la disponibilità al servizio e al volontariato (cf E-state
in oratorio. L’esperienza educativa negli oratori estivi,
ODL 2007).
Le nuove generazioni sono anche attive e capaci di contributi originali; adolescenti e giovani
sanno reagire in termini efficaci all’evoluzione dei tempi; stanno inventando, come le
generazioni precedenti, forme inedite d’umanità2. Sanno esprimere in molti campi grandiose
risorse di autoefficacia: sperimentano, cioè, soluzioni originali ai loro compiti dello sviluppo.
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Le innovazioni di cui gli adolescenti sono capaci non sono esenti dalla fragilità dell’età evolutiva,
dall’ambivalenza che deriva dal disorientamento etico degli adulti. Sono anche fortemente
condizionate dalla forte pressione di carattere commerciale esercitata sulle nuove generazioni,
per la prima volta consumatori autonomi, quindi clienti particolarmente ambiti di un mercato
aggressivo e competitivo.
Gli attuali giovani sono particolarmente abili nel ricercare obiettivi realistici, nel perseguire
significati a propria misura, nel maturare un certo equilibrio, pure in condizioni oggettivamente
difficili. Anche se la motivazione ad agire si sviluppa a partire dagli interessi immediati, più che
in base ad ideali e valori, tuttavia i ragazzi, in molte occasioni, si rendono disponibili ad
assumersi responsabilità nel volontariato, ad impegnarsi nei gruppi e nelle associazioni, a
portare avanti iniziative sociali e culturali, anche collettive.
La giovinezza è la «bell’età» del vigore e della vivacità. Gli adolescenti sanno di possedere una
grande energia. La noia che essi sperimentano e ostentano, più che un ritiro dal mondo, forse
più precisamente è la ribellione dell’intelligenza per il sottoutilizzo delle sue risorse o per
l’esiguità degli scopi per i quali applicarsi.
Di fronte ai fenomeni nuovi i concetti e le stesse parole devono essere riformulati e ricomprese
perché siano aperte a realtà mai ancora considerate.
La difficoltà della condizione giovanile si scontra con due fattori evidenti: da una parte le
trasformazioni pratiche della vita sociale (la crisi del lavoro, il cambio culturale, la fragilità dei
legami), dall’altra l’inadeguatezza delle idee e dei discorsi a interpretare i cambiamenti in atto.
Non basta, infatti, annodare i fili di una tradizione pedagogica dispersa; servono nuove idee e
nuove pratiche educative. L’educazione sembra oggi impossibile perché, prima ancora, non si
riesce a pensarla. Persa la possibilità di poter trovare il senso affidabile del mondo (dei legami
familiari, del costume sociale, dell’evoluzione della realtà) diventa impossibile l’educazione.
La speranza di intendersi e comprendersi per individuare la via d’uscita dalle difficoltà comuni
deve aprire un varco nel pessimismo: i giovani sono nel pieno delle potenzialità autoespressive,
eppure sono anche vittime di uno scenario sociale che li rende fragili ed esclusi.
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La società liquida e il suo spaesamento
Le diverse definizioni del mondo di oggi (si parla di società «postmoderna», «globalizzata»,
«liquida») concordano su una doppia constatazione: la società ha perso il suo centro (1), così
che il pluralismo diventa frantumazione. Gli eventi e le situazioni appaiono ingovernabili (2), a
causa del primato del singolo e dei suoi gusti. Gli individui si adattano velocemente a ogni
situazione; le identità diventano «flessibili», ma anche incapaci di costanza, impegno e
progetto.
La società appare così costituzionalmente rischiosa, per la distanza percepita tra le sfide
sempre imprevedibili e le risorse sempre limitate. L’evanescenza delle relazioni umane si
accompagna alla percezione dell’incontrollabilità e imprevedibilità degli eventi, della debolezza
e dell’insufficienza della razionalità, anche quando i processi sono affidati alle tecnologie più
avanzate e più «sicure». Non è più la ricerca di valori condivisi e di cause comuni che motiva le
persone a creare contatti, a impegnarsi nell’azione, a interessarsi degli altri, ma la previsione
dell’utilità e del vantaggio individuale. Ne nascono comunità spesso inconsistenti e transitorie,
basate su emozioni isolate e fugaci, mosse dalla curiosità o motivate da interessi immediati e
personali.
La categoria della fragilità sembra la più indicata a descrivere la percezione che gli adulti hanno
delle nuove generazioni. Fragile è chi cede e s’arrende senza preavviso; e si rompe come il
vetro. Sono fragili i ragazzi che si annoiano, si stancano e si stufano, che non «reggono» e
mollano. Si assentano, disertano, non vanno più a scuola. Sono i bambini e i ragazzi diligenti
ma senza interessi, che sembrano assenti ed estranei. La fragilità non manda «preavviso» e
non chiede aiuto.
Questa fragilità preoccupa gli adulti che non riescono a immaginare quali possano essere le
conseguenze della facile esposizione al rischio della demotivazione:
«Basta poco per demotivare l’adolescente fragile, col risultato di avere in classe degli studenti
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che non sono studenti, od in casa dei figli che si rifiutano di essere figli»3.
La gestione del rischio privilegia la protezione e la sicurezza, perché le scelte esistenziali sono
sempre più governate dal principio di precauzione. La società che si vorrebbe trasformare in
società del benessere è descritta dai più come società del rischio. Ne è un esempio la
vastissima diffusione delle sorveglianza elettronica e il successo della legge 125 che ha dato ai
sindaci la facoltà di mettere ordinanze in tema di sicurezza.
II trionfo del privato nella socialità dei giovani costituisce uno degli elementi di maggior risalto
della condizione giovanile di oggi. I valori tradizionali di libertà, uguaglianza e fraternità oggi
arrancano. Altri sembrano soppiantarli: salute, sicurezza, piacere4.
Giovani che non contano
L’Italia in questo inizio secolo appare, sia nella descrizione dei ricercatori, sia nella percezione
popolare, sfiduciata e affaticata5. Prevalgono le descrizioni negative: i dati statistici e le
indicazioni della ricerca sociale parlano di una generazione senza voce, in un paese
disincantato che ha rinunciato a investire e a crescere.
I percorsi scolastici universitari tendono ad allungarsi a dismisura, si abbandona la casa dei
genitori sempre più tardi. I tassi di occupazione si sono abbassati ed è aumentata l’età del
primo lavoro stabile. Secondo il Rapporto ISTAT 2010 vive in famiglia il 58,6% dei trentenni per
problemi economici o per poter studiare. Sono in aumento i «neet» (Not in education,
employment or training), ragazzi fuori dal circuito formazione-lavoro: in 2 milioni non studiano e
non lavorano. Tra i giovani ci sono stati 300 mila occupati in meno: in un solo anno la flessione
dell’occupazione dei 18-29enni è tre volte superiore a quella degli altri lavoratori.
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I mondi giovanili sono descritti dagli adulti con nomi diversi (generazione invisibile, generazione
x, generazione in ecstasy...), ma tutti concordano nell’indicare la mancanza di un’identità
precisa e determinata.
Le nuove generazioni hanno perso consistenza numerica, diventano pienamente autonome
assai tardi, e si sentono sempre meno protagoniste della società che abitano, e che, d’altra
parte, essi non contestano e non ritengono di dover cambiare. Il saggio di E. Ambrosi e A.
Rosina, Non è un paese per giovani, documentano l’anomalia italiana dei padri che
monopolizzano spazi e risorse disponibili, e di figli che dipendono morbosamente dalla famiglia
senza il coraggio di immaginare un futuro diverso.
I giovani oggi sono più poveri, dipendenti dalle famiglie, immobili, smarriti. T. Boeri e V. Galasso
nel loro scritto Contro i giovani descrivono un’Italia anziana dove i giovani sembrano più
soggetti marginali che protagonisti del presente e del futuro. Gli adulti stanno costruendo una
società che ruba avidamente ai giovani spazi e tempi e non presta attenzione alla possibilità del
loro futuro sviluppo. La loro esclusione sociale assume forme diverse e molteplici: dal reddito,
dal mercato del lavoro, dalla prestazione dei servizi e dalle relazioni sociali; sul versante
dell’economia come su quello dei diritti e della solidarietà. Lo squilibrio generazionale rende
inoltre la società più iniqua ma anche meno dinamica. I due studiosi mettono in causa anche il
sistema scolastico italiano. Al di là della bassa scolarità, anche la qualità dell’istruzione è bassa
in Italia. Siamo ai livelli più bassi nelle classifiche sulla qualità dell’istruzione secondaria, pur
spendendo per essa più che in molti altri paesi europei. Per le famiglie, quello che conta è
ricevere il pezzo di carta: il valore dell’ istruzione ricevuta non conta in sé. Ma quando la scuola
funziona così male, non diventa un canale di promozione sociale.
Il futuro ha sempre rappresentato una promessa, mentre oggi si è trasformato in minaccia. I
giovani stanno diventando una risorsa scarsa, eppure il loro contributo è indispensabile per
rilanciare lo sviluppo del paese. La loro passività li rende meno capaci di diventare protagonisti
del cambiamento e del rinnovamento sociale. Una loro riscossa è urgente ma manca in loro la
speranza di successo. Nell’esclusione i giovani diventano apatici, vivono la loro situazione
come un destino individuale e non collettivo, al quale è possibile sfuggire solo nella buona sorte
individuale. Aumenta di conseguenza la frustrazione e sfiducia generalizzata verso le istituzioni.
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Note
1) BIFFI Rosanna. L’amore al tempo dell’iPod, in «Famiglia Cristiana» n. 38/2010, p. 66-69.
2) Ho approfondito questi temi in Ragazzi che ce la fanno, Effatà 2006.
3) Pietropolli Charmet G., Fragile e spavaldo, p. 105.
4) Cf Rischiare politiche giovanili, p. 74.
5) Cf Gallino L., 2006 Italia in frantumi, Laterza Bari.
5) Cf Gallino L., 2006 Italia in frantumi, Laterza Bari.
INDAGINI SOCIOLOGICHE E PROGETTI GIOVANILI LOCALI
A semplice titolo esemplificativo voglio accennare a tre recenti ricerche sociologiche su
campioni di giovani, una estesa a tutta l’Italia e due condotte a livello locale. Accennerò anche
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al Progetto Giovani della Regione Toscana per alcune sue caratteristiche innovative.
I risultati in parte confermano caratteristiche già note, altri propongono riflessioni nuove.
In ogni caso i dati non parlano da soli, sempre richiedono un’interpretazione, invitano a
formulare ipotesi, perturbano pensieri e certezze, aprono prospettive a tratti preoccupanti, altre
volte affascinanti.
I giovani di fronte al futuro e alla vita, con e senza fede
Ricerca Iard (2010)
L’indagine nazionale «I giovani di fronte al futuro e alla vita, con e senza fede», è stata condotta
dall’Istituto Iard di Milano, per conto della diocesi di Novara, nell’ambito del progetto culturale
Passio 2010, sotto la guida di Riccardo Grassi su un campione di un migliaio di giovani italiani
tra i 18 e i 29 anni. Essa descrive uno scenario di un generale indebolimento delle
appartenenze religiose giovanili.
Tutti i dati del rapporto tra le nuove generazioni e la fede praticata, confrontati con un’indagine
analoga svolta nel 2004, mostrano una tendenza in negativo: meno giovani che si definiscono
cattolici (poco più del 50%), minore frequenza della pratica anche per le grandi solennità
liturgiche, minor senso di appartenenza alla comunità parrocchiale, minore osservanza delle
indicazioni etiche predicate dalla chiesa, minore valorizzazione e consenso verso il ruolo
«politico» della chiesa. Sono in diminuzione anche gli indicatori della partecipazione: l’interesse
verso la dimensione spirituale, la partecipazione a gruppi religiosi, la fiducia nella chiesa
cattolica. In generale alla fede viene riconosciuta una funzione di sostegno (psicologico e
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relazionale) e di guida (offre un senso e una speranza), ma meno un valore di riferimento
morale.
Lo sganciamento da una comunità di appartenenza indebolisce i legami non solo di natura
ecclesiale, ma anche nel tessuto territoriale, comportando, come segnala l’inchiesta, una certa
radicalizzazione di alcune scelte – che il curatore Riccardo Grassi chiama «tifizzazione» in
analogia con le passioni sportive – dove ci si schiera a favore o contro determinate indicazioni
della chiesa al di là della valutazione ragionata dei problemi in discussione. L’indebolimento
degli ideali condivisi e la focalizzazione sui conflitti rendono certamente più difficile la
convivenza sociale.
Tuttavia l’80% del campione considerato dichiara un’attenzione verso la dimensione religiosa,
che va compresa e interpretata. Anche i non credenti ammettono che «ci sono cose che la
scienza non può spiegare (57,8%)», e se il 36% definisce bassa o nulla la propria fede, si
registra un leggero aumento di coloro che la definiscono «molto importante» (+1,6%). Se è
diminuita la partecipazione alla messa della notte di Natale (dal 56 al 46,6%) e alla Veglia
Pasquale (dal 27,9 al 23,6%) è aumenta la partecipazione saltuaria ad eventi e iniziative
promosse da enti religiosi (culturali, di formazione e di solidarietà), alle processioni religiosi e ai
pellegrinaggi in luoghi sacri.
Ecco come vivono i giovani vicentini (2009)
È diffusa l’impressione che i giovani vivano un mondo parallelo a quello degli adulti, con
collegamenti solo indiretti attraverso la famiglia, nella quale permangono per un tempo
prolungato. L’Istituto Rezzara di Vicenza ha svolto una ricerca sociologica nei mesi di
aprile-maggio 2009 per verificare questa ipotesi e individuare i luoghi e i «non luoghi»
dell’aggregazione giovanile. La ricerca si è svolta con una distribuzione di circa 2.000
questionari con 92 item, attraverso un campione casuale nella città e nella provincia di Vicenza.
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I giovani del campione si esprimono maggiormente nelle ore notturne, frequentando i pub e i
bar, e in misura minore le discoteche e girovagando in macchina, mentre di giorno, oltre alla
scuola abitano la casa, senza disdegnare i bar, le piazzole e i giardini pubblici, la strada e le
panchine e muretti. Gli oratori sono frequentati molto dal 2% e abbastanza dal 7,7% del
campione. Il costume più diffuso è mangiare insieme pizze o panini (65,7%) e bere spritz
(56,4%). Seguono lo sballo del sabato sera (43,5%), i flirt amorosi (42,9%) e il fare sport
(42,7%). La sensazione ricavata dalle varie esperienze è di divertimento (95,3%), di svago
(92,5%) e motivo di appartenenza (75,1%). Marginali sono altri giudizi: noia (5,8%), solitudine
(5,2%), mancanza di identità (4,7%). I giovani chiedono soprattutto feste notturne (73,7%).
Nella lista dei desideri seguono i concerti (62,8%), le biblioteche per lo studio e le letture
(49,2%), i luoghi giovanili autoregolamentati (44,3%). Alla presenza di oratori è sensibile il
17,8%.
Questi dati confermano che la notte è il tempo privilegiato per i giovani e che la musica è
sempre ricercata in via prioritaria. Risultano così evidenti i tratti per cui il mondo giovanile si
caratterizza come mondo parallelo a quello degli adulti. Sembra che il comportamento giovanile
uniformi sempre più gli stili di vita maschili e femminili, conservando alcune specificità più
tendenziali che esclusive. Le ragazze manifestano un maggior bisogno di raccontarsi, amano di
più la famiglia, le letture e il cinema e praticano meno comportamenti devianti. I ragazzi invece
si sentono più estranei dalla famiglia, amano i comportamenti esibizionistici e seguono con
maggior interesse lo sport.
Abbastanza debole è risultata da parte loro la richiesta di luoghi formativi rispetto alle occasioni
della frequentazione. Dalla ricerca emerge quindi un mondo giovanile che si vive parallelo a
quello adulto, con agganci precari alla famiglia d’origine, e con scarsi interessi alla vita sociale e
religiosa (e meno ancora politica) della società. I giovani del campione sembrano orientati
prevalentemente alla ricerca immediata del divertimento e dello svago, senza riferimenti
importanti al passato ma nemmeno al futuro. L’impressione è che i luoghi ricercati dai giovani
per il loro tempo libero, prevalentemente orientati al consumo, quali i pub, i bar e discoteche,
siano indicativi di una situazione di adeguamento sociale più che di protagonismo, di scarse
prospettive per il futuro più che di assunzione di responsabilità.
Queste indicazioni sembrano confermare l’ipotesi di Massimo Livi Bacci secondo il quale i
giovani nella società italiana si trovano privati delle loro prerogative (responsabilità, ruolo
sociale, valorizzazione lavorativa, possibilità di formare la famiglia che desiderano) e confinati in
uno «spazio d’azione» pratico, limitato e ristretto, nonostante le opportunità teoriche appaiano
eccedenti e dilatate.
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Sono dati che non possono non interrogare e anche inquietare formatori ed educatori.
La città che non dorme
Indagine sulla condizione giovanile di Catanzaro (2009)
Nel 2008 l’Istituto di sociologia della Università Salesiana di Roma con l’équipe pedagogica del
Centro Calabrese di Solidarietà ha realizzato una ricerca su 650 studenti della scuola
secondaria per verificare la presenza di atteggiamenti trasgressivi e di rischio. Focus group e
interviste hanno poi raccolto dati qualitativi sulla locale condizione giovanile.
Emerge dai dati raccolti un duplice atteggiamento: conflittuale e opportunista a livello famigliare,
trasgressivo e a rischio nella vita sociale, nella convinzione che tutto è possibile, senza
eccessive preoccupazioni delle conseguenze.
Sembra che la scuola sia vista meno come investimento personale che come parcheggio di
massa, frutto dell’assenza di alternative, un obbligo legato ad uno status di passaggio, ma la
vera vita è altrove. La realizzazione di sé viene ricercata nel vissuto del tempo libero e non
tanto nell’esercizio di una professione. Studiare non paga, perché altri sono i percorsi di
costruzione dello stato sociale e del benessere. La scuola diventa il luogo «piacevole» per
incontrare i propri amici; la famiglia serve a finanziare i vari bisogni. Entrambe le istituzioni
«piacciono» alle attuali generazioni, ma vengono asservite ad una «vita» che non viene vissuta
al loro interno. L’amicizia rappresenta la porta d’ingresso per «esserci», e da questa porta
passano senza distinzione le mode, i consumi, gli stili di vita, le musiche, e, non ultimo, anche le
droghe e i comportamenti a rischio. C’è anche chi ammette che a fare da legame fra amici è
sempre più spesso lo spinello, dal momento che «se tu frequenti un gruppo di amici che ne fa
uso, cominci a farne uso anche tu».
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Questi giovani non si dichiarano motivati cambiare la propria vita. Ciò che li aiuta a sentirsi
realizzati sono percorsi di vita, concentrati per lo più sul possesso di beni materialistici, dove la
scala dei valori considera il divertimento più importante dello studio. Non rientra su questo piano
la dimensione religiosa, la cui pratica sembra ormai abbandonata dai più, sebbene
teoricamente ci si dichiari ancora credenti.
Molti giovani del campione sostengono di essere capaci di cavarsela da sé di fronte alle
difficoltà della vita. Sono giovani che almeno apparentemente appaiono grintosi, al punto da
indurli ad affermare di essere in grado di realizzare tutto ciò che vogliono. Il fenomeno più
diffuso a Catanzaro sembra il fuggi-fuggi serale e/o del fine settimana fatto di mare-notte e di
girotondi alla ricerca di locali e discoteche, quasi come un rito liberatorio dal clima asfittico della
città. Molti giovani hanno paura: si sentono aggrediti dai coetanei, dalla famiglia, dai mass
media. Qualcuno ammette che persino i professori hanno paura ad entrare in classe. I
partecipanti al focus hanno presentato della famiglia catanzarese un’immagine alquanto
pessimistica, quando definiscono i genitori dei «cobas» che difendono i figli dagli insegnanti,
oppure «genitori-materasso» troppo permissivi, o comunque in larga parte assenti dalla vita del
figlio. In contrapposizione al padre-padrone si è venuto a configurare un «genitore soft»,
sempre più dipendente dal figlio, che non dà regole e ritiene che il figlio debba godersi la vita,
credendo così di farselo amico. Questa famiglia è solo il finanziatore primo del bisogno
giovanile di soddisfare le proprie emozioni, tramite il moltiplicarsi dei consumi: genitori pronti a
dare tutto in nome di un malinteso senso di autonomia che sfocia nella deresponsabilizzazione
reciproca. La risposta alla paura spesso sembra cercata nell’aggressione o nella fuga. Di
aggressione sono piene le strade e gli stadi, come lo sono i salotti televisivi e le pagine della
cronaca nera. Le fughe avvengono nel virtuale, negli «incantesimi» di varia natura, nelle
droghe. La fotografia che emerge dall’indagine, a giudizio dei curatori, non costituisce motivo di
orgoglio o di soddisfazione per i giovani e le loro famiglie. Non è certo questione di immagine
ma della preoccupazione e della conseguente determinazione da parte di tutti gli attori sociali a
«crescere insieme» trasformando famiglie e città in «imprese» educative.
Il sistema «Filigrane» Regione Toscana
e dal Centro Nazionale Volontariato di Lucca (2010)
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Tra le tante proposte con cui l’Ente Pubblico cerca di affrontare la questione giovanile può
essere citata, come importante e innovativa, il percorso intrapreso dalla Regione Toscana e dal
Centro Nazionale Volontariato di Lucca, per consolidare un sistema delle politiche giovanili
denominato «Filigrane» per tentare ogni possibile «connessione» tra i mondi paralleli giovanili e
la vita sociale e politica delle città. Il programma di Filigrane è contenuto in tre parole: fiducia,
relazione e confronto. È un invito a vedere il positivo che c’è, a coltivare una relazione di
aderenza al reale, a valorizzare i rapporti e le finalità comuni.
Il progetto punta alla realizzazione di reti stabili, al miglioramento delle comunità e dei contesti;
alla costruzione di una cultura condivisa. L’obiettivo finale è creare una mentalità di
protagonismo nella dimensione della comunità e proporre come valori insostituibili la prossimità
responsabile e l’apprendimento.
Risulta infatti chiaro che le nuove generazioni cercano nel mondo un senso e una direzione,
così come cercano di ri-orientarlo e si impegnano a rifondarlo. Le pratiche educative possibili
possono essere l’offerta di luoghi significativi di incontro, la valorizzazione del tempo libero, la
promozione dell’agio e non solo la prevenzione del disagio, mirando a rafforzare le competenze
e i fattori protettivi dei soggetti e dei mondi esperienziali in cui vivono.
Sono obiettivi impegnativi perseguiti attraverso un ricco cartellone di iniziative, opportunità e
momenti di aggregazione per favorire le motivazioni all’interazione, alla partecipazione, alla
condivisione.
Si vorrebbe trasformare la città in un crocevia per le nuove generazioni: un luogo di incontro e
di ascolto che permetta un miglior «stare» nel proprio ambiente di vita. I giovani hanno tanti
problemi, dal lavoro alla casa, alle certezze per il futuro, ma se prevale il principio per cui «non
fidarsi e meglio», le articolazioni democratiche risultano pesantemente prive di legittimità e
continua a prevalere verso la politica il disgusto o la dichiarazione di incompetenza. Il progetto è
presentato più in dettaglio nel testo citato: «Rischiare politiche giovanili».
Dal piano nazionale giovani del 2007 sembrano quindi nascere alcuni segnali di una svolta nelle
politiche giovanili di promozione delle capacità, di sostegno alla partecipazione pubblica e di
accompagnamento all’accesso alle opportunità.
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ALCUNI TEMI SPECIFICI
Tentando una prima e provvisoria sintesi degli spunti raccolti, penso si possano individuare tre
fattori in grado delineare, nella condizione giovanile, gli elementi di continuità ma anche di
novità.
Continuità e novità nelle analisi sociali
– Perdurano tutti gli indicatori dell’individualismo nei comportamenti e nelle scelte di vita dei
nuovi adolescenti. La perdita degli ideali e la diffusione del primato del badare a se stessi hanno
portato le famiglie ad abbandonare l’educazione centrata sui valori, su ciò che è ritenuto giusto
e non soltanto vantaggioso e gratificante. Il mondo nuovo dell’individualismo non sa più
celebrare collettivamente l’entrata nella condizione adulta o se ne appropria indebitamente,
eliminando le età. Quanto più spinto è l’individualismo collettivo, tanto più radicale diventa
l’appartenenza alla compagnia dei pari
, fino
alla dipendenza. L’adolescenza, anziché introdurre gradualmente all’età adulta, diventa sempre
più una «sottocultura», un mondo a parte. La distanza si acuisce ancor più a motivo delle nuove
tecnologie. La natività digitale delle nuove generazioni incide profondamente sui modi con cui
gli adolescenti apprendono, esplorano il mondo, concepiscono la conoscenza e il pensiero,
intendono la costruzione collettiva del sapere e della condivisione, vivono le emozioni,
comunicano i sentimenti. L’adulto è un «non nativo»: si può iscrivere a facebook ma il divario
d’intelligenza di utilizzo dello strumento resta incommensurabile. Il politeismo radicale delle fonti
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di autorità produce una nuova concezione dell’autorità e nuovi codici del rapporto con essa.
La novità nell’analisi sociale consiste, forse, nella maggior presa di coscienza degli effetti che le
nuove tecnologie della comunicazione hanno sul linguaggio e sull’espressione, e dell’influenza
di tali cambiamenti linguistici sui processi cognitivi. Il troncamento del linguaggio nel testo
parlato, la scomparsa della varietà dei tipi di conversazione, la perdita delle sottigliezze e
dell’ampiezza del vocabolario, non sono senza conseguenze sull’imbarbarimento dei costumi,
sulla banalizzazione della sessualità, sul diffondersi dell’aggressività, sul moltiplicarsi
dell’incomunicabilità nella società e del mutismo in famiglia. I giovani vivono in una nicchia
comunicativa caratterizzato da una immediatezza nella comunicazione verbale e forse anche
delle idee e dei valori che gli adulti rischiano di non cogliere. Relativamente ai loro valori e
significati, stili di vita e preferenze estetiche, vivono una sorta di «incommensurabilità» che
rende le persone estranee e che compromette la possibilità di un vero dialogo. Gli item dei
questionari delle ricerche sociologiche riescono davvero a cogliere le sfumature dei vissuti
giovanili? La ricerca quantitativa è il modo più sicuro per ascoltare il racconto della vita degli
adolescenti?
– Per entrare nei nuovi mondi dei ragazzi d’oggi è necessario fare riferimento a una condizione
che segna a fondo la società: il contesto economico della competizione e del profitto, l’ideologia
del benessere e la pressione commerciale esercitata sulle giovani generazioni. Lo stereotipo
del protagonismo giovanile ne rimane totalmente condizionato: come è possibile sentirsi
coautori di qualcosa confezionato da altri e concesso in «consumo»? I giovani stabiliscono
un’appartenenza condizionata visibilmente da quello che è stato chiamato l’«etnocentrismo
d’ambiente»: frequentano ambienti diversi, modificando ogni volta la loro identità. Fanno fatica
quindi ad appartenere in modo stabile a gruppi e associazioni, perseguono obiettivi di piccolo
cabotaggio, badano all’omogeneità stilistica ed estetica della loro ristretta frequentazione.
La novità nell’analisi sociale indaga le condizioni di un protagonismo meno effimero, stimolando
un atteggiamento curioso e attivo verso se stessi e il mondo.
Il giovane diventa protagonista quando si appassiona, progetta e si assume responsabilità,
quando negozia, co-decide, co-gestisce con gli adulti. Il protagonismo richiede di fare i conti
anche con regole e limiti. Ha bisogno di adulti capaci di ascoltare in modo non paternalistico, di
negoziare anche con i no, disposti a offrire l’opportunità di una vera co-gestione delle
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responsabilità. Il mondo adulto (genitori, insegnanti, educatori) fanno fatica «a utilizzare il
registro della negoziazione, della co-costruzione, dell’accompagnamento discreto e tenace, ma
soprattutto dell’ascolto»1. Si finisce, così, per educare attraverso slogan difensivi e antisociali,
di «stimolare» attraverso la minaccia del peggio. L’educazione invece ha bisogno di fiducia e di
speranza: che vale la pena appassionarsi, che la sofferenza degli altri è insopportabile, che c’è
bisogno degli altri per migliorare il mondo.
– La fragilità dell’adolescenza e la precarietà giovanile sono i comportamenti corrispondenti
all’incertezza e all’inquietudine degli adulti, sono la conseguenza della caduta della loro
speranza, l’incapacità di confermare una prospettiva di futuro e d’impegno. Gli stati d’ansia e
d’impotenza che ne derivano rafforzano ancor più la sensazione della confusione, l’impressione
di assenza di tempo, di fretta, di continuo ritardo, che spesso sfociano in pericolosi «agiti»
(comportamenti sconsiderati e imprevedibili, acting out, raptus) dove le persone perdono il
controllo di sé.
Ci si sente costretti a vivere in un mondo plurale e sovrabbondante di proposte e di possibilità
che costringe costantemente alla scelta, mentre, d’altra parte, mancano le idee e le immagini
per decifrare e interpretare la vita sempre confusa e caotica. Si finisce per rassegnarsi alla
decisione di vivere giorno per giorno, cogliendo le occasioni e sfruttando le eventualità.
La ricerca sociale considera oggi con maggiore criticità l’osservazione diffusa, secondo la quale
la qualità della vita è tanto migliore quanto più abbondanti sono le opportunità e ampie le
possibilità di scelta. Il disagio esistenziale della noia e della demotivazione disconferma questa
certezza. La stessa vita centrata sulla gratificazione istantanea presuppone, in realtà, una
solida base di personalità: in caso contrario il piacere diventa insoddisfazione, l’avventura si
trasforma in noia, la novità si rovescia nella ripetizione della dipendenza.
La libertà ha bisogno dei legami. «Ho bisogno, dunque, della famiglia per sviluppare la mia
libertà». La fragilità indica la rischiosa situazione in cui una personalità scarsamente strutturata
sul fronte interno deve misurarsi, sul fronte esterno, con le ingiunzioni sociali che prescrivono di
dare il massimo nel confronto competitivo.
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Non è sufficiente, allora, promuovere la sola auto espressione (concerti, centri di aggregazione,
facebook, web-tv) ma occorre accompagnare pazientemente all’autonomia, dare sostegno alla
fragilità, alleggerendo i processi di incontro, confronto e scontro tra diversi attori della
complessità sociale (famiglia, scuola, orientamento lavorativo, vita sociale). Non basta
l’intrattenimento, è necessario motivare all’impegno, educare alla fatica del vivere. L’eccesso
del divertimento spesso è fuga dalla realtà, il fascino della notte è indice della paura del giorno.
La disponibilità all’impegno dipende da diversi fattori tra cui il livello di aspirazione, che è il
grado di difficoltà proprio dello scopo che la persona si sforza di raggiungere (agli svogliati
occorre dare uno scopo, insegnava don Milani), ma gli scopi dipendono anche dal senso
dell’appartenenza alla comunità locale. Bisogna quindi passare dall’azione promozionale (il
riconoscimento delle soggettività e delle loro istanze) all’
attivazione
(il progetto, l’azione, la continuità, l’appartenenza alla comunità).
I giovani e la fede
Considerando i dati sociologici, ascoltando gli osservatori diretti, si può dire di essere davvero di
fronte a quella che Armando Matteo, ha definito «la prima generazione incredula»?
Nella società complessa le risposte definitive sono sempre dubbie.
La ricerca continua a evidenziare che oltre il 50% dei giovani si dice cattolico, che la
maggioranza di loro sono interessati al «sacro», che aumenta (se pur di poco) il numero di
coloro che considerano «molto importante» per la loro vita la religione.
Il problema, forse, consiste nel fatto che i giovani si approcciano al sacro in modi originali e
diversi dal passato, che prediligono forme religiose che gli adulti, spesso senza averle
veramente ascoltate, liquidano come immature e consumistiche.
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È significativo invece che un’attenta osservatrice dei fenomeni religiosi contemporanei, D.
Hervieu-Léger nel suo volume Il pellegrino e il convertito, affrontando i cambiamenti profondi
della pratica religiosa nella nebulosa di credenze di oggi, esamini due situazioni, il movimento di
Taizé e le Giornate Mondiali della Gioventù, dove sono gli adolescenti e i giovani a interpretare i
nuovi modelli di religiosità2.
Per chiarire il rapporto che le nuove generazioni hanno con la religiosità è necessario
evidenziare l’importanza che, per loro, assume l’espressione estetica, considerare il ruolo delle
nuove forme dell’interiorità emozionale, dei nuovi linguaggi della socializzazione giovanile. Non
vanno neppure trascurate la centralità della dimensione affettiva e la diffusione della fragilità
emotiva.
Oggi la religione non è più ereditaria, è diventata una scelta. Come la religione, anche le forme
rituali sono oggetto di scelta. Per i giovani non è facile né immediato entrare nel mondo di fede
(e non della semplice religiosità) attraverso un codice simbolico che presuppone la conoscenza
e non solo l’emozione3.
Sono due i problemi che interpellano le comunità cristiane a proposito dei giovani: la crisi della
pastorale giovanile (la difficoltà a incontrare i giovani) e la perdita della domenica (la
discontinuità nella partecipazione eucaristica).
In poco tempo si è passati da una pastorale giovanile di massa, ben strutturata, a una
situazione in cui i giovani si coinvolgono solo attraverso proposte all’altezza delle loro attese.
Nella società secolarizzata (e nell’inconsistenza della formazione catechistica) il mondo
giovanile valuta l’immagine della Chiesa e delle organizzazioni ecclesiali sulla base delle
proprie preferenze, giudicando ogni volta le sue proposte se attraenti e compatibili con i propri
interessi.
Se può essere dubbio che i giovani di oggi siano davvero «increduli», è abbastanza certo che
essi sono «profani» a proposito del mistero cristiano, visto il fallimento della catechesi come
insegnamento e l’assenza di una vera mistagogia capace di introdurre i ragazzi alla
celebrazione cristiana. Per questo la maggioranza dei giovani ha poco o nessun rapporto con la
liturgia della Chiesa, e rifiuta decisamente ogni contatto. Gli adolescenti, poi, sono
particolarmente critici nei confronti delle messe della domenica, che trovano fredde, noiose,
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tetre. Quando è data loro la possibilità, però, essi apprezzano soprattutto la possibilità di
partecipare attivamente, il fatto di essere personalmente coinvolti, di vivere un’esperienza
comunitaria caratterizzata da un buon clima, espresso anche dai canti moderni e supportati da
un linguaggio comprensibile. La prova può essere il fatto che solo i giovani che vengono
raggiunti dalla pastorale (e dalla catechesi) giovanile fanno ancora delle esperienze liturgiche
positive.
La questione fondamentale è se le nuove generazioni abbiano gli strumenti, cioè la base
catechistica, per riuscire a comprendere la missione della chiesa e la sua liturgia, e se riescano
a scegliere di appartenere alla comunità cristiana, trovando lì anche i propri (veri) amici. Per
dirlo in altre parole, se condividono il capitale culturale della fede cattolica e partecipano al
capitale sociale della comunità cristiana.
Aiutare i giovani a «raggiungere» la chiesa: il caso della liturgia
Per rilanciare la pastorale giovanile occorre stare con i giovani, non tanto nel senso di andarli a
cercare ma nell’essere capaci di proporre loro qualcosa che a loro risulti interessante e
affascinante. Non è più la Chiesa che «raggiunge» i giovani, si tratta di aiutare i giovani a
raggiungere la Chiesa. Non tuttavia per intrattenerli semplicemente, bensì per accompagnarli
gradualmente verso l’incontro con Gesù. Il tema dell’urgenza educativa che la Chiesa italiana
ha fatto proprio per decennio 2010-2020 riguarda sia il mondo dei giovani che quello degli
adulti: la Chiesa italiana vorrebbe offrire ai giovani prima di tutto una comunità cristiana
accogliente, una sorta di seconda casa in cui poter crescere, mettere a frutto i propri talenti,
scoprire la propria vocazione e incontrare il Signore Gesù.
L’appartenenza ecclesiale è però un fatto soprattutto sacramentale. Il passaggio più delicato
riguarda quindi la «partecipazione attiva» nella liturgia. Da una parte essa comporta la presenza
consapevole e piena dei giovani, il loro coinvolgimento anche nella preparazione della liturgia
secondo le loro sensibilità, dall’altra esige la necessità la fedeltà al Sacramento cristiano, senza
cedimenti ai gusti individuali.
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La sfida fondamentale riguarda la perdita della festa e lo smarrimento del senso della
domenica.
La concezione della domenica cristiana pone l’esigenza di una differenza reale e vissuta tra il
feriale e il festivo. L’«estetizzazione del feriale» (quando il feriale diventa festivo e il festivo
diventa feriale) che si sta imponendo a livelli degli stili di vita generalizzati produce un effetto
deleterio per la comprensione della festa: la trasformazione degli aspetti della vita ritenuti
importanti in evento (dato dall’intensità del sentire emozionale di ciò che si fa, qui e adesso).
L’evento diverge totalmente dalla festa liturgica. La mentalità dell’evento è un fenomeno
culturale di massa, nato dalla cultura del consumo, e, contrariamente alla liturgia, non si ripete;
ha uno scopo motivato edonisticamente: deve anzitutto divertire e intrattenere. La cultura
dell’evento, che riguarda il qui e adesso, fa parte del feriale. In questo modo pone in questione
un dato fondamentale della liturgia come festa: il suo carattere di eccezione. La cultura
dell’evento esalta la forma (il sentire) e riduce il contenuto (che nella liturgia è il Mistero) ad
accessorio: il consumatore, nel suo «sentire», sta al centro, il prodotto viene trascurato.
La partecipazione attiva degli adolescenti e dei giovani alla celebrazione eucaristica richiede
alla comunità un ingente investimento umano, oltre che di risveglio religioso e di annuncio
catechistico, per la cura meticolosa della ritualità eucaristica in tutti i suoi elementi: il canto, la
scelta dei testi, la lettura, la precisione liturgica, la preparazione degli spazi, l’attenzione ai
segni, l’equilibrio della regia. Bisogna riproporre ai giovani il significato del celebrare cristiano e
acculturare i giovani alla liturgia. Non è necessario, invece, «adattare» la liturgia al mondo
giovanile. La liturgia ha fortunatamente anche una potente valenza di contrasto: celebrata come
si deve è già approntata alla partecipazione piena dei fedeli. Mobilita quindi le persone, le
«tocca» in modi diversi, secondo le diverse età. Non si tratta di ridurre la liturgia a gusti ed
esigenze individuali, ma di mantenere il carattere celebrativo della liturgia, rendendola in grado
di «riconnettersi» con i vissuti giovanili.
L’assemblea domenicale può essere presentata, curata e vissuta come un fatto
intergenerazionale
(bambini, adolescenti, giovani, adulti, anziani). È proprio della fede fare delle diversità una
ricchezza, comporre le differenze in un corpo solo, far vibrare all’unisono una massa di persone
che diventano (nel silenzio religioso soprattutto) un cuor solo e un’anima sola. Il rito liturgico
persegue questo obiettivo fin dal canto d’inizio (anzi, prima ancora, fin dall’accoglienza e dalla
preparazione immediata alla celebrazione).
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Mentre l’evento è una messa-in-scena, la liturgia è un incontro vero. I giovani che intendono
l’Eucaristia come evento cercano celebrazioni «estetiche» e non si pongono il problema della
continuità: «partecipo se me la sento». Insieme alla fedeltà nella partecipazione, nella liturgia
ridotta a scena si perde anche la forza di una fede che ispira e trasforma il quotidiano. La festa
è il luogo in cui il tempo ordinario e il «gran tempo» (quello non comune, escatologico) entrano
in comunicazione per agire nella quotidianità con forza e speranza rinnovata. La festa cristiana
disegna uno spazio straordinario ma non fuori dal mondo. Il presente è il tempo della salvezza,
perché è lo svelamento del segreto che lo costituisce nella sua consistenza. L’attenzione al
presente, caratteristica dell’attuale adolescenza, non è uno svantaggio ma un talento, se la
celebrazione lo aiuta a fare del presente un tempo di qualità.
Nella liturgia i gesti e le parole sono più importanti dei discorsi e degli insegnamenti. Celebrare
è incontrare, provare, sperimentare una Presenza, se pur Invisibile.
Per questo le messe «soporifere» sono un’insopportabile delusione che allontanano le persone.
Rigenerare la festa cristiana: l’oratorio degli adolescenti4
Prendere sul serio la natura celebrativa dell’esperienza liturgica, in tempi di secolarizzazione
diffusa, esige che tutto il lavoro pastorale converga sulla do­menica.
L’Eucaristia domenicale deve essere preparata dall’intera settimana e l’obiettivo preliminare è il
recupero del senso della festa.
La comunità parrocchiale deve aiutare gli adolescenti a celebrare il quotidiano con feste più
immediatamente collegabili alla dimensione esistenziale (celebrazioni legate alle diverse tappe
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della vita, al fidanzamento, a eventi scolastici, a obiettivi raggiunti nella vita di gruppo o
familiare, come ho cercato di esemplificare in alcune applicazioni presentate sopra).
L’oratorio può così dotarsi di un ricco prontuario di ritualità e celebrazioni preliturgiche, più
facilmente plasmabili, per aiutare i giovani a far festa per gli eventi della loro vita e aiutarli a
ritrovare il senso del celebrare, e per apprendere linguaggi alternativi a quelli commercializzati.
Essendo radicata sul territorio, la parrocchia ha la possibilità di recuperare le tradizioni locali e
trasformarle in feste intergenerazionali, prevedendo ogni volta l’apporto specifico degli
adolescenti. La proposta liturgica (il costume) della messa come unica celebrazione è vissuta
come un evento rituale troppo complesso forse perché alla fine rimane non compreso in quanto
non sufficientemente preparato.
Oggi, inoltre, il senso della domenica si dissolve, nel costume sociale, nel più vasto week-end.
Questo tempo festivo più lungo però diventare anche un’opportunità perché permette di
sviluppare momenti forti, preliminari e postliminari alla centralità eucaristica. L’oratorio del
sabato pomeriggio, un programma musicale accattivante e performativo per la sera (che sfuma
nella notte), un calendario di eventi per la domenica pomeriggio, sono proposte certo molto
impegnative ma efficaci perché la domenica sia vissuta come una festa, bella, vera, ricca di
emozioni e di significato (che si attende e si ripete simile tutte le settimane) e il week-end non
sia lasciato interamente al profitto dei mercanti dell’industria del divertimento.
Il mondo giovanile è una realtà poliedrica che riflette la frammentazione di una società segnata
dalla complessità. La capacità della Chiesa di comunicare con i giovani dipende, quindi, dalla
sua capacità di «abbassare la soglia di accesso» per venire incontro al maggior numero
possibile di esigenze e di attese. Gli adolescenti e i giovani, infatti, fanno dipendere la loro
risposta dal fatto che vi trovino, o meno, un certo interesse, ma le aspettative, a seconda degli
ambienti, sono molto diverse: riconoscimento, divertimento, motivazioni altruistiche, sviluppo
delle proprie capacità. L’adolescente non può rinunciare a rispondere alle sue domande, né può
contrastare i suoi bisogni, soprattutto quando non li vede riconosciuti o li trova incompatibili con
le regole del suo ambiente di vita e l’approvazione dei pari nel suo raggio di socializzazione.
Non sarebbe giusto abbassare la soglia liturgica, ma è possibile preparare la strada allo
splendore della liturgia cattolica.
Lavorare con i giovani richiede la capacità di sapersi mettere in gioco e di essere disponibili ad
accettare i nuovi punti di vista di cui sono portatori. Le loro capacità creative si esprimono in un
inesauribile ventaglio di soluzioni originali per integrare le esperienze con una coerenza
affettiva, relazionale ed etica, ancora provvisoria ma in formazione.
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L’oratorio degli adolescenti e dei giovani potrebbe presentarsi sul territorio come un luogo
aperto a tutti, a bassa soglia (senza, cioè, richiedere un’adesione esplicita alla fede), spazio «pr
oduttore di significati
», capace di valorizzare pienamente il tempo libero dei giovani facendone un tempo di creatività
e di ricerca. È riconosciuto che la sfida dell’adolescenza si gioca in gran parte nello stimolare e
nell’accogliere la capacità narrativa dei ragazzi: l’adolescente ha bisogno di inventare e di
ascoltare storie capaci di dare significato ai cambiamenti del corpo, della mente e degli affetti
che sta vivendo. Si prende coscienza del proprio vissuto sia narrandolo che ascoltando i
racconti altrui. Un’esperienza vissuta non diventa consapevolezza e, quindi non è ancora
completa finché non è raccontata e rappresentata. Attraverso il suo racconto può così stabilire
delle relazioni vere tra i pari e con il mondo degli adulti (se lo sanno ascoltare). Si constata
presso i giovani (specialmente fra i 14 e i18 anni) una crescente voglia di essere «sulla scena».
Imparare ad ascoltare e imparare a raccontare costituiscono le basi operative dell’imparare a
pensare.
Nella voglia di stare insieme senza impegno delle «tribù» giovanili, nell’»occupare» il territorio
(come nella socializzazione ai supermercati), nell’animazione della notte, si reagisce alla
solitudine della società individualista. Nei raduni di piazza, nelle manifestazioni sportive e
musicali (concerti, meeting, spettacoli) la socialità cerca un’alternativa alla realtà del quotidiano
ripiegando in una condizione di intimità psichica collettiva. L’oratorio può diventare un luogo in
cui le performance estetiche e culturali sono importanti comunicazioni Le performance estetiche
e culturali possono diventare in oratorio, quindi, importanti eventi comunicativi
intergenerazionali sui temi e sui valori culturali che entrano in gioco nei processi di
cambiamento sociale, dove i giovani si aprono all’intero territorio. L’oratorio può diventare un
laboratorio in cui gli adolescenti, attraverso i linguaggi performativi, si raccontano, parlano delle
paure e delle conquiste, delle contraddizioni e dei sogni, denunciano, esprimono dissenso e
consenso. Possono farlo di fronte agli adulti, gettando ponti comunicativi tra i rispettivi «mondi
paralleli».
Sono sicuramente richiesti investimenti economici, competenza educativa, creatività artistica e
musicale. L’impegno smisurato richiesto dall’aggiornamento dei linguaggi e degli strumenti
metodologici è però ripagato dalla possibilità di comunicare con masse di adolescenti secondo
linguaggi di sicuro effetto.
La ricerca di senso è una delle componenti essenziali dei compiti di sviluppo dei giovani. In
quanto identità in continuo sviluppo, ma anche in continuo cambiamento, i giovani mandano
segni di fragilità, di incertezza, di incoerenza, di instabilità ma si dimostrano anche inesauribili
serbatoi di energia, di capacità, di potenzialità, di interesse, di comprensione e di azione. Le
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Giornate Mondiali della Gioventù ne sono un esempio per tutti: sono immagini efficaci di come
nasce una comunità, di come si veicolano sentimenti di unità e si costruiscono processi identità,
al di là di tutte le differenze.
Ho utilizzato i seguenti testi:
– Ambrosi E. – Rosina A.
2009 Non è una generazione per giovani, Marsilio Editore, Venezia
– Baraldi C. – Maggioni G. (a cura di)
2009 La mediazione con bambini ed adolescenti, Donzelli Editore, Roma
– Betori G.,
2009 L’annuncio della fede ai giovani, EDB
– Buzzi, C. – Cavalli, A. – De Lillo, A. (a cura di)
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2007 Rapporto giovani: sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il
Mulino, Bologna
– Fiore R. – Pieroni V. – Vettorato G. (a cura di)
2009 La città che non dorme, Ed. Città Calabria, Catanzaro
– Boeri T. – Galasso V.
2007 Contro i giovani, Oscar Mondadori, Milano
– Livi Bacci M.
2008 Avanti giovani, alla riscossa, Il Mulino, Bologna
– Matteo, A.
2010 La prima generazione incredula, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ)
– Nicotra M.G. D’Ambrosio G. M.
2010 Il lavoro clinico con gli adolescenti F. Angeli, Milano
– Pietropolli Charmet G.,
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2008 Fragile e spavaldo, Laterza Roma
– Pollo M.,
2010 Giovani e sacro Elledici Leumann
– Siri Fuhrmann
2010 Giovani, liturgia, musica, in Musica e Assemblea 2, p. ss.
– Fondazione Volontariato e Partecipazione
2010 Rischiare politiche giovanili, supplemento di Animazione Sociale, 2,
Ho approfondito alcuni aspetti del dossier in
– Organizzare la speranza, Elledici 2011
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– Ritornare in strada, Effatà 2009
Note
1) G. Mazzoli, Rischiare politiche giovanili, cit. p 94.
2) Interessante è anche il fatto che nel 2010 Universa Laus (Associazione internazionale che si
occupa dello studio del canto e della musica per la liturgia) abbia tenuto il suo convegno
internazionale (in Germania) sul tema: «Giovani, liturgia, musica». Traggo in questo paragrafo
alcuni spunti dalla relazione sociologica di Siri Fuhrmann riportata su Musica e Assemblea 2,
2010 p. 3 ss.
3) Cf la crisi della fede e la nostalgia del sacro in M. Pollo, Giovani e sacro, LDC 2010.
4) Sintetizzo qui alcuni spunti di miei due volumi: Organizzare la speranza, LDC, 2011 e Ritorn
are in strada
Effatà 2009.
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