David Ferri Durà, tenore spagnolo di Valencia, adottato dall`Italia
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David Ferri Durà, tenore spagnolo di Valencia, adottato dall`Italia
David Ferri Durà, tenore spagnolo di Valencia, adottato dall’Italia, che si candida ad essere una promessa per il repertorio operistico di Mozart, Rossini, Bellini e Donizetti Nel servizio alcune belle immagini di David Ferri Durà (Foto Giovanna Marino) e il tenore in scena nel Don Trastullo al San Carlo di Napoli (Foto Francesco Squeglia) D Una voce per il belcanto, sognando il ROF... 088 avid Ferri Durà, spagnolo di Valencia, è un’interessante giovane voce tenorile emergente nel panorama lirico odierno, particolarmente versato nel repertorio lirico-leggero di matrice belcantistica. Con tutta la solarità che gli viene dalla sua terra madre, lasciamo che sia lui a raccontare di sé ai nostri lettori, per parlare di una carriera che si annuncia promettentissima. Come è arrivato a studiare canto? «È una storia lunga…a otto anni mia madre mi iscrisse al Conservatorio di Valencia dove cominciai con il canto corale. Ma ero troppo piccolo e questo tipo di studio non mi appassionava, A quindici anni cominciai a studiare chitarra, che era ciò che mi appassionava. Al termine dei corsi ripresi con il canto corale e cominciai a studiare canto. Una cosa porta l’altra…». Ma non c’era in famiglia una passione per l’opera che l’ha spinta su questo versante? «Mio padre era pittore, mia madre era costumista, però suonava l’organo. Ho cominciato a studiare canto in Spagna sotto la guida di Maria Angeles Peters e Victor Alonso. A studiare canto lirico in maniera seria, ho proseguito con il mio maestro attuale, Antonio Lemmo. È lui che ha fatto nascere e maturare davvero in me questa passione». La sua vocalità è stata immediatamente definita? «Direi di sì. Un tenore lirico-leggero di agilità. Per tornare al mio incontro, importantissimo, con Antonio Lemmo, è avvenuto in Italia. Ero venuto a conoscenza che ci sarebbero state delle audizioni a Gubbio. Antonio Lemmo ascoltò la mia voce in questa occasione e rimase affascinato dal mio timbro, se non dalla mia tecnica, che era ovviamente da sistemare. Ho iniziato con lui il mio cammino di studio e di perfezionamento. Ho cominciato ad affrontare una serie di concerti, cantando, come è nelle mie corde, il repetorio lirico-leggero. Il Maestro Lemmo è stato capace di vedere in me potenzialità che sino a quel momento nessuno era stato capace di intravvedere». Quali erano i problemi tecnici da affrontare e come sono stati risolti? Più in generale qual è la base di una buona tecnica? «Il mio problema non era la “natura!, quella c’era, ma la voce era tutta nel naso. L’estensione risultava così piuttosto limitata, al la già cominciavano le difficoltà. È bastato “liberare” la voce e se primo avevo “uno” di volume, sono passato immediatamente a dieci. Il Maestro Lemmo mi ha aiutato a prendere coscienza della mia voce e della mia vocalità, con l’uso corretto del fiato, degli addominali, del diaframma. Il maestro Tangucci, quando mi riascoltò, mi disse “canta piano, se no nessuno può starti vicino”. Tanto è vero che dopo la “liberazione”, chiamiamola così, c’è stato un ulteriore passaggio di riposizionamento per raccogliere e governare il suono. Comunque adesso arrivo al fa diesis in voce, ma in basso arrivo al sol sotto il rigo. Nelle cadenze tocco il re naturale per scendere al la grave, in agilità. Non è precisamente comune per una voce leggera». La carriera come è iniziata? «Feci un’audizione per il San Carlo di Napoli, che andò bene. Il maestro Tangucci ha creduto in me e mi ha offerto undici recite per il ruolo principale in “Don Trastullo” con la proposta di fare anche il cover di Idreno in “Semiramide. Nello stesso periodo, tra settembre e dicembre 2010, feci un’audizione a Livorno, piacqui al maestro Paloscia, che mi prese per cantare Peppe/ Arlecchino nei “Pagliacci”. Un direttore artistico che io mi sento di ringraziare moltissimo e che ha avuto tanta fiducia in me è il maestro Ortombina, che mi da dato la possibilità di interpretare “L’inganno felice” per la stagione della Fenice». Rossini nume tutelare, quindi…? «Sì certo, anche se mi sento molto portato anche per Mozart, che 089 è un balsamo perla voce ad inizio di carriera, ma anche in seguito. Voglio comunque ricordare anche l’importantissima esperienza fatta al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, l’estate scorsa, con l’opera contemporanea “Nur. che mi ha dato tantissime soddisfazioni grazie anche all’aiuto di Alberto Triola che ha creduto in me affidandomi questo ruolo quasi “verista”.». Come si affronta in maniera corretta il canto di coloratura rossiniano? «L’agilità deve essere sgranata, ma non nasale, e legatissima. La voce deve essere libera, appoggiata saldamente sul fiato e totalmente controllata in maschera. E poi la bocca, che sia aperta o sia chiusa, deve rimanere immobile. Così si avrà l’uguaglianza della voce sia nel registro acuto che in quello grave, In questo repertorio, sia chiaro, dopo una certa nota i suoni suono innaturali, Il lavoro da fare, che è soprattutto mentale, è convincere la gola che quei suoni sono invece naturali». La sua voce verso quali altri repertori potrà spostarsi in futuro? «Ho già studiato e preparato il ruolo di Arrturo nei “Puritani”, comunque certamente Bellini, Donizetti, Fenton in “Falstaff”. Io comunque credo che la mia pasta vocale richieda un determinato repertorio, quello romantico e protoromantico italiano. Ad esempio Fernando de “La Favorita”. Vorrei potere avere l’occasione di cimentarmi anche con il repertorio francese. Anche s ho un sogno… cantare Rodolfo in “Bohème”, un’opera di cui mi sono innamorato dalla prima volta che l’ho ascoltata, ma per ora resta un sogno!». Studiando Puritani che difficoltà ha incontrato? «Non ho difficoltà con gli acuti, la difficoltà è mantenersi sempre sulla tessitura fa-sol-la, non facile. Un altro ruolo belliniano che mi piacerebbe interpretare è assolutamente Elvino e Stefania Bonfadelli mi vorrebbe come suo Elvino. Sento molto mio anche il carattere di questo personaggio». 090 Di Mozart cosa le piacerebbe cantare? «Ferrando del “Così fan tutte” e naturalmente Don Ottavio. Guardo con una certa attenzione al ruolo di Audifio in “Lucio Silla”, ruolo molto interessante, e in cima a tutti, Tamino nel “Flauto magico”». Le piace «recitare», sulla scena? «Forse sul palcoscenico non riesco ancora ad esprimere ciò che vorrei ma che io sento di avere dentro. So che potrei dare molto di più ma c’è qualcosa ancora che mi blocca. Una sorta di pudore nel non svelarmi fino in fondo. L’esperienza con “Nur” a Martina Franca mi ha aiutato molto in questo senso. Sono certo, però, ch riuscirò, come ho già fatto con la voce, anche a “liberarmi” in questo senso». Ora lei vive in Italia? «Sì e per me è un onore cominciare la mia carriera in Italia, che di solito è un punto di arrivo per un cantante». Qual è un obiettivo della sua carriera? Un sogno da raggiungere? «Io non sogno tanto! Di questi tempi è meglio!... ma, chissà, tra dieci anni… Rodolfo? Con gli anni, e ora parlo sul serio, bisogna seguire l’andamento della voce, perché la voce matura. Un grande esempio di voce che è maturata è Gregory Kunde, che è partito come tenore contraltino ed è arrivato ad essere baritenore. La voce ha un suo sviluppo, l’importante è sapersi gestire e avere la coscienza di se stessi. A cinquant’anni, non si può cantare ancora Nemorino…oggi poi si vuole il cantante attore, che sia credibile nel personaggio. L’opera, in un certo senso, è diventata cinema. Molto adesso si muovono per vedere una regia più che per sentire le voci. Tornando comunque al mio “sogno”, sì, uno ce n’è: cantare al Rossini Opera Festival diretto da Zedda. Ho fatto un’audizione lo scorso agosto e pare che sia andata bene, speriamo…». Francesco Conti 091