333-340 Rassegna - Marietta
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333 Rassegne Recenti Prog Med 2014; 105: 333-340 I nuovi anticoagulanti orali nella prevenzione del cardioembolismo nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare: più opportunità o più rischi? E per chi? Marco Marietta1, Giulio Formoso2, Anna Maria Marata2, Emilio Maestri2, Nicola Magrini2 Riassunto. I nuovi anticoagulanti orali (NAO) rappresentano farmaci innovativi e un’opzione potenzialmente rilevante per la prevenzione del cardioembolismo in pazienti con fibrillazione atriale. Alla loro recente introduzione è seguito un dibattito acceso sull’appropriatezza nel loro utilizzo nella pratica corrente, considerando che non richiedono un regolare monitoraggio dei valori di INR (che invece è necessario con gli antagonisti della vitamina k - AVK), ma che sono anche molto meno testati nella pratica clinica e molto più costosi degli AVK. Partendo dai risultati piuttosto favorevoli degli studi randomizzati disponibili – che mostrano che i NAO sono almeno non inferiori agli AVK e che potrebbero essere superiori rispetto ad alcuni esiti –, in questo articolo viene discussa la rilevanza clinica di tali risultati, la loro trasferibilità nella pratica clinica attraverso una valutazione dei metodi degli studi e i potenziali rischi legati alla rapida diffusione dell’uso di questi farmaci. Sono infine proposte alcune considerazioni su possibili strategie per una progressiva e appropriata introduzione dei NAO, portando l’esempio dell’esperienza che si sta sviluppando nella Regione Emilia-Romagna. Novel oral anticoagulants: more opportunities or more risks? And for which patients? Parole chiave. Apixaban, clinical governance, dabigatran, fibrillazione atriale, nuovi anticoagulanti orali, rivaroxaban. Key words. Apixaban, atrial fibrillation, clinical governance, dabigatran, novel oral anticoagulants, rivaroxaban. Introduzione: vecchi e nuovi anticoagulanti La qualità della gestione della terapia con AVK è di cruciale importanza per garantirne efficacia e sicurezza: maggiore la percentuale del tempo in cui il paziente è in range terapeutico (INR tra 2 e 3 per la FA), maggiori saranno le probabilità di successo del trattamento, e minori quelle di complicanze emorragiche. Il migliore indicatore della qualità del trattamento anticoagulante è il time in therapeutic range (TTR)6: recenti studi hanno dimostrato che l’efficacia clinica degli AVK per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA è ottimale per valori di TTR >70% e accettabile per valori di TTR fra 61% e 70%7. Inoltre, i pazienti con TTR <60% hanno una maggiore mortalità annuale, più emorragie maggiori e più ictus ed embolie periferiche rispetto a quelli TTR >70%8. È verosimile che questi limiti degli AVK, il cui impatto è peraltro contenibile con una specifica organizzazione sanitaria, insieme con il timore del rischio emorragico siano alla base della loro diffusione sub-ottimale: recenti dati epidemiologici italiani, peraltro in linea con quelli della letteratura in- Gli anticoagulanti orali anti-vitamina K (AVK) sono utilizzati da oltre 50 anni in milioni di pazienti, e l’ampia esperienza d’uso ha permesso di conoscere molto bene vantaggi e limiti di questi farmaci. Fra i vantaggi vi sono indubbiamente la grande efficacia, in quanto nei pazienti con fibrillazione atriale (FA) consentono una riduzione del rischio relativo di ictus o di embolia arteriosa periferica rispetto al placebo del 60% e di recidiva del tromboembolismo venoso (TEV) dell’80% circa1, e il basso costo. Fra i limiti va considerato certamente il rischio emorragico, che varia dall’1,5% all’anno in studi osservazionali2 al 5% riscontrato nei trial randomizzati che li hanno confrontati con i nuovi anticoagulanti orali (NAO)3, ma soprattutto lo stretto indice terapeutico e l’ampia variabilità individuale nella risposta, per cui questi farmaci richiedono un regolare monitoraggio della coagulazione e un’attenta gestione dei dosaggi e delle interazioni con farmaci e abitudini alimentari4,5. Summary. Novel direct oral anticoagulants (NAO) represent an innovative and potentially relevant option for the prevention of cardiac embolism in patients with atrial fibrillation. Their recent introduction has been followed by a wide debate on their appropriate use, considering that they do not require regular monitoring of INR values as Vitamin K Antagonists (VKA) do, but that are much less tested in everyday clinical practice and much more expensive than VKA. Starting from the quite favourable results of the available RCTs – showing that NAO are at least non-inferior to VKA and that may be even better for some outcomes – this article discusses the clinical relevance of these results, their transferability into clinical practice looking at the methods of those RCTs and potential risks related to their widespread introduction. Final considerations on possible strategies for their appropriate and progressive introduction are also provided, using the experience developing in the Emilia-Romagna region. 1Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena; 2Area Valutazione del Farmaco, Agenzia Socio-Sanitaria dell’EmiliaRomagna, Bologna. Pervenuto su invito il 21 luglio 2014. 334 Recenti Progressi in Medicina, 105 (9), settembre 2014 ternazionale, evidenziano come solo da un terzo a metà dei pazienti con FA che richiederebbero un trattamento con AVK ricevono effettivamente questa terapia9,10. Molto spesso la terapia antiaggregante viene ancora vista come un’alternativa possibile a quella con AVK, nonostante la letteratura abbia dimostrato in modo incontrovertibile che nei pazienti con FA gli antiaggreganti sono molto meno efficaci degli AVK nel ridurre il rischio di ictus11, anche nei pazienti a basso rischio embolico12. Queste considerazioni hanno spinto la ricerca farmacologica a cercare di sviluppare farmaci anticoagulanti orali con efficacia e sicurezza almeno pari agli AVK, ma con meccanismi d’azione tali da renderne più semplice la gestione. Tre NAO sono stati finora registrati in Italia per la prevenzione dell’ictus ischemico nei pazienti con FA: dabigatran (inibitore diretto del fattore IIa), rivaroxaban e apixaban (inibitori diretti del fattore Xa); un quarto NAO, edoxaban, è attualmente in fase di registrazione presso l’European Medicines Agency (EMA) e pertanto non verrà analizzato in questo articolo. Per un’analisi più dettagliata delle loro caratteristiche farmacologiche rimandiamo alle molte rassegne disponibili; in generale, si può dire che tutti i NAO hanno in comune la caratteristica di essere inibitori diretti di fattori coinvolti nella via comune della coagulazione, di avere una emivita relativamente breve (fra 8 e 15 ore) e un rapido assorbimento (Cmax 2-4 ore)13. In queste pagine passeremo in rassegna le evidenze di letteratura sui NAO, inibitori dei fattori IIa e Xa della coagulazione, cercando di offrire spunti di riflessione critica sui loro vantaggi e limiti, e proponendo infine un possibile modello di governo clinico della loro introduzione, trasferibile in realtà anche a molti altri nuovi farmaci. I NAO: cosa dicono le evidenze disponibili e loro qualità I principali risultati… Trial clinici randomizzati di ampie dimensioni e di buona qualità metodologica hanno valutato l’efficacia e la sicurezza dei NAO rispetto al warfarin in studi della durata media di 2 anni, indicando che questi farmaci possono costituire un trattamento vantaggioso per pazienti con caratteristiche analoghe a quelli inclusi in questi trial, il che però come vedremo solleva qualche dubbio sulla trasferibilità e generalizzabilità di tali risultati a popolazioni diverse14-16. Questi studi avevano in genere come obiettivo quello di dimostrare la non inferiorità dei NAO rispetto agli AVK per quanto riguarda i loro profili di efficacia e di sicurezza, considerando i probabili vantaggi legati alla non necessità di monitoraggio dell’attività anticoagulante. Per una sintesi dei risultati dei trial registrativi si veda la tabella 1, mentre per un’analisi critica introduttiva delle evidenze disponibili invitiamo alla lettura di una pubblicazione indipendente13. Numerose meta-analisi hanno analizzato i risultati di questi trial3,17-25, tentando anche di confrontare fra loro i diversi NAO per capire se esistessero significative differenze a vantaggio dell’una o dell’altra molecola, senza peraltro giungere a conclusioni definitive su questo aspetto. In generale, e in estrema sintesi, si può dire che oltre a dimostrare la loro non inferiorità, i NAO in alcuni casi si sono rivelati superiori agli AVK in termini di riduzione significativa dell’endpoint primario di ictus ed embolie arteriose periferiche. Inoltre, tutti i NAO hanno dimostrato, a tutti i dosaggi, una minore incidenza di emorragie intracraniche (EIC) rispetto agli AVK, dimezzando all’incirca, nel loro insieme, il rischio di questa grave complicanza26. Diverse ipotesi Tabella 1. Sintesi dei risultati dei 3 principali studi (RCT registrativi) che hanno valutato i NAO per la profilassi del cardioembolismo in pazienti con fibrillazione atriale. Dabigatran 110 mg Dabigatran 150 mg Rivaroxaban Apixaban Benefici: differenza assoluta di eventi rispetto al warfarin (%/anno) Ictus + embolie sistemiche (esito primario di efficacia) - 0,16* - 0,58** - 0,3* - 0,3** Mortalità totale - 0,38 - 0,49 - 0,3 - 0,42** Rischi: differenza assoluta di eventi rispetto al warfarin (%/anno) Emorragie maggiori (esito primario di sicurezza) - 0,65** - 0,25 + 0,2 - 0,96** Emorragie intracraniche - 0,51** - 0,44** - 0,2** - 0,47** *Non inferiorità vs warfarin; **Superiorità vs warfarin. M. Marietta et al.: I nuovi anticoagulanti orali nella prevenzione del cardioembolismo nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare fisiopatologiche sono state avanzate per spiegare questo comportamento, la più convincente delle quali ipotizza che l’attivazione della coagulazione mediata dal Tissue Factor in corrispondenza di micro-lesioni spontanee sia in grado di contrastare più efficacemente l’attività anticoagulante selettiva dei NAO rispetto a quella più generalizzata degli AVK27. Su questo dato, di sicura importanza clinica, occorre però fare due osservazioni: la prima riporta al rischio assoluto di questa grave complicanza delle terapie anticoagulanti, che rimane fortunatamente comunque basso, tanto che se si esprime lo stesso dato come NNT si vede che occorre trattare da 189 a 500 pazienti per un anno con un NAO per evitare un’emorragia intracranica28; la seconda riguarda il tema del “doppio conteggio” delle EIC nei trial registrativi dei NAO, nei quali l’ictus emorragico era valutato sia come end-point composito primario di efficacia sia come end-point di sicurezza, il che potrebbe indurre a sovrastimare il beneficio clinico netto dei NAO rispetto al warfarin25. … e qualche cautela sulla loro immediata trasferibilità nella pratica clinica Gli studi sono stati effettuati su popolazioni molto selezionate, ma anche potenzialmente molto eterogenee fra loro in quanto provenienti da moltissimi centri (oltre mille per ogni studio) di diversi Paesi (40-50) anche molto differenti fra loro per contesti socio-assistenziali e per qualità del trattamento con AVK. Un primo aspetto da sottolineare riguarda il tempo trascorso nel range terapeutico (TTR) medio degli studi registrativi, compreso fra il 55% e il 68%, ma con ampia variabilità fra i Centri. Per esempio, nello studio RE-LY il TTR medio dei Centri di Taiwan era del 44%, contro il 77% dei Centri svedesi29. Quest’ultimo aspetto è di notevole rilevanza clinica, in quanto il confronto con AVK può essere “ad armi pari” solo in presenza di un TTR >60%, e il riscontro di un TTR basso in alcuni studi potrebbe non essere adeguatamente rappresentativo della nostra realtà e quindi non essere trasferibile a essa. È stato, tra l’altro, dimostrato che in presenza di un eccellente controllo della terapia con AVK, testimoniato da valori di TTR >60%, i vantaggi dei NAO soprattutto in termini di riduzione delle emorragie maggiori si attenuano, fino a diventare non più statisticamente significativi, o addirittura scompaiono, e i nuovi anticoagulanti possono essere associati a una maggiore incidenza di eventi emorragici29-31. Un secondo aspetto riguarda la selezione della popolazione inclusa negli studi registrativi, non molto rappresentativa della popolazione dei pazienti italiani affetti da FA, in particolare per quanto riguarda i pazienti di età avanzata. A questo proposito si può notare che l’età media dei pazienti inclusi negli studi registrativi andava dai 70 ai 73 anni, con una quota di pazienti di età >75 anni compresa fra il 30% e il 40%. Questi valori sono diversi da quelli riscontrati nella realtà clinica italiana, che vede un’età media dei pazienti con FA di 77 anni, e di 80 per quelli ricoverati nei reparti di medicina10. I dati relativi all’efficacia e sicurezza dei NAO nei soggetti di età >75 anni appaiono in alcuni studi sostanzialmente sovrapponibili a quelli ottenuti nei soggetti più giovani32,33, mentre un’analisi post hoc dello studio RE-LY ha dimostrato che il rischio emorragico ed embolico nei pazienti in trattamento con dabigatran era correlato con la concentrazione a valle del farmaco, che a sua volta dipendeva, fra gli altri fattori, dall’età del soggetto. Non solo, ma a parità di concentrazioni di dabigatran i rischi di emorragia ed embolia erano significativamente maggiori per i soggetti con un’età media di 85 anni vs 75 anni34. Per contro, vi è un’ampia esperienza clinica nell’uso degli AVK anche nei pazienti di età >80 anni, ed è stato dimostrato come tale terapia, accuratamente gestita da personale esperto, mantenga un buon profilo di sicurezza anche in questo particolare gruppo di pazienti35. Esistono altre categorie di pazienti, ampiamente presenti nella pratica clinica quotidiana, che sono state escluse dagli studi registrativi dei NAO, primi fra tutti i soggetti con ridotta funzionalità renale. Bisogna, infatti, ricordare che in tutti gli studi registrativi una clearance della creatinina inferiore a 25-30 ml/min costituiva un criterio di esclusione, e i pochi pazienti che sono stati inclusi nonostante presentassero valori inferiori non possono fornire informazioni affidabili su questo importante aspetto clinico. Un’altra popolazione poco studiata è quella dei soggetti in terapia antiaggregante, singola o doppia. Un singolo antiaggregante è stato usato contemporaneamente ai NAO nel 20%-30% circa dei pazienti inclusi negli studi registrativi, mentre la doppia antiaggregazione era un criterio di esclusione per rivaroxaban e apixaban, ed è stata impiegata solo nel 4,5% dei soggetti inclusi nello studio con dabigatran36. In generale, l’uso concomitante di antiaggreganti aumenta, come prevedibile, il rischio emorragico dei pazienti che assumono NAO nella stessa misura in cui lo aumenta in quelli che assumono warfarin, per cui il confronto fra i due anticoagulanti, in termini di sicurezza, non viene sostanzialmente modificato dal contemporaneo utilizzo anche di un antiaggregante. Un ulteriore elemento di cui tenere conto è la notevole differenza nel rischio embolico delle popolazioni arruolate in alcuni studi (RE-LY e ARISTOTLE) rispetto ad altri (studio ROCKET). Infatti, la quota di pazienti a più elevato rischio embolico, corrispondenti a un punteggio secondo il punteggio di rischio CHADS2 >3, era intorno al 30% nei primi due studi, mentre nel ROCKET era del 71%. Inoltre, lo studio ROCKET non aveva arruolato pazienti a rischio embolico basso, corrispondenti a un punteggio CHADS2 =1, che invece costituivano il 30% circa della popolazione degli altri due studi. 335 336 Recenti Progressi in Medicina, 105 (9), settembre 2014 Quali le criticità nell’uso dei NAO Come abbiamo visto, i NAO sono farmaci molto interessanti, che nel complesso hanno dato buone dimostrazioni di efficacia e sicurezza negli studi registrativi, e possono costituire una valida alternativa agli AVK per pazienti con cattivo controllo della terapia anticoagulante “classica”, o in tutti quei contesti socio-assistenziali in cui l’accesso a tale terapia sia difficile o fortemente condizionante la vita del paziente. Questi farmaci presentano, però, ancora alcune importanti criticità, che suggeriscono l’opportunità di una loro introduzione sul mercato graduale e controllata. Niente antidoti in caso di emorragia (a differenza del warfarin) Un primo aspetto che merita attenzione è la mancanza di trattamenti specifici in grado di antagonizzare rapidamente l’attività anticoagulante dei NAO in caso di emergenza emorragica o di manovre invasive urgenti. L’emivita biologica dei NAO (fra 8 e 15 ore) è nettamente inferiore rispetto a quella del warfarin (fra 20 e 60 ore)13, ma non così breve da poter escludere di trovarsi nella condizione di dover ripristinare una normale emostasi in condizioni di emergenza. Peraltro, non è accertato se il comportamento biologico e clinico di un’emorragia maggiore NAO-correlata sia sovrapponibile a quello di un’emorragia warfarin-correlata e ciò rappresenta un’incognita rilevante considerando che l’emorragia è un importante problema clinico anche in corso di trattamento con i NAO. I dati che derivano dalle analisi post hoc dello studio RE-LY riportano un’incidenza di emorragia maggiore del 17% circa nei pazienti trattati con dabigatran e sottoposti a chirurgia d’urgenza vs il 21% in quelli in trattamento con warfarin37. Nella valutazione di questo dato va però tenuto presente che nello studio RE-LY non era previsto un immediato trattamento antagonizzante del warfarin, e ci si limitava alla sola sospensione del farmaco. Tale comportamento non costituisce il trattamento standard indicato dalle raccomandazioni internazionali per i pazienti in AVK, e ha certamente condizionato sfavorevolmente i risultati del gruppo in AVK. Analogamente, l’analisi dei pazienti inclusi nello studio RE-LY che avevano avuto emorragie maggiori non ha mostrato differenze significative dell’outcome a 30 giorni nel gruppo dabigatran vs il gruppo warfarin, con un trend verso una minore mortalità nel gruppo dabigatran38. Anche in questo caso il dato appare condizionato dal fatto che il gruppo AVK non ha ricevuto il trattamento standard (da raccomandazioni internazionali): i concentrati protrombinici per il reversal immediato dell’attività anticoagulante erano stati usati nell’1% dei casi, il plasma fresco nel 30% dei casi e la vitamina K nel 27% dei casi. Non vi sono prove di efficacia solide basate su studi clinici sulla possibilità di antagonizzare efficacemente l’attività anticoagulante dei NAO in caso di emergenza emorragica: i dati disponibili si riferiscono a studi sull’effetto di vari trattamenti nel normalizzare test di laboratorio eseguiti su plasma ottenuto da volontari sani39, oppure a studi in vivo su modelli animali di emorragia40, o a casi clinici41. Pertanto, le raccomandazioni attualmente disponibili sul trattamento da somministrare in caso di emorragia si basano solo sul consenso di esperti42-44. A questo proposito segnaliamo che la Regione Emilia-Romagna ha prodotto un documento di indirizzo per la gestione delle emergenze emorragiche in corso di trattamenti anticoagulanti sia con gli AVK sia con i NAO45. Sono in avanzata fase di studio antidoti specifici per i NAO46, ed è ipotizzabile che in breve tempo tali trattamenti saranno disponibili, anche se bisognerà attendere diversi anni prima di poter disporre di dati sull’efficacia e sulla sicurezza del loro utilizzo nel mondo reale. I test di laboratorio attualmente disponibili: poco utili nella pratica clinica I NAO hanno, rispetto agli AVK, il vantaggio di potere essere somministrati a dosi fisse considerando solo le caratteristiche del paziente (età e funzione renale), ma senza aggiustamenti posologici in base ai valori dei test di laboratorio. Se per certi versi questo è un rilevante vantaggio clinico, per altri ha rallentato lo sviluppo di test di laboratorio in grado di verificare l’attività anticoagulante dei NAO, in quanto il monitoraggio di questi farmaci era ritenuto non necessario47. Dopo la loro introduzione sul mercato ci si è rapidamente resi conto che se in effetti non è necessario né utile “monitorare” l’attività dei NAO nel loro uso routinario è invece assolutamente indispensabile poterla “misurare” in alcune condizioni cliniche particolari, specie urgenti, come per esempio eventi emorragici o trombotici in corso di terapia, o interventi chirurgici non differibili48. I test di laboratorio tradizionali, PT e APTT, scontano nei confronti dei NAO il limite di non essere stati ideati, né standardizzati come l’INR per gli AVK, e pertanto si rivelano poco specifici. Il risultato, infatti, può dipendere da molte altre condizioni, oltre che dalla presenza del farmaco, ed è fortemente influenzato dalla sensibilità dei reagenti utilizzati; di conseguenza è possibile utilizzare tali test solo per una valutazione qualitativa della presenza di un’attività anticoagulante dei NAO, ma non per stabilirne l’entità, e anche in questo caso occorre essere molto cauti, in quanto con molti dei reattivi in commercio si hanno valori di PT e APTT normali anche in presenza di concentrazioni di NAO pienamente terapeutiche49. È quindi raccomandabile valutare l’attività dei NAO mediante test specifici, che sono il tempo di trombina diluito o il dosaggio cromogenico dell’attività anti-IIa per dabigatran e il dosaggio cromogenico dell’attività M. Marietta et al.: I nuovi anticoagulanti orali nella prevenzione del cardioembolismo nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare anti-Xa per rivaroxaban e apixaban50-52. Questi test sono raccomandati in quanto specifici (poche o nessuna interferenza), sensibili (<10-30 ng/ml), con risultati non reagente-dipendenti e con curva doserisposta lineare. Inoltre, sono semplici, facilmente automatizzabili su tutti i principali coagulometri, precisi e rapidi, implementabili in laboratori anche non specialistici ed eseguibili in situazioni di emergenza. Nonostante queste caratteristiche positive, i test citati restano ancora poco utili nella pratica clinica poiché i loro risultati, anche espressi in termini di concentrazione del farmaco, non possono tuttavia essere considerati come veri e propri range terapeutici. Esistono, infatti, alcune osservazioni che mettono in correlazione le concentrazioni di dabigatran e rivaroxaban con gli eventi emorragici e trombotici34,53, ma i valori osservati nei pazienti con e senza eventi, e addirittura in quelli con eventi trombotici ed emorragici, sono largamente sovrapponibili, il che per ora rende questo dato inutilizzabile per adottare decisioni cliniche. Per contro, come sostiene un recente articolo di The BMJ, è tempo di ridiscutere il dogma che i NAO non possano e non debbano essere monitorati, dogma basato forse su ragioni di marketing più che scientifiche. È, infatti, ragionevole pensare che se fosse possibile monitorare facilmente i NAO, e acquisire così più dati sul rapporto fra la loro concentrazione e il rischio emorragico, si potrebbe migliorare la sicurezza dei pazienti che li usano54. La tabella 2 vuole offrire una visione sintetica dei pro e dei contro degli AVK e dei NAO. I NAO nella pratica clinica: rimane ancora qualche dubbio Da quanto descritto finora si evince con chiarezza che c’è un fortissimo bisogno di acquisire dati sul comportamento dei NAO nel mondo reale, sia per verificarne l’efficacia e la sicurezza in popolazioni con caratteristiche diverse da quelle analizzate negli studi, sia per aumentare le conoscenze su alcuni aspetti di grande rilevanza clinica non ancora adeguatamente studiati, come per esempio il comportamento da tenere in occasione di complicanze emorragiche. Sono comparsi in letteratura alcuni lavori sull’argomento che hanno dato risultati non univoci, il che si può in parte spiegare con le diverse modalità di acquisizione dei dati (registri su base volontaria o studi di record linkage che utilizzano i dati amministrativi correnti) e con le diverse popolazioni valutate (solo nuovi utilizzatori dei NAO o anche pazienti passati dagli AVK ai NAO)55-58. L’impressione generale è che i NAO nella pratica clinica quotidiana stiano confermando i buoni risultati ottenuti nei trial registrativi, senza presentare un eccesso di eventi emorragici o trombotici, tranne in alcune popolazioni, come per esempio i pazienti che passano dagli AVK a dabigatran 110 mg56. Al di là del singolo studio, rimane evidente la necessità di una precisa identificazione dei pazienti per i quali i NAO possono rappresentare una valida scelta terapeutica e di quelli per cui gli AVK rimangano la terapia più indicata. Questa valutazione deve tenere conto non solo delle caratteristiche biologiche del singolo, ma anche del contesto socio-assistenziale nel quale il paziente si trova inserito. È infatti evidente che ove sia presente un’efficace organizzazione per la gestione della terapia con AVK, in grado di garantire valori elevati di TTR sia per paziente sia per centro prescrittore, i vantaggi dei NAO saranno più contenuti rispetto ad altri contesti in cui la terapia con AVK sia gestita in modo non adeguato, o con modalità tali da rendere la sua fruizione da parte dei pazienti particolarmente disagevole. Tabella 2. AVK e NAO a confronto. Pro e contro degli AVK Pro Contro • Efficacia dimostrata in 50 anni di esperienza • Efficacia dimostrata anche in popolazioni particolari (anziani, paz. con insufficienza renale) • Sicurezza a breve e lungo termine nota • Effetto monitorabile • Hanno l’antidoto • Compliance verificabile • Necessitano del controllo di INR • Efficacia e sicurezza dipendono strettamente dalla qualità del controllo (TTR) • Notevole variabilità interpersonale dell’effetto • Numerose interferenze farmacologiche Pro e contro dei NAO Pro Contro • Non necessitano del controllo di INR né di personale esperto per aggiustamenti posologici • Breve emivita, farmacocinetica e farmacodinamica prevedibili (in condizioni normali) → gestione semplificata in caso di sospensione interventi chirurgici • Minor rischio di emorragia intracranica (studi registrativi) • Maggiore efficacia (alcuni NAO ad alcuni dosaggi ) • La sicurezza a lungo termine non è nota • Dati scarsi o assenti sull’uso in popolazioni particolari (>80 anni, insuff. renale) e nel mondo reale • Non è disponibile l’antidoto • Test di laboratorio non comunemente disponibili e non utili per valutare rischio emorragico o embolico 337 338 Recenti Progressi in Medicina, 105 (9), settembre 2014 In altre parole, i NAO costituiscono un eccellente campo nel quale sperimentare le capacità di governo clinico dei diversi Servizi Sanitari. Una proposta di governo clinico e di ricerca applicata A titolo esemplificativo, presentiamo il percorso adottato dalle Regione Emilia-Romagna per governare l’introduzione dei NAO. Fin dal 2012, in previsione dell’immissione sul mercato di tali nuovi anticoagulanti, l’Assessorato alla Sanità della Regione Emilia-Romagna, tramite la Commissione Regionale del Farmaco, ha dato mandato a un gruppo di lavoro multidisciplinare di stendere un documento sul ruolo di questi farmaci nella prevenzione del cardioembolismo nel paziente con fibrillazione atriale non valvolare59. Questo documento non si poneva solo l’obiettivo di fornire strumenti metodologici utili per guidare la scelta dei clinici nella definizione del posto in terapia dei NAO, ma anche di migliorare il trattamento della fibrillazione atriale sensibilizzando i medici specialisti e di medicina generale sul rischio tromboembolico di questa patologia e di ottimizzare l’uso dei trattamenti anticoagulanti con AVK già in uso. La tabella 3 riporta una sintesi delle raccomandazioni formulate da questo documento. Oltre a questo documento di indirizzo è stato prodotto anche un “pacchetto informativo” sui NAO, rivolto prevalentemente ai medici di medicina generale, che affronta il problema anche da un punto di vista non specialistico, cercando di fornire risposte ai problemi quotidiani di utilizzo di tali farmaci13. È stata anche avviata una raccolta a livello regionale dei dati relativi ai pazienti che utilizzano i NAO, per poterne monitorare tempestivamente l’utilizzo e la sicurezza attraverso il confronto con le banche regionali su ricoveri e mortalità. Da ultimo è stato approvato, nell’ambito dei Progetti di Ricerca Regione-Università, uno studio di comparative effectiveness fra NAO e AVK nel contesto assistenziale della Regione EmiliaRomagna. Conclusioni I dati dei trial registrativi indicano che i NAO sono almeno altrettanto efficaci degli AVK per la prevenzione dell’ictus in corso di FA, e complessivamente più sicuri, soprattutto relativamente alla grave complicazione rappresentata dall’emorragia intracranica. I vantaggi dei NAO sono pienamente apprezzabili quando, sia a livello del singolo paziente, sia a livello di sistema, la qualità della gestione della terapia anticoagulante con AVK non è soddisfacente. Paradossalmente, si potrebbe pensare che, prescindendo per un attimo dal problema del costo, i NAO, più che nelle nazioni a più alto tenore di vita e con una rete assistenziale capillare e ben strutturata, potrebbero essere particolarmente utili in quelle parti del mondo dove il sistema sanitario è meno organizzato e nelle quali è impensabile impiantare una rete di Centri specializzati per la gestione delle terapie anticoagulanti. Nella nostra realtà socio-sanitaria è indispensabile assicurare un’introduzione graduale e controllata di questi importanti farmaci, che passi attraverso un’accurata selezione dei pazienti in base a criteri di appropriatezza clinica e di una puntuale raccolta dati per poter valutare in modo tempestivo la loro efficacia e sicurezza nel mondo reale. Solo un’adeguata risposta del sistema sanitario nel suo complesso potrà garantire a ogni paziente la migliore terapia anticoagulante possibile: ci sono infatti pazienti per i quali può essere vantaggioso il monitoraggio periodico dell’INR e pazienti per i quali invece, date le difficoltà di controllo dell’INR (per problematiche cliniche o logistiche), è più opportuno accedere a farmaci che non necessitano di monitoraggio. È, infine, importante ricordare che in popolazioni fragili o particolarmente anziane l’uso routinario dei NAO può risultare ancora discutibile alla luce delle evidenze attualmente disponibili. I NAO rappresentano quindi una sfida per i clinici e una sfida ancora maggiore per il Servizio Sanitario. Bibliografia Tabella 3. Principali Raccomandazioni del Gruppo di lavoro regionale dell’Emilia-Romagna sul ruolo dei NAO nella prevenzione del cardioembolismo nel paziente con fibrillazione atriale non valvolare. • I farmaci anti-vitamina K (AVK) rimangono il trattamento di riferimento per la maggior parte dei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (FANV), in particolare per quelli di oltre 80 anni. • I NAO sono preferibili: – nei pazienti con difficoltà logistico-organizzative a eseguire un adeguato monitoraggio di INR; – in caso di pregressa emorragia intracranica; – per i pazienti già in trattamento con AVK in presenza di un controllo non ottimale della terapia (TTR <60%). 1. Kearon C, Hirsh J. Management of anticoagulation before and after elective surgery. New Engl J Med 1997; 336: 1506-11. 2. Palareti G, Leali N, Coccheri S, et al. 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