La giovane siberiana

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La giovane siberiana
associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Xavier de Maistre
La giovane siberiana
La Jeune Sibérienne
18251
1 Titolo originale: La Jeune Sibérienne, Parigi 1806. L’illustrazione proviene da un’edizione
francese del 1889. Traduzione dal francese e note (N.d.T.): © associazione culturale
Larici, 2013. Per l’introduzione, cfr. http://www.larici.it.
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Il coraggio di una giovane, che, alla fine del regno di Paolo I, partì a piedi
dalla Siberia per andare a San Pietroburgo a chiedere la grazia per suo
padre, fece all’epoca tanto rumore da spingere un celebre autore 2 a fare di
questa interessante viaggiatrice un’eroina da romanzo. Ma le persone che
l’hanno conosciuta disapprovano che si siano attribuite avventure amorose e
idee romantiche a una giovane e nobile vergine che non ebbe mai altra
passione che il più puro amore filiale, e che, senza appoggio, senza
protettore, trovò nel proprio cuore il pensiero dell’azione più generosa e la
forza di eseguirla.
Se il racconto delle sue avventure non offre l’interesse alla sorpresa che
può ispirare un romanziere per i personaggi immaginari, non si leggerà
forse senza piacere la semplice storia della sua vita, abbastanza
rimarchevole in se stessa, senz’altro ornamento che la verità.
Suo padre, di una famiglia nobile dell’Ucraina, nacque in Ungheria, dove
un concorso di circostanze aveva condotto i suoi genitori, e servì qualche
tempo negli Ussari neri3; ma non tardò a lasciarli per andare in Russia, dove
si sposò. Riprese poi nella sua patria la carriera delle armi, servì a lungo
nell’esercito, e fece molte campagne contro i Turchi. Aveva partecipato agli
assalti di Izmail e di Očakov4, e aveva meritato per la sua condotta la stima
del Corpo. Si ignora la causa del suo esilio in Siberia, essendo stato tenuto
segreto il processo, così come la revisione che se ne fece in seguito.
Tuttavia alcune persone hanno sostenuto che era stato processato per
insubordinazione, a causa della malevolenza di un capo. In ogni caso,
all’epoca del viaggio di sua figlia, egli era da quattordici anni in Siberia5,
confinato a Išim, villaggio vicino alle frontiere del governatorato di Tobol’sk,
e vi viveva con la famiglia con la modica retribuzione di dieci copechi 6 al
giorno assegnati ai prigionieri che non sono condannati ai lavori pubblici.
La giovane Praskov’ja contribuiva con la propria opera a mantenere i
genitori, aiutando le lavandaie del villaggio o i mietitori e prendendo parte a
tutti i lavori della campagna che le permettevano le sue forze; aveva in
pagamento grano, uova e qualche ortaggio. Arrivata in Siberia nell’infanzia,
e non avendo alcuna idea di un destino migliore, si dedicava con gioia a
2 Madame Cottin (Nota dell’autore) – Il romanzo di Sophie Cottin fu pubblicato con il titolo
di Elisabetta o gli esuli della Siberia: traduzione in http://www.larici.it. (N.d.T.)
3 Ussari dell’esercito prussiano, cosiddetti perché indossavano un colbacco nero. (N.d.T.)
4 Durante la Guerra russo-turca del 1787-1792. (N.d.T.)
5 Nella biografia di Praskov’ja redatta dagli storici russi era esiliato da quattro anni, cfr.
Praskov’ja Lupolova. (N.d.T.)
6 Un copeco era la centesima parte del rublo. (N.d.T.)
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quei faticosi lavori, che sopportava con gran pena. Le sue mani delicate
sembravano essere state formate per altre occupazioni. Sua madre, tutto
dedita alle cure della misera casa, sembrava subire con pazienza la
deplorevole situazione; ma il padre, abituato fin dalla giovinezza alla vita
attiva degli eserciti, non poteva rassegnarsi alla propria sorte e si
abbandonava spesso ad attacchi di disperazione che l’eccesso stesso della
disgrazia non saprebbe giustificare.
Sebbene evitasse di lasciar vedere a Praskov’ja i dispiaceri che lo
divoravano, ella era stata più volte testimone delle sue lacrime attraverso le
fessure di un tramezzo che separava il suo ridotto dalla camera dei genitori,
e lei cominciò a riflettere sul loro crudele destino.
Lopulov aveva inviato da diversi mesi una supplica al governatore della
Siberia che non aveva mai risposto alle sue precedenti richieste. Un
ufficiale, passando da Išim per affari di servizio, si era incaricato del
dispaccio e gli aveva promesso di appoggiare i suoi reclami presso il
governatore. L’infelice esiliato aveva concepito qualche speranza, ma, come
prima, non gli si rispose. Ogni viaggiatore, ogni corriere proveniente di
Tobol’sk (evento molto raro) aggiungeva il tormento della speranza delusa ai
mali di cui era oppresso.
In uno di quei tristi momenti, la giovane, ritornando dalla mietitura, trovò
sua madre in lacrime e fu spaventata dal pallore e dalle scure occhiate di
suo padre che era impegnato in tutto il delirio del dolore.
«Ecco, – esclamò lui quando la vide comparire, – la più crudele di tutte le
mie disgrazie! ecco il bambino che Dio mi ha dato nella sua collera, affinché
soffra il doppio per i suoi mali e per i miei, affinché la veda deperire
lentamente sotto i miei occhi, sfinita dai lavori servili, e che il titolo di padre,
che fa la felicità di tutti gli uomini, sia per me solo l’ultimo termine della
maledizione del cielo!»
Intimorita, Praskov’ja si gettò fra le sue braccia. Madre e figlia riuscirono
a tranquillizzarlo mischiando le loro lacrime alle sue, ma questa scena fece
grandissima impressione sullo spirito della ragazza. Per la prima volta, i
genitori avevano parlato apertamente davanti a lei della loro situazione
disperata; per la prima volta, potè formarsi un’idea di tutta la disgrazia della
sua famiglia.
Fu in quel periodo, nel quindicesimo anno d’età, che le venne il primo
pensiero di andare a San Pietroburgo per chiedere la grazia per suo padre.
Ella raccontava che un giorno quella felice idea le si presentò alla mente
come un lampo, nel momento in cui finiva le preghiere, e le causò un
turbamento indescrivibile. È sempre stata persuasa che fu un’ispirazione
della Provvidenza, e quella ferma fiducia la sostenne in seguito nel mezzo
delle circostanze più scoraggianti.
La speranza della libertà non era mai entrata fino ad allora nel suo cuore.
Questo sentimento per lei nuovo la riempì di una gran gioia e si rimise
subito in preghiera; ma le sue idee erano così confuse che non sapendo lei
stessa ciò che voleva chiedere a Dio, lo pregò solamente di non privarla
della felicità che provava e che non sapeva definire. Presto tuttavia il
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progetto di andare a San Pietroburgo a gettarsi ai piedi dell’imperatore per
chiedergli la grazia per suo padre si sviluppò nella sua mente e l’occupava
oramai unicamente.
Aveva scelto, al margine di un bosco di betulle che si trovava vicino a
casa, un posto favorito dove si ritirava spesso per recitare le preghiere; fu
ancora più solerte a recarvisi in seguito. Là, tutto dedita al suo progetto,
pregava Dio, con tutto il fervore della sua giovane anima, di favorire il suo
viaggio e di darle la forza e i mezzi per eseguirlo. Abbandonandosi a
quell’idea, nel bosco si scordava spesso del trascorrere delle ore, al punto di
trascurare le proprie occupazioni ordinarie, ciò che le attirava i rimproveri
dei genitori. Stette molto tempo prima di osare aprirsi con loro a proposito
dell’impresa che meditava. Il suo coraggio l’abbandonava ogni volta che
avvicinava suo padre per cominciare quella spiegazione rischiosa, di cui
prevedeva confusamente il poco successo. Tuttavia, quando credette di aver
maturato sufficientemente il progetto, stabilì tra sé il giorno in cui avrebbe
parlato e si propose fermamente di vincere la propria timidezza.
All’epoca fissata, Praskov’ja si recò presto nel bosco, per domandare a
Dio il coraggio di esprimersi e l’eloquenza necessaria per convincere i
genitori: ritornò poi alla casa, risoluta a parlare al primo che incontrava.
Desiderava che il caso le facesse trovare sua madre, di cui sperava
maggiore condiscendenza, ma, avvicinandosi a casa, vide il padre seduto su
una panca presso la porta a fumare una pipa. Andò coraggiosamente da lui,
cominciò a esporre il progetto e chiese, con tutto il calore di cui fu capace, il
permesso di partire per San Pietroburgo. Quando ebbe finito l’esposizione,
suo padre, che l’aveva ascoltata senza interromperla e con gran serietà, la
prese per mano ed entrando con lei nella stanza, dove la madre preparava
la cena, esclamò:
«Moglie mia, una buona notizia! abbiamo trovato un potente protettore, è
nostra figlia che parte immediatamente per San Pietroburgo, e che vuole
incaricarsi di parlare lei stessa all’imperatore.»
In seguito, Lopulov raccontò scherzosamente tutto ciò che gli aveva detto
Praskov’ja.
«Farebbe meglio, – rispose la madre, – che facesse il suo lavoro piuttosto
che raccontarvi queste sciocchezze.»
La ragazza si era armata in anticipo contro la collera dei genitori, ma non
ebbe forza contro il dileggio che sembrava annientare tutte le sue speranze.
Si mise a piangere amaramente. Suo padre, che un istante di allegria aveva
fatto uscire del suo umore, riprese presto tutta la sua severità. Mentre la
sgridava a proposito delle lacrime, sua madre intenerita la baciava ridendo e
le disse dandole uno straccio:
«Andiamo, comincia a pulire la tavola per la cena; potrai partire poi per
San Pietroburgo con comodo.»
Quella scena era fatta più per dissuadere Praskov’ja dai suoi progetti che
per rimprovero o maltrattamento; tuttavia l’umiliazione che ella provava di
vedersi trattare come una bambina si allontanò presto e non la scoraggiò. Il
ghiaccio era rotto: ella ritornò alla carica a più riprese, e le sue preghiere
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furono presto così frequenti e importune, che suo padre, perdendo la
pazienza, la sgridò seriamente e le proibì con severità di parlargliene oltre.
Sua madre, con più di dolcezza, cercò di farle comprendere che era ancora
troppo giovane per pensare a un’impresa così difficile.
Da allora, passarono tre anni senza che Praskov’ja osasse rinnovare le
sue suppliche sull’argomento. Una lunga malattia della madre la costrinse a
rinviare il progetto a tempi più favorevoli; tuttavia non trascorse un solo
giorno senza che ella unisse alle sue solite preghiere quella di ottenere da
suo padre il permesso di partire, ben persuasa che un giorno Dio l’avrebbe
esaudita.
Quello spirito religioso, quella fede viva in una così giovane persona
devono sembrare ancor più straordinari perché non li doveva all’educazione.
Senza essere irreligiosi, suo padre si occupava poco di preghiere; sebbene
sua madre fosse più corretta ella mancava in generale di istruzione, così
Praskov’ja non doveva che a se stessa i sentimenti che l’animavano.
Durante quegli tre ultimi anni, la sua ragione si era formata; già la giovane
aveva acquistato più peso nei consigli di famiglia: potè, perciò, proporre e
discutere il suo progetto che i genitori non guardarono più come un
infantilismo, ma combattevano con maggior forza essendo la figlia diventata
più necessaria. Gli impedimenti che mettevano alla sua partenza erano di
natura tale da fare impressione sul suo cuore. Non era più con scherzi o
minacce che cercavano di dissuaderla, ma con carezze e lacrime.
«Siamo già vecchi, – le dicevano, – non abbiamo più né fortuna né amici
in Russia7: avresti il coraggio di abbandonare in questo deserto i genitori di
cui sei l’unica consolazione, e ciò, per intraprendere da sola un viaggio
pericoloso, che può condurti alla morte e costare a noi la vita anziché
procurarci la libertà?»
A questi ragioni Praskov’ja rispondeva solamente con le lacrime; ma la
sua volontà non era scossa affatto, e ogni giorno si confermava nella sua
risoluzione.
Si presentò una difficoltà di altra natura, e più reale dell’opposizione di
suo padre: poteva partire solamente con un passaporto, senza il quale non
le era ancora possibile allontanarsi dal villaggio. D’altra parte, non era molto
probabile che il governatore di Tobol’sk, che mai aveva risposto alle loro
lettere, consentisse ad accordare il favore. Praskov’ja fu costretta a
rimandare la propria partenza di altro tempo ancora, e tutte le sue idee si
spostarono sui mezzi per ottenere un passaporto.
C’era allora nel villaggio un prigioniero chiamato Neiler, nato in Russia e
figlio di un sarto tedesco. Egli era stato per qualche tempo domestico di uno
studente all’università di Mosca, e aveva tratto da quella circostanza il
vantaggio di passare per una mente forte ad Išim. Neiler si credeva uno
scettico. Questa specie di follia, unita al mestiere più utile di sarto che
possedeva, gli aveva fatto conoscere sia abitanti che prigionieri, di cui gli
uni gli facevano rammendare i loro abiti, e gli altri si divertivano delle sue
7 Nel testo si fa distinzione tra Siberia e Russia europea. (N.d.T.)
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impertinenze. Tra questi ultimi era Lopulov presso il quale lui si recava
talvolta. Neiler, conoscendo lo spirito religioso della giovane, la derideva per
la sua devozione, e la chiamava santa Praskov’ja8.
Questa, credendo che lui fosse più abile di quello che era, progettava di
rivolgersi a lui per ottenerne la supplica che voleva indirizzare al
governatore, nella speranza che suo padre, non avendo altro che da
firmarla, si sarebbe deciso più facilmente.
Un giorno, finito il bucato al fiume, si disponeva a tornare a casa. Prima
di partire, fece, come suo solito, parecchi segni di croce, e si caricò
faticosamente della biancheria bagnata. Neiler, che passava per caso, la
vide e si burlò di lei.
«Se aveste fatto, – le disse, – qualcuna di quelle moine di più, avreste
operato un miracolo, e la vostra biancheria sarebbe andata a casa da sola.
Date, – aggiunse impossessandosi con forza del fardello, – vi farò vedere
che gli scettici, che odiate così tanto, sono anche delle buone persone.»
Prese difatti la cesta e la portò fino al villaggio. Strada facendo,
Praskov’ja che aveva solamente il desiderio di ottenere un passaporto, gli
parlò della supplica e del servizio importante che si aspettava da lui.
Purtroppo, il filosofo non sapeva scrivere: confessò che dall’istante in cui si
era fatto sarto aveva trascurato totalmente la letteratura, ma le indicò nel
villaggio un uomo che avrebbe potuto adempiere alle sue aspettative.
Praskov’ja ritornò tutta gioiosa, proponendosi di mettere a profitto quel
consiglio fin dall’indomani. Ritornando dal padre, da cui si trovavano alcune
persone, Neiler si vantò molto del favore che aveva reso a santa Praskov’ja
risparmiandole la fatica di fare un miracolo, e fece altri cattivi scherzi del
genere; ma fu presto sconcertato dalla risposta della ragazza.
«Come potrei, – gli disse, – non mettere tutta la mia fiducia nella bontà
di Dio? L’ho pregato solamente un istante sulla riva del fiume e, se la mia
biancheria non è venuta da sola, è venuta senza di me, e portata da uno
scettico. Così il miracolo ha avuto luogo e io non chiedo altro alla
Provvidenza.»
A quella risposta, tutta la gente si mise a ridere a spese del sarto che si
ritirò piuttosto scottato dall’avventura. Si vedranno in seguito parecchi
esempi di questa amabile presenza di spirito che non abbandonò mai la
ragazza nelle circostanze più imbarazzanti.
L’indomani, si affrettò a consultare l’uomo indicatole: apprese da lui che
la supplica doveva essere firmata da lei stessa. Lo scrivano si incaricò di
compilare i moduli necessari e al termine Lopulov, dopo qualche resistenza,
acconsentì che fosse spedita e approfittò dell’occasione per unire una nuova
lettera relativa ai suoi affari personali.
Da quel momento, le inquietudini della giovane sparirono, la sua salute si
rafforzò e i suoi genitori furono contenti di vederla riprendere la naturale
allegria. Quel felice cambiamento non aveva altra causa che la certezza che
8 Il nome russo Praskov’ja deriva dal greco Paraskeve, nome col quale è conosciuta e molto
amata una santa. (N.d.T.)
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aveva di ottenere il passaporto e la sua illimitata fiducia nella protezione di
Dio. Andava a passeggiare spesso sulla strada di Tobol’sk, nella speranza di
vedere arrivare qualche corriere. Passava davanti alla stazione9 di posta dei
cavalli per parlare con il vecchio invalido che ne aveva la direzione e che
distribuiva le poche lettere inviate a Išim. Ma per molto tempo ella non osò
fargli domande, perché lui le parlava rudemente e si era burlato del suo
progetto di viaggio che egli aveva conosciuto.
Quasi sei mesi erano passati dalla partenza della supplica, quando si
avvertì la famiglia che un corriere era alla posta con delle lettere per alcune
persone. Praskov’ja vi corse subito e fu seguita dai genitori. Quando Lopulov
fu chiamato, il corriere gli consegnò un pacco sigillato, contenente il
passaporto per la figlia, e prese una ricevuta. Fu un momento di gioia per la
famiglia. Nell’abbandono totale dov’erano da tanti anni, l’invio di quel
passaporto sembrò loro una specie di grazia. Tuttavia non c’era nel
pacchetto alcuna risposta del governatore alle richieste personali di Lopulov.
Sua figlia era libera e non si poteva, senza la più grande ingiustizia,
trattenerla in Siberia contro la sua volontà.
Il silenzio assoluto che si manteneva con il padre era più una conferma
della sua disgrazia che un favore. La triste riflessione dissipò presto
l’espressione di piacere che gli aveva fatto provare la condiscendenza del
governatore. Lopulov si impossessò del passaporto e dichiarò, in un primo
momento, che aveva acconsentito a chiederlo nella certezza che le sarebbe
stato rifiutato e per liberarsi delle insistenze della figlia.
Praskov’ja seguì i genitori a casa senza chiedere nulla, ma piena di
speranza e ringraziando Dio lungo la strada di aver esaudito uno dei suoi
voti. Suo padre nascose il passaporto tra i suoi vestiti, dopo averlo avvolto
accuratamente in un capo di biancheria. Praskov’ja notò la precauzione e le
sembrò di buon augurio, perché l’avrebbe potuto strappare; così non
attribuì il rifiuto del padre che a un disegno particolare della Provvidenza
che non aveva ancora segnato l’ora della sua partenza. Poco dopo, andò nel
bosco, dove trascorse due ore a pregare, indulgendo alla gran gioia che la
sua ardente immaginazione le ispirava, non avendo più alcun dubbio sul
successo della’impresa.
Questi dettagli potranno sembrare ad alcune persone puerili e precise;
ma quando si vedranno riuscire i progetti della ragazza al di là delle sue
speranze e di ogni probabilità, malgrado gli innumerevoli ostacoli da
sormontare, ci si convincerà che nessun altro motivo umano sarebbe stato
sufficiente a condurla alla meta prefissata, e che occorreva per una tale
opera quella «fede che sposta le montagne»10. In tutto ciò che le arrivava,
Praskov’ja vedeva sempre il dito di Dio. Perciò si diceva:
«Talvolta sono stata provata, ma mai ingannata nella mia fiducia in lui.»
9 Termine russo, per relais (Nota dell’autore) – In francese c’è differenza tra station (usato
dall’Autore) e relais: entrambi i termini significano stazione, ma relais indica quella di
sosta delle staffette. Infatti, le stazioni di posta erano usate soprattutto dai corrieri, dello
zar o postali per cambiare i cavalli affaticati e proseguire la corsa. (N.d.T.)
10 Cfr. Mt 11,23. (N.d.T.)
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Un incidente che ebbe luogo pochi giorni dopo rianimò ancora il suo
coraggio e forse contribuì a determinare i genitori. Sua madre, senza essere
assolutamente superstiziosa, si divertiva, di quando in quando, a cercare dei
pronostici dell’avvenire nei più piccoli avvenimenti della vita. Senza credere
ai giorni sfortunati, evitava tuttavia di intraprendere qualsiasi cosa il lunedì 11
e non amava vedere il sale rovesciato. Talora prendeva la Bibbia, e,
aprendola a caso, cercava nella prima frase che le capitava sotto gli occhi
qualcosa di consono alla sua situazione e da cui poteva trarre un buon
augurio. Tale modo di consultare la sorte è molto comune in Russia: quando
la frase è insignificante, si ricomincia e, travisandone un poco il senso, si
finisce per darle la piega desiderata. Gli infelici si attaccano a tutto e, senza
prestare molta fede alle loro predizioni, provano un certo piacere quando
essa si accorda con le loro speranze.
Lopulov era abituato a leggere, la sera, un capitolo della Bibbia alla
famiglia: spiegava alle donne le parole in slavone che non comprendevano 12
e quell’occupazione piaceva infinitamente a sua figlia. Alla fine di una triste
serata, quei tre solitari erano presso la tavola sulla quale era il libro santo;
la lettura era finita e il più cupo silenzio rinacque tra loro, quando
Praskov’ja, rivolgendosi alla madre, senza altro scopo che quello di
riannodare la conversazione, disse:
«Aprite, vi prego, la Bibbia e cercate nella pagina a destra l’undicesima
linea.»
Sua madre prese il libro con sollecitudine e l’aprì con uno spillo; poi,
contando le linee fino all’undicesima a destra, lesse ad alta voce le seguenti
parole:
«Ma Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo
e le disse: “Che hai, Agar? Non temere”»13.
L’applicazione di quel passaggio della Sacra Scrittura era troppo facile
perché potesse sfuggire l’analogia sorprendente che presentava col viaggio
progettato. Praskov’ja, trasportata dalla gioia, prese la Bibbia e ne baciò a
più riprese le pagine.
«È veramente singolare,» disse la madre guardano il marito. Ma costui,
non volendo favorire la loro idea sull’argomento, si scagliò contro queste
ridicole divinazioni.
«Credete, – gridava alle due donne, – che si possa interrogare così Dio,
aprendo un libro con uno spillo, e che lui si degni di rispondere a tutti i
vostri folli pensieri? Senza dubbio, – aggiunse, – rivolgendosi alla figlia, un
angelo non mancherà di accompagnarvi nel vostro stravagante viaggio, e di
darvi da bere quando avrete sete! Non capite qual è la follia di abbandonarsi
11 In Russia, il lunedì passa per un giorno sfortunato tra il popolo e le persone superstiziose.
La ripugnanza a intraprendere qualcosa, ma soprattutto un viaggio, di lunedì è tanto
diffusa che le pochissime persone che non la condividono vi si sottomettono per riguardo
all’opinione generale e anche religiosa dei Russi. (Nota dell’Autore)
12 La Bibbia russa è scritta in slavo ecclesiastico, più antico di quello comune e con alcune
lettere cadute in disuso. (N.d.T.)
13 Gn 21,17. (N.d.T.)
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a simili speranze?»
Praskov’ja gli rispose che era ben lontana dallo sperare che un angelo le
apparisse per aiutarla nell’impresa.
«Tuttavia, – continuò, – spero e credo fermamente che il mio angelo
custode non mi abbandonerà, e che il mio viaggio avrà luogo, anche se mi
opponessi io stessa.»
Lopulov era scosso da quella perseveranza inconcepibile e lasciò passare
un mese senza far parola della partenza. Praskov’ja diventava silenziosa e
preoccupata: sempre sola nei boschi o nel suo ridotto, non mostrava più
alcun segno di affetto verso i genitori. Siccome aveva spesso minacciato di
partire senza passaporto, cominciarono a temere seriamente che compisse
il suo proposito, ed erano presi dall’inquietudine quando si assentava da
casa più del consueto. Arrivò anche un giorno che la credettero partita
senza dubbio alcuno: Praskov’ja, ritornando dalla chiesa, dove era andata
da sola, aveva incontrato delle giovani contadine in una capanna vicina e vi
si era trattenuta alcune ore. Quando ritornò alla casa, sua madre l’abbracciò
in lacrime.
«Hai molto tardato, – le disse. – Abbiamo creduto che ci avevi lasciato
per sempre!»
«Avrete presto questo dispiacere, – le rispose la figlia; – poiché non
volete consegnarmi il passaporto, vi dispiacerà anche di avermi privato di
quella risorsa e della vostra benedizione.»
Pronunciò quelle parole senza rispondere alle carezze di sua madre e con
un tono di voce così triste, così alterato, che la buona madre fu vivamente
impressionata. Le promise, per tranquillizzarla, di non opporsi più alla sua
partenza, la quale dipendeva ora unicamente dal permesso del padre.
Praskov’ja non lo chiese più; ma la sua profonda tristezza lo sollecitava in
modo più eloquente che se non avesse fatto delle vivissime suppliche: lo
stesso Lopulov non sapeva cosa decidere.
Sua moglie lo pregò una mattina di andare a prendere alcune patate in
un piccolo giardino che coltivava vicino a casa. Immobile e pieno di quei
tristi pensieri, sembrava non avesse prestato alcuna attenzione alla
richiesta; infine, ritornando in sé, disse improvvisamente come per
incoraggiarsi:
«Andiamo, aiutati, io ti aiuterò!»
Finito di parlare, prese una vanga e andò nel giardino. Praskov’ja lo
seguì.
«Senza dubbio, padre mio, bisogna aiutarsi nella disgrazia, e spero anche
che Dio mi aiuterà nella preghiera che vengo a farvi, e che toccherà il vostro
cuore. Rendetemi il passaporto, caro e infelice padre! Credetemi, è la
volontà di Dio. Volete costringere vostra figlia all’orribile disgrazia di
disubbidirvi?»
Parlando così, Praskov’ja abbracciava le sue ginocchia e cercava di
ispirargli la stessa fiducia che l’animava. La madre sopraggiunse. Sua figlia
la scongiurò di aiutarla a piegare suo padre; la buona donna non sapeva
cosa fare: aveva avuto la forza di acconsentire alla partenza, ma non aveva
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il coraggio di chiederla. Tuttavia, Lopulov non potè resistere più a lungo a
tali toccanti sollecitazioni: d’altronde sua figlia era così determinata che lui
temeva di vederla partire senza passaporto.
«Che fare con questa bambina? – esclamò lui. – Bisognerà pur lasciarla
partire!»
Praskov’ja, trasportata dalla gioia, si slanciò al collo del padre.
«State sicuro, – gli diceva lei coprendolo delle più affettuose carezze, –
che non vi pentirete di avermi ascoltato: andrò, padre mio, sì, andrò a San
Pietroburgo; mi getterò ai piedi dell’imperatore, e la stessa Provvidenza che
me ne ispirò il pensiero e che ha toccato il vostro cuore vorrà ben anche
disporre in nostro favore quello del nostro grande monarca.»
«Ahimè! – le rispose suo padre piangendo, – credi, povera bambina, che
si possa parlare all’imperatore come parli a tuo padre in Siberia? Delle
sentinelle controllano da tutte le parti i viali dal suo palazzo, e tu non potrai
mai passarne la soglia. Povera e mendicante, senza abiti, senza
raccomandazioni, come oserai apparire e chi si degnerà di presentarti?»
Praskov’ja sentiva la forza di quelle osservazioni senza scoraggiarsi: un
presentimento segreto prevaleva su tutti i ragionamenti.
«Capisco i timori che ispirano il vostro affetto per me, – ella rispose, –
ma non ci sono motivi per non sperare! Riflettete, di grazia! Vedete di
quanti favori insperati Dio mi ha già colmato, perché avevo messo tutta la
mia fiducia in lui! Non sapevo come avere un passaporto, è ha costretto la
bocca dello scettico a indicarmi i mezzi per ottenerlo; è lui che ha fatto
cedere l’inesorabile governatore di Tobol’sk. Infine, malgrado la vostra
invincibile ripugnanza, non ha costretto voi stesso ad accordarmi il
permesso di partire? Siate certo dunque, – aggiunse, – che l’Onnipotente
che mi ha fatto superare tanti ostacoli, e che mi ha protetto così
visibilmente fin qui, saprà condurmi ai piedi del nostro imperatore. Mi
metterà in bocca le parole che devono convincerlo, e la vostra libertà sarà la
ricompensa del consenso che mi accordate.»
Da quell’istante la partenza della ragazza fu decisa, ma non se ne
determinò ancora l’epoca precisa. Lopulov sperava di avere qualche aiuto
dai suoi amici: molti prigionieri avevano dei mezzi; Alcuni gli avevano fatto
spontaneamente, in altre occasioni, delle offerte che per la sua discrezione
non aveva accettato; ma in questa occasione si proponeva di approfittarne.
Desiderava trovare anche qualche viaggiatore che potesse accompagnare
sua figlia durante le prime marce. Fu ingannato in quella doppia aspettativa.
Tuttavia Praskov’ja pressava la sua partenza. Tutta la fortuna della famiglia
consisteva in un rublo d’argento14. Dopo aver tentato invano di aumentare
quella modica somma, si fissò il giorno della crudele separazione, secondo il
desiderio della viaggiatrice, all’8 settembre, giorno di una festa della
Vergine15. Appena la notizia si sparse nel villaggio, tutte le loro conoscenze
vennero a vederla, spinte dalla curiosità più che da vero interesse. Invece di
14 Valore di circa 4 franchi. (Nota dell’Autore)
15 È la festa della Natività della Beata Vergine Maria. (N.d.T.)
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aiutarla o incoraggiarla nell’impresa, disapprovarono soprattutto il padre per
averle accordato il permesso di partire. Coloro che gli avrebbero potuto dare
un aiuto parlarono delle circostanze sfortunate che spesso impediscono ai
migliori amici di fare un favore all’occorrenza; e in luogo dell’assistenza e
delle consolazioni che la famiglia si aspettava, non le lanciarono con gli
occhi che sinistri presagi. Tuttavia due prigionieri, tra i più poveri e oscuri,
difesero Praskov’ja e l’incoraggiarono con i loro consigli.
«Si sono viste riuscire, – dicevano, – cose più difficili e contro ogni
speranza. Anche se lei non arriverà fino al sovrano, troverà dei protettori
che parleranno per lei, quando la si conoscerà e la si amerà come noi.»
All’alba dell’8 settembre, quei due uomini ritornarono per congedarsi da
lei e per assistere alla sua partenza. La trovarono già pronta per il grande
viaggio e carica di una borsa che aveva preparato da molto tempo. Suo
padre le dette il rublo destinato, ma ella non voleva accettarlo perché
sapeva che quella piccola somma non poteva condurla fino a San
Pietroburgo, mentre poteva essere necessaria ai genitori, ma dovette
accettarla in seguito a un ordine perentorio del padre. I due poveri esiliati
vollero contribuire anche loro al piccolo fondo che ella aveva per il viaggio;
uno offrì trenta copechi di rame, e l’altro un pezzo di venti copechi
d’argento; era il loro sostentamento per parecchi giorni. Praskov’ja rifiutò
l’offerta generosa, ma ne fu profondamente commossa:
«Se la Provvidenza, – disse loro, – accorderà qualche favore ai miei
genitori, spero che ne abbiate una parte.»
In quel momento, i primi raggi del sol levante apparvero nella stanza.
«L’ora è arrivata, – ella disse; – bisogna separarci.»
Si sedette, così come i suoi genitori e i due amici, come è d’uso in Russia
in simile circostanza. Quando un amico parte per un viaggio di lungo corso,
al momento degli ultimi addii, il viaggiatore si siede; tutte le persone
presenti devono imitarlo: dopo un minuto di riposo durante il quale si parla
del tempo e di cose indifferenti, ci si alza e cominciano le lacrime e gli
abbracci. Questa cerimonia, che a prima vista sembra insignificante, ha
tuttavia un aspetto interessante. Prima di dividersi per molto tempo, forse
per sempre, ci si riposa ancora alcuni momenti insieme, come se si volesse
ingannare il destino e rubargli questo breve piacere.
Praskov’ja ricevette in ginocchio la benedizione dei genitori e,
strappandosi coraggiosamente dalle loro braccia, lasciò per sempre la
capanna che le era servita da prigione nella sua infanzia. I due esiliati
l’accompagnarono per la prima versta16. Il padre e la madre, immobili sulla
soglia di casa, la seguirono a lungo con gli occhi, volendo darle da lontano
un ultimo addio, ma la ragazza non guardò più indietro, e sparì presto in
lontananza.
Lopulov e sua moglie rientrarono quindi nella loro triste dimora, che
ormai sembrava deserta. Gli infelici vissero ancora più isolati di prima: gli
altri abitanti di Išim accusavano il padre di avere lui stesso spinto sua figlia
16 La versta è pari a 1066,8 metri. (N.d.T.)
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a quell’imprudente impresa, e per ciò lo mettevano in ridicolo. Si rideva
soprattutto dei due prigionieri che, nella loro semplicità, non avevano
nascosto la promessa che Praskov’ja aveva fatto di interessarsi a loro, e li si
congratulava in anticipo per la loro buona fortuna.
Lasciamo ora quella regione di pene e seguiamo la nostra interessante
viaggiatrice. Quando i due amici che l’avevano accompagnata la lasciarono,
ella aveva trovato parecchie ragazze che percorrevano la stessa strada fino
al villaggio vicino, lontano circa 25 verste da Išim. Strada facendo, furono
accostate da un gruppo di giovani contadini, di cui alcuni mezzi ubriachi, che
scesero da cavallo con il pretesto di accompagnarle: si era all’entrata di un
gran bosco. Le viaggiatrici allarmate non vollero incamminarsi con loro:
avevano alcune provviste, e si sedettero sul bordo della strada per
ristorarsi, pregando i paesani di continuare la loro strada; ma essi sedettero
con loro, dichiarando di voler dividere la loro colazione e poi di
accompagnarle fino al villaggio. In quel frangente, Praskov’ja, per
allontanare quegli importuni, credette di poter adoperare una piccola astuzia
che le riuscì:
«Andremmo volentieri con voi, – disse loro; – ma dobbiamo aspettare qui
i miei fratelli che arriveranno con i carri per trasportarci.»
Difatti i giovani videro in lontananza due carri che Praskov’ja aveva visto
prima di loro; in fretta risalirono a cavallo e sparirono.
«Era una piccola menzogna, – disse raccontando la sua prima avventura;
– ma non mi ha portato sfortuna.»
Giunse felicemente al villaggio dove doveva fermarsi, e alloggiò da un
contadino di sua conoscenza che la trattò molto bene.
L’indomani, al risveglio, la stanchezza della prima marcia si fece quanto
mai sentire. Uscendo dell’izba17 dove aveva trascorso la notte, ebbe un
momento di spavento quando si trovò sola. La storia di Agar nel deserto le
ritornò in mente e le restituì il coraggio. Fece il segno della croce e si
incamminò raccomandandosi all’angelo custode. Dopo avere superato
alcune case, scorse l’insegna dell’aquila sul cabaret del villaggio davanti al
quale era passata la vigilia; ciò le fece capire che, anziché prendere la
strada per Pietroburgo, stava ritornando sui suoi passi. Si fermò per
orientarsi, e vide il suo ospite che sorrideva sulla soglia della sua porta.
«Se viaggiate in questo modo, – gridò, – non andrete lontano, e voi
fareste forse meglio a tornare a casa.»
Questo tipo di incidente le capitò qualche altra volta in seguito; e quando,
nella sua indecisione, chiedeva la strada per Pietroburgo, data l’estrema
distanza a cui si trovava da quella città, si burlavano di lei e ciò la gettava in
un grande imbarazzo. Praskov’ja, non avendo alcuna idea della geografia del
paese che doveva percorrere, si era immaginata che la città di Kiev, famosa
nella religione del paese, e di cui sua madre le aveva parlato spesso, si
17 [In francese: isba] Casa di contadino, di solito composta di una sola camera in cui una
enorme stufa ne occupa una buona parte. Sebbene l’izba risponda all’incirca alla parola
chaumière [casa con tetto di paglia], non dà tuttavia l’idea di miseria. (Nota dell’Autore)
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trovasse sulla strada per Pietroburgo: aveva in progetto di fare le sue
devozioni passando, e si prometteva di prendere un giorno il velo, se la sua
impresa fosse riuscita.
Nella falsa idea che si era formata sulla posizione di questa città, vedendo
che si sorrideva quando domandava la strada per Pietroburgo, ella chiedeva
ai passanti quella per Kiev, cosa che riusciva ancora peggio18.
Una volta, tra altre, essendo indecisa nella scelta a un incrocio di
parecchie strade, aspettò un kibick19 che si avvicinava, e pregò i viaggiatori
di indicarle quale di quelle strade conducesse a Kiev. Essi credettero che
scherzasse:
«Prendete, – le dissero ridendo, – quella che volete; conducono tutte a
Kiev, a Parigi e a Roma.»
Prese quella di mezzo e fortunatamente era la sua. Più tardi ella non poté
dare alcun dettaglio esatto sulla strada percorsa, né sul nome dei villaggi da
cui era passata poiché le si confondevano nella memoria. Quando arrivava
in una piccola frazione, era di solito accolta bene dai padroni della prima
casa in cui chiedeva ospitalità; ma nei grossi villaggi, e quando le case
avevano un bell’aspetto, faceva quasi sempre fatica a trovare un asilo: la si
prendeva spesso per un’avventuriera di cattivi costumi, e questo sospetto
così ingiusto le diede grossi dispiaceri durante il viaggio.
Alcune verste prima di arrivare a Kamyšlov, un violento temporale la
sorprese in cammino, mentre concludeva con gran sforzo una delle più
lunghe giornate trascorse. Raddoppiò la velocità per raggiungere le prime
abitazioni, che non credeva essere molto lontane, ma un turbine di vento
spezzò un albero davanti a lei e lo spavento le fece cercare rifugio in un
bosco vicino. Si mise sotto un abete circondato da alti cespugli, per
proteggersi dalla furia del vento. La tempesta durò tutta la notte; la ragazza
la passò senza riparo in quel luogo deserto, esposta agli scrosci della
pioggia che cessò solamente verso mattina. Quando spuntò l’alba, si
trascinò fino alla strada, stremata dal freddo e dalla fame, per continuare la
propria strada. Fortunatamente un contadino che passava ebbe pietà di lei e
le offrì un posto sul suo carro. Verso le otto del mattina, arrivò in un grande
villaggio. Il contadino non vi si doveva fermare, per cui la scaricò nel mezzo
della via e continuò la strada. Praskov’ja intuì che sarebbe stata mal
ricevuta: le case avevano un bell’aspetto. Tuttavia, pressata dalla
stanchezza e dalla fame, si avvicinò a una bassa finestra vicino alla quale
una donna di quaranta o cinquant’anni mondava dei piselli, e la pregò di
riceverla. La paesana, dopo averla esaminata alcuni istanti, la respinse
duramente con disprezzo.
Scendendo dal carro che l’aveva portata, Praskov’ja era caduta nel fango,
e i suoi abiti ne erano ricoperti. Inoltre la crudele notte appena trascorsa
nella foresta e la mancanza di cibo le avevano probabilmente alterato i tratti
18 Data la gran distanza, con gli Urali ancora da valicare, la domanda aveva poco senso.
Inoltre, la direzione da Tobol’sk era verso ovest e non verso sud (Kiev). (N.d.T.)
19 Piccolo carro scoperto a quattro ruote. (N.d.T.)
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e le davano un aspetto sgradevole. La sfortunata fu respinta da tutte le case
alle quali bussò. Una donna maligna, alla porta della quale, vinta dalla
stanchezza, si era seduta, che scongiurava di riceverla, la costrinse con le
minacce ad allontanarsi, dicendole che lei non riceveva né ladri né
sgualdrine. La ragazza, vedendo di fronte una chiesa, si incamminò
tristemente.
«Almeno Dio, – si diceva, – non mi caccerà.»
Il portone era chiuso; ella si sedette sugli scalini che vi conducevano. Dei
ragazzini che l’avevano seguita, e che le si erano assembrati intorno quando
la donna la maltrattava, continuarono a insultarla e a trattarla da ladra.
Rimase circa due ore in quella situazione penosa, morendo di freddo, di
fame e pregando Dio di assisterla e di darle la forza di sopportare quella
prova.
Una donna si avvicinò per interrogarla. Praskov’ja le raccontò la terribile
notte passata nel bosco; altri contadini si fermarono per ascoltarla. Lo
starosta20 del villaggio esaminò il suo passaporto, e dichiarò che era in
regola: allora la buona donna intenerita le offrì la propria casa; ma quando
la viaggiatrice tentò di sollevarsi, le sue gambe erano talmente intorpidite
che fu necessario sostenerla. Avendo perso una scarpa, ella mostrò il piede
nudo e le gambe gonfie. Una pietà generale sostituì presto gli indegni
sospetti che l’avevano fatta maltrattare. La si pose su un carro; e gli stessi
bambini che l’avevano insultata qualche momento prima si affrettarono a
trascinarlo, e a condurlo dalla paesana che la ricevette con molta amicizia, e
dalla quale ella passò molti giorni. Durante il periodo di riposo, un contadino
caritatevole le fece un paio di stivaletti; infine, quando ebbe recuperato la
salute e le forze, si congedò dalla buona donna, e continuò il suo viaggio,
che proseguì fino all’inverno, fermandosi in differenti villaggi più o meno a
lungo, a seconda della stanchezza e dell’accoglienza che riceveva dagli
abitanti. Cercava, durante i soggiorni, di rendersi utile, scopando la casa,
lavando la biancheria o cucendo per i suoi ospiti. Non raccontava la sua
storia se non quando era già ricevuta e sistemata in casa. Aveva notato che
quando voleva farsi conoscere al primo approccio, non le credevano e la
prendevano per un’avventuriera. Difatti, gli uomini sono di solito pronti a
irrigidirsi, quando vedono che li si vuole accattivare. Bisogna toccarli senza
che si insospettiscano, così accordano più volentieri la loro pietà e la loro
stima. Praskov’ja cominciava quindi con il chiedere un poco di pane; poi
parlava della stanchezza che la prostrava per ottenere ospitalità; infine,
quando si era stabilita dai suoi ospiti, diceva il proprio nome e raccontava la
propria storia. È così che, nel suo faticoso viaggio, fece a poco a poco il
crudele apprendistato del cuore umano.
Spesso le persone che l’avevano respinta, vedendola allontanarsi
piangendo, la richiamavano e la trattavano molto bene. I mendicanti
abituati ai rifiuti, sembrano poco sensibili; ma Praskov’ja, sebbene messa
20 Starosta, dall’aggettivo staori [starik], vecchio o anziano, è in Russia ciò che sono i
sindaci in Francia, gli schullz e i bailli in Germania. (Nota dell’Autore)
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dalla sorte in una situazione deplorevole, non era stata ancora, prima del
viaggio, nella necessità di implorare la pietà; e, malgrado tutta la sua forza
d’animo e la sua rassegnazione, era dispiaciuta dai rifiuti, soprattutto
quando provenivano dalla cattiva opinione che ci si faceva di lei. Il buon
effetto che aveva prodotto, nella circostanza da cui abbiamo appena parlato,
l’esibizione del suo passaporto, la spinse in seguito a mostrarlo quando
desiderava ottenere più di un favore dai suoi ospiti: vi era qualificata come
figlia di un capitano; cosa che le fu utile in parecchie occasioni. Tuttavia ella
confessava che la sventura di essere respinta le era arrivata raramente,
mentre i trattamenti di umanità e di benevolenza ricevuti erano stati
innumerevoli:
«Si immagina, – disse in seguito, – che il mio viaggio sia stato molto
disastroso, perché ne racconto solamente le pene e gli imbarazzi nei quali
mi sono trovata, e non dico niente dei buoni alloggi che ho incontrato, e di
cui nessuno desidera sapere la storia.»
Tra le situazioni penose del suo viaggio, ce n’è una in cui la giovane
credette che la propria vita fosse minacciata, e che merita di essere
conosciuta per la sua singolarità.
Camminava una sera lungo le case di un villaggio, per cercare alloggio,
quando un contadino che le aveva appena rifiutato molto duramente
l’ospitalità la seguì e la chiamò. Era un uomo vecchio, dall’aspetto molto
brutto. Praskov’ja esitò ad accettare l’offerta, tuttavia si lasciò condurre da
lui, temendo di non trovare altro ricovero. Nell’izba c’era una vecchia, il cui
aspetto era ancora più sinistro di quello della sua guida. Quest’ultimo chiuse
accuratamente la porta e serrò gli sportelli delle finestre. Ricevendola in
casa, i due le fecero poca accoglienza: avevano un’aria così strana che
Praskov’ja provò un certo timore e si pentì di essersi fermata da loro. La
fecero sedere. L’izba era illuminata soltanto dalle fiammeggianti schegge di
abete messe in un buco della parete, che spesso venivano sostituite
essendosi consumate. Alla luce lugubre di quella fiamma, quando si
azzardava ad alzare gli occhi, vedeva quelli dei suoi ospiti fissi su di lei.
Infine, dopo alcuni minuti di silenzio:
«Da dove venite?» le chiese la vecchia.
«Vengo da Išim e vado a Pietroburgo.»
«Oh! Oh! quindi avete un sacco di soldi per intraprendere un così lungo
viaggio?»
«Non mi restano che ottanta copechi di rame,» rispose la viaggiatrice
intimidita.
«Tu menti! – gridò la vecchia; – sì, menti! Non ci si mette in strada per
andare così lontano con così poco denaro!»
La giovane aveva protestato invano che era tutto quello che aveva, ma
non veniva creduta. La donna sghignazzava con suo marito.
«Da Tobol’sk a Pietroburgo con ottanta copechi, – diceva; – sì, è davvero
probabile!»
La sfortunata giovane, oltraggiata e tremante, tratteneva le lacrime e
pregava Dio a bassa voce di soccorrerla. Le si dettero tuttavia alcune patate
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e, appena mangiate, la sua ospite le consigliò di andare a coricarsi.
Praskov’ja, che cominciava a sospettare fortemente gli ospiti di essere dei
ladri, avrebbe dato volentieri il resto dei suoi soldi per liberarsi dalle loro
mani. Si svestì in parte prima di salire sulla stufa21 dove doveva trascorrere
la notte, lasciando in basso, alla loro portata, le sue tasche e la sua borsa,
per facilitare loro il conto del denaro e risparmiarsi la vergogna di essere
perquisita.
Appena credettero che fosse addormentata, cominciarono le loro ricerche.
Praskov’ja ascoltava con ansia la loro conversazione.
«Ha ancora del denaro su di sé, – dicevano, – ha sicuramente delle
banconote22.»
«Ho visto, – aggiungeva la vecchia, – un cordone intorno al suo collo dal
quale pende una piccola borsa, è là che tiene il denaro.»
Era un borsellino di tela cerata, contenente il passaporto, che non
lasciava mai. Cominciarono a parlare più piano, e le parole che sentiva di
tanto in tanto non la rassicuravano affatto.
«Nessuno l’ha visto entrare da noi, – dicevano quei disgraziati; – nessuno
sospetta che sia nel villaggio.»
Parlavano sempre più a bassa voce. Dopo alcuni istanti di silenzio, e
quando la sua immaginazione le mostrava le peggiori disgrazie, la ragazza
vide improvvisamente vicino a sé la testa dell’orribile vecchia che si
arrampicava sulla stufa. Tutto il sangue le si gelò nelle vene. La scongiurò di
lasciarla in vita, assicurandolole di nuovo che non aveva denaro; ma
l’inesorabile visitatrice, senza risponderle, si mise a cercare nei suoi abiti e
nei suoi stivaletti, che le fece togliere. L’uomo portò la luce: si esaminò la
borsa del passaporto, le si fece aprire le mani; infine, la vecchia coppia,
vedendo che le loro ricerche erano inutili, scese e lasciò la nostra
viaggiatrice più morta che viva.
Questa scena spaventosa, e più ancora la paura di vederla rinnovarsi, la
tennero sveglia per molto tempo. Tuttavia, quando riconobbe dalla loro
respirazione rumorosa che gli ospiti si erano addormentati, si tranquillizzò a
poco a poco, la stanchezza prevalse sullo spavento e si addormentò
profondamente. Era giorno fatto quando la vecchia la svegliò. Scese dalla
stufa, e fu molto stupita di trovare la donna e suo marito con un’aria più
naturale e affabile. Voleva partire, ma la trattennero per darle da mangiare.
La vecchia fece subito i preparativi con molta più sollecitudine della vigilia.
Prese la forca e ritirò della stufa il vaso dello šči23 e le servì una buona
21 Le stufe russe sono molto grandi e i contadini, non essendoci letti in quel paese, si
coricano completamente vestiti o sulle panche messe lungo il perimetro della capanna, o
sulla stufa che è il posto più spazio e allo stesso tempo più caldo. (Nota dell’Autore) – La
stufa (pečka) ha la parte superiore piana su cui ci si può stendere. (N.d.T.)
22 Le monete d’oro e d’argento sono molto rare in Russia e ci si serve solo di monete di rame
o copechi, di cui 100 fanno un rublo di carta. Queste banconote sono biglietti da 5, 10,
25, 50 e 100 rubli, che, con ii copechi, sono le uniche marche d’uso abituale. (Nota
dell’Autore)
23 Zuppa a base di cavoli e carne salata. (Nota dell’Autore)
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porzione: durante questo tempo il marito sollevò una botola del pavimento
sotto cui era il secchio del kvas24 e ne riempì una brocca. Un poco
rassicurata dal buon trattamento, rispose con sincerità alle loro domande, e
raccontò una parte della sua storia. Sembravano prendervi interesse; e,
volendo giustificare la loro condotta precedente, la rassicurarono che non
avevano voluto sapere se avesse del denaro perché avevano sospettato
fuori luogo crederla una ladra e, come avrebbe potuto notare contando la
sua piccola somma, loro stessi erano ben lontani dall’essere dei ladri. Infine
Praskov’ja si congedò, non sapendo bene se doveva ringraziarli, ma era
molto felice di uscire da quella casa.
Quando si fu allontanata dal villaggio di alcune verste, ebbe la curiosità di
contare il proprio denaro. Il lettore sarà senza dubbio sorpreso, come lo fu
lei, scoprendo che, invece degli ottanta copechi che credeva di avere, ne
trovò centoventi: gli ospiti ne avevano aggiunto quaranta. Praskov’ja amava
ripetere questa avventura come prova evidente della protezione di Dio che
aveva improvvisamente cambiato il cuore di quelle disoneste persone.
Qualche tempo dopo, le capitò un pericolo di altra specie che la spaventò
molto. Un giorno, siccome aveva un lungo tratto da coprire, partì alle due
del mattino dalla stazione dove si era coricata. Al momento di uscire dal
villaggio, fu attaccata da una muta di cani che lo circondarono. Si mise a
correre, difendendosi col suo bastone, cosa che aumentò la loro rabbia. Uno
degli animali afferrò il bordo del suo vestito e lo lacerò. Ella si gettò a terra
raccomandandosi a Dio. Sentì anche con orrore uno dei cani più ostinati
appoggiare il suo naso freddo sul collo per fiutarla.
«Pensai, – diceva, – che colui che mi aveva salvato del temporale e dai
ladri mi avrebbe salvato anche da quel nuovo pericolo.» I cani non le fecero
alcun male; un contadino che passava li disperse.
La stagione avanzava; Praskov’ja fu trattenuta per otto giorni in un
villaggio a causa della neve che era caduta così abbondantemente che le
strade erano impraticabili ai pedoni. Quando furono sufficientemente battute
dalle slitte, si dispose coraggiosamente a continuare a piedi la sua strada;
ma i contadini presso i quali aveva alloggiato la dissuasero e gliene fecero
vedere il pericolo: quel modo di viaggiare era impossibile anche agli uomini
più robusti perché inevitabilmente perivano smarrendosi tra quei deserti
ghiacciati, quando il vento spazza la neve e fa sparire le strade.
Per sua fortuna arrivò in quel villaggio un convoglio di slitte che
portavano delle provviste a Ekaterinburg per le feste di Natale. I conducenti
le dettero un posto su una delle slitte. Tuttavia, malgrado le cure che quelle
brave persone prendevano di lei, non essendo i suoi abiti adatti alla
stagione, ella aveva gran pena a sopportare il rigore dell’inverno, avvolta in
una delle stuoie usate per coprire le merci. Il freddo diventò così violento
durante la quarta giornata che, quando il convoglio si fermò, la viaggiatrice,
intirizzita, non ebbe la forza di scendere dalla slitta. La trasportarono nella
24 Leggera birra fatta con pane di segale. (Nota dell’Autore)
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korčma25, locanda isolata a più di trenta verste da ogni abitazione, dove si
trovava la stazione di posta dei cavalli. I conducenti si accorsero che aveva
una guancia gelata e gliela strofinarono con la neve, prestandole la
massima cura; ma rifiutarono decisamente di portarla più lontano,
dimostrandole che avrebbe incontrato un grandissimo pericolo a esporsi,
viaggiando senza pelliccia a un freddo così intenso e che sarebbe aumentato
ancora. La giovane si mise a piangere amaramente, prevedendo che non
avrebbe trovato più un’occasione così favorevole e con persone così amabili.
D’altra parte, i padroni della korčma non erano affatto disposti a trattenerla
e volevano a ogni costo che partisse con coloro che l’avevano portata. In
quella posizione imbarazzante, vedendosi delusa della speranza di andare
fino a Ekaterinburg in sicurezza, si abbandonò in un angolo del locale a tutta
la veemenza del suo dolore.
I suoi conducenti furono toccati dalla situazione; si tassarono per
acquistarle una pelliccia di pecora, che nel paese costa solo cinque rubli, ma
purtroppo non se ne trovò da comprare: nessuno degli abitanti di quella
cittadina isolata volle fare il sacrificio della propria, perché era difficile
sostituirla. I contadini offrirono fino a sette rubli a una ragazza della locanda
che li rifiutò. Mentre erano perplessi, uno dei più giovani conducenti propose
improvvisamente un espediente tra i più singolari e che permise a
Praskov’ja di approfittare della loro buona volontà.
«Le presteremo, – disse, – uno dopo l’altro le nostre pellicce, oppure lei
prenderà la mia una volta per tutte, e noi ci cambieremo a ogni versta.»
Acconsentirono tutti con piacere. Si fece subito il calcolo della distanza e
del numero di volte che le pellicce dovevano essere cambiate. I contadini
russi vogliono sapere il loro conto e si lasciano ingannare difficilmente. La
viaggiatrice fu posta su una slitta, ben avvolta nella pelliccia. Il giovane che
gliela aveva ceduta si coprì con la stuoia che le era servita fino ad allora, e,
sedendosi ai suoi piedi, si mise a cantare a squarciagola e aprì la marcia. Lo
scambio di pellicce si effettuò esattamente a ogni palo di versta, e il
convoglio giunse con molta fortuna e rapidità a Ekaterinburg.
Durante tutto il percorso, Praskov’ja non cessò mai di pregare perché la
salute dei conducenti non soffrisse per la loro buona azione.
Arrivando a Ekaterinburg, Praskov’ja fu ospitata nella stessa locanda dei
conducenti. L’ostessa, apprendendo da questi ultimi una parte delle
avventure della ragazza e giudicando, secondo il racconto, che era senza
denaro, le fece subito l’elenco delle persone che in città passavano per
essere le più generose, e le consigliò di rivolgersi a esse per ottenere la loro
protezione e i soccorsi necessari per il lungo viaggio che doveva fare. Ella
lodò molto, tra le altre, la signora Milin26, dal carattere molto cortese, che
faceva tanto bene ai poveri, e la cui bontà era conosciuta in tutta la città.
25 La korčma è un gran capannone coperto dove si fermano i viaggiatori, come il
caravanserraglio in Oriente e la venta in Spagna; eccetto il tetto, non vi si trova altro.
(Nota dell’Autore) – Sull’originale è «kharstma». Il termine russo significa taverna,
osteria. Un’altra spiegazione è data alla nota 27. (N.d.T.)
26 Tat’jana Dmitrievna Metlina. (N.d.T.)
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Gli avventori della locanda confermarono la verità del ritratto. Quand’anche
la viaggiatrice non avesse compreso l’intenzione dell’ostessa, sarebbe stata
costretta a cercare un altro alloggio. La locanda era ciò che si chiama in
russo postojalyj dvor (locanda)27. Esse sono formate abitualmente da un
vasto capannone per i cavalli riparato solamente dal tetto; a un angolo è
una serra calda che ne occupa la quarta parte. I viaggiatori si arrangiano
come possono in quell’unico locale il cui il pavimento serve da letto a quelli
che non trovano posto sulla stufa. L’indomani, Praskov’ja uscì assai di
buon’ora, con l’intenzione di andare dalla signora Milin, ma, seguendo la sua
abitudine, cominciò con l’andare in chiesa, dove c’era più gente di quanta ne
avesse mai vista insieme. Era domenica. Il fervore che mise nelle preghiere
la fece notare tanto quanto la borsa e l’abito che portava, e che indicava
una viaggiatrice straniera. Uscendo di chiesa, una signora le chiese chi
fosse. Praskov’ja soddisfece la richiesta con poche parole, e, disponendosi
presto a lasciarla, le espresse l’intenzione di andare a chiedere ospitalità alla
signora Milin di cui tutti le avevano lodato la beneficenza e l’umanità. Ella
parlava proprio alla signora Milin che così sentiva il suo elogio in un modo
che non poteva essere sospettato di piaggeria. La buona signora, prima di
farsi riconoscere alla viaggiatrice, volle divertirsi un po’ del suo imbarazzo.
«Questa signora Milin, – le disse, – che vi si vanta tanto, non è tanto
buona come immaginate. Se volete credermi venite con me, vi procurerò un
alloggio migliore.»
In considerazione di tutto il bene che le era stato detto della signora Milin
alla locanda, Praskov’ja ebbe una cattiva impressione della nuova
conoscenza: la seguì senza osare rifiutare e senza accettare la sua
proposta.
«Del resto, – aggiunse la signora Milin, vedendo che rallentava il passo, –
se tenete tanto a incontrare quella signora, ha la sua casa a due passi da
qui: entriamo da lei, vedrete come sarete ricevuta, ma promettetemi che,
se non vi si trattiene, verrete con me.»
Praskov’ja, senza rispondere, entrò nella casa e, rivolgendosi alle
domestiche della signora Milin, chiese loro se la padrona era in casa. Le
donne, stupite da quella domanda rivolta in presenza della loro padrona,
non risposero nulla.
«Posso vedere la signora Milin?» ripeté la viaggiatrice.
«Ma, – dice infine una delle donne, – eccola!»
Praskov’ja, girandosi, vide la signora Milin che apriva le braccia per
riceverla.
«Oh! sapevo bene che la signora Milin non poteva essere una cattiva
donna,» – le disse la ragazza baciandole le mani.
Questa piccola scena fece grandissimo piacere alla sua benefattrice.
27 Postojalyj dvor è la denominazione che prendono gli alberghi nei luoghi abitati, mentre si
chiamano più modestamente korčma quando sono isolati lungo le grandi strade. (Nota
dell’Autore) – Sull’originale è «postoaïleroï dvor (casa di riposo)» e «kharstma» (cfr. nota
25). (N.d.T.)
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Mandò a cercare la sua amica, la signora G***28, tanto buona e
caritatevole quanto lei, per raccomandarle la giovane viaggiatrice, e per
studiare insieme i mezzi più utili. Dopo colazione e quando Praskov’ja si fu
familiarizzata un poco con le sue nuove protettrici, raccontò
dettagliatamente la sventurata storia dei genitori e non nascose loro il
progetto straordinario che aveva formato di andare a San Pietroburgo per
chiedere la grazia per suo padre.
La signora Milin, senza troppo credere al successo dell’impresa, non la
contraddisse; ma le due signore risolsero di trattenerla fino a primavera. Il
freddo era diventato eccessivo e anche la viaggiatrice vedeva l’impossibilità
di continuare la propria strada durante il rigore della stagione. Le signore
che volevano ospitarla non le parlarono ancora di ciò che avevano il potere
di fare, e di ciò che difatti fecero più tardi per aiutarla nella sua impresa.
Praskov’ja era molto felice da loro. Le carezze e la nobile familiarità di
quelle persone distinte avevano un fascino tutto nuovo per lei; perciò il
ricordo del tempo fortunato che passò nella loro società non uscì dal suo
ricordo. Quando in seguito raccontava questa parte della sua storia, il nome
amato della signora Milin portava sempre nei suoi occhi delle lacrime di
riconoscenza.
Tuttavia la sua salute era molto scossa: la notte disastrosa che aveva
trascorso nella foresta le aveva lasciato un raffreddore violento che i grandi
freddi avevano solo peggiorato. Approfittò del soggiorno a Ekaterinburg per
curarsi e, soprattutto, per imparare a leggere e a scrivere. Tale circostanza
della sua vita, cioè di avere trascurato fino a quel punto l’educazione
dell’unica figlia, darebbe una pessima idea dei suoi genitori se il pensiero di
un esilio eterno non avesse fatto ritenere inutile o pericolosa ogni istruzione
per la figlia, destinata in apparenza a vivere nelle ultime classi della società.
La profonda ignoranza e l’abbandono totale, nei quali era vissuta fino ad
allora, rendono ancora più straordinario lo sviluppo generoso del suo animo.
In ogni caso, Praskov’ja, occupata in Siberia nei lavori domestici, aveva
dimenticato completamente quel poco di lettura che aveva appreso nella
sua prima infanzia. Si mise a studiare con tutto l’ardore e la forza del suo
carattere, e dopo pochi mesi fu in grado di comprendere un libro di
preghiere che le avevano dato le sue protettrici: si era anzi spesso obbligati
a strapparla da quell’occupazione. Il piacere che provava, trovando nelle
preghiere i sentimenti naturali del suo cuore, sviluppati ed espressi di un
modo chiaro e commovente, le faceva desiderare vivamente l’istruzione.
«Quanto sono felici le persone del mondo! – diceva; – quanto devono
pregare Dio di buon cuore, essendo così ben istruiti dalla loro religione, con
tanti mezzi per esprimere la loro devozione e tanti modi di riconoscenza
verso la Provvidenza per i favori di cui le ha colmate!»
La signora Milin sorrideva alle riflessioni della ragazza; ma pensava che
nulla dovesse essere impossibile a una pietà così vera, a preghiere così
ardenti. Questo pensiero persuase, più di ogni altra cosa, le due caritatevoli
28 Agaf’ja Fëdorovna Gorbunova. (N.d.T.)
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signore che bisognava favorirla nei suoi progetti e abbandonarla alla
Provvidenza, che sembrava proteggerla così visibilmente. Fino ad allora, la
signora Milin e la sua amica non avevano trascurato nulla per dissuaderla e
le avevano fatto le offerte più cortesi e vantaggiose per trattenerla, ma
niente l’aveva potuto smuovere. Praskov’ja si rimproverava persino il
benessere e la felicità di cui godeva a Ekaterinburg:
«Che cosa fa adesso mio padre, tutto solo nel deserto, mentre sua figlia è
dimentica qui in mezzo a tutte le dolcezze della vita?»
Tale era la domanda che non smetteva di rivolgersi. Le signore si decisero
quindi a fornirle i mezzi per continuare il viaggio. Al ritorno della primavera,
la signora Milin, dopo avere provveduto a tutto quanto potesse necessitare,
fissò per lei un posto su una barca da trasporto; la mise sotto la guardia di
un uomo che si recava a Nižnij per affari di commercio ed era abituato a
quel difficile viaggio.
Prima di passare i monti Urali, che separano Ekaterinburg da Nižnij, ci si
imbarca sui fiumi che nascono da quelle montagne e si dirigono verso nord.
Si viaggia via acqua fino al Tobol, che viene poi lasciato per avvicinarsi alle
montagne.
Il passaggio non è né molto alto né molto difficile. Quando lo si è
superato, ci si imbarca di nuovo sulle acque che scendono nel Volga.
Praskov’ja, non avendo i mezzi per procurarsi una carrozza e di fermarsi
nelle stazioni di posta, approfittò di una delle numerose imbarcazioni che
portano in Russia il ferro e il sale lungo la Čusovaja e la Kama.
Il suo conducente le risparmiò tutti gli inconvenienti del lungo viaggio,
che non avrebbe potuto fare da sola senza correre grandi pericoli; ma la
sfortuna volle che l’uomo cadesse ammalato attraversando i valichi, e fosse
costretto a fermarsi in un piccolo villaggio sulle rive della Kama: ella fu
dunque ancora abbandonata a se stessa e privata di ogni appoggio. Fece
felicemente il tragitto fino alla foce della Kama nel Volga. Da quel punto, la
barca, risalendo il fiume, era tirata dai cavalli. La viaggiatrice subì in
quell’ultimo tragitto un incidente che le fece correre i più grandi pericoli.
Durante uno di quei violenti temporali che sono molto frequenti in quelle
contrade, i battellieri, volendo allontanare la barca dalla riva, spinsero con
forza un grosso remo, che serviva da timone, dal lato dove parecchie
persone si erano sedute sul bordo della barca, e non ebbero più il tempo di
ritirarlo: tre passeggeri, tra cui Praskov’ja, furono rovesciati nel fiume. Li si
tirò su subito, e la ragazza non rimase ferita; ma la vergogna che provava
di cambiare i vestiti davanti a tutti fece sì che se li lasciò asciugare addosso:
un violento raffreddore fu la conseguenza di quell’incidente che ebbe
un’infelice influenza sulla sua salute.
Le signore di Ekaterinburg, che avevano incaricato il conducente di fare le
sistemazioni necessarie per la continuazione del suo viaggio dopo Nižnij,
non l’avevano raccomandata a nessuno in quella città, dove Praskov’ja non
aveva intenzione di fermarsi: si trovò dunque, all’arrivo, senza conoscenze e
senza protezione. I battellieri la depositarono sulla riva del fiume con il
piccolo bagaglio che era diventato più voluminoso grazie alle cure della
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signora Milin.
Di fronte al ponte dove si sbarca abitualmente sulla riva del Volga, si
trovano una chiesa e un convento di religiose situate su una collina. Lei vi si
indirizzò per recitare le consuete preghiere, proponendosi di andare poi a
cercarsi un alloggio in qualche parte della città.
Entrando in chiesa, che le parve deserta, sentì, attraverso una grata, i
canti delle religiose che finivano le preghiere del vespro, e considerò quella
circostanza come di buon augurio.
«Un giorno, – si diceva, – anche Dio favorirà i miei voti; sarò parimenti
coperta da un velo, non avendo più altra occupazione che quella di
ringraziare la Provvidenza delle sue grazie.»
Quando uscì di chiesa, il sole tramontava: si fermò qualche tempo sotto il
portone, colpita dalla bella vista che le si presentava davanti. La città di
Nižnij Novgorod, situata alla confluenza di due grandi fiumi, l’Oka e il Volga,
offre, dal punto in cui ella si trovava, uno dei più bei panorami che si possa
contemplare: la sua estensione le sembrava immensa e le ispirava un po’ di
timore.
Partendo da Išim, Praskov’ja aveva immaginato soltanto i pericoli fisici
che poteva correre: si era preparata in anticipo a sfidare la fame e i freddi
più rigorosi, la morte stessa; ma da quando cominciò a conoscere la società
intravide degli ostacoli di altro genere contro i quali tutto il suo coraggio non
poteva sostenerla. Dopo essere sfuggita al deserto, intuiva la terribile
solitudine delle grandi città, dove il povero è solo in mezzo alla folla, e dove,
come per un orribile incanto, non ha intorno a sé che occhi che non
guardano e orecchie sorde ai suoi lamenti.
Dal momento in cui aveva conosciuto le signore di Ekaterinburg, un
nuovo sentimento di decoro, e forse un po’ di orgoglio, le rendevano più
penosi i passi cui l’obbligavano la situazione.
«Ahimè! – mormorava, – dove troverò delle amiche come quelle che ho
lasciato? Eccomi adesso a più di mille verste da loro. Come sarò, una volta
arrivata a Pietroburgo, quando mi avvicinerò al palazzo imperiale, io che
tremo a presentarmi qui in una miserabile locanda?»
Quelle riflessioni si aprirono con tanta forza nella sua mente che, per la
prima volta, un profondo sconforto si impossessò di lei e la fece piangere. Il
ricordo del padre, che aveva abbandonato, forse inutilmente, la riempì di
rimorsi e di terrore. Ma presto si rimproverò la propria debolezza e la
mancanza di fiducia in Dio; ne chiese perdono al suo angelo custode:
«E fu egli, senza dubbio, – diceva parlando di quella circostanza della sua
vita – che mi ispirò il pensiero di rientrare in chiesa per chiedere a Dio il
coraggio che avevo perduto.»
Rientrò, difatti, precipitosamente per implorare il soccorso del cielo. Una
religiosa si trovava in quel momento vicino al portone per chiuderlo: colpita
del movimento improvviso della giovane straniera, che non la vide, così
come dal fervore che metteva nelle preghiere, le si avvicinò per interrogarla
e avvertirla che era l’ora di chiusura della chiesa. Praskov’ja, un poco
sconcertata, le raccontò in modo semplice la causa del suo brusco rientro
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nel tempio, le espresse la ripugnanza che aveva di andare a cercare asilo in
una locanda, e finì supplicandola di accordargliene uno nel convento, anche
nei chiostri. La portinaia le rispose che non si ospitavano stranieri nel
convento, ma che la badessa avrebbe potuto darle un aiuto.
«Non chiedo altro che un asilo per la notte, – replicò Praskov’ja
mostrando una borsa con alcune monete. – Delle signore caritatevoli mi
hanno dato delle elemosine per qualche tempo, e io chiedo soltanto la
protezione del convento per la notte. Domani continuerò la mia strada.»
La religiosa acconsentì a condurla dalla badessa. La rispettabile superiora
era in preghiera quando entrarono nella sua camera: la portinaia si fermò
vicino alla porta e si mise in ginocchio; Praskov’ja l’imitò e pregò Dio di
renderle la badessa favorevole. Quando questa ebbe finito la sua orazione,
si avvicinò alla ragazza rimasta in ginocchio, e la rialzò gentilmente.
Praskov’ja le disse il suo nome e lo scopo del viaggio; mostrò il suo
passaporto e chiese ospitalità per la notte, che le fu accordata. Ben presto,
circondata da parecchie religiose mosse dalla curiosità nell’alloggio della
badessa, rispose alle molte domande che le furono rivolte, e raccontò le
penose avventure del suo viaggio con semplicità e eloquenza così naturali
che fece piangere le donne che l’ascoltavano e ispirò loro il più vivo
interesse. La si colmò di carezze e di attenzioni; la badessa l’ospitò nel
proprio alloggio e formulò anche il progetto di trattenerla al convento e di
contarla tra le sue novizie.
Praskov’ja si era proposta da molto tempo di prendere il velo se la sua
impresa fosse riuscita. Si è visto precedentemente che, fino al suo arrivo a
Ekaterinburg, aveva creduto che la città di Kiev fosse sulla strada per
Pietroburgo. Era in questa città che si era ripromessa di prendere i voti in
seguito; sperava di vedere, passando, le famose grotte, onorare le reliquie
dei santi che rinchiudono29 e fermarsi in futuro in uno dei monasteri di
quella città.
Avendo riconosciuto il proprio errore, non ebbe alcuna difficoltà a
scegliere il monastero di Nižnij per il proprio ritiro, cosa che promise
soltanto alla superiora, ma, appena le si propose di formalizzare il voto,
rifiutò.
«So io – ella rispose, – che cosa Dio vuole di me? Voglio, desidero
sinceramente finire qui i miei giorni; e se tale è la volontà della Provvidenza,
chi potrà opporvisi?»
Ella acconsentì a rimanere Nižnij qualche giorno per riposarsi e per
cercare i mezzi per andare a Mosca, ma presto risentì delle fatiche e cadde
gravemente ammalata. Dalla caduta nel Volga, aveva una tosse profonda
29 Le grotte di Kiev sono delle vaste gallerie sotterranee, adiacenti alla cattedrale, usate dai
religiosi di un antico e ricco monastero. In questi sotterranei si conserva un’immensa
quantità di santi greci, i cui corpi intatti, esposti alla venerazione dei fedeli, sono coperti di
ricche vesti che lasciano vedere i volti, le mani e i piedi. Le carni rinsecchite hanno grosso
modo il colore e la durezza del legno di mogano. (Nota dell’Autore) – Il monastero di Kiev
si chiama per l’appunto monastero delle Grotte, o in russo Pečerska Lavra, e risale all’XI
secolo (N.d.T.)
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che l’infastidiva molto e una febbre ardente non tardò a dichiararsi;
tuttavia, sebbene i medici stessi disperassero della sua vita, non ebbe mai
alcuna inquietudine.
«Non credo, – diceva – che la mia ora sia ancora giunta e spero che Dio
mi permetterà di finire la mia impresa.»
Si rimise difatti, sebbene molto lentamente, e passò il resto della bella
stagione al monastero. Nello stato di debolezza in cui era ancora, non
poteva continuare a piedi il viaggio, meno ancora sui carri di posta: non
avendo alcun mezzo per procurarsi una comoda carrozza, si vide dunque
obbligata ad aspettare il trainaggio30 per avere la possibilità di andare a
Pietroburgo, senza provare la stanchezza delle carrozze ordinarie. Ella seguì
durante quel tempo gli uffici e la regola del convento, con un’assiduità che
ritardò forse la sua guarigione, e si perfezionò negli studi. Tale condotta finì
per guadagnare la stima della badessa e delle religiose che nutrirono per lei
il più sincero affetto, e non dubitarono che un giorno non avrebbe
adempiuto alla sua promessa di ritornare a prendere il velo nel loro
mpnastero.
Infine, quando le strade d’inverno furono praticabili, partì per Mosca, in
slitta coperta, con viaggiatori che facevano la sua stessa strada. La badessa,
non avendo potuto farle abbandonare l’impresa, le diede una lettera di
raccomandazione per una delle sue amiche, la signorina S***31 di Mosca, e
le assicurò che nel monastero avrebbe sempre trovato un rifugio sicuro e
un’affettuosa accoglienza filiale, qualunque fine avesse il suo viaggio.
Praskov’ja arrivò a Mosca senza imbarazzi e senza incidenti. La signorina
S*** ebbe per lei molti riguardi e cure, e la trattenne alcuni giorni per
cercarle un compagno di viaggio fino a Pietroburgo.
Partì con un mercante che viaggiava con propri cavalli, e che rimase in
cammino venti giorni. Oltre alle lettere di raccomandazione che le erano
state rimesse dalle signore di Ekaterinburg, ne ricevette una dalla signorina
S*** per la principessa T***32, persona rispettabile e molto anziana. Tali
erano le sue risorse quando arrivò nella capitale, verso la metà di febbraio,
circa diciotto mesi dopo la sua partenza dalla Siberia, con lo stesso coraggio
e la stessa speranza che aveva il primo giorno del viaggio.
Fu ospitata dal suo conducente sul canale Ekaterinskij33 e per qualche
tempo si sentì come persa in quella grande città prima di capire ciò che
doveva intraprendere, e come consegnare le lettere di raccomandazione: ciò
le fece perdere tempo prezioso.
Il mercante, occupato nel proprio commercio, non si occupava di lei,
tuttavia si era incaricato di trovare la casa della principessa T***, ma prima
di aver compiuto la sua promessa fu obbligato a partire per Riga, lasciando
Praskov’ja sotto la tutela della moglie che la trattava molto bene, perciò egli
30 Si chiama così l’epoca in cui i percorsi cominciano a essere praticabili per le slitte. (Nota
dell’Autore) – Non l’epoca, ma il trascinamento di una slitta. (N.d.T.)
31 Strekalova. (N.d.T.)
32 Dar’ja Aleksandrovna Trubeckaja. (N.d.T.)
33 Ora chiamato canale Griboedova. (N.d.T.)
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non fu di alcun aiuto per i suoi progetti.
La lettera della signora G*** era indirizzata a una persona che alloggiava
sull’altra sponda della Neva. Siccome l’indirizzo era molto preciso,
Praskov’ja, alcuni giorni dopo la partenza del mercante, si mise in cammino
con la sua ospite per la Vasil’evskij ostrov34. Ma la Neva era in movimento, il
disgelo dei ghiacci si avvicinava e la polizia non permetteva più il passaggio.
Ritornò dunque all’abitazione, dispiaciuta del contrattempo. Nell’indecisione
in cui si era, uno dei frequentatori abituali della casa del mercante le
consigliò, molto male, di scrivere una supplica al senato per ottenere la
revisione del processo di suo padre e si offrì di trovare uno scrivano per
redigerla. Il successo di quella che aveva inviato al governatore di Tobol’sk
la decise. Le si fece scrivere una supplica concepita malissimo, non avendo
la forma richiesta, e senza darle la minima nozione su come dovesse essere
presentata. Quel progetto non le permise di presentare le lettere di
raccomandazione che avrebbero avuto maggiore utilità.
Munita della sua supplica, la nostra interessante sollecitatrice si recò una
mattina al senato, salì lo scalone ed entrò fino a una delle cancellerie, ma si
trovò molto intimidita fra tanta gente, non sapendo a chi rivolgersi. I
segretari cui si avvicinava con la supplica, le gettavano un’occhiata e si
rimettevano freddamente a scrivere; altre persone che l’incontravano nel
locale, al posto di ascoltarla o di ricevere la supplica, scantonavano come
fosse un mobile o una colonna che sbarra la strada. Infine uno degli invalidi,
guardie della cancelleria, che attraversava velocemente la sala, avendola
reincontrata, si accostò alla destra per passare, mentre Praskov’ja faceva
altrettanto dallo stesso lato per fargli spazio, cosicché si urtarono
rudemente. La vecchia guardia, di malumore, le chiese cosa volesse. La
ragazza gli presentò la supplica, pregandolo di darla al senato. Quell’uomo,
credendola una mendicante, per tutta risposta la prese per il braccio e la
mise alla porta. Non osò ritornare più e rimase il resto della mattinata sullo
scalone, con l’intenzione di presentare la supplica al primo senatore che
avesse incontrato. Vide parecchie persone scendere dalla carrozza e salire lo
scalone che avevano delle stelle sul petto: avevano tutti una spada, gli
stivali e l’uniforme; alcuni avevano le spalline. Pensò che fossero ufficiali e
generali e continuò ad aspettare di vedere arrivare un senatore che,
secondo l’idea che si era formata, doveva avere qualcosa di riconoscibile e
non dette la supplica ad alcuno. Infine, verso le tre dopo mezzogiorno
uscirono tutti, e Praskov’ja, vedendosi sola, si ritirò per ultima, molto
stupita di aver visto tanta gente al senato senza incontrare un senatore. Al
suo ritorno riferì la propria osservazione alla mercante che fece fatica a farle
capire che un senatore era tale e quale a un altro uomo, e che quelli che
aveva visto erano proprio i senatori ai quali avrebbe dovuto rimettere la
supplica.
L’indomani, all’ora del ritorno del senato, si trovò sulla scala, e presentò il
34 Isola di Basilio, quartiere situato sulla riva destra del Neva. (Nota dell’Autore) – O isola
Vasil’evskij. (N.d.T.)
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suo scritto a tutti i passanti per non mancare i senatori, sulla natura dai
quali le restavano ancora alcuni dubbi, ma nessuno volle riceverla. Vide
arrivare infine un grosso signore con un cordone rosso, un’uniforme rossa,
una stella da ogni lato del petto, e la spada a lato.
«Questa volta, – disse tra sé, – è un senatore, o non ce n’è al mondo!»
Si avvicinò a lui e gli presentò la sua carta, supplicandolo di voler
cortesemente darle corso: siccome ella sbarrava la strada, un lacchè del
senatore la scostò dolcemente dal passaggio; e il suo padrone, credendo
che chiedesse l’elemosina, le disse:
«Dio vi benedica!» e salì per lo scalone.
Praskov’ja tornò per più di quindici giorni al senato senza ottenere
successo. Spesso, stanca di restare in piedi sulla scala gelida e umida, si
accovacciava su uno dei gradini per riscaldarsi i piedi freddi, cercando nei
volti dei passanti e degli impiegati qualche segno di compassione e di
benevolenza, che avrebbe trovato certamente se avessero conosciuto la sua
situazione.
Tale è la costituzione della società nelle grandi città: miseria e opulenza,
felicità e sventura si incrociano senza tregua e si incontrano senza vedersi;
sono due mondi separati che non hanno alcuna analogia, ma tra i quali un
piccolo numero di anime compassionevoli, segnate dalla Provvidenza,
stabiliscono dei rari punti di contatto.
Un giorno, tuttavia, uno degli impiegati che forse l’aveva notata in
precedenza, le si fermò vicino, prese la supplica ed estrasse della sua tasca
un pacco di carte. L’infelice conobbe un istante di speranza; ma il pacco era
un insieme di banconote fra le quali ne prese una da cinque rubli, la mise
nella supplica, e, rendendo il tutto alla supplicatrice, rientrò nelle sue stanze
sparendo. Praskov’ja, del tutto sconcertata, strinse la banconota e si ritirò.
«Sono sicura, – diceva un giorno alla sua ospite – che se un fratello della
signora Milin si fosse trovato tra i senatori, avrebbe preso la mia supplica
senza conoscermi.»
Le feste di Pasqua, durante le quali il senato non si riunisce, le diedero un
po’ di riposo: ne approfittò per fare le sue devozioni. Dedicandosi a quel pio
esercizio, rinnovò le preghiere per il successo dell’impresa; e tale era la
sincerità della sua fede che dopo la comunione ritornò persuasa che
avrebbero preso la supplica la prima volta che si fosse presentata al senato;
ciò che non esitò di annunciare alla mercante come cosa certa. Quest’ultima
era ben lontana dal condividere la sua speranza e le consigliò di
abbandonare quella strada: tuttavia, siccome il giorno del rientro del senato
aveva degli affari al lungofiume degli Inglesi35, vedendo Praskov’ja
incamminarsi a piedi, le offrì di condurla in drožki36.
«Non so, – le diceva per strada, – come non siate scoraggiate da tanti
passi inutili! Al vostro posto, lascerei là il senato e i senatori che non
35 Lungoneva Angliskaja. (N.d.T.)
36 Bassa carrozza su quattro ruote, con la funzione dei nostri cabriolet. (Nota dell’Autore) –
Sull’originale è droschky. (N.d.T.)
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faranno mai niente per voi; è come se, – aggiunse mostrandole la statua di
Pietro il Grande che si trovava lì vicino, – è come se offriste la vostra
supplica a quella statua: non ne otterrete niente di più.
«Spero, – rispose Praskov’ja, – che la fede mi salverà. Oggi farò il mio
ultimo tentativo al senato, e là prenderanno sicuramente la supplica: Dio è
onnipotente, sì, – aggiunse scendendo dal drožki, – Dio è onnipotente, e
può, se tale è la sua volontà, costringere quell’uomo di ferro ad abbassarsi
per prendere la mia supplica.»
A tali parole, la mercante scoppiò a ridere e Praskov’ja, ripreso
l’entusiasmo, rise anche lei, ma aveva espresso semplicemente il suo
pensiero.
Mentre guardava la statua, la moglie le fece notare che il ponte della
Neva, che era nelle vicinanze, era stato riaperto; delle carrozze senza
numero andavano e tornavano dalla Vasil’evskij ostrov.
«Avete qui la lettera di raccomandazione per la signora L***? – le chiese;
– non ho fretta, e posso condurvi alla sua porta.»
Era presto ancora, e Praskov’ja acconsentì. Passarono il ponte: il fiume,
che quindici giorni prima non era che una pianura di ghiacci mobili e ora era
libero e coperto di vascelli e di imbarcazioni di ogni specie; la sorprese
piacevolmente. Tutto era in movimento intorno a lei; il tempo era splendido;
sentiva raddoppiare il proprio coraggio, congetturando positivamente sulla
visita che stava per fare.
«Mi sembra, – disse abbracciando la conducente – che Dio sia con me e
non mi abbandonerà.»
Trovò la signora L*** già avvisata del suo arrivo da una lettera da
Ekaterinburg, e ricevette dei leggeri rimproveri quando disse che era da
molto tempo a Pietroburgo. Il ricevimento affettuoso e cordiale che provava
le ricordò vivamente la casa e la compagnia della signora Milin. Quando la
conoscenza fu fatta e la familiarità stabilita, Praskov’ja sviluppò il piano che
aveva formulato per ottenere il rilascio del padre e raccontò i passi
infruttuosi che aveva già fatto al senato. La signora L*** esaminò la
supplica e trovò che non era redatta nelle forme giuste.
«Nessuno meglio di me – le disse, – avrebbe potuto aiutarvi in questo
affare: uno dei miei parenti stretti ha un impiego piuttosto importante al
senato; ma vi confesserò che lo farei per una vecchia conoscenza o
un’amica in quanto non ci parliamo da tempo. Tuttavia l’occasione è troppo
bella, e il motivo della discordia di troppo poca importanza, perché esiti a
fare i primi passi; del resto siamo in tempo di Pasqua e sarò lieta se sarete
la causa della nostra riconciliazione.»
Mantenne la giovane a cenare; parecchi commensali arrivarono poco a
poco, e le manifestarono il più vivo interesse. Nel momento in cui si andava
a tavola, il genitore di colui del quale si è detto si presentò improvvisamente
in sala da pranzo, dicendo «Christos voskres» seguendo l’uso in tempo di
Pasqua37. Non ci fu altra spiegazione che gli abbracci più sinceri. La signora
37 È consuetudine in Russia di abbracciare amici e conoscenti la prima volta che li si incontra
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L***, approfittando della buona disposizione di quel genitore, gli presentò la
giovane siberiana. Ci si intrattenne sulla sua questione durante la cena, e
tutti convennero che chi le aveva consigliato di rivolgersi al senato le aveva
indicato una cattiva via. La revisione del processo di suo padre, seguendo
tutte le forme della giustizia, sarebbe potuta durare molto tempo: si
pensava che sarebbe stato molto più vantaggioso rivolgersi direttamente
alla bontà dell’imperatore, e si promise di cercare tempi e mezzi. Infine,
tutti i commensali l’avvertirono di non esporsi più alle avventure del senato,
il cui racconto aveva divertito molto quella gente. Verso sera, la signora
L*** la fece ricondurre dal mercante dal suo domestico.
Ritornando dal suo ospite, Praskov’ja stupiva di come la Provvidenza
l’avesse condotta dalla signora L*** al momento della riconciliazione dei
due parenti, e glieli aveva resi favorevoli; e quando passò davanti al senato,
si ricordò la preghiera che aveva fatto a Dio di non più ritornarvi che una
volta.
«La sua bontà, – pensò, – ha fatto più di quanto non gli avessi chiesto:
perché non sarò più obbligata a ritornarvi; e quell’uomo di ferro mi ha fatto
anche un favore per grazia di Dio, – disse guardando la statua di Pietro il
Grande: – senza di lui non avrei forse visto che il ponte era riaperto; non
avrei fatto la conoscenza di quei buoni amici che mi hanno promesso il loro
soccorso, e con la protezione dai quali spero di ottenere la libertà di mio
padre.»
Tali erano le riflessioni di Praskov’ja, la cui fede vivissima dirigeva e
sosteneva tutti i passi. Tuttavia, malgrado tutto l’interesse che avevano per
lei i suoi amici della Vasil’evskij ostrov, la sua felicità doveva avere un’altra
sorgente.
L’ospite di Praskov’ja, rientrato da alcuni giorni da Riga, era stato
sorpreso di trovarla ancora da lui, e si era messo in moto per trovare la casa
del principessa T*** per la quale la ragazza aveva una lettera di
raccomandazione; la signora, anch’ella avvisata dell’imminente arrivo della
giovane viaggiatrice, l’aspettava. Il mercante la vide e ricevette l’ordine di
portarle Praskov’ja. Questa lasciò la casa che aveva abitato per due mesi, e
soprattutto la sua buona ospite, con molto dispiacere; ma la protezione di
una grande signora favoriva talmente le sue speranze che tale forte
interesse prevalse presto sulla tristezza.
Quando arrivò dalla principessa col suo conducente, il portiere le aprì la
porta. Praskov’ja, vedendolo tutto gallonato, credette ancora che fosse un
senatore che usciva dalla casa e gli fece la riverenza:
«È il portiere della principessa,», le disse a voce bassa il mercante.
Arrivata all’altezza della scala, il portiere diede due scampanellate di cui
ella non comprese bene la ragione; ma siccome aveva visto talvolta dei
campanelli alla porta delle botteghe, pensò che fosse una precauzione
contro i ladri. Entrando nel salone, fu intimidita dall’aria cerimoniosa e dal
nella settimana di Pasqua: il più zelante dice abbracciando: Christos voskres (Cristo è
risorto); l’altro risponde Voistinu voskres (in verità, è risorto). (Nota dell’Autore)
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silenzio che vi regnavano: mai aveva visto un appartamento così
agghindato, e soprattutto così illuminato. La gente era numerosa e disposta
in gruppi: i giovani giocavano intorno a un tavolo in un angolo della stanza,
e tutti gli sguardi erano fissi su di lei. L’anziana principessa era a una partita
di Boston38 con tre altre persone; appena vide la ragazza, le ordinò di
avvicinarsi.
«Buongiorno, bambina mia, – le disse. – Avete una lettera per me?»
Purtroppo Praskov’ja aveva dimenticato di prepararla, fu obbligata a tirar
fuori un borsellino dal seno ed estrarne faticosamente la lettera. I giovani
presenti sussurravano e ridevano sommessamente. La principessa prese la
lettera e la lesse con attenzione. Nel frattempo, uno dei partner che aveva
organizzato il gioco e che la visita l’annoiava molto, tamburellava
nervosamente le dita sul tavolo guardando la nuova arrivata venuta a
turbare il suo piacere, e in lui ella credette di riconoscere il grosso signore
che aveva rifiutato la sua supplica al senato. Quando vide la principessa
ripiegare la lettera, egli disse a voce alta:
«Boston!»
Praskov’ja, già sconcertata, vedendo che la guardava fissamente,
credette che le rivolgesse la parola e rispose:
«Che cosa vi piace, signore?» cosa che fece ridere tutti.
La principessa le disse che era affascinata di conoscere la sua buona
condotta e il suo amore per i genitori: promise di esserle utile; e, dopo
avere detto alcune parole in francese a una signora della casa, la congedò
con un cenno di testa.
Durante i primi giorni che passò dalla nuova protettrice39, Praskov’ja si
trovò molto isolata e molto imbarazzata; avrebbe preferito essere trattenuta
dagli amici della Vasil’evskij ostrov, o anche dal mercante, Tuttavia, dopo
alcuni giorni, si sentì più a suo agio e fece conoscenza con le persone che
abitavano la casa. I domestici erano cortesi tanto quanto la loro padrona era
buona e generosa. Mangiava al tavolo della principessa che l’età avanzata e
le infermità impedivano spesso di comparire, e non aveva mai l’opportunità
di parlarle in privato. Presto le persone della società si abituarono alla sua
presenza e non si occuparono più di lei. La giovane straniera aveva fatto
parlare spesso alla principessa dello scopo del suo viaggio e delle sue
speranze; ma sia che questa signora ne guardasse il successo come
impossibile sia che le persone che si erano incaricate di parlare lo avessero
trascurato, le sue preghiere non avevano alcun risultato, e tutte le sue
speranze erano fondate unicamente sulla protezione degli amici della
Vasil’evskij ostrov, che vedeva abbastanza spesso.
Mentre era ancora dal suo primo ospite, un ufficiale della cancelleria, il
signor V***, segretario del comando di Sua Maestà l’imperatrice madre, le
38 Gioco di carte. (N.d.T.)
39 Le biografie di Praskov’ja Lupolova sostengono che fu aiutata dalle principesse Dar’ja
Aleksandrovna Trubeckaja, Avdot’ja Ivanovna Golicyna e Tat’jana Vasil’evna Jusupova e fu
quest’ultima a ospitarla in casa propria. (N.d.T.)
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aveva consigliato di presentare una richiesta per ottenere dei soccorsi e si
era incaricato lui stesso di fargliela pervenire. Il signor V***, credendo di
soccorrere una delle solite poverette, le aveva destinato cinquanta rubli, e le
fece dire di passare da lui. Ella si presentò una mattina che era in città, e fu
ricevuta dalla signora V*** che l’accolse amichevolmente, e che sentì il
racconto delle sue avventure con pari sorpresa e piacere. La ragazza era
infine sulla strada che doveva condurla presto al compimento di tutti i suoi
voti. La signora V*** la pregò di aspettare il ritorno del marito e, nella
lunga chiacchierata che ebbero insieme, sentì raddoppiare l’interesse che
aveva avuto all’ingresso di Praskov’ja.
Quando le persone di vero merito, quando le anime buone si incontrano
per la prima volta non fanno conoscenza: si può dire che si riconoscano
come dei vecchi amici che si erano separati solo per l’allontanamento o la
disuguaglianza dalle condizioni.
Durante la prima ora che Praskov’ja passò da quella signora, riconobbe
con trasporto l’accoglienza semplice e cordiale che non l’aveva ingannata
mai nelle sue speranze, e presentì la felicità; trovava nel proprio cuore
maggior fiducia di quanta ne avesse provata mai. Le sue preghiere,
ascoltate dalla benevolenza e sostenute dalla speranza, ebbero tutto il
calore che doveva assicurarne il successo.
Al suo ritorno, il signor V*** condivise i sentimenti della moglie e non
volle offrirle il soccorso che le aveva destinato senza conoscere la ragazza.
Siccome doveva tornare immediatamente a corte, promise di raccomandarla
a Sua Maestà, se il tempo e gli affari lo permettevano, e la pregò di cenare
da lui per ricevere la risposta.
L’imperatrice ordinò che Praskov’ja le fosse presentata la stessa sera alle
sei. La viaggiatrice non si aspettava tanta gioia. Quando ne ricevette
l’assicurazione, impallidì e fu sul punto di svenire. Invece di ringraziare il
signor V***, sollevò verso il cielo i suoi occhi pieni di lacrime.
«Oh, mio Dio! – ella esclamò, – non ho dunque posto invano la mia
speranza in voi!»
Piena di timori che l’agitavano e non sapendo come manifestare la sua
riconoscenza al nuovo protettore, baciò le mani della signora V***.
«Voi sola, – le diceva, – siete degna di far gradire i miei ringraziamenti
all’uomo benefico da cui aspetto il rilascio di mio padre!»
Verso sera, senza cambiare il suo abito semplice, si rassettò nel bagno
della signora V*** che la condusse a corte. Avvicinandosi al palazzo
imperiale, ella pensava a suo padre che le aveva rappresentato l’ingresso
come molto difficile.
«Se mi vedesse adesso! – diceva al suo conducente; – se sapesse
davanti a chi vado a comparire! quale gioia proverebbe! Mio Dio! mio Dio!
finite la vostra opera!»
Senza fare la minima domanda sul modo in cui doveva presentarsi, né su
ciò che doveva dire, entrò senza timore nel gabinetto dell’imperatrice. Sua
Maestà la ricevette con la sua nota bontà e l’interrogò sulle circostanze della
sua storia, che desiderava conoscere, dopo il riassunto che gliene aveva
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fatto il signor V***. Praskov’ja rispose con sicurezza modesta, come
avrebbe potuto fare una persona usa a frequentare gente. Parlò dello scopo
del viaggio; persuasa dell’innocenza del padre, non chiese la sua grazia, ma
la revisione del processo. Sua Maestà lodò il suo coraggio e la sua pietà
filiale, promise di raccomandarla all’imperatore, e le fece rimettere subito
trecento rubli per i primi bisogni, in attesa di ulteriori benefici.
Praskov’ja uscì dal palazzo talmente intrisa della sua felicità e della bontà
dell’imperatrice che, quando al suo ritorno la signora V*** le chiese se era
contenta della presentazione, potè rispondere solamente con un fiume di
lacrime.
Durante la sua assenza, una signora della casa della principessa T***,
non vedendola ritornare dalla mattina, aveva interrogato il domestico che
l’aveva accompagnata e appreso che egli l’aveva vista salire in carrozza con
il signor V*** per andare a corte: si era dunque informato della sua
presentazione. Quando ella ritornò, verso le nove di sera, fu subito, e per la
prima volta, chiamata nel salone: il successo che aveva appena ottenuto
aveva operato una piccola rivoluzione nello spirito di tutti. La sua felicità
fece un enorme piacere ai suoi amici, e sembrò farne ancora di più alle
persone che non le avevano manifestato fino ad allora che indifferenza. Si
osservò che aveva una bella figura e dei begli occhi. Quando raccontò le
promesse di Sua Maestà, e le speranze che ne aveva riposto circa il rilascio
del padre, si trovò tutto ciò naturale e molto agevole. Parecchi dei membri
della società si offrirono generosamente di parlare al ministro in suo favore
e di proteggerla; infine, la contentezza sembrò generale, e il giocatore di
Boston, dopo che i giochi furono finiti, diede lui stesso dei segni sensibili di
interesse.
Si ritirò presto nella sua camera per mettersi in preghiera, e per
ringraziare Dio dei favori inattesi che aveva appena ricevuto. La sua felicità
le tolse per molte ore il sonno che le era sfuggito così spesso per cause
molto differenti.
Quando si svegliò l’indomani e il ricordo di tutto ciò che era accaduto la
vigilia le tornò alla memoria, fece un grido di gioia:
«Questo non è un sogno ingannevole? è ben vero che ho visto
l’imperatrice? che cosa mi ha detto con tanta bontà?»
Le manifestazioni della sua felicità aumentarono mano a mano che le sue
idee si facevano più chiare sbarazzandosi dei vapori del sonno. Si vestì
prontamente: e, per assicurarsi ancora della realtà degli avvenimenti della
vigilia, corse ad aprire subito un cassetto dov’era il denaro che aveva
ricevuto per ordine di Sua Maestà.
Alcuni giorni dopo, l’imperatrice madre le fece assegnare una pensione e
volle lei stessa presentarla all’imperatore e all’imperatrice regnante che
l’accolsero molto favorevolmente. Ricevette dalla loro generosità un
presente di cinquemila rubli e degli ordini furono dati per la revisione del
processo di suo padre.
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Il vivo interesse che ella ispirò presto al signor K*** ministro
dell’interno40, così come a tutta la sua famiglia, appianò tutte le difficoltà.
Quell’uomo rispettabile possedeva due vantaggi che si trovano raramente
riuniti nella stessa persona: il potere e la voglia di far del bene; e più di una
volta i servizi che prendeva a cuore provenivano da infelici.
Il signor K*** mise tutta la cortesia che gli era naturale a concludere la
revisione del processo di cui era incaricato; e, da quel momento,
l’interessante sollecitatrice non ebbe più alcuna inquietudine sulla sua futura
sorte. Conosciuta a corte e favorita dal ministro, Praskov’ja vedeva con più
sorpresa che gioia la sollecitudine improvvisa che il pubblico le
testimoniava. I ministri stranieri e le persone più considerevoli della città
vollero vederla e le diedero segni di benevolenza.
La principessa Y*** e la signorina W*** le assicurarono un’altra pensione
di cento rubli. Questo favore generale non influì sul suo modo di essere, e
non le diede mai il minimo movimento di vanità. Aveva nel mondo quella
sicurezza che dà la semplicità, oserò dire quell’audacia dell’innocenza che
non crede alla cattiveria degli altri.
Lo studio approfondito del mondo riporta sempre coloro che sono riusciti
ad apparire semplici e senza pretese: cosicché talvolta si lavora molto
tempo per arrivare al punto da cui si dovrebbe cominciare. Praskov’ja,
semplice e senza pretese, non aveva bisogno di alcuno sforzo per sembrarlo
e non si trovava mai fuori posto nella buona società. Un giudizio sano e un
spirito giusto e naturale supplivano alla sua profonda ignoranza di ogni cosa
e, spesso, le sue risposte inattese e ferme sconcertarono gli indiscreti.
Un giorno, qualcuno l’interruppe nel mezzo del suo racconto, in presenza
di una numerosa assemblea, e le domandò per quale crimine suo padre era
stato condannato all’esilio. A questa domanda poco delicata, un profondo
silenzio annunciò la disapprovazione dei presenti. La ragazza, gettando
sull’indiscreto un sguardo pieno di giusta e fredda indignazione, gli rispose:
«Signore, un padre non è mai colpevole per sua figlia e il mio è
innocente.»
Quando raccontava i dettagli della sua storia e mostrava senza pensarci
le qualità del suo nobile carattere, non era mai animata dall’entusiasmo che
ispirava ai suoi ascoltatori. Non parlava che per soddisfare le domande che
le si ponevano. Le sue risposte erano dettate sempre da un sentimento di
ubbidienza, mai dal desiderio di brillare o anche di interessare qualcuno. Gli
elogi che le si prodigavano suscitavano il suo stupore e, quando erano
esagerati o anche di cattivo gusto, il suo malcontento diventava visibile. Il
tempo che passò nella capitale, aspettando il decreto di richiamo del padre,
le diede innumerevoli godimenti. Tutto era nuovo per lei, tutto l’interessava.
Le persone che incontrava ammiravano frequentemente i giudizi pieni di
buon senso che ella dava sui diversi oggetti delle sue osservazioni. Due
signore della corte, che aveva preso in affetto particolare, le contesse
40 Osip Petrovič Kozodavlev. (N.d.T.)
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W***41, le proposero un giorno di vedere l’interno del palazzo imperiale, e si
divertirono molto della sorpresa che le causavano a ogni passo tante
ricchezze riunite e così vasti appartamenti. Quando entrò nella magnifica
sala di San Giorgio, fece il segno della croce, credendo di entrare in una
chiesa. Rivide, senza riconoscerli, alcuni saloni che aveva percorso già
all’epoca della sua presentazione, quand’era preoccupata della situazione e
dell’importanza che la portava lì!
Mentre attraversava un vasto locale, lo spirito colpito da tante meraviglie,
una delle signore le fece notare il trono. Si fermò improvvisamente, presa
da rispetto e timore.
«Ah! è là dunque, – disse, – il trono dell’imperatore! Ecco ciò che temevo
così tanto in Siberia!»
Lo spavento che un tempo le causava quell’idea, il ricordo dei benefici
dell’imperatore, il pensiero del prossimo rilascio di suo padre riempirono il
suo cuore riconoscente di un’agitazione inesprimibile. Unì le mani
impallidendo.
«Ecco dunque, – ripeteva con voce alterata, e pronta a svenire, – il trono
dell’imperatore!»
Chiese il permesso di avvicinarsi e si avviò tutta tremante, sostenuta
dalle due contesse, vivamente toccate loro stesse dalla scena inattesa.
Praskov’ja, in ginocchio ai piedi del trono, ne baciava i gradini con trasporto
e li bagnava di lacrime.
«Oh, padre mio, – esclamava, – guardate dove il potere di Dio mi ha
condotto! Oh, mio Dio! benedite questo trono, benedite chi lo occupa, e fate
che i suoi giorni siano pieni di tutta la felicità di cui mi ha colmato!»
Si stentò a trascinarla in un altro appartamento; ma chiese presto di
ritirarsi, stanca delle vive emozioni che aveva appena provato, e si rimandò
a un altro giorno la visita del resto del palazzo.
Qualche tempo dopo, le due signore la condussero all’Ermitage. Questo
splendido palazzo le cui ricchezze ed eleganza danno l’impressione di un
incantesimo, le causò più piacere di tutto ciò che aveva ammirato fino ad
allora. Vedeva per la prima volta dei quadri e sembrò prendere un gran
piacere a esaminarli. Riconobbe lei stessa parecchi argomenti tratti dalla
Sacra Scrittura; ma passando davanti al grande quadro di Luca Giordano
che rappresenta Sileno ubriaco, sostenuto dalle baccanti e dai satiri42,
esclamò:
«Ecco un brutto quadro! Cosa rappresenta?»
Gli si rispose che l’argomento era tratto dalla leggenda. Chiese quale
fosse. Siccome non aveva alcuna nozione di mitologia, fu difficile fornirle
una spiegazione soddisfacente.
«Tutto ciò non è vero dunque? – diceva. – Ecco degli uomini coi piedi di
capra. Quale follia dipingere delle cose che non sono mai esistite, come se
41 Forse della casata V’el’gorskij. (N.d.T.)
42 Dati e descrizioni sono imprecisi: è il Giovane Bacco dormiente di Luca Giordano, 16811683, 247x329 cm. (N.d.T.)
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ne mancassero di vere!»
Ella apprendeva così, a vent’anni, ciò che si apprende abitualmente
nell’infanzia. La sua curiosità non la rendeva tuttavia mai indiscreta: faceva
raramente delle domande e cercava di comprendere, o di indovinare lei
stessa, ciò che le sue osservazioni le presentavano di singolare e di nuovo.
Niente l’interessava tanto quanto trovarsi tra persone istruite che non le
prestavano attenzione e di sentire i loro discorsi: guardava allora uno dopo
l’altro ogni interlocutore come parlava e l’ascoltava con attenzione
particolare, non dimenticando niente di ciò che aveva sentito o potuto
comprendere.
Quando era con le conoscenze strette, riportava involontariamente la
conversazione sull’accoglienza benevola che le avevano fatto le due
imperatrici. Ricordava con sensibilità ciascuna delle loro parole, e non
poteva parlare senza che delle lacrime di riconoscenza le bagnassero le
palpebre; era allora felice di sentire che qualcuno condivideva i sentimenti
di ammirazione che ella manifestava, e si stupiva che non si parlasse di ciò
abbastanza spesso con piacere.
Tuttavia, l’ukaz43 con il richiamo di suo padre tardava più di quanto lei si
fosse aspettata. Mentre i suoi amici appianavano le difficoltà dell’affare,
Praskov’ja non aveva dimenticato i due prigionieri che, all’epoca della
partenza da Išim, si erano offerti di condividere con lei il loro piccolo tesoro.
Spesso aveva parlato di loro alle persone che potevano influire sulla loro
sorte, ma i suoi protettori le avevano consigliato unanimemente di non
aggiungere un’altra questione a quella in favore di suo padre, e il solo
timore di nuocere alla causa dei genitori le aveva impedito di seguire la
buona intenzione. Fortunatamente per quegli infelici, la bontà
dell’imperatore le diede l’opportunità di essere loro utile. Quando l’ukaz
definitivo del rilascio del padre fu spedito in Siberia, facendogli annunciare
la felice notizia, Sua Maestà incaricò il ministro di chiederle se non avesse
altro da desiderare solo per se stessa. Rispose che se l’imperatore voleva
ancora concederle una grazia dopo averla colmata di felicità per il rilascio
del padre, lo supplicava di accordare lo stesso favore ai due sfortunati
compagni dei genitori. Il signore K*** rese conto all’imperatore della nobile
riconoscenza che portava la ragazza a sacrificare i benefici di Sua Maestà
per avvantaggiare i due uomini che le avevano offerto pochi copechi alla sua
partenza in Siberia. Il desiderio fu esaudito e l’ordine del loro richiamo partì
alcuni giorni dopo quello del padre.
Così il moto di generosità che aveva portato i due uomini a soccorrere
con le loro limitate risorse la partenza della viaggiatrice fece loro
guadagnare la libertà.
Praskov’ja, avendo ottenuto tutto ciò che desiderava, pensò subito a
compiere i voti e ripartì per un pellegrinaggio a Kiev. Fu colmando quel
devoto dovere e meditando su ciò che la Provvidenza aveva fatto in suo
favore, che prese la determinazione irrevocabile di dedicare i propri giorni a
43 Editto dello zar. (N.d.T.)
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Dio. Mentre si preparava a quel sacrificio e prendeva il velo a Kiev, suo
padre riceveva, in Siberia, la notizia inattesa della sua libertà; sua figlia era
partita da più da venti mesi e, per una fatalità inspiegabile, i genitori non
avevano mai ricevuto sue notizie. Durante quell’intervallo, l’imperatore
Alessandro era salito sul trono: al suo felice arrivo un gran numero di
prigionieri erano stati richiamati; ma quelli di Išim non erano nel numero. La
sorte di Lopulov e di sua moglie fu delle più crudeli. Privati oramai di ogni
speranza, così come della presenza della cara figlia che li aveva aiutati a
sopportare la vita, erano pronti a perire sotto il peso dei loro mali, quando
una posta del governatore di Tobol’sk li sollevò da quell’abisso. Ricevettero,
con l’ukaz del rilascio, un passaporto per ritornare in Russia e una somma di
denaro per il viaggio.
L’avvenimento e le circostanze che l’avevano determinato, fecero molto
rumore in Siberia. Gli abitanti di Išim che conoscevano Lopulov, così come i
prigionieri che si trovavano nel villaggio, andarono da lui appena ne ebbero
notizia. I vecchi compagni di sventura che avevano ridicolizzato l’impresa di
Praskov’ja; quelli soprattutto che le avevano rifiutato i soccorsi, da disporre
durante il viaggio, adesso avrebbero voluto aver contribuito. Lopulov
ricevette le congratulazioni di tutti con riconoscenza; e la sua felicità
sarebbe stata completa, senza il dispiacere che provava di lasciare in
prigionia i suoi due amici di cui ignorava ancora la buona fortuna.
Quei due uomini, già vecchi, erano in Siberia dalla rivolta di Pugačëv44
nella quale erano stati purtroppo implicati in gioventù. Lopulov si era loro
più strettamente legato dalla partenza di sua figlia, in quanto gli unici, tra
tutte le conoscenze, ad aver provato un interesse sincero alla sorte della
viaggiatrice. I loro colloqui ruotarono per molto tempo solamente su di lei e
sulle probabilità felici o disgraziate che prevedevano una dopo l’altra, a
seconda che il timore o la speranza li agitassero. Lopulov offrì di lasciar loro
una parte degli aiuti che aveva ricevuto, ma essi non accettarono l’offerta.
«Non ne abbiamo bisogno, – disse uno di loro, – ho ancora il pezzo
d’argento che vostra figlia ha rifiutato alla sua partenza.»
Non c’era in quel rifiuto alcuna gelosia; ma un profondo scoramento che
prostrava quei due sfortunati dal momento della notizia che li separava dal
loro unico amico. Si ricordarono le promesse che Praskov’ja fece loro
partendo, di interessarsi a loro; persuasi ormai, così come tutti gli abitanti
di Išim che ne erano stati testimoni, che se ne fosse dimenticata, non
osavano lamentarsi con il padre e rinchiudevano nel loro cuore un cupo
dolore che li divorava.
La vigilia del giorno in cui Lopulov doveva lasciarli, vollero congedarsi da
lui per non avere la pena di assistere alla partenza: uscirono da casa sua
alle nove di sera e si ritirarono, il cuore rattristato da tutti i dolori che gli
uomini possono sopportare senza morire.
Dopo la loro uscita, Lopulov e sua moglie piansero a lungo sulla sorte dei
44 Nel 1773-1774, il cosacco Emel’jan Ivanovič Pugačëv si rivoltò contro Caterina II. I due
erano quindi esiliati da quasi trent’anni. (N.d.T.)
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loro amici.
«Senza dubbio, – dicevano, – nostra figlia non li ha dimenticati; otterrà
forse ancora, col tempo, la loro grazia: le chiederemo di fare altri passi in
loro favore.»
Con queste idee consolanti, si coricarono per essere pronti l’indomani a
partire di buon’ora.
Si erano appena addormentati quando sentirono bussare forte alla porta;
lo stesso feldjäger45 che aveva portato loro la buona notizia, non avendo
trovato il capitano ispravnick46 al quale era indirizzato il dispaccio e
conoscendo il loro alloggio, ritornava con la grazia per i due amici. Lopulov
si alzò precipitosamente per condurlo da loro.
I due infelici si erano rinchiusi nella più terribile disperazione. Rientrando
nella loro capanna, si erano seduti su una panca nell’oscurità e custodivano
un profondo silenzio. Che cosa potevano dirsi? Avevano perso ogni speranza
e l’esilio eterno pesava adesso su di loro con nuova forza.
Dopo due ore che soffrivano al tempo stesso i loro mali presenti e quelli
che presagivano un oscuro avvenire, il chiarore di una lanterna venne
improvvisamente a illuminare la piccola finestra della loro stanza.
Ascoltarono: parecchie persone camminavano e parlavano vicino alla
capanna. Bussarono; una voce amica e molto conosciuta si fece sentire:
«Amici, aprite! Grazia! grazia anche per voi! Aprite!»
Nessuna lingua può descrivere una simile situazione. Per alcuni minuti si
sentirono soltanto frasi mozze:
«Grazia! L’imperatore! Che Dio lo benedica! Che Dio sia lodato! Che colmi
dei suoi favori la buona Praskov’ja che non ci ha dimenticati!»
Mai alcuna abitazione aveva racchiuso esseri più felici; mai esistette un
passaggio tanto veloce dal colmo della sventura alla felicità più insperata.
Il capitano ispravnik avendo appreso, rientrando, che un feldjäger lo
cercava, lo raggiunse dai due amici e dissigillò il plico che conteneva due
passaporti per loro e una lettera di Praskov’ja per il padre. Scriveva che
dopo avere ottenuto quella nuova grazia non avrebbe osato sollecitare altro
soccorso per il viaggio dei suoi vecchi compagni, ma che Dio aveva dato loro
la ricompensa per l’offerta generosa che le avevano fatto all’epoca della sua
partenza della Siberia: aveva unito alla lettera la somma di duecento rubli in
banconote.
Nel frattempo ella aspettava a Kiev, con la più viva impazienza, la notizia
del ritorno di suo padre; le sembrava, facendo il calcolo del tempo, che le
45 [Feldiègre è] Parola tratta dal tedesco, che significa cacciatore di campagna. Essi
costituiscono un corpo con gradi e abito militari: sostituiscono in Russia le funzioni di
corriere di Stato e di gabinetto. (Nota dell’Autore) – Più precisamente il feldjäger era un
cacciatore o una guardia forestale reclutato al bisogno nella fanteria leggera come
esploratore, cecchino o corriere. Dalla fine del XIX secolo diventò un poliziotto militare a
tutti gli effetti. (N.d.T.)
46 I capitani ispravnik hanno all’incirca le stesse funzioni dei nostri sotto-prefetti. (Nota
dell’Autore) – Nella Russia prerivoluzionaria lo ispravnik era il capo di polizia di un
distretto, eletto per tre anni e sottomesso al governatore. (N.d.T.)
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avrebbe potuto scrivere.
Prendendo il velo a Kiev, non aveva intenzione di rimanere là, volendo
stabilirsi per sempre nel convento di Nižnij47, come aveva promesso alla
badessa: scrisse a quest’ultima quando la sua preparazione fu completata, e
partì poco dopo per raggiungerla. Quella buona superiora l’aspettava con
impazienza e non le aveva comunicato l’arrivo di suo padre per riservarle
una piacevole sorpresa. Lopulov e sua moglie erano a Nižnij da qualche
tempo. Praskov’ja, arrivando, si prosternò ai piedi della badessa che si era
affacciata alla porta del monastero con le religiose per riceverla.
«Non avete notizie di mio padre?» chiese subito.
«Venite, bambina mia, – le rispose la superiora; – ne abbiamo di migliori;
ve le darò in camera mia.»
Senza aggiungere niente, la condusse lungo i chiostri e il convento. Le
religiose custodivano il silenzio e la loro aria misteriosa l’avrebbe inquietata
senza i sorrisi di benevolenza che vedeva sui loro volti.
Entrando dalla badessa, trovò il padre e la madre, ai quali anche lei aveva
nascosto il suo arrivo. Dopo il primo momento di sorpresa che essi
provarono vedendo la loro cara figlia in abito religioso, e pressati al tempo
stesso da un sentimento di riconoscenza e di dolore, caddero in ginocchio
davanti a lei; a questa vista, Praskov’ja dette un grido doloroso, mettendosi
in ginocchio lei stessa:
«Che cosa fate, padre mio? – esclamò; – è Dio, Dio solo che ha fatto
tutto! Ringraziamo la sua Provvidenza per il miracolo che ha operato in
nostro favore.»
La badessa e le religiose, toccate da quello spettacolo, si inginocchiarono
loro stesse e riunirono i loro ringraziamenti a quelli della felice famiglia.
I più teneri abbracci seguirono a quel moto di pietà; ma abbondanti
lacrime sgorgavano dagli occhi della madre quando guardava il velo della
figlia.
La felicità di cui godeva la famiglia Lopulov per il ricongiungimento non
poteva essere di lunga durata. Lo stato religioso che aveva abbracciato
Praskov’ja condannava i vecchi genitori a vivere separati dalla figlia e
questa nuova separazione sembrò loro più crudele della prima, perché era
senza speranza. I loro mezzi non permettevano di stabilirsi a Nižnij; sua
madre aveva dei parenti a Vladimir che li invitavano ad avvicinarsi a loro: la
necessità li costrinse a seguire quest’ultimo partito. Dopo aver passato otto
giorni alternando continuamente gioia e tristezza, divisi tra la loro felicità e
il pensiero del prossimo allontanamento, decisero di partire per la nuova
destinazione; soprattutto la buona madre era inconsolabile.
«A che cosa ci è servita, – diceva, – questa libertà tanto desiderata? Tutti
i lavori, tutti i successi della nostra cara figlia erano dunque destinati
soltanto a strapparla dalle nostre braccia per sempre? Perché non siamo
ancora in Siberia con lei!»
Tali erano i lamenti dell’infelice madre.
47 Le religiose, in Russia, non fanno voto di clausura. (Nota dell’Autore)
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È un grande dolore in tutte le età della vita separarsi per sempre dai
propri parenti e amici, ma questo destino è tanto più terribile quando l’età ci
pesa già e non aspettiamo più niente dal futuro!
Congedandosi dai genitori nell’appartamento della superiora, Praskov’ja
promise loro di andare a visitarli a Vladimir entro l’anno; poi la famiglia,
accompagnata dalla badessa e da alcune religiose, andò in chiesa. La
giovane novizia, sebbene sensibile tanto quanto sua madre alla dolorosa
separazione, si mostrava più forte e più rassegnata e cercava di
incoraggiarla. Tuttavia, per evitare il trasporto del proprio dolore negli ultimi
momenti, dopo avere pregato alcuni istanti con lei ai piedi degli altari, si
allontanò dolcemente, entrò nel coro dove si trovavano le altre religiose, e
apparve attraverso la griglia.
«Addio, miei buoni genitori, – disse loro; – vostra figlia appartiene a Dio,
ma non vi dimenticherà. Padre caro, madre affettuosa, fate, fate il sacrificio
che Dio vi comanda, e che lui vi benedica mille volte!»
Praskov’ja, troppo commossa, si appoggiò contro la griglia; le lacrime
molto tempo trattenute le coprirono il viso. L’infelice madre, fuori di sé, si
slanciò verso la figlia che singhiozzava: la badessa fece un segno con la
mano e nello stesso istante una tenda fu tirata. Le religiose intonarono il
salmo: «Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del
Signore»48. Lopulov e sua moglie furono spinti verso il portone della chiesa,
dove la carrozza li aspettava: avevano visto la figlia per l’ultima volta.
La nuova religiosa si assoggettò senza pena alla regola austera del
convento: eseguiva i propri doveri con gran scrupolo e guadagnò la stima e
l’affetto di tutta la comunità; ma la sua salute si indeboliva visibilmente ed
ella non poté sopportare quella vita faticosa che il suo nuovo stato esigeva:
fu il petto a esserne colpito. Il monastero di Nižnij, costruito su un monte
battuto dai venti, era in posizione sfavorevole per quel genere di malattia,
così, dopo un anno trascorso in quella casa, i medici le consigliarono di
cambiare luogo di soggiorno.
La badessa, che gli affari chiamavano a Pietroburgo, risolse di portare con
sé Praskov’ja. Oltre alla speranza di favorire con quel viaggio il
ristabilimento della sua salute, la buona signora pensava con ragione che la
reputazione della novizia e l’affetto che tutti le portavano nella capitale
sarebbero stati utili agli interessi del convento. Praskov’ja diventò una
sollecitatrice tanto attiva quanto disinteressata. Ma, conformandosi alla
buona creanza che le imponeva il nuovo stato, non si mescolò alla gente
come la prima volta, e vide solamente le persone che la riconoscenza e
l’amicizia le facevano un dovere coltivare.
A quell’epoca, i suoi tratti erano già molto alterati per la tisi conclamata
che la minava sordamente; ma, anche per lo stato di deperimento, le era
stato difficile avere un aspetto più piacevole e soprattutto più interessante.
Era di taglia media, ma ben proporzionata: il suo viso, cinto dal velo nero
che copriva interamente i capelli, aveva un bell’ovale. Aveva gli occhi
48 Sal 118,1. (N.d.T.)
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nerissimi, la fronte scoperta, una certa tranquillità malinconica nello
sguardo e perfino nel sorriso.
Conosceva la natura e tutti i pericoli della malattia: tutti i suoi pensieri
erano rivolti verso l’altro mondo che aspettava senza timore e senza
impazienza, come una valorosa operaia che ha finito la propria giornata e si
riposa aspettando la dovuta ricompensa.
Quando gli affari della badessa furono conclusi, le due religiose si
disposero a tornare a Nižnij. Alla vigilia della partenza, Praskov’ja uscì per
congedarsi da alcuni amici che le avevano mandato la carrozza: entrando
nella loro casa, trovò sulla scala una ragazza seduta sugli ultimi gradini e
vestita della peggior miseria. La mendicante, vedendola seguita da un
lacchè in livrea, si alzò faticosamente per chiederle l’elemosina, e le
presentò una carta che trasse dal suo seno.
«Mio padre è paralitico, – disse, – e non ha altri soccorsi che l’elemosina
che ricevo; sono io stessa malata, e presto non potrò più aiutarlo.»
Praskov’ja prese il foglio da una mano ansiosa e tremante: era un
attestato di povertà e di buona condotta datole dal prete della parrocchia. Si
ricordò subito dello sventurato tempo in cui, seduta sui gradini dello scalone
del senato, sollecitava invano la pietà del pubblico. La somiglianza che
vedeva tra le sorti di quella povera ragazza e la sua la commosse
profondamente: le diede il poco denaro che aveva, e le promise altri aiuti.
Le persone che andava a salutare si affrettarono, alla sua raccomandazione,
a far del bene a quella sventurata, e diventarono, da quell’epoca, i protettori
di suo padre.
Prima di lasciare Pietroburgo, aveva chiesto la dispensa dalla legge che
proibiva alle novizie di fare i loro voti definitivi prima dei quarant’anni: non
trascurò nulla per ottenere questa grazia, ma le fu sempre rifiutata.
Tornando a Nižnij, la badessa si fermò alcuni giorni a Novgorod, in un
convento di religiose la cui regola era meno austera e la cui posizione
sarebbe stata adatta alla salute della povera novizia. Costei si era legata
particolarmente nel convento di Nižnij con una giovane che aveva una
sorella in quello di Novgorod dove si trovava ora. Durante il soggiorno che
Praskov’ja fece da lei, quest’ultima si sforzò di guadagnare la sua amicizia;
le disse che sua sorella aveva ottenuto di cambiare monastero e di stabilirsi
a Novgorod, e le consigliò di accompagnarla. La badessa che vedeva la cara
novizia deperire sotto gli occhi, acconsentì, malgrado il tenero affetto che le
portava e, arrivando a Nižnij, fece i passi necessari.
Praskov’ja lasciò presto il vecchio monastero, portando con sé il
dispiacere sincero di tutta la comunità e delle persone che l’avevano
conosciuta in città. Adoperò i primi due mesi del soggiorno a Novgorod a far
costruire una casetta di legno, contenente due celle, per lei e l’amica,
perché non se ne trovò di libere al loro arrivo, e fu molto contenta del nuovo
asilo. Le compagne che la conoscevano già personalmente guardarono il suo
arrivo nel loro convento come un favore particolare del cielo, e si
affrettarono ad aiutarla nei compiti troppo gravosi che non si accordavano
con la sua salute. Queste cure e la tranquillità di cui godeva prolungarono i
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suoi giorni fino al 1809.
Già da molto i medici disperavano della sua vita; ma, sebbene lei stessa
ne avesse fatto un sincero sacrificio, non si credeva ancora prossima alla
fine. È senza dubbio per un beneficio della Provvidenza che, in quella
crudele malattia per la quale non c’è più rimedio, la vita sembri rianimarsi e
dare alcuni momenti di speranza all’essere che l’abbandonerà presto, come
per nascondere l’avvicinarsi di quell’ora terribile che nessuno deve
conoscere.
Praskov’ja, la vigilia della morte, passeggiò qualche tempo nei chiostri
con minor stanchezza del solito: avvolta in una calda pelliccia, si sedette
alla porta del convento. Il sole invernale sembrò rianimarla; l’aspetto della
neve scintillante le ricordava la Siberia e i tempi trascorsi. Una slitta di
viaggiatori passò davanti a lei e si allontanò velocemente: la speranza le
fece palpitare ancora il cuore.
«La primavera prossima, – disse all’amica, – se starò meglio, andrò a
fare una visita ai miei genitori a Vladimir. Voi mi accompagnerete, vero?»
Dicendo tali parole, il piacere brillava nei suoi occhi, ma la morte era sulle
sue labbra. La sua compagna cercava di mostrarle un viso sorridente e
tratteneva le lacrime prossime a scendere.
L’indomani, 8 dicembre, giorno della festa di santa Barbara 49, ebbe
ancora la forza di andare in chiesa per comunicarsi; ma la sera, alle tre, si
sentì male e si buttò sul letto senza svestirsi per riposarsi un po’. Parecchie
religiose erano nella cella e, non credendola in pericolo, parlavano a voce
alta e ridevano tra loro per divertirla; tuttavia la presenza di tanta gente la
stancava. Quando sentì il suono della campana che le chiamava alla
preghiere della sera, le invitò ad andare in chiesa, raccomandandosi alle
loro preghiere.
«Oggi, – disse loro, – pregherete ancora Dio per la mia salute, ma tra
alcune settimane pregherete per il riposo della mia anima.»
Nella cella restò solo l’amica. Praskov’ja la pregò di leggerle le preghiere
del vespro, come ne aveva l’abitudine, e per compiere il suo compito fino
alla fine. La religiosa, in ginocchio vicino al letto, si mise a cantare
dolcemente le preghiere; ma, dopo i primi versetti, la malata le fece segno
con la mano sorridendo. L’amica si avvicinò, e poteva sentirla appena.
«Mia cara amica, – le disse, – non cantate più, ciò mi impedisce di
pregare: recitate solamente.»
La religiosa si rimise in ginocchio; mentre salmodiava le preghiere, la
morente faceva ogni tanto dei segni di croce. La notte diventò scura.
Quando le religiose ritornarono con la luce, Praskov’ja non c’era più. La
sua mano destra era posata sul petto e si vedeva, dalla disposizione delle
dita, che era morta facendo il segno della croce.
49 L’8 dicembre, giorno in cui realmente morì Praskov’ja, non è dedicato a santa Barbara,
che gli ortodossi celebrano il 4 dicembre del calendario giuliano allora in uso sia dalla
Chiesa che dallo Stato. (N.d.T.)
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