Edilizia sociale. Evoluzione delle missioni

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Edilizia sociale. Evoluzione delle missioni
Edilizia sociale.
Evoluzione delle missioni
Anna Maria Pozzo, Federcasa
Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009
Edilizia sociale. Evoluzione delle missioni
Anna Maria Pozzo, Federcasa
Scopo di questa relazione è fornire un quadro delle trasformazioni delle “agenzie pubbliche della
casa” alla luce dell’evoluzione delle missioni, da una parte, e delle riforme regionali dall’altra, nel
quadro della normativa europea sui servizi di Interesse Generale.
1. La Missione
I cambiamenti demografici, sociali ed economici del nostro paese hanno comportato l’evoluzione
della cosiddetta “missione” degli Enti di gestione dell’edilizia sociale, che si andata adeguando alle
nuove esigenze.
Si tratta di cambiamenti che non hanno certo rivoluzionato la missione degli ex IACP, ma hanno
acuito alcune delle contraddizioni già esistenti fin dalle origini di questi enti. Già gli IACP erano nati
con una duplice missione: costruire alloggi a basso costo, per rispondere al bisogno di mano d’opera
che dalle campagne e dal sud dell’Italia si spostava verso le città, e gestirli al meglio, gestendo
insieme agli edifici le problematiche sociali delle persone che i comuni individuavano come
destinatari.
Nel passato hanno svolto questa missione spesso proponendo tipologie abitative e tecnologie
innovative e sperimentali, che hanno contribuito negli anni alla crescita del settore.
In questo senso potremmo dire che nulla è cambiato. In realtà molto è cambiato perché è cambiata
la nostra società. I temi della sicurezza che agitano il dibattito politico altro non sono se non il
risultato di questa evoluzione che ha visto nello stesso tempo indebolirsi l ruolo della famiglia
(famiglie sempre più fragili e “precarie”), crescere il numero degli anziani soli e le città popolarsi di
nuovi soggetti con usi diversi. Anche le città sono cambiate di conseguenza: gli spazi pubblici hanno
assunto nuovi colori, nuovi modelli di frequentazione, le aree interstiziali e residuali sono divenute
sempre più inquietanti in quanto concentrazioni di nuove marginalità. I quartieri che maggiormente
hanno risentito di questi cambiamenti sono proprio i quartieri periferici dell’edilizia popolare.
Quindi il compito dei gestori sociali oggi deve arricchirsi di nuove competenze che comprendono
quelle di sostegno e mediazione sociale per evitare la formazione di nuovi e più gravi fenomeni di
segregazione e di tensione sul territorio.
Un’altra evoluzione importante riguarda la questione della sostenibilità ambientale, che, per l’alloggio
sociale, è anche presupposto per una migliore sostenibilità economica delle case che vengono
offerte alle persone a basso reddito.
L’esigenza di sviluppare il potenziale di risparmio (di energia, di emissioni inquinanti ed economico)
insito nel patrimonio di edilizia sociale ha spinto molti enti a creare modelli organizzativi (interni o
attraverso società di scopo) che consentono di diventare anche erogatori di servizi energetici per i
residenti ed in alcuni casi produttori di energia (fotovoltaico, cogenerazione, ecc).
Un’altra missione, storicamente consolidata, è quella di erogatori di servizi per i comuni (gestione
degli alloggi e del patrimonio comunali, promozione e progettazione degli interventi progettazione di
piani urbanistici di dettaglio).
E infine, l’evoluzione della domanda comporta la necessità di articolare l’offerta di alloggi sociali, sia
dal punto di vista della capacità economica degli utenti (non solo i più poveri, ma anche ceto medio),
che da quello delle diverse esigenze espresse da anziani soli, giovani in cerca di lavoro o studenti,
famiglie monoparentali o single di ritorno a seguito delle separazioni, immigrati con esigenze familiari
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diverse da quelle tradizionali nel nostro paese. Gli approcci regionali, come emergono dalle leggi di
riforma sono illustrati nella tabella 1.
Tab. 1. Competenze degli Enti per la casa nelle leggi di riforma regionale
studi, ricerche, sperimentazione
programmi di ricerca, innovazione e sviluppo di nuove tecniche
di costruzione, volte anche al risparmio energetico
Abruzzo (ARET)
sperimentazione e realizzazione di modelli di architettura tradizionale
Lazio
interventi e programmi di contenuto innovativo con particolare riguardo alle tecniche
costruttive
Umbria
consulenza e assistenza
assistenza tecnica ed amministrativa retribuita ad enti pubblici
e a soggetti privati nel settore dell'edilizia
Friuli Venezia Giulia
per conto e nell'interesse della Regione, attività di vigilanza
in materia di contabilizzazione delle spese dei piani realizzati
dai Comuni
Piemonte
servizi all’utenza
promuovere presso i comuni un punto di informazione
al servizio degli utenti
Abruzzo
agenzie per la locazione
Emilia Romagna
partnership
società di scopo per l'esercizio di compiti istituzionali
e di altre attività di impresa
Emilia Romagna
soggetto promotore e/o attuatore di iniziative riguardanti
i piani di riqualificazione urbana
Umbria
forme di collaborazione tecnico-economica con gli enti locali,
enti pubblici e privati
Valle d’Aosta
interventi economici, politici, sociali
sviluppo e diffusione di politiche relative a qualità
e sicurezza delle abitazioni
Abruzzo (ARET)
promuovere e coordinare la partecipazione dei cittadini
ai programmi di riorganizzazione urbanistica
Abruzzo
interventi con fini calmieratori sul mercato edilizio realizzando
abitazioni allo scopo di locarle o venderle
Basilicata Calabria Friuli
a prezzi economicamente competitivi
Venezia Giulia Veneto
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Indipendentemente dal quadro normativo in cui operano, comunque, i singoli enti, nella loro
autonomia, hanno scelto strade diverse per assolvere la propria missione e soprattutto per gestire la
tensione fra missione sociale e efficacia economica. Una strada è lo sviluppo di strutture societarie
strumentali, cui sono delegate alcune delle funzioni che si pensa possono essere gestire più
efficacemente ed economicamente da una struttura a carattere privatistico (normalmente una Spa).
Le funzioni delegate riguardano nella maggior parte dei casi: manutenzione, servizi energetici,
progettazione.
Per la progettazione nascono anche strutture consortili formali o informali fra gli enti della stessa
regione (ad esempio in Piemonte fra gli Enti minori).
Evoluzione della missione e organizzazione in Europa
Il settore dell'edilizia sociale, a causa della sua dimensione e del tipo di attività, ha potenzialmente un
impatto enorme sulla possibilità di combinare obiettivi sociali, economici e ambientali. Gli organismi
dell'edilizia sociale sono sostanzialmente delle organizzazioni ibride, che associano la costruzione e
gestione dell’edilizia come un affare economico con obiettivi sociali di sostenere le famiglie,
rafforzare le comunità e compensare gli svantaggi sociali. Essi partecipano inoltre alla promozione
dello sviluppo urbano sostenibile e alla sua gestione. Il settore dell'edilizia sociale, come settore
ibrido è messo perciò idealmente all'incrocio di affari e attività pubbliche per trasferire l’innovazione e
le buone pratiche in entrambe le direzioni - verso l’impresa privata e verso i servizi pubblici -.
Alcune ricerche1 hanno constatato che gli operatori dell’alloggio sociale compiono molte attività che
vanno oltre i compiti tradizionali di provvedere edilizia sociale ('lo shelter') e vi associano servizi,
come sviluppo di comunità e generazione di impiego, formazione e progetti per la gioventù. Questi
processi di diversificazione possono cominciare con la consapevolezza che la qualità della casa va
oltre la qualità dell'alloggio in sè e che alcune persone hanno bisogno di più che di una casa o che
possono rappresentare una risposta commerciale a nuovi mercati. L'importanza crescente di queste
attività è dimostrata, per esempio in Inghilterra, dove la National Housing Federation ha intrapreso
recentemente una analisi di tali attività e questo formerà un prezioso database di progetti2.
Ecco alcuni esempi delle attività degli operatori dell'edilizia sociali in relazione a tre settori specifici
Economico (economia e lavoro)
Alcune strategie possono indirizzare le dimensioni interna e esterna della sostenibilità economica
che considera per esempio l'uso e la valorizzazione del patrimonio immobiliare, l’innovazione per
mantenere il vantaggio competitivo e la valorizzazione a lungo termine dei beni, la generazione di
lavoro locale attraverso politiche di appalto e strategie di assunzione del personale (DELPHIS, 2008)
1 sostenibilità economica,
2 Valorizzazione del patrimonio
3 innovazione e competitività,
4 approvvigionamento e catene dell'approvvigionamento,
5 Valorizzazione delle Risorse umane,
6 uguaglianza di genere e etnica
Sociale (investimento sociale, coesione sociale e sostenibilità sociale)
Fornire una buona qualità edilizia ed economica è una conseguenza della sostenibilità sociale e
importante di per sé, ma gli operatori sociali del terzo settore spesso assumono un ruolo più largo in
relazione al sociale e ai benefici per la comunità. Alcune organizzazioni nazionali stanno
cominciando a intrapreso la verifica di tali attività (NHF –UK-, 2008).
1 Casa di buona qualità, economica e accessibile
1
Brandsen et al. (2006) and Heino et al. (2007)
2
National Housing Federation, 2008.
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2 inclusione sociale & contrasto alla disoccupazione
3 servizi di vicinato
4 salute e benessere
5 istruzione e abilità
6 sicurezza e coesione
7 invecchiamento, uguaglianza di genere e etnica
Ambiente (sostenibilità ambientale)
La casa è al centro dell’agenda della sostenibilità ambientale, attraverso lo sviluppo di tecnologie di
costruzione appropriate e la promozione dei prodotti “verdi”.
1 interventi di costruzione biocompatibili
2 misure per migliorare le prestazioni ambientali dello stock esistente
3 uso di Energie rinnovabili
4 Focus speciale sul processo implementazione delle strategie “Verdi”
Una ricerca3 effettuata dal Cecodhas mostra l’estensione delle attività non riconducibili al ruolo di
“padrone di casa” di un buona parte degli operatori dell'edilizia sociale.
La prima consiste in "servizi supplementari agli inquilini". I motivi per cui si sono intraprese queste
attività sono: aiutare il bilancio della famiglia e quindi la loro solvibilità; aumentare la qualità del luogo
di residenza, che migliora la vita e le opportunità di vita; provvedendo a che gli abitanti migliorino le
loro capacità di vita e indipendenza e con informazioni sulle opportunità di istruzione. In sintesi,
aiutare lo sviluppo di comunità e la coesione sociale.
Il secondo gruppo di attività consiste nei “servizi di prossimità”, anche con lo scopo di migliorare la
qualità di vita, e le opportunità di vita dei residenti; promuovere l’inserzione sociale e annullare la
stigmatizzazione dei quartieri dell'edilizia sociale; che aiutano a mantenere e aumentare il valore
delle proprietà della compagnia.
Il terzo gruppo consiste nella "costruzione e gestione di unità non-residenziali", che porta alla
diversificazione delle attività, con la generazione di reddito a supporto della gestione, e aumentano il
valore del patrimonio per scopi sociali. In somma, questa attività si svolge per animare il quartiere e
introdurre un mix sociale, oltre a soddisfare bisogni di equilibrio finanziario.
3
Heino et al (2007)
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2. Enti autonomi o enti strumentali?
La denominazione originaria degli IACP sottolineava a partire dal nome (Istituto Autonomo Case
Popolari) l’autonomia degli Enti, pur se nel quadro di politiche finanziamenti e regole gestionali
nazionali e di scelte localizzative e di assegnazione degli alloggi definite localmente.
Con il decentramento regionale e locale delle politiche della casa viene ridefinita non solo la
collocazione dell’ente, che risponde ora a regole e politiche regionali, ma vengono rimessi in
discussione anche i livelli di autonomia e di dipendenza degli Enti.
La domanda che ci si pone oggi volendo ipotizzare un modello ideale di riforma è la seguente:
Enti strumentali della Regione o dei comuni? ed in questo ruolo, quali sono i livelli di autonomia degli
enti?
Proprio in questo campo le scelte delle leggi di riforma sono particolarmente articolate e si possono
leggere attraverso tre criteri principali:
- natura degli enti (chi li costituisce e come, tipo di statuto più o meno privatistico, livelli di autonomia
decisionale)
- composizione degli organi gestionali (consiglio di amministrazione, direzione)
- livelli di controllo regionale
(tabelle 2, 3 e 4)
Dal confronto emerge che il livello di autonomia degli Enti è andato indebolendosi nelle varie riforme,
in quanto molte Regioni, anche quelle che hanno scelto di trasformare gli Iacp in Enti economici,
hanno tuttavia ribadito il loro ruolo di Enti strumentali, sia direttamente della Regione (Liguria, Lazio,
Sardegna), che anche degli Enti locali (Emilia Romagna, Bolzano). Fa eccezione la Toscana, che ha
incitato i comuni a costituire direttamente gli enti strumentali consortili sotto forma di SpA.
Le varie leggi di riforma tuttavia sottolineano quasi sempre l’autonomia organizzativa, amministrativa
e contabile degli Enti e quindi, a prescindere dalla natura, la responsabilità sui risultati di bilancio.
Il modo in cui Regioni ed Enti locali esercitano il loro controllo sugli Enti si esprime sia attraverso la
composizione e il meccanismo di nomina del Consiglio di Amministrazione o dell’Organo
monocratico di direzione dell’Ente (presenza di rappresentanti della Regione, della Provincia o dei
Comuni), che attraverso il livello e la tipologia dei controlli, normalmente relativi a bilancio preventivo
e conto consuntivo, modifiche statutarie e piante organiche.
Un’autonomia sotto tutela, quindi, che non è però compensata da un’attenzione alle problematiche
gestionali degli enti, che subiscono tramite la definizione dei canoni ’imposizione di tariffe prive di
compensazione da parte della Regione. Da parte dei Comuni gli enti subiscono invece la selezione
degli utenti (derivanti dalle graduatorie) senza la possibilità di effettuare politiche di distribuzione delle
popolazioni “deboli” al fine di prevenire effetti di ghettizzazione e i conseguenti problemi gestionali.
Una situazione unica in Europa, non tanto perché negli altri paesi i livelli di autonomia siano
maggiori, ma perché vengono risolti diversamente i rapporti con gli Enti locali, attraverso una
rappresentanza diretta del Comune alla Giuda degli Enti (Francia, Spagna), da una parte e dall’altra
in quanto i livelli dei canoni percepiti dagli Enti tengono conto del cosiddetto “canone di equilibrio”,
restando la differenza a carico dello stato attraverso gli aiuti personali percepiti per ridurre lo sforzo
economico di coloro che non sono in grado di pagare l’affitto.
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Tabella 2. Natura degli enti e livello di autonomia
Regione
Tipo di statuto
Trentino -Bolzano
Decisione della
creazione
Provincia autonoma
Marche
Regione
Basilicata,
Calabria
Piemonte
Regione
Friuli Venezia
Giulia,
Lombardia,
Umbria, Valle
d’Aosta, Abruzzo
Sardegna
Regione
Azienda pubblica
non economica
(Statuto deliberato
dall’Ente)
Azienda pubblica
non economica
Azienda pubblica
non economica
Ente pubblico
economico
Regione
Ente pubblico
economico
Liguria
Regione
Ente pubblico
economico
Lazio
Regione
Veneto
Regione
Emilia Romagna
Regione, ma
l’istituzione dipende
da una scelta
dell’Ente locale
Toscana
Comuni
Trentino -Trento
Provincia autonoma
Ente pubblico
economico
Ente pubblico
economico
(Statuto deliberato
dall’Ente)
Ente pubblico
economico
(Statuto
predisposto dal
CdA e approvato
dalla Conferenza
degli Enti)
SpA 100%
pubblica
(Statuto deliberato
dai Comuni)
SpA 100%
pubblica
Regione
Azienda pubblica
non economica
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Autonomia
(creazione società, bilancio, investimenti, vendite)
l’ente è anche un “braccio” della Regione e degli altri enti
locali che possono avvalersene in chiave operativa,
mediante convenzioni ed è autonomo sotto l’aspetto
organizzativo, amministrativo e contabile
l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo,
amministrativo e contabile
l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo,
amministrativo e contabile
L’ente è definito ausiliario o strumentale della Regione
l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo,
amministrativo e contabile
l’ente è definito ausiliario o strumentale della Regione,
ma è autonomo sotto l’aspetto organizzativo,
amministrativo e contabile
l’ente è anche un “braccio” della Regione e degli altri enti
locali che possono avvalersene in chiave operativa,
mediante convenzioni;
L’ente è definito ausiliario o strumentale della Regione
l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo,
amministrativo e contabile
l’ente è anche un “braccio” della Regione e degli altri enti
locali che possono avvalersene in chiave operativa,
mediante convenzioni ed ha autonomia imprenditoriale;
l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo,
amministrativo e contabile
Proprietà degli alloggi: Comune
l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo,
amministrativo e contabile
Proprietà degli alloggi: Comune
l’ente non ha autonomia statutaria (statuto societario
adottato dalla Provincia)
Proprietà degli alloggi: provincia
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Tabella 3a. Organi gestionali
Tipo di organo
Regioni
amministratore unico
Basilicata, Liguria
consiglio di amministrazione
Abruzzo, Bolzano, Emilia Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Lombardia,
Marche, Piemonte, Sardegna, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto, Trento
direttore tra gli organi statutari
Abruzzo, Calabria, Lombardia, Valle d’Aosta, Veneto
Tabella 3b. Composizione CdA
Regione
ABRUZZO
EMILIA ROMAGNA
FRIULI VENEZIA
GIULIA
LAZIO
LOMBARDIA
PIEMONTE
TRENTO
BOLZANO
UMBRIA
VALLE D’AOSTA
VENETO
Composizione CdA
Regione e Comuni
Conferenza degli enti
Regione, Provincia e Comuni
Regione
Regione, Provincia e Comuni
Provincia
Provincia e Comuni, sindacati lavoratori, organizzazioni inquilini, professionisti, datori di lavoro,
esperti
Provincia e Comuni, sindacati lavoratori, imprenditori edili, esperti
Regione, Comuni, ANCI
Regione e Comuni
Regione, Provincia e Comuni
Tabella 3c. Confronto Amministratori/alloggi gestiti
7
7
n. amministratori
per
regione/provincia
autonoma
35
49
5
60
138.135
2.302
5
7
25
49
15.764
52.010
631
1.061
5
25
29.206
1.168
5
11
5
5
5
3
5
11
10
5
40
27
24.715
10.500
7.702
778
44.595
55.182
4.943
955
771
156
1.115
2.044
n.
amministratori
per ente
ABRUZZO
LAZIO
LOMBARDIA
MARCHE
PIEMONTE
FRIULI
VENEZIA GIULIA
SARDEGNA
TRENTINO Bolzano
UMBRIA
VALLE D’AOSTA
VENETO
EMILIA ROMAGNA
7/23
n. alloggi gestiti per
regione/provincia
autonoma
n. alloggi per
amministratore
18.256
92.936
522
1.897
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Tabella 4. Controlli Regionali
atti soggetti al controllo
tipo di controllo
ABRUZZO
i regolamenti e l’ordinamento degli uffici e del personale, il bilancio di
previsione e di esercizio
legittimità
BASILICATA
[1]
lo Statuto, i regolamenti e l'ordinamento degli uffici e del personale, il
bilancio di previsione ed il conto consuntivo
legittimità e di
merito
CALABRIA
lo Statuto, il Regolamento del personale e la pianta organica, il bilancio
previsionale ed il conto consuntivo
approvazione
LIGURIA
i bilanci pluriennali e annuali, gli assestamenti, le variazioni, i rendiconti
annuali, i piani pluriennali di attività, le piante organiche di avvio e il
regolamento di organizzazione
verifica della conformità alle
leggi statali e regionali e agli
indirizzi del Consiglio regionale
PIEMONTE
il programma di attività e di spesa annuale e pluriennale, il bilancio di
previsione e conto consuntivo, lo statuto, la dotazione organica del
personale, ogni disposizione regolamentare per cui la Regione
impartisca apposite istruzioni
verifica della rispondenza al
perseguimento degli obiettivi
statutari
SARDEGNA
i bilanci di previsione pluriennale ed annuale ed il conto consuntivo, i
regolamenti, i piani annuali e pluriennali di attività, le piante organiche,
gli incarichi di direzione
legittimità e merito
TRENTINO
Bolzano
i regolamenti, l'ordinamento degli uffici e la struttura dei servizi, il
bilancio di previsione e relative variazioni, il conto consuntivo, il
regolamento del personale e gli accordi di comparto con le relative
modifiche, le convenzioni tra l'IPES ed altri enti, l'assunzione di mutui
legittimità
UMBRIA
il bilancio preventivo e il conto consuntivo, le modifiche statutarie, i
regolamenti del personale e contabile
VALLE
D’AOSTA
il bilancio preventivo, gli assestamenti e le variazioni, il rendiconto, la
pianta organica e il regolamento di organizzazione, i piani e i programmi
d'intervento
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verifica della conformità alle
leggi statali e regionali e agli
indirizzi definiti dalla Regione
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3. Ambiti territoriali di organizzazione
La maggior parte delle Regioni, fino ad ora, ha mantenuto la struttura organizzativa originaria delle
competenze territoriali degli IACP provinciali, con alcune eccezioni comunali, storicamente
consolidate. Tuttavia, le riforme più recenti hanno iniziato a mettere in discussione questa struttura
ed a ragionare sull’ambito di intervento ottimale, giungendo in alcuni casi a due conclusioni opposte:
suddivisione in più entità degli enti più grandi: caso della riforma del Lazio che ha suddiviso in due lo
IACP di Roma accorpando i comuni della provincia (ad accezione di Civitavecchia, che rimane
autonomo) e scorporando l’ATER del Comune di Roma (che mantiene oltre 50.000 alloggi in
gestione)
accorpamento regionale o sub regionale degli enti provinciali (Sardegna e proposta Toscana)
Una pista di lavoro interessante per capire se la questione della dimensione ha rilevanza rispetto
all’efficienza è quella dell’analisi della soglia di economicità degli enti in base alla dimensione.
Un’indagine fatta in passato (negli anni 80) aveva individuato i risultati più efficaci negli Enti con
dimensione fra 5.000 e 10.000 alloggi gestiti, ma questa soglia può variare a seconda dei parametri
che si individuano per il confronto.
Sulla base dei dati rilevati al 2006 abbiamo tentato di analizzare gli Enti suddividendoli per classi
dimensionali in base al patrimonio gestito ed abbiamo effettuato il confronto sulla base dei seguenti
parametri:
- % di alloggi sfitti sul patrimonio in locazione
- % di morosità
- incidenza delle spese di personale sul totale delle spese degli Enti
- % di alloggi occupati abusivamente
Tutti parametri che nei valori più bassi attestano un maggior livello di efficienza (Grafico 1).
Grafico 1. Indici di efficienza degli Enti
< 5.000 alloggi
25%
20%
15%
media nazionale
10%
5.001-10.000 alloggi
5%
% alloggi sfitti
0%
% morosità
incidenza costo
personale
>20.000 alloggi
10.001-20.000 alloggi
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Il risultato ottenuto da un campione significativo di enti mostra un aumento dell’efficienza nelle
categorie più basse (> 5.000 e tra 5001 e 10.000 alloggi gestiti).
Bisogna però notare che alcuni di questi parametri (ad esempio la % di morosità e la quota di
occupanti abusivi) non dipendono solo dai comportamenti più o meno incisivi degli enti gestori, ma
sono influenzati da altri fattori, quali la forte pressione della domanda e la povertà degli utenti,
caratteristica delle aree metropolitane, in cui si collocano gli Enti di maggiori dimensioni.
Teniamo poi anche presente che nel campione non è inclusa l’AREA di Cagliari, derivante dalla
fusione degli IACP di tutta la Sardegna, a causa dell’assenza dei dati sul periodo successivo a tale
accorpamento.
Un altro parametro indagato è il numero degli alloggi gestiti procapite (tutto il personale e addetti
gestionali). Il risultato che figura nel grafico 2 dimostra anche in questo caso come i rapporti migliori
(maggior numero di alloggi gestiti per addetto) corrispondano con classe fra 5000 e 10000 alloggi e
come quindi al crescere della struttura non si siano realizzate significative economie di scala.
Grafico 2. Rapporto alloggi gestiti per addetto
180
160
140
120
100
80
60
40
20
-
rapporto alloggi/addetto
Rapporto alloggi /personale
amministrativo
< 5.000
alloggi
5.00110.000
alloggi
10.00120.000
alloggi
>20.000
media
alloggi nazionale
In conclusione di questo paragrafo possiamo affermare che la dimensione dell’Ente ha scarsa
influenza sul livello di efficienza gestionale ed economica, essendo questa molto più influenzata dai
fattori di contesto operativo, che possono vanificare le apparenti economie di scala derivanti da un
accorpamento.
Tali economie di scala sono invece perseguibili attraverso l’accorpamento di alcune funzioni di
servizio all’attività degli Enti, ponendosi l’obiettivo di razionalizzare e rendere più economica la
gestione, ma di mantenere anche vivo il legame politico con il territorio e gli enti locali, che si è
consolidato attraverso la competenza degli enti.
Ad esempio è possibile sicuramente ricercare una soglia di economicità e di efficienza accorpando la
gestione di alcuni servizi, come la bollettazione, gli stipendi, che possono avere un ambito ottimale
regionale, oppure la progettazione, le gestione degli appalti o di altri servizi tecnici che possano
raggruppare dei livelli sub-regionali (in particolare gli enti più piccoli) evitando le diseconomie dovute
alla ciclicità dei picchi di lavoro ed accrescendo la qualità delle strutture stesse attraverso la
costituzione di reti consortili di servizio.
Questi modelli organizzativi possono essere autonomamente decisi dagli Enti di una stessa Regione
e consentono la creazione di strutture (consortili o società di scopo) snelle ed efficaci, proprio perché
basate su un’adesione volontaria e non su una struttura rigida e decisa dall’altro.
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4. Statuto
Negli anni passati si è dibattuto lungamente sull’assetto statutario degli IACP, ritenendo che il
passaggio da Ente pubblico non economico ad Ente pubblico Economico avesse una funzione
positiva ai fini di un aumento di efficienza.
In realtà dopo anni di sperimentazione di vari modelli penso di poter affermare che, ai fini
dell’adempimento della missione, la forma statutaria scelta sia scarsamente influente. Esistono enti
non economici dotati di capacità imprenditoriali di livelli di autonomia superiori a quelli di molti enti
economici (vedi il caso del Piemonte).
La principale conseguenza della trasformazione in enti pubblici economici, per la maggior parte degli
enti, è il vincolo di pareggio di bilancio, che per essere conseguito comporta l’esigenza di un elevato
livello di autonomia e di un allargamento della missione a tipi di intervento con buoni livelli di
redditività in grado di compensare il deficit strutturale della gestione del patrimonio sociale. Se così
non è, il rischio che si corre è di costringere l’ente a scelte congiunturali non inquadrate in logiche di
programmazione globale (es. vendite massicce per ripianare il debito). Ma queste scelte non
risolvono il problema che nel breve periodo. Esaurita la prima ondata di vendite ci si ritrova con un
patrimonio frammentato di più difficile gestione e con un’utenza mediamente più povera e bisognosa
di assistenza, cioè il sistema si avvita in se stesso in una spirale perversa.
Se un dato positivo è possibile registrare a favore del modello “economico” è da ascrivere al
cambiamento di mentalità cui esso ha costretto la dirigenza, portando ad un aumento di
imprenditorialità e ad un allargamento delle competenze, con la ricerca di settori con margini di
redditività tali da compensare il deficit della missione sociale connessa all’ERP.
I vincoli, spesso pesanti, posti dalle Regioni all’ampliamento delle attività degli Enti entrano però in
contraddizione con l’imperativo del pareggio di bilancio e limitano quindi l’efficacia della gestione
(necessità di economie sulla manutenzione, impossibilità di investimenti ecc.).
Se guardiamo quanto accade negli altri paesi europei, ci rendiamo conto della peculiarità del sistema
italiano e delle sue contraddizioni. Dall’esame della giurisprudenza, innanzitutto ci si rende conto di
come la questione della forma statutaria degli Enti, nel diritto europeo, sia totalmente ininfluente, in
quanto l’organismo di diritto pubblico viene definito dalla sua missione e non vale ad attrarre l’Ente
verso il diritto privatistico la sua definizione come società di diritto privato (vedi sentenza della CDG
EU sulle Societés Anonymes francesi).
Gli attori dell'edilizia sociale come impresa sociale in Europa
Gli operatori dell'edilizia sociale in Europa rappresentano un segmento importante dell'economia
sociale. Nella varietà di forme di organizzazione che gli enti dell'edilizia sociale possono assumere,
cooperative, organismi no-profit e organismi semi-governativi. Alcune di queste organizzazioni
possono essere descritte in modo tradizionale 'pubblico', 'mercato' o 'società civile', ma molti
corrispondono invece a forme organizzative ibride, che non rientrano in queste definizioni. Questo
gruppo potrebbe essere definito come imprese sociali. Nonostante il fatto che il concetto di impresa
sociale nel contesto dell’edilizia sociale è stato poco definito, la definizione generale di impresa
sociale ben rappresenta i principi che possono essere trovati in molte organizzazioni dell'edilizia
sociale. Generalmente, le imprese sociali sono definite come organizzazioni guidate da una missione
sociale che si traduce nella produzione di beni o servizi per uno scopo sociale. In queste
organizzazioni, gli utili sono reinvestiti principalmente per lo scopo sociale. Altre definizioni comune
sottolineano che le imprese sociali sono create fra comunità locali che agiscono insieme per
provvedere servizi rispetto ai bisogni dalla popolazione locale, particolarmente dove il servizio non
può essere provvisto attraverso l'economia di mercato. Vediamo le missioni e attività degli operatori
dell'edilizia sociale, tenendo presente questa definizione generale di imprenditorialità sociale.
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Tipo e scopo di attività
Gli operatori dell'edilizia sociale sono in molti casi precursori con una solida esperienza nel conciliare
la domanda di efficienza, la responsabilità sociale e la sensibilità ambientale, e quindi possono
servire come modelli per altri settori.
Un’altra questione importante nei vari paesi europei è quella dell’eventuale utile derivato dagli Enti
gestori dell’edilizia sociale (ammesso anche dalle norme sulla compensazione dell’onere di servizio:
vedi sentenza Altmark e decisione CE del 29 novembre 2006 relativa all’esenzione dalla notifica
degli aiuti di Stato).
A questo proposito, in Austria e in Olanda si sta facendo strada il concetto di Ente con “limite al profit”
un utile limitato, da investire comunque nel miglioramento della missione sociale.
I paesi del sud Europa, compresa la Francia, restano invece attaccati ad un sistema dominato da
operatori pubblici, che si tenta di rendere più efficaci facendone evolvere gli statuti verso strutture di
carattere societario.
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5. L’alloggio sociale come Servizio di Interesse generale
Il Libro banco della Commissione sui SIG ha introdotto la problematica dei cosiddetti SIG Sociali,
riconoscendone la specificità, a partire proprio dai servizi sanitari e dall’alloggio sociale, e
confermando l’esigenza di maggior chiarezza sul loro status economico o meno4.
A più riprese anche il Parlamento europeo si è espresso sulla necessità di chiarire la distinzione fra
SIG e SIEG. Approvando il rapporto Rapkay (27-09-2006) i deputati hanno chiesto alla Commissione
di chiarire la distinzione tra SIG e SIEG, mettendo a punto criteri operativi che tengano conto delle
tradizioni nazionali degli Stati membri, in base alla natura dei beni collettivi e del finanziamento
pubblico o mediante meccanismi di solidarietà dei SIG. In proposito, peraltro, sottolineando che, per
molti SIG, la distinzione tra aspetti economici e non economici «è estremamente difficile a causa del
carattere dinamico di tali servizi e del loro rapido sviluppo». Riconoscendo poi che non è il caso di
escludere ampi settori dei SIG dalla portata delle norme sul mercato interno e la concorrenza nel
tentativo di definire i SIG stessi, rilevano anche che «una precisa definizione dei SIEG e dei SIG
sarebbe contraria alla libertà degli Stati membri di definire i loro SIG». Sempre nello stesso rapporto,
alla Commissione sono poi chiesti chiarimenti in merito alle conseguenze della giurisprudenza della
Corte di giustizia basata su un approccio settoriale nonché dell'applicazione a SIG e SIEG del diritto
della concorrenza, soprattutto per quanto riguarda il finanziamento di tali servizi. Rilevando poi che
«il livello europeo deve contribuire a non compromettere la capacità del livello comunale e regionale
di offrire tali servizi», il Parlamento ritiene che - nell'interesse delle autorità locali, regionali e
nazionali, delle imprese pubbliche e degli utenti di tali servizi - la Commissione dovrebbe fornire
chiarimenti giuridici, orientamenti e principi su alcuni temi problematici, includendo in particolare
l'applicazione delle norme in materia di mercato interno e concorrenza nel settore dei SIG e dei
SIEG.
Ancora il Parlamento europeo, nella Relazione di Joel Hasse Ferreira5, riconosce che, nonostante
tutta la giurisprudenza in merito, “si osserva una certa ambiguità concettuale in merito a determinate
definizioni fondamentali in materia, per esempio "servizio pubblico", "servizio di interesse generale",
"servizio di interesse economico generale", "servizio sociale di interesse generale" e che tale
ambiguità persiste anche in recenti atti comunitari e ciò concorre all'incertezza giuridica rilevata nel
settore”, e ne conclude che “considerando pertanto urgente e indispensabile disporre di un
chiarimento dei concetti in causa e del contesto giuridico in cui operano i SSIG, in particolare un
chiarimento del principio di interesse generale e delle norme in materia di concorrenza e di aiuti
pubblici, e considerando che i servizi sociali non possono in nessun caso essere ridotti a una
categoria marginale definita per la mancata equiparazione ai servizi commerciali o ai servizi di
interesse economico generale;” propone che, in virtù della loro specificità in termini di
organizzazione, finanziamento e compiti, debbano essere “ritenuti una categoria distinta di servizi a
pieno titolo, fondamentale per la società.”
Il Trattato di Lisbona (13 dicembre 2007) rafforza le nozioni già contenute nel Trattato costituzionale.
Se la redazione dell’art. 86.2 resta invariata, l'articolo 166 riprende le modifiche apportate dal Trattato
4
“Sebbene in linea di principio la definizione delle funzioni e degli obiettivi dei servizi sociali e sanitari sia di
competenza degli Stati membri, la normativa comunitaria può avere un impatto sui relativi mezzi di erogazione
e di finanziamento. Un chiaro riconoscimento della distinzione tra mezzi e funzioni dovrebbe contribuire a
creare maggiore chiarezza in relazione alla modernizzazione di tali servizi a fronte delle mutevoli esigenze dei
consumatori, preservando nel contempo la loro natura specifica caratterizzata da requisiti particolari, tra cui, ad
esempio, la solidarietà, il servizio volontario e l’inclusione delle categorie vulnerabili. Il chiarimento di questa
distinzione aiuterà in special modo gli Stati membri che utilizzano sistemi basati sul mercato nella fornitura di
servizi sociali e sanitari a prevedere l'eventuale impatto che la normativa UE avrà su di essi. La decisione degli
Stati membri di utilizzare tali sistemi o di erogare i servizi direttamente attraverso agenzie di Stato finanziate
dalle tasse rimarrà ovviamente una scelta di carattere politico”. Questo approccio ha prodotto la
“Comunicazione sui servizi sociali di interesse generale”.
5
Relazione del PE sui servizi sociali di interesse generale nell'Unione europea, 14-3-2007 (Finale
A6-0057/2007)
6
Articolo 14
(ex articolo 16 del TCE)
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costituzionale e invita gli organi legislatori a fornire, far eseguire e finanziare le missioni di interesse
generale nel rispetto delle disposizioni dei Trattati.
Particolarmente innovativo è il Protocollo aggiuntivo relativo ai servizi di interesse generale7.
Questo protocollo chiarisce una volta per tutte la piena discrezionalità degli Stati membri di creare e
organizzare sul proprio territorio i Servizi di Interesse generale.
Posizionamento dell’alloggio sociale: interesse economico generale o no?
Le disposizioni del Trattato in materia di concorrenza si applicano esclusivamente alle imprese e alle
attività economiche. Come abbiamo notato precedentemente, la Corte di Giustizia ne ha dedotto
che, schematicamente, i “regimi che perseguono uno scopo sociale e obbediscono al principio di
solidarietà” non sono considerati imprese. Il diritto della concorrenza non può quindi essere applicato
a questi regimi. Questo principio legittima ad esempio l’esistenza di monopoli in materia di raccolta
dei contributi del sistema generale di previdenza sociale.
Il problema è quindi quello di definire se l’attività di produzione e/o gestione di alloggi sociali ha un
carattere non economico, ossia un carattere sociale che obbedisce al principio di solidarietà
(inapplicabilità del diritto della concorrenza), oppure un carattere economico (applicabilità del diritto
della concorrenza). La questione deve essere considerata nel contesto del rafforzamento della
missione sociale degli operatori dell’Edilizia sociale e dello sviluppo di nuove attività di integrazione
sociale (supporto sociale, coordinamenti di quartiere, integrazione attraverso l’attività economica,
clausole sociali nei contratti, gestione urbana di zona, partecipazione degli abitanti...).
Risulta dalla giurisprudenza che ad eccezione dei settori già oggetto di regolamentazione settoriale,
gli stati membri dispongono di un ampio potere di scelta circa la natura dei servizi suscettibili di
essere qualificati come SIEG.8
La nozione di servizio di interesse economico generale ai sensi dell’art. 86 del Trattato implica che le
imprese siano state incaricate di una particolare missione attribuita dallo stato. A eccezione dei
settori di cui sopra i poteri pubblici hanno la responsabilità di fissare i criteri e le condizioni applicabili
alla prestazioni dei servizi, indipendentemente dallo statuto del prestatario9 e della questione della
Fatti salvi l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in
considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni
dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati
membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono
affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che
consentano loro di assolvere i propri compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante
regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta
salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali
servizi.
7
PROTOCOLLO (n. 26) SUI SERVIZI DI INTERESSE GENERALE
Articolo 1
I valori comuni dell'Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale ai sensi
dell'articolo 14 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea comprendono in particolare:
− il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire,
commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli
utenti;
− la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli
utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse;
− un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione
dell'accesso universale e dei diritti dell'utente.
Articolo 2
Le disposizioni dei trattati lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare
e ad organizzare servizi di interesse generale non economico.
8
Commissione Europea, Documento « Encadrement communautaire des aides d’état sous forme de
compensations de service public » DGCOMP/I1/D(2005)179
9
Si intende per impresa ogni entità che esercita una attività economica, indipendentemente dallo statuto e
dalle modalità di finanziamento. Per impresa pubblica si intende ogni impresa sulla quale il potere publico
possa esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante derivante dalla proprietà, dalla
partecipazione finanziaria o dalla regolamentazione, conformemente all’art. 2, par 1, punto b) della direttiva
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fornitura sulla base di libera concorrenza. Ne consegue che l’attribuzione di un servizio pubblico è
necessaria per definire gli obblighi delle imprese e dello Stato (per stato si intende sia lo stato
centrale che le collettività locali o regionali, a seconda dell’ordinamento nazionale).
La comunicazione della Commissione sui SSIG
La Comunicazione della Commissione sui SIG Sociali si pronuncia in modo abbastanza chiaro sulla
questione del SIEG o SIG, proprio in merito a una serie di servizi fra cui “gli alloggi popolari, che
permettono alle persone socialmente svantaggiate o meno avvantaggiate di avere un alloggio“. Essa
precisa infatti che: “Per quanto riguarda la libera prestazione di servizi e la libertà di stabilimento, la
Corte ha stabilito che le prestazioni fornite solitamente contro retribuzione debbano essere
considerate come attività economiche ai sensi del trattato. Il trattato non esige tuttavia che il servizio
venga pagato direttamente da coloro che ne beneficiano10. Ne consegue che la quasi totalità dei
servizi prestati nel settore sociale deve essere ritenuta «un’attività economica» conformemente agli
articoli 43 e 49 del trattato CE.”
Le attività che fanno riferimento ad un servizio di interesse economico generale in senso comunitario
possono usufruire dell’esenzione dalle norme di concorrenza prevista dall’articolo 86. Esse devono
soddisfare quattro requisiti :
1. atto di delega di un servizio pubblico,
2. obblighi connessi con la missione di interesse economico generale,
3. soddisfacimento dei criteri di necessità,
4. rispetto dell’interesse comunitario.
Tre principi accompagnano il concetto di servizio di interesse economico generale:
1. neutralità per quanto riguarda il regime della proprietà delle imprese,
2. libertà degli Stati Membri di definire i servizi di interesse economico generale,
3. proporzionalità delle sovvenzioni pubbliche ai servizi di interesse economico generale.
In questo caso, la Corte di Giustizia EU11 precisa che l’impresa che gestisce un servizio di interesse
economico generale può usufruire di diritti esclusivi se soddisfa i seguenti requisiti:
1. l’applicazione non è discriminatoria,
2. l’attività risponde a un motivo imperioso di interesse generale,
3. vi è la misura è adeguata a garantire lo scopo perseguito,
4. proporzionalità tra scopo da raggiungere e la misura stessa.
Il concetto di diritti esclusivi era così definito dalla direttiva appalti pubblici 92/50/CEE e 93/37/CEE:
“Diritti che risultano da un’autorizzazione concessa da un’autorità competente dello Stato Membro
interessato, con una qualsiasi norma legislativa, regolamentare o amministrativa, e il cui effetto è
quello di riservare ad una o più entità l’esercizio di un’attività”. Tale concetto è ribadito dall’art. della
nuova Direttiva 2004/18/CE.
Da queste norme si deduce che spetta agli Stati Membri definire i servizi di interesse economico
generale (è il caso, ad esempio, della Francia che ha qualificato le missioni degli organismi HLM
come servizi di interesse economico generale), ma che la definizione dei diritti esclusivi deve
rispettare il principio della proporzionalità e che la loro concessione iniziale non deve sfuggire alle
norme di concorrenza (in particolare la parità di trattamento).
L'attività dell’alloggio sociale è riferita ad un servizio universale delegato all’operatore?
Il concetto di servizio universale è stato sviluppato recentemente dalle istituzioni comunitarie
nell’ambito del processo di liberalizzazione dei servizi pubblici (telecomunicazioni, elettricità, gas,
trasporti ferroviari, poste...). Questo concetto definisce una serie di requisiti di interesse generale ai
quali dovrebbero sottostare, in tutto il territorio dell’Unione, le attività in oggetto in modo da garantire
una parità di accesso a questi servizi di base. Diversamente dai servizi di interesse economico
80/723/CEE della Commissione relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli stati membri e le
società pubbliche
10
Causa C-352/85, Bond van Adverteerders.
11
Sentenza Altmark
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generale, le missioni che fanno riferimento ad un servizio universale vengono definite a livello
comunitario attraverso direttive settoriali che si applicano agli Stati Membri. Servizi universali sono
stati definiti, ad esempio, telecomunicazioni e di servizi postali, con la designazione di operatori
incaricati dei servizi stessi e con l’indicazione dei meccanismi di finanziamento degli obblighi relativi
al servizio universale (contributo ad esempio degli operatori del mercato al finanziamento del servizio
universale).
In caso di applicazione al settore dell’edilizia residenziale, ciò significherebbe definire a livello
comunitario un servizio universale di edilizia abitativa (un diritto alla casa), indicando gli operatori
incaricati a titolo esclusivo del servizio e i sistemi di finanziamento del diritto alla casa (contributo
degli operatori del mercato). Dato che non esiste una competenza europea in questa materia, questa
ipotesi è poco verosimile in quanto presuppone l’adozione di una direttiva settoriale in materia di
edilizia residenziale e di diritto alla casa.
L'attività è riferita ad un servizio di pubblica utilità concesso ad un terzo (regime delle
concessioni di servizi)?
La Commissione ha pubblicato nell’aprile 2000 una prima comunicazione interpretativa sulle
concessioni nel diritto comunitario2. Lo scopo principale di tale comunicazione era quello di chiarire lo
stato del diritto comunitario delle concessioni in un contesto di sviluppo della partnership pubblicoprivato, in particolare nel campo delle grandi infrastrutture di trasporto. Con il termine concessioni, la
Commissione intende “tutti gli atti statali con i quali un’autorità pubblica affida ad un terzo, che si tratti
di un atto contrattuale o unilaterale (...), la gestione totale o parziale di servizi che ricadono in genere
sotto la sua responsabilità e per i quali il terzo si assume la parte essenziale del rischio di esercizio”.
Secondo la Commissione, in assenza di una specifica direttiva, a queste concessioni devono essere
applicati i principi del Trattato Europeo, con particolare riferimento a:
1. la parità di trattamento e la non discriminazione tra operatori,
2. la trasparenza dei mercati,
3. la libera prestazione di servizi,
4. la proporzionalità,
5. e il reciproco riconoscimento all’interno dell’Unione Europea.
Pur non creando un diritto positivo, questa comunicazione interpretativa rappresenta la linea di
condotta che la Commissione intende difendere in qualsiasi contenzioso sottoposto all’arbitrato della
Corte di Giustizia.
La direttiva Servizi
La Direttiva servizi esclude espressamente dal campo di applicazione l’edilizia sociale. Tuttavia
alcuni passaggi contenuti nei considerando e nell’articolato aiutano a fare un passo avanti nella
definizione dello status di SIG o SIEG della stessa.
Infatti, escludendo sia i SIEG tout court che una serie di servizi a carattere sociale dall’applicazione,
la Direttiva fissa alcuni principi che entrano dunque nel diritto positivo.
Citiamo di seguito i passaggi più significativi.
Il decimo considerando motiva l’esclusione dei Servizi sociali:
“(10) La presente direttiva non concerne i requisiti che disciplinano l’accesso ai finanziamenti pubblici
per taluni prestatori. Tali requisiti comprendono in particolare quelli che stabiliscono le condizioni in
base alle quali i prestatori hanno diritto a beneficiare di finanziamenti pubblici, comprese specifiche
condizioni contrattuali, e in particolare le norme di qualità che vanno osservate per poter beneficiare
dei finanziamenti pubblici, ad esempio per quanto riguarda i servizi sociali12.”
12
Introdotto dal Parlamento nella propria relazione che approva il testo della Commissione.
“(13) La presente direttiva non concerne i requisiti che disciplinano l'accesso ai finanziamenti pubblici per
taluni prestatori di servizi. Tali requisiti comprendono in particolare quelli che stabiliscono le condizioni alle quali
i prestatori di servizi hanno diritto a beneficiare di finanziamenti pubblici, comprese specifiche condizioni
contrattuali, e in particolare le norme di qualità che vanno osservate per poter beneficiare dei finanziamenti
pubblici, ad esempio per quanto riguarda i servizi sociali.”
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Il 17mo considerando riguarda i servizi non economici, esclusi in quanto tali dall’ambito di
applicazione. Fra questi non è citata l’edilizia sociale.
“(17) La presente direttiva si applica soltanto ai servizi che sono prestati dietro corrispettivo
economico. I servizi d’interesse generale non rientrano nella definizione di cui all’articolo 5013 del
trattato e sono pertanto esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva. I servizi
d’interesse economico generale sono servizi che, essendo prestati dietro corrispettivo economico,
rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva. Tuttavia, alcuni servizi d’interesse
economico generale, per esempio quelli che possono esistere nel settore dei trasporti, sono esclusi
dall’ambito di applicazione della presente direttiva, mentre altri servizi d’interesse economico
generale, per esempio quelli che possono esistere nel settore postale, sono oggetto di una deroga
alla disposizione sulla libera prestazione di servizi stabilita nella presente direttiva. La presente
direttiva non riguarda il finanziamento dei servizi d’interesse economico generale e non si applica
alle sovvenzioni concesse dagli Stati membri, in particolare nel settore sociale, in conformità delle
norme comunitarie sulla concorrenza. La presente direttiva non si occupa del follow-up del Libro
bianco della Commissione sui servizi d’interesse generale.”
L’alloggio sociale infatti gode di una deroga specifica, che riguarda sia il caso in cui si tratti di attività
non economica (servizio fornito da associazioni caritative) che di attività economica (prestatori
incaricati dallo Stato).
“(27) La presente direttiva non dovrebbe applicarsi ai servizi sociali nel settore degli alloggi,
dell’assistenza all’infanzia e del sostegno alle famiglie e alle persone bisognose, forniti dallo Stato a
livello nazionale, regionale o locale, da prestatori incaricati dallo Stato o da associazioni caritative
riconosciute come tali dallo Stato per sostenere persone che si trovano in condizione di particolare
bisogno a titolo permanente o temporaneo, perché hanno un reddito familiare insufficiente, o sono
totalmente o parzialmente dipendenti e rischiano di essere emarginate. È opportuno che la presente
direttiva non incida su tali servizi in quanto essi sono essenziali per garantire i diritti fondamentali alla
dignità e all’integrità umana e costituiscono una manifestazione dei principi di coesione e solidarietà
sociale.
(28) La presente direttiva non riguarda il finanziamento dei servizi sociali, né il sistema di aiuti ad
esso collegato. Essa non incide sui criteri o le condizioni stabiliti dagli Stati membri per assicurare
che tali servizi sociali effettivamente giovino all’interesse pubblico e alla coesione sociale. Inoltre la
presente direttiva non dovrebbe incidere sul principio del servizio universale nell’ambito dei servizi
sociali degli Stati membri.”
Lo stesso concetto è ribadito dall’articolato, che tratta separatamente le casistiche dei SIG non
economici e quelle dei servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari.
“Articolo 2 Campo di applicazione
1. La presente direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro.
2. La presente direttiva non si applica alle attività seguenti:
a)
i servizi non economici d’interesse generale;
j)
i servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari, l’assistenza all’infanzia e il sostegno alle
famiglie ed alle persone temporaneamente o permanentemente in stato di bisogno, forniti dallo
Stato, da prestatori incaricati dallo Stato o da associazioni caritative riconosciute come tali dallo
Stato;”
La situazione in Italia
In conclusione di questo capitolo possiamo affermare che l’alloggio sociale è normalmente
considerato servizio economico, fatta eccezione per le attività svolte a titolo caritativo e senza
alcun corrispettivo. La sua specificità è riconosciuta sia dalla Direttiva Servizi che dalla
Comunicazione sui SIG sociali che infine dalla Decisione del novembre 2005 in materia di esenzione
dagli aiuti di stato.
13
Articolo 50
Ai sensi del presente trattato, sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro
retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei
capitali e delle persone. [omissis]
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Tale conclusione, tradotta nella situazione italiana porta alla conclusione che tutta l’attività di
costruzione e gestione degli alloggi sociali da parte degli ex IACP trasformati in enti pubblici
economici e degli IACP o aziende non economici, e delle cooperative sia attività economica, se pure
soggetta a tariffe (i canoni) definite dall’ente che delega la gestione del servizio (Regione o Comune).
L’equilibrio della gestione deve essere assicurato vuoi attraverso la determinazione di una tariffa
“media” che assicuri il rientro delle spese effettivamente sostenute, vuoi, in caso di impossibilità,
attraverso uno dei meccanismi di compensazione ammessi dalla decisione della Commissione (che
li desume dalla sentenza Altmark) Può invece non essere considerata attività economica quella del
Comune che gestisca direttamente il proprio patrimonio di alloggi sociali (assenza di delega).
D’altra parte le stesse leggi di riforma, che in quasi tutta Italia hanno trasformato gli IACP in Enti
pubblici economici sono testimonianza dell’approccio delle Regioni che stanno riconoscendo
l’esigenza di un pareggio di bilancio interno all’attività. Anche laddove gli Enti non sono stati riformati,
in ogni caso, la logica economica è alla base dell’attività: infatti non esistono meccanismi per il
ripiano dei bilanci in deficit, se non la possibilità di vendere parte del patrimonio destinando al ripiano
una quota dei proventi. Meccanismo che però rischia di portare ad un eccessivo depauperamento
dello stock sociale e a cui quindi occorre trovare alternative, se non nella compensazione diretta da
parte della Regione (difficilmente praticabile per problemi di bilancio), attraverso meccanismi
perequativi nell’ambito di una diversificazione dell’attività e/o la devoluzione di una quota del fondo di
cui all’art. 11 della legge 431 direttamente agli enti gestori, a conguaglio dei canoni più bassi.
Sicuramente non è sostenibile, in nome di una presunta “non economicità” del servizio, un
meccanismo quale quello attuale che penalizza gli enti che svolgono maggiormente la loro funzione
sociale, alloggiando una quota più alta di persone a basso reddito (in quanto i canoni sono
proporzionali al reddito dell’utente), privandoli delle risorse necessarie per far fronte a situazioni
sociali particolarmente critiche.
La definizione di alloggio sociale
Dopo la decisione della Commissione Europea di cui abbiamo detto sopra, lo Stato italiano si è posto
il problema di dare una definizione giuridica dell’alloggio sociale che consentisse di evitare l’onere di
notifica degli aiuti concessi sia dallo Stato che da Regioni ed Enti locali al settore.
Ciò è stato fatto con una serie di provvedimenti, alcuni dei quali anche parzialmente sovrapposti e in
contraddizione.
Il documento fondamentale è il DM del 22 aprile 2008, derivante dalla delega espressa con la legge
9/2007, che aveva incaricato il Ministero delle Infrastrutture di tale adempimento.
Secondo tale decreto l'alloggio sociale è fondamentalmente una casa data in locazione
permanente. La funzione che svolge l'"alloggio sociale" è di interesse generale nella salvaguardia
della coesione sociale, per ridurre il disagio abitativo di persone e famiglie in condizione
svantaggiata, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato.
Rientrano anche nella definizione di alloggio sociale, quegli alloggi realizzati o recuperati da operatori
pubblici e privati con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali,
assegnazione di aree o immobili, fondi di granzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla
locazione temporanea per almeno otto anni e anche alla proprietà.
L'alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard
urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi sulla base di
modalità stabilite dalle norme regionali.
Spetta alle regioni - di concerto con le Anci regionali - definire i requisiti per l'accesso e la
permanenza nell'alloggio sociale e il canone di locazione. Quest'ultimo deve tener conto delle
capacità economiche, della composizione del nucleo familiare e delle caratteristiche dell'alloggio.
L'alloggio sociale deve essere adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle
caratteristiche tecnico-costruttive indicate negli articoli 16 e 43 della legge 457/1978 (norme per
l'edilizia residenziale). Gli alloggi sociali dati in locazione sono considerati adeguati se hanno un
numero di vani abitabili tendenzialmente non inferiore ai componenti del nucleo familiare - e
comunque non superiore a cinque - oltre ai vani accessori quali bagno e cucina.
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L'alloggio sociale, infine, deve essere costruito secondo principi di sostenibilità ambientale e di
risparmio energetico, utilizzando, ove possibile, fonti energetiche alternative.
Questa la definizione “base”. Su di essa si sono poi innestate altre definizioni parziali, tendenti a
ricondurre nell’ambito della definizione alcune tipologie di aiuti, in particolare quelle previste dal
Piano Casa di cui all’art. 11 del DL 112/2008. Il comma 7 recita infatti: “Ai fini della realizzazione degli
interventi di cui al comma 3, lettera e) l'alloggio sociale, in quanto servizio economico generale, e'
identificato, ai fini dell'esenzione dall'obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli articoli 87 e
88 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, come parte essenziale e integrante della più
complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo
finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie”. Con questo gli interventi agevolativi relativi agli
interventi di edilizia sociale compresi nella “realizzazione di programmi integrati di promozione di
edilizia residenziale anche sociale” vengono attratti nell’ambito della esenzione da notifica.
Un’ulteriore definizione è stata data dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 che introduce il concetto di
«residenze d’interesse generale destinate alla locazione», allargando il concetto di alloggio sociale
praticamente a tutto il patrimonio in affitto sito nelle aree a forte tensione abitativa14.
Tale definizione è poi ripresa dal DM 2259/2008 del Ministero delle Infrastrutture, che emanava il
Bando per gli interventi di “Riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile”.
Tale bando riconduce alla definizione di Alloggio sociale anche questa tipologia di intervento che
comprende : “2. I programmi prevedono il recupero o la realizzazione di alloggi di edilizia
residenziale sociale mediante iniziative attivate sia da operatori pubblici (comuni ed ex Iacp
comunque denominati) che da operatori privati (imprese, cooperative, fondazioni, ecc.) da destinare
sia alle fasce sociali in possesso dei requisiti per l’accesso al sistema dell’edilizia residenziale
pubblica che a categorie di cittadini che superano i limiti di accesso all’edilizia residenziale pubblica
ma che si trovano comunque in condizioni di disagio abitativo destinando, a tal fine, una quota non
inferiore al 50 per cento del costo complessivo di ciascuna proposta.
3. I programmi di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile contribuiscono,
all’incremento della dotazione infrastrutturale dei quartieri degradati mediante la realizzazione di
urbanizzazioni secondarie a servizio delle unità abitative da realizzare o recuperare.
4. Gli alloggi realizzati o recuperati da operatori privati andranno comunque locati a canone
agevolato, che dovrà risultare non superiore al 70% del canone concordato calcolato ai sensi
dell’articolo 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 e comunque non inferiore al canone di
edilizia pubblica vigente in ciascuna regione e provincia autonoma, per una durata non inferiore a 25
anni ai sensi dell’articolo 2, comma 285, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”.
Recentemente alcune Regioni hanno avviato una riflessione autonoma sull’argomento della
definizione di Alloggio sociale, come ad esempio ha fatto la Regione Lombardia15.
Se questo tipo di iniziative è auspicabile per adattare la definizione generale alle esigenze locali,
questo fatto rischia però di creare nel territorio nazionale situazioni di sperequazione fra i cittadini
delle diverse Regioni, che acuiscono quelle già esistenti, come la presenza di livelli di reddito per
l’accesso all’ERP molto differenti da Regione a Regione e i diversi concetti del diritto alla Casa
riconosciuti dagli Statuti regionali.
14
legge 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2:
“285. Al fine di incrementare il patrimonio immobiliare destinato alla locazione di edilizia abitativa a canone
sostenibile, si considerano «residenze d’interesse generale destinate alla locazione» i fabbricati situati nei
comuni ad alta tensione abitativa di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551, convertito,
con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61, composti da case di abitazione non di lusso sulle quali
grava un vincolo di locazione ad uso abitativo per un periodo non inferiore a 25 anni.
286. Le residenze di cui al comma 285 costituiscono servizio economico di interesse generale, ai fini
dell’applicazione dell’articolo 86, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunita` europea, e sono ricomprese
nella definizione di alloggio sociale di cui all’articolo 5 della legge 8 febbraio 2007, n. 9”.
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Legge Regionale Regione Lombardia, 13 luglio 2007, N. n. 14, Innovazioni del sistema regionale dell'edilizia
residenziale pubblica: disciplina dei servizi abitativi a canone convenzionato
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6. Altri punti critici
Rapporto con i comuni e proprietà del patrimonio, unitarietà di gestione del
patrimonio pubblico
Le due riforme Toscana (1998) e Emilia-Romagna (2001) sono nate in un’epoca in cui il dibattito
europeo e nazionale sulla liberalizzazione dei SIEG aveva individuato la soluzione della separazione
fra proprietà delle reti e gestione del servizio come condizione per un’apertura alla concorrenza.
Si è vista così l’ERP come possibile settore cui applicare le stesse regole studiate per la
liberalizzazione dei servizi di energia e di trasporto su ferro, senza rendersi conto delle diverse
caratteristiche del servizio casa. Questo servizio è infatti un tipico servizio locale, che comporta
quindi di per sé una riduzione della concorrenza ad ambiti regionali e locali, da una parte, e dall’altra
è un servizio caratterizzato da una tale sproporzione fra domanda ed offerta che di per sé
consentirebbe di sviluppare una concorrenza fra operatori, se si realizzassero le condizioni per
renderlo economicamente sostenibile per altri che non siano gli operatori pubblici.
Separare proprietà e gestione significa invece indebolire il livello di responsabilizzazione sulle scelte
di valorizzazione e programmazione a lungo termine della manutenzione da parte degli enti gestori.
Bisogna dire che la posizione dell’Italia era e rimane isolata nel panorama europeo, in cui la
questione della separazione fra proprietà del patrimonio e gestione non è mai stata all’ordine del
giorno di nessun paese!
Oggi alcune condizioni al contorno sono cambiate, in particolare a livello europeo il concetto di SIEG
si è evoluto, con l’introduzione dei concetti di Servizio Universale e SIG sociale (fra cui l’Alloggio
Sociale), mentre sul fronte della Concorrenza, la Commissione sta stringendo in ambiti sempre più
delimitati il concetto di “in house”, mettendo in crisi le soluzioni basate sulla creazione di strutture
strumentali per la gestione. (Vedi i recenti pronunciamenti della CdGE)
La separazione della gestione dalla proprietà degli enti ha comportato in ogni caso la scelta fra due
opzioni: dare all’ente la mera funzione di braccio operativo dei comuni per la gestione del patrimonio,
limitandone estremamente la possibilità di iniziativa autonoma, e vietando ogni previsione di
cessione delle quote societarie anche parziale al privato (la riforma Toscana prevede invece una
futura possibilità di cessione, che però farebbe cadere il rapporto “in house”); oppure dare all’ente
piena autonomia operativa e quindi accettare la messa in concorrenza per l’aggiudicazione del
servizio di gestione degli immobili di proprietà del Comune o per l’effettuazione delle attività di
progettazione e costruzione per conto dei Comuni.
Entrambe queste scelte hanno alcune conseguenze negative da sottolineare.
La prima consiste nello snaturamento del ruolo degli enti, spinti a ricercare le proprie convenienze (ai
fini dell’equilibrio di bilancio) in attività estranee alla mission principale, che non è più certa come
prospettiva di attività e quindi porta a:
Spostamento del core business sull’affitto intermedio (questione in sé assolutamente non negativa,
se fa parte di una scelta politica, ma limitativa se disgiunta da una logica di gestione integrata del
patrimonio pubblico, che consente anche di gestire meccanismi di mobilità al suo interno che
seguano l’evoluzione sociale delle famiglie);
Rischio di messa in concorrenza del servizio di gestione, e quindi perdita della sicurezza di continuità
della missione principale che l’ente è chiamato a svolgere;
Rischio di ripercussioni negative sull’utenza (aumento dei canoni) a causa della messa in
concorrenza (solo un ente pubblico può accettare condizioni non economicamente equilibrate, e solo
a condizione che possa ritrovare altrove, in attività affini o complementari, le risorse per l’equilibrio), o
rischio di aumento del carico delle spese per manutenzione del patrimonio sui bilanci comunali;
Disinteresse del gestore rispetto alle scelte a lungo termine di valorizzazione del patrimonio. Non è
un caso se il patrimonio comunale affidato a gestione privata è normalmente più deteriorato rispetto
a quello degli Istituti: il privato trova la sua convenienza negli interventi di manutenzione straordinaria
(che sono normalmente pagati a piè di lista) e quindi trascura la manutenzione ordinaria pagata a
forfait.
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Se è sicuramente condivisibile l’obiettivo comune delle due riforme citate di ridare protagonismo ai
comuni, bisogna capire come questo protagonismo possa affermarsi anche in altri modi.
Nel caso della Francia (OPAC, OPHLM) : il controllo e la coerenza di strategie fra comune ed ente
che costruisce e gestisce il patrimonio è assicurato dalla presenza del Sindaco o dell’Assessore a
capo dell’ente.
Nel caso della Spagna (aziende comunali, provinciali o regionali): anche in questo caso il rapporto di
collaborazione è assicurato con la coincidenza delle persone a capo degli enti con gli amministratori
dell’ente proprietario.
Nei casi di Svezia e Germania i comuni hanno costituito società per assicurare la presenza sul
mercato di uno stock sotto controllo pubblico. Ma, mentre la Svezia difende il ruolo delle proprie
società pubbliche e non intende rinunciarvi come elemento di controllo e regolazione del mercato,
merita qualche riflessione al situazione della Germania, dove le società comunali detengono un
patrimonio che, così come parte del patrimonio privato, è sottoposto ad un regime di convenzione
venticinquennale, al termine del quale la convenzione dovrà essere rinnovata. A causa delle
ristrettezza del bilancio comunale alcune città stanno vendendo a immobiliari straniere le proprie
società. Nel caso di Friburgo la popolazione preoccupata per le ripercussioni di questo processo di
privatizzazione è riuscita a bloccare la vendita della SpA comunale.
In controtendenza in Olanda e Inghilterra, dove la gestione diretta da parte dei comuni del patrimonio
di edilizia sociale è stata sostituita da enti privati senza scopo di lucro (Corporatie e Housing
Associations), cui è devoluto il patrimonio ed a cui il comune delega le funzioni di sviluppo degli
alloggi sociali. Si opera così una distinzione fra il ruolo dell’Ente locale di indirizzi di politica e
sviluppo del territorio e quello di costruzione e gestione dell’Alloggio Sociale.
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7. Conclusioni
Quali nuove missioni nell’ambito del piano casa?
Il Piano casa promosso dal Governo con il DL 112/2008 innova radicalmente l’approccio alla
questione dell’alloggio sociale, ricollocandola come uno degli elementi di un più ampio piano di
rilancio dell’edilizia abitativa a fronte di una esplosione della domanda che ripropone i temi
dell’espansione tipici del dopoguerra.
Molte delle problematiche poste da questo Piano e dal DPCM attuativo, di cui si attende
l’emanazione, dopo l’accordo sottoscritto fra Stato e Regioni sono ancora da approfondire e non
sono certo oggetto di questa relazione. E’ utile però sottolineare alcune delle opportunità proposte
dal piano alle aziende pubbliche perché fanno parte dell’evoluzione della missione con cui abbiamo
aperto il nostro ragionamento.
Promotori di sviluppo locale e trasformazione urbana
L’aspetto più importante da sottolineare è che il nodo dell’attuazione del piano sta nel portare a
regime l’approccio integrato che ha caratterizzato la programmazione degli interventi più interessanti
dell’ultimo periodo.
E’ proprio in questo approccio integrato che pare possibile cogliere delle opportunità per valorizzare il
ruolo delle agenzie della casa come braccio operativo del Comune e come motore di sviluppo e di
riqualificazione dei quartieri periferici monofunzionali.
Le aziende che sapranno proporsi ai Comuni con progetti di valorizzazione che partono dal
patrimonio pubblico (da trasformare, dotare di servizi e modificare nelle funzioni, anche, se del caso,
con interventi di demolizione e ricostruzione) potranno attrarre nel quartiere investimenti privati e
guidare il processo di riqualificazione.
Su un progetto di trasformazione che parte dalla proprietà pubblica (ex Iacp e comune), dall’utilizzo
per funzioni di servizio anche abitativo delle aree a standard è possibile costruire dei partenariati
locali che consentano di creare quel mix di abitanti e di funzioni capace di togliere i quartieri
dall’isolamento e dal degrado.
Agenzie per l’affitto
La carenza di alloggi in affitto rimane comunque uno dei nodi della questione casa nelle grandi città.
La promozione di agenzie pubbliche per l’affitto fra Comune, Azienda casa, Fondazioni, operatori
privati si sta rivelando uno strumento utile a mobilitare il mercato privato attraverso le garanzie che il
pubblico può offrire. Per gli ex Iacp questa è un’opportunità di allargamento del proprio ruolo a un
settore non convenzionale, ma sicuramente coerente con la mission sociale, che non può limitarsi
agli assegnatari dell’ERP, ma deve offrire soluzioni anche per coloro che non possono accedervi
(immigrati, giovani ecc.).
Fondi immobiliari
La questione dei fondi immobiliari che il Piano casa pone al centro del programma è ancora tutta da
esplorare per quanto riguarda la convenienza delle aziende casa a parteciparvi con conferimenti. Al
di là di questo rimangono però dei ruoli che possono valorizzare le capacità delle aziende: sia nella
gestione dei Fondi (vedi l’iniziativa della Regione Veneto), che nell’opportunità di essere uno dei
soggetti promotori degli interventi e sicuramente uno dei soggetti gestori del costruito.
In questo ruolo occorrerà mirare ad ottenere la gestione complessiva del patrimonio in locazione, al
fine di assicurare l’unitarietà di trattamento e di poter mettere in atto le misure di accompagnamento
sociale che dovranno garantire il funzionamento del mix sociale.
Casa e nuovi modelli di welfare
L’interesse generale sottomette tutti gli operatori a un obbligo di risultato, operatori privati e
proprietari singoli non sono detentori di un bene di consumo normale; essi detengono dei beni il cui
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uso è sottoposto all’interesse generale in contropartita degli aiuti pubblici eventualmente necessari
alla produzione, la manutenzione o la gestione dei beni.
Questa evoluzione, sia del diritto che della società, modifica una concezione tradizionale delle
politiche della casa troppo legata allo status del patrimonio.
Il fatto che la casa contribuisca all’interesse generale induce forse ad aumentare i costi dell’aiuto
pubblico concesso alla casa, ma, in contropartita, dovrebbe indurre le Amministrazioni a
contabilizzare le economie della coesione sociale, dunque a dedurre le spese che, senza l’aiuto alla
casa, non farebbero che crescere (alloggi d’emergenza, servizi di supporto per l’infanzia e per gli
anziani, costi della sanità, delinquenza, difficoltà di reinserimento nell’impiego, deriva dei quartieri di
abitazione sociale, fratture sociali e territoriali...).
D’altra parte, l’emergenza della problematica del diritto alla casa come componente dei processi di
coesione sociale e territoriale dell’Unione europea e l’evoluzione della natura del fabbisogno di casa
hanno portato a desettorializzare l’intervento pubblico. Ciò rinvia:
- all’evoluzione dello stesso concetto di abitazione sociale, dove sociale non designa più dei gruppi
socialmente sostenuti ed alloggiati in un parco abitativo specifico al di fuori del mercato, ma tende a
designare una nuova funzione sociale, che comprende un insieme coordinato di prestazioni
organizzate attorno alla casa come è il caso del concetto anglosassone di Housing Plus;
- il riutilizzo degli alloggi vuoti, quale che sia il loro statuto, pubblico, o privato, inserendoli in sistemi di
convenzionamento a vocazione sociale flessibile, evolutiva in funzione degli occupanti;
- l’adattabilità nel tempo degli alloggi, sociali o privati; adattabilità fisica, ma anche dello status, degli
affitti, affinché seguano l’evoluzione delle condizioni di vita e dei livelli di reddito degli occupanti.
I sistemi di convenzionamento consentono di attribuire il parco privato o sociale secondo dei criteri
definiti dalla collettività in contropartita di un indennizzo monetario. Questi vincoli si avvicinano a degli
obblighi di servizio pubblico assicurati dai proprietari (sia pubblici che privati) e compensati da
meccanismi di aiuto pubblico.
Per finire, ci limitiamo a due annotazioni:
1. in primo luogo, non siamo che all’inizio di un processo di presa di coscienza del fatto che l’alloggio
è un servizio di interesse generale, sia da un punto di vista concettuale, che storicamente.
2. In secondo luogo, questo fatto deve indurci a ripensare l’operato delle organizzazioni locali della
casa, il loro modello organizzativo, i loro modi di governo, le loro relazioni con gli abitanti. Nel
concetto di servizi di interesse generale c’è quello di servizio, di qualità del servizio, di continuità del
servizio, di valutazione. E’ uno degli impegni principali coi quali le imprese locali della casa devono
confrontarsi in contesti spesso difficili, caratterizzati da una esclusione sociale e territoriale. Ma per
far questo occorrono le risorse ed occorre rendere “sano” il rapporto, svincolandolo dalle logiche
assistenziali che hanno portato alla disaffezione da parte degli abitanti ed alimentato un circuito
perverso di morosità contro scarsi servizi e viceversa da cui è difficile uscire.
La logica economica invece può servire a far emergere il costo reale del servizio in rapporto alla sua
qualità ed è la base per l’attivazione di meccanismi di controllo dal basso.
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