Edilizia sociale. Evoluzione delle missioni
Transcript
Edilizia sociale. Evoluzione delle missioni
Edilizia sociale. Evoluzione delle missioni Anna Maria Pozzo, Federcasa Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Edilizia sociale. Evoluzione delle missioni Anna Maria Pozzo, Federcasa Scopo di questa relazione è fornire un quadro delle trasformazioni delle “agenzie pubbliche della casa” alla luce dell’evoluzione delle missioni, da una parte, e delle riforme regionali dall’altra, nel quadro della normativa europea sui servizi di Interesse Generale. 1. La Missione I cambiamenti demografici, sociali ed economici del nostro paese hanno comportato l’evoluzione della cosiddetta “missione” degli Enti di gestione dell’edilizia sociale, che si andata adeguando alle nuove esigenze. Si tratta di cambiamenti che non hanno certo rivoluzionato la missione degli ex IACP, ma hanno acuito alcune delle contraddizioni già esistenti fin dalle origini di questi enti. Già gli IACP erano nati con una duplice missione: costruire alloggi a basso costo, per rispondere al bisogno di mano d’opera che dalle campagne e dal sud dell’Italia si spostava verso le città, e gestirli al meglio, gestendo insieme agli edifici le problematiche sociali delle persone che i comuni individuavano come destinatari. Nel passato hanno svolto questa missione spesso proponendo tipologie abitative e tecnologie innovative e sperimentali, che hanno contribuito negli anni alla crescita del settore. In questo senso potremmo dire che nulla è cambiato. In realtà molto è cambiato perché è cambiata la nostra società. I temi della sicurezza che agitano il dibattito politico altro non sono se non il risultato di questa evoluzione che ha visto nello stesso tempo indebolirsi l ruolo della famiglia (famiglie sempre più fragili e “precarie”), crescere il numero degli anziani soli e le città popolarsi di nuovi soggetti con usi diversi. Anche le città sono cambiate di conseguenza: gli spazi pubblici hanno assunto nuovi colori, nuovi modelli di frequentazione, le aree interstiziali e residuali sono divenute sempre più inquietanti in quanto concentrazioni di nuove marginalità. I quartieri che maggiormente hanno risentito di questi cambiamenti sono proprio i quartieri periferici dell’edilizia popolare. Quindi il compito dei gestori sociali oggi deve arricchirsi di nuove competenze che comprendono quelle di sostegno e mediazione sociale per evitare la formazione di nuovi e più gravi fenomeni di segregazione e di tensione sul territorio. Un’altra evoluzione importante riguarda la questione della sostenibilità ambientale, che, per l’alloggio sociale, è anche presupposto per una migliore sostenibilità economica delle case che vengono offerte alle persone a basso reddito. L’esigenza di sviluppare il potenziale di risparmio (di energia, di emissioni inquinanti ed economico) insito nel patrimonio di edilizia sociale ha spinto molti enti a creare modelli organizzativi (interni o attraverso società di scopo) che consentono di diventare anche erogatori di servizi energetici per i residenti ed in alcuni casi produttori di energia (fotovoltaico, cogenerazione, ecc). Un’altra missione, storicamente consolidata, è quella di erogatori di servizi per i comuni (gestione degli alloggi e del patrimonio comunali, promozione e progettazione degli interventi progettazione di piani urbanistici di dettaglio). E infine, l’evoluzione della domanda comporta la necessità di articolare l’offerta di alloggi sociali, sia dal punto di vista della capacità economica degli utenti (non solo i più poveri, ma anche ceto medio), che da quello delle diverse esigenze espresse da anziani soli, giovani in cerca di lavoro o studenti, famiglie monoparentali o single di ritorno a seguito delle separazioni, immigrati con esigenze familiari 1/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 diverse da quelle tradizionali nel nostro paese. Gli approcci regionali, come emergono dalle leggi di riforma sono illustrati nella tabella 1. Tab. 1. Competenze degli Enti per la casa nelle leggi di riforma regionale studi, ricerche, sperimentazione programmi di ricerca, innovazione e sviluppo di nuove tecniche di costruzione, volte anche al risparmio energetico Abruzzo (ARET) sperimentazione e realizzazione di modelli di architettura tradizionale Lazio interventi e programmi di contenuto innovativo con particolare riguardo alle tecniche costruttive Umbria consulenza e assistenza assistenza tecnica ed amministrativa retribuita ad enti pubblici e a soggetti privati nel settore dell'edilizia Friuli Venezia Giulia per conto e nell'interesse della Regione, attività di vigilanza in materia di contabilizzazione delle spese dei piani realizzati dai Comuni Piemonte servizi all’utenza promuovere presso i comuni un punto di informazione al servizio degli utenti Abruzzo agenzie per la locazione Emilia Romagna partnership società di scopo per l'esercizio di compiti istituzionali e di altre attività di impresa Emilia Romagna soggetto promotore e/o attuatore di iniziative riguardanti i piani di riqualificazione urbana Umbria forme di collaborazione tecnico-economica con gli enti locali, enti pubblici e privati Valle d’Aosta interventi economici, politici, sociali sviluppo e diffusione di politiche relative a qualità e sicurezza delle abitazioni Abruzzo (ARET) promuovere e coordinare la partecipazione dei cittadini ai programmi di riorganizzazione urbanistica Abruzzo interventi con fini calmieratori sul mercato edilizio realizzando abitazioni allo scopo di locarle o venderle Basilicata Calabria Friuli a prezzi economicamente competitivi Venezia Giulia Veneto 2/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Indipendentemente dal quadro normativo in cui operano, comunque, i singoli enti, nella loro autonomia, hanno scelto strade diverse per assolvere la propria missione e soprattutto per gestire la tensione fra missione sociale e efficacia economica. Una strada è lo sviluppo di strutture societarie strumentali, cui sono delegate alcune delle funzioni che si pensa possono essere gestire più efficacemente ed economicamente da una struttura a carattere privatistico (normalmente una Spa). Le funzioni delegate riguardano nella maggior parte dei casi: manutenzione, servizi energetici, progettazione. Per la progettazione nascono anche strutture consortili formali o informali fra gli enti della stessa regione (ad esempio in Piemonte fra gli Enti minori). Evoluzione della missione e organizzazione in Europa Il settore dell'edilizia sociale, a causa della sua dimensione e del tipo di attività, ha potenzialmente un impatto enorme sulla possibilità di combinare obiettivi sociali, economici e ambientali. Gli organismi dell'edilizia sociale sono sostanzialmente delle organizzazioni ibride, che associano la costruzione e gestione dell’edilizia come un affare economico con obiettivi sociali di sostenere le famiglie, rafforzare le comunità e compensare gli svantaggi sociali. Essi partecipano inoltre alla promozione dello sviluppo urbano sostenibile e alla sua gestione. Il settore dell'edilizia sociale, come settore ibrido è messo perciò idealmente all'incrocio di affari e attività pubbliche per trasferire l’innovazione e le buone pratiche in entrambe le direzioni - verso l’impresa privata e verso i servizi pubblici -. Alcune ricerche1 hanno constatato che gli operatori dell’alloggio sociale compiono molte attività che vanno oltre i compiti tradizionali di provvedere edilizia sociale ('lo shelter') e vi associano servizi, come sviluppo di comunità e generazione di impiego, formazione e progetti per la gioventù. Questi processi di diversificazione possono cominciare con la consapevolezza che la qualità della casa va oltre la qualità dell'alloggio in sè e che alcune persone hanno bisogno di più che di una casa o che possono rappresentare una risposta commerciale a nuovi mercati. L'importanza crescente di queste attività è dimostrata, per esempio in Inghilterra, dove la National Housing Federation ha intrapreso recentemente una analisi di tali attività e questo formerà un prezioso database di progetti2. Ecco alcuni esempi delle attività degli operatori dell'edilizia sociali in relazione a tre settori specifici Economico (economia e lavoro) Alcune strategie possono indirizzare le dimensioni interna e esterna della sostenibilità economica che considera per esempio l'uso e la valorizzazione del patrimonio immobiliare, l’innovazione per mantenere il vantaggio competitivo e la valorizzazione a lungo termine dei beni, la generazione di lavoro locale attraverso politiche di appalto e strategie di assunzione del personale (DELPHIS, 2008) 1 sostenibilità economica, 2 Valorizzazione del patrimonio 3 innovazione e competitività, 4 approvvigionamento e catene dell'approvvigionamento, 5 Valorizzazione delle Risorse umane, 6 uguaglianza di genere e etnica Sociale (investimento sociale, coesione sociale e sostenibilità sociale) Fornire una buona qualità edilizia ed economica è una conseguenza della sostenibilità sociale e importante di per sé, ma gli operatori sociali del terzo settore spesso assumono un ruolo più largo in relazione al sociale e ai benefici per la comunità. Alcune organizzazioni nazionali stanno cominciando a intrapreso la verifica di tali attività (NHF –UK-, 2008). 1 Casa di buona qualità, economica e accessibile 1 Brandsen et al. (2006) and Heino et al. (2007) 2 National Housing Federation, 2008. 3/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 2 inclusione sociale & contrasto alla disoccupazione 3 servizi di vicinato 4 salute e benessere 5 istruzione e abilità 6 sicurezza e coesione 7 invecchiamento, uguaglianza di genere e etnica Ambiente (sostenibilità ambientale) La casa è al centro dell’agenda della sostenibilità ambientale, attraverso lo sviluppo di tecnologie di costruzione appropriate e la promozione dei prodotti “verdi”. 1 interventi di costruzione biocompatibili 2 misure per migliorare le prestazioni ambientali dello stock esistente 3 uso di Energie rinnovabili 4 Focus speciale sul processo implementazione delle strategie “Verdi” Una ricerca3 effettuata dal Cecodhas mostra l’estensione delle attività non riconducibili al ruolo di “padrone di casa” di un buona parte degli operatori dell'edilizia sociale. La prima consiste in "servizi supplementari agli inquilini". I motivi per cui si sono intraprese queste attività sono: aiutare il bilancio della famiglia e quindi la loro solvibilità; aumentare la qualità del luogo di residenza, che migliora la vita e le opportunità di vita; provvedendo a che gli abitanti migliorino le loro capacità di vita e indipendenza e con informazioni sulle opportunità di istruzione. In sintesi, aiutare lo sviluppo di comunità e la coesione sociale. Il secondo gruppo di attività consiste nei “servizi di prossimità”, anche con lo scopo di migliorare la qualità di vita, e le opportunità di vita dei residenti; promuovere l’inserzione sociale e annullare la stigmatizzazione dei quartieri dell'edilizia sociale; che aiutano a mantenere e aumentare il valore delle proprietà della compagnia. Il terzo gruppo consiste nella "costruzione e gestione di unità non-residenziali", che porta alla diversificazione delle attività, con la generazione di reddito a supporto della gestione, e aumentano il valore del patrimonio per scopi sociali. In somma, questa attività si svolge per animare il quartiere e introdurre un mix sociale, oltre a soddisfare bisogni di equilibrio finanziario. 3 Heino et al (2007) 4/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 2. Enti autonomi o enti strumentali? La denominazione originaria degli IACP sottolineava a partire dal nome (Istituto Autonomo Case Popolari) l’autonomia degli Enti, pur se nel quadro di politiche finanziamenti e regole gestionali nazionali e di scelte localizzative e di assegnazione degli alloggi definite localmente. Con il decentramento regionale e locale delle politiche della casa viene ridefinita non solo la collocazione dell’ente, che risponde ora a regole e politiche regionali, ma vengono rimessi in discussione anche i livelli di autonomia e di dipendenza degli Enti. La domanda che ci si pone oggi volendo ipotizzare un modello ideale di riforma è la seguente: Enti strumentali della Regione o dei comuni? ed in questo ruolo, quali sono i livelli di autonomia degli enti? Proprio in questo campo le scelte delle leggi di riforma sono particolarmente articolate e si possono leggere attraverso tre criteri principali: - natura degli enti (chi li costituisce e come, tipo di statuto più o meno privatistico, livelli di autonomia decisionale) - composizione degli organi gestionali (consiglio di amministrazione, direzione) - livelli di controllo regionale (tabelle 2, 3 e 4) Dal confronto emerge che il livello di autonomia degli Enti è andato indebolendosi nelle varie riforme, in quanto molte Regioni, anche quelle che hanno scelto di trasformare gli Iacp in Enti economici, hanno tuttavia ribadito il loro ruolo di Enti strumentali, sia direttamente della Regione (Liguria, Lazio, Sardegna), che anche degli Enti locali (Emilia Romagna, Bolzano). Fa eccezione la Toscana, che ha incitato i comuni a costituire direttamente gli enti strumentali consortili sotto forma di SpA. Le varie leggi di riforma tuttavia sottolineano quasi sempre l’autonomia organizzativa, amministrativa e contabile degli Enti e quindi, a prescindere dalla natura, la responsabilità sui risultati di bilancio. Il modo in cui Regioni ed Enti locali esercitano il loro controllo sugli Enti si esprime sia attraverso la composizione e il meccanismo di nomina del Consiglio di Amministrazione o dell’Organo monocratico di direzione dell’Ente (presenza di rappresentanti della Regione, della Provincia o dei Comuni), che attraverso il livello e la tipologia dei controlli, normalmente relativi a bilancio preventivo e conto consuntivo, modifiche statutarie e piante organiche. Un’autonomia sotto tutela, quindi, che non è però compensata da un’attenzione alle problematiche gestionali degli enti, che subiscono tramite la definizione dei canoni ’imposizione di tariffe prive di compensazione da parte della Regione. Da parte dei Comuni gli enti subiscono invece la selezione degli utenti (derivanti dalle graduatorie) senza la possibilità di effettuare politiche di distribuzione delle popolazioni “deboli” al fine di prevenire effetti di ghettizzazione e i conseguenti problemi gestionali. Una situazione unica in Europa, non tanto perché negli altri paesi i livelli di autonomia siano maggiori, ma perché vengono risolti diversamente i rapporti con gli Enti locali, attraverso una rappresentanza diretta del Comune alla Giuda degli Enti (Francia, Spagna), da una parte e dall’altra in quanto i livelli dei canoni percepiti dagli Enti tengono conto del cosiddetto “canone di equilibrio”, restando la differenza a carico dello stato attraverso gli aiuti personali percepiti per ridurre lo sforzo economico di coloro che non sono in grado di pagare l’affitto. 5/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Tabella 2. Natura degli enti e livello di autonomia Regione Tipo di statuto Trentino -Bolzano Decisione della creazione Provincia autonoma Marche Regione Basilicata, Calabria Piemonte Regione Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Umbria, Valle d’Aosta, Abruzzo Sardegna Regione Azienda pubblica non economica (Statuto deliberato dall’Ente) Azienda pubblica non economica Azienda pubblica non economica Ente pubblico economico Regione Ente pubblico economico Liguria Regione Ente pubblico economico Lazio Regione Veneto Regione Emilia Romagna Regione, ma l’istituzione dipende da una scelta dell’Ente locale Toscana Comuni Trentino -Trento Provincia autonoma Ente pubblico economico Ente pubblico economico (Statuto deliberato dall’Ente) Ente pubblico economico (Statuto predisposto dal CdA e approvato dalla Conferenza degli Enti) SpA 100% pubblica (Statuto deliberato dai Comuni) SpA 100% pubblica Regione Azienda pubblica non economica 6/23 Autonomia (creazione società, bilancio, investimenti, vendite) l’ente è anche un “braccio” della Regione e degli altri enti locali che possono avvalersene in chiave operativa, mediante convenzioni ed è autonomo sotto l’aspetto organizzativo, amministrativo e contabile l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo, amministrativo e contabile l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo, amministrativo e contabile L’ente è definito ausiliario o strumentale della Regione l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo, amministrativo e contabile l’ente è definito ausiliario o strumentale della Regione, ma è autonomo sotto l’aspetto organizzativo, amministrativo e contabile l’ente è anche un “braccio” della Regione e degli altri enti locali che possono avvalersene in chiave operativa, mediante convenzioni; L’ente è definito ausiliario o strumentale della Regione l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo, amministrativo e contabile l’ente è anche un “braccio” della Regione e degli altri enti locali che possono avvalersene in chiave operativa, mediante convenzioni ed ha autonomia imprenditoriale; l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo, amministrativo e contabile Proprietà degli alloggi: Comune l’ente è autonomo sotto l’aspetto organizzativo, amministrativo e contabile Proprietà degli alloggi: Comune l’ente non ha autonomia statutaria (statuto societario adottato dalla Provincia) Proprietà degli alloggi: provincia Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Tabella 3a. Organi gestionali Tipo di organo Regioni amministratore unico Basilicata, Liguria consiglio di amministrazione Abruzzo, Bolzano, Emilia Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Sardegna, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto, Trento direttore tra gli organi statutari Abruzzo, Calabria, Lombardia, Valle d’Aosta, Veneto Tabella 3b. Composizione CdA Regione ABRUZZO EMILIA ROMAGNA FRIULI VENEZIA GIULIA LAZIO LOMBARDIA PIEMONTE TRENTO BOLZANO UMBRIA VALLE D’AOSTA VENETO Composizione CdA Regione e Comuni Conferenza degli enti Regione, Provincia e Comuni Regione Regione, Provincia e Comuni Provincia Provincia e Comuni, sindacati lavoratori, organizzazioni inquilini, professionisti, datori di lavoro, esperti Provincia e Comuni, sindacati lavoratori, imprenditori edili, esperti Regione, Comuni, ANCI Regione e Comuni Regione, Provincia e Comuni Tabella 3c. Confronto Amministratori/alloggi gestiti 7 7 n. amministratori per regione/provincia autonoma 35 49 5 60 138.135 2.302 5 7 25 49 15.764 52.010 631 1.061 5 25 29.206 1.168 5 11 5 5 5 3 5 11 10 5 40 27 24.715 10.500 7.702 778 44.595 55.182 4.943 955 771 156 1.115 2.044 n. amministratori per ente ABRUZZO LAZIO LOMBARDIA MARCHE PIEMONTE FRIULI VENEZIA GIULIA SARDEGNA TRENTINO Bolzano UMBRIA VALLE D’AOSTA VENETO EMILIA ROMAGNA 7/23 n. alloggi gestiti per regione/provincia autonoma n. alloggi per amministratore 18.256 92.936 522 1.897 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Tabella 4. Controlli Regionali atti soggetti al controllo tipo di controllo ABRUZZO i regolamenti e l’ordinamento degli uffici e del personale, il bilancio di previsione e di esercizio legittimità BASILICATA [1] lo Statuto, i regolamenti e l'ordinamento degli uffici e del personale, il bilancio di previsione ed il conto consuntivo legittimità e di merito CALABRIA lo Statuto, il Regolamento del personale e la pianta organica, il bilancio previsionale ed il conto consuntivo approvazione LIGURIA i bilanci pluriennali e annuali, gli assestamenti, le variazioni, i rendiconti annuali, i piani pluriennali di attività, le piante organiche di avvio e il regolamento di organizzazione verifica della conformità alle leggi statali e regionali e agli indirizzi del Consiglio regionale PIEMONTE il programma di attività e di spesa annuale e pluriennale, il bilancio di previsione e conto consuntivo, lo statuto, la dotazione organica del personale, ogni disposizione regolamentare per cui la Regione impartisca apposite istruzioni verifica della rispondenza al perseguimento degli obiettivi statutari SARDEGNA i bilanci di previsione pluriennale ed annuale ed il conto consuntivo, i regolamenti, i piani annuali e pluriennali di attività, le piante organiche, gli incarichi di direzione legittimità e merito TRENTINO Bolzano i regolamenti, l'ordinamento degli uffici e la struttura dei servizi, il bilancio di previsione e relative variazioni, il conto consuntivo, il regolamento del personale e gli accordi di comparto con le relative modifiche, le convenzioni tra l'IPES ed altri enti, l'assunzione di mutui legittimità UMBRIA il bilancio preventivo e il conto consuntivo, le modifiche statutarie, i regolamenti del personale e contabile VALLE D’AOSTA il bilancio preventivo, gli assestamenti e le variazioni, il rendiconto, la pianta organica e il regolamento di organizzazione, i piani e i programmi d'intervento 8/23 verifica della conformità alle leggi statali e regionali e agli indirizzi definiti dalla Regione Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 3. Ambiti territoriali di organizzazione La maggior parte delle Regioni, fino ad ora, ha mantenuto la struttura organizzativa originaria delle competenze territoriali degli IACP provinciali, con alcune eccezioni comunali, storicamente consolidate. Tuttavia, le riforme più recenti hanno iniziato a mettere in discussione questa struttura ed a ragionare sull’ambito di intervento ottimale, giungendo in alcuni casi a due conclusioni opposte: suddivisione in più entità degli enti più grandi: caso della riforma del Lazio che ha suddiviso in due lo IACP di Roma accorpando i comuni della provincia (ad accezione di Civitavecchia, che rimane autonomo) e scorporando l’ATER del Comune di Roma (che mantiene oltre 50.000 alloggi in gestione) accorpamento regionale o sub regionale degli enti provinciali (Sardegna e proposta Toscana) Una pista di lavoro interessante per capire se la questione della dimensione ha rilevanza rispetto all’efficienza è quella dell’analisi della soglia di economicità degli enti in base alla dimensione. Un’indagine fatta in passato (negli anni 80) aveva individuato i risultati più efficaci negli Enti con dimensione fra 5.000 e 10.000 alloggi gestiti, ma questa soglia può variare a seconda dei parametri che si individuano per il confronto. Sulla base dei dati rilevati al 2006 abbiamo tentato di analizzare gli Enti suddividendoli per classi dimensionali in base al patrimonio gestito ed abbiamo effettuato il confronto sulla base dei seguenti parametri: - % di alloggi sfitti sul patrimonio in locazione - % di morosità - incidenza delle spese di personale sul totale delle spese degli Enti - % di alloggi occupati abusivamente Tutti parametri che nei valori più bassi attestano un maggior livello di efficienza (Grafico 1). Grafico 1. Indici di efficienza degli Enti < 5.000 alloggi 25% 20% 15% media nazionale 10% 5.001-10.000 alloggi 5% % alloggi sfitti 0% % morosità incidenza costo personale >20.000 alloggi 10.001-20.000 alloggi 9/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Il risultato ottenuto da un campione significativo di enti mostra un aumento dell’efficienza nelle categorie più basse (> 5.000 e tra 5001 e 10.000 alloggi gestiti). Bisogna però notare che alcuni di questi parametri (ad esempio la % di morosità e la quota di occupanti abusivi) non dipendono solo dai comportamenti più o meno incisivi degli enti gestori, ma sono influenzati da altri fattori, quali la forte pressione della domanda e la povertà degli utenti, caratteristica delle aree metropolitane, in cui si collocano gli Enti di maggiori dimensioni. Teniamo poi anche presente che nel campione non è inclusa l’AREA di Cagliari, derivante dalla fusione degli IACP di tutta la Sardegna, a causa dell’assenza dei dati sul periodo successivo a tale accorpamento. Un altro parametro indagato è il numero degli alloggi gestiti procapite (tutto il personale e addetti gestionali). Il risultato che figura nel grafico 2 dimostra anche in questo caso come i rapporti migliori (maggior numero di alloggi gestiti per addetto) corrispondano con classe fra 5000 e 10000 alloggi e come quindi al crescere della struttura non si siano realizzate significative economie di scala. Grafico 2. Rapporto alloggi gestiti per addetto 180 160 140 120 100 80 60 40 20 - rapporto alloggi/addetto Rapporto alloggi /personale amministrativo < 5.000 alloggi 5.00110.000 alloggi 10.00120.000 alloggi >20.000 media alloggi nazionale In conclusione di questo paragrafo possiamo affermare che la dimensione dell’Ente ha scarsa influenza sul livello di efficienza gestionale ed economica, essendo questa molto più influenzata dai fattori di contesto operativo, che possono vanificare le apparenti economie di scala derivanti da un accorpamento. Tali economie di scala sono invece perseguibili attraverso l’accorpamento di alcune funzioni di servizio all’attività degli Enti, ponendosi l’obiettivo di razionalizzare e rendere più economica la gestione, ma di mantenere anche vivo il legame politico con il territorio e gli enti locali, che si è consolidato attraverso la competenza degli enti. Ad esempio è possibile sicuramente ricercare una soglia di economicità e di efficienza accorpando la gestione di alcuni servizi, come la bollettazione, gli stipendi, che possono avere un ambito ottimale regionale, oppure la progettazione, le gestione degli appalti o di altri servizi tecnici che possano raggruppare dei livelli sub-regionali (in particolare gli enti più piccoli) evitando le diseconomie dovute alla ciclicità dei picchi di lavoro ed accrescendo la qualità delle strutture stesse attraverso la costituzione di reti consortili di servizio. Questi modelli organizzativi possono essere autonomamente decisi dagli Enti di una stessa Regione e consentono la creazione di strutture (consortili o società di scopo) snelle ed efficaci, proprio perché basate su un’adesione volontaria e non su una struttura rigida e decisa dall’altro. 10/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 4. Statuto Negli anni passati si è dibattuto lungamente sull’assetto statutario degli IACP, ritenendo che il passaggio da Ente pubblico non economico ad Ente pubblico Economico avesse una funzione positiva ai fini di un aumento di efficienza. In realtà dopo anni di sperimentazione di vari modelli penso di poter affermare che, ai fini dell’adempimento della missione, la forma statutaria scelta sia scarsamente influente. Esistono enti non economici dotati di capacità imprenditoriali di livelli di autonomia superiori a quelli di molti enti economici (vedi il caso del Piemonte). La principale conseguenza della trasformazione in enti pubblici economici, per la maggior parte degli enti, è il vincolo di pareggio di bilancio, che per essere conseguito comporta l’esigenza di un elevato livello di autonomia e di un allargamento della missione a tipi di intervento con buoni livelli di redditività in grado di compensare il deficit strutturale della gestione del patrimonio sociale. Se così non è, il rischio che si corre è di costringere l’ente a scelte congiunturali non inquadrate in logiche di programmazione globale (es. vendite massicce per ripianare il debito). Ma queste scelte non risolvono il problema che nel breve periodo. Esaurita la prima ondata di vendite ci si ritrova con un patrimonio frammentato di più difficile gestione e con un’utenza mediamente più povera e bisognosa di assistenza, cioè il sistema si avvita in se stesso in una spirale perversa. Se un dato positivo è possibile registrare a favore del modello “economico” è da ascrivere al cambiamento di mentalità cui esso ha costretto la dirigenza, portando ad un aumento di imprenditorialità e ad un allargamento delle competenze, con la ricerca di settori con margini di redditività tali da compensare il deficit della missione sociale connessa all’ERP. I vincoli, spesso pesanti, posti dalle Regioni all’ampliamento delle attività degli Enti entrano però in contraddizione con l’imperativo del pareggio di bilancio e limitano quindi l’efficacia della gestione (necessità di economie sulla manutenzione, impossibilità di investimenti ecc.). Se guardiamo quanto accade negli altri paesi europei, ci rendiamo conto della peculiarità del sistema italiano e delle sue contraddizioni. Dall’esame della giurisprudenza, innanzitutto ci si rende conto di come la questione della forma statutaria degli Enti, nel diritto europeo, sia totalmente ininfluente, in quanto l’organismo di diritto pubblico viene definito dalla sua missione e non vale ad attrarre l’Ente verso il diritto privatistico la sua definizione come società di diritto privato (vedi sentenza della CDG EU sulle Societés Anonymes francesi). Gli attori dell'edilizia sociale come impresa sociale in Europa Gli operatori dell'edilizia sociale in Europa rappresentano un segmento importante dell'economia sociale. Nella varietà di forme di organizzazione che gli enti dell'edilizia sociale possono assumere, cooperative, organismi no-profit e organismi semi-governativi. Alcune di queste organizzazioni possono essere descritte in modo tradizionale 'pubblico', 'mercato' o 'società civile', ma molti corrispondono invece a forme organizzative ibride, che non rientrano in queste definizioni. Questo gruppo potrebbe essere definito come imprese sociali. Nonostante il fatto che il concetto di impresa sociale nel contesto dell’edilizia sociale è stato poco definito, la definizione generale di impresa sociale ben rappresenta i principi che possono essere trovati in molte organizzazioni dell'edilizia sociale. Generalmente, le imprese sociali sono definite come organizzazioni guidate da una missione sociale che si traduce nella produzione di beni o servizi per uno scopo sociale. In queste organizzazioni, gli utili sono reinvestiti principalmente per lo scopo sociale. Altre definizioni comune sottolineano che le imprese sociali sono create fra comunità locali che agiscono insieme per provvedere servizi rispetto ai bisogni dalla popolazione locale, particolarmente dove il servizio non può essere provvisto attraverso l'economia di mercato. Vediamo le missioni e attività degli operatori dell'edilizia sociale, tenendo presente questa definizione generale di imprenditorialità sociale. 11/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Tipo e scopo di attività Gli operatori dell'edilizia sociale sono in molti casi precursori con una solida esperienza nel conciliare la domanda di efficienza, la responsabilità sociale e la sensibilità ambientale, e quindi possono servire come modelli per altri settori. Un’altra questione importante nei vari paesi europei è quella dell’eventuale utile derivato dagli Enti gestori dell’edilizia sociale (ammesso anche dalle norme sulla compensazione dell’onere di servizio: vedi sentenza Altmark e decisione CE del 29 novembre 2006 relativa all’esenzione dalla notifica degli aiuti di Stato). A questo proposito, in Austria e in Olanda si sta facendo strada il concetto di Ente con “limite al profit” un utile limitato, da investire comunque nel miglioramento della missione sociale. I paesi del sud Europa, compresa la Francia, restano invece attaccati ad un sistema dominato da operatori pubblici, che si tenta di rendere più efficaci facendone evolvere gli statuti verso strutture di carattere societario. 12/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 5. L’alloggio sociale come Servizio di Interesse generale Il Libro banco della Commissione sui SIG ha introdotto la problematica dei cosiddetti SIG Sociali, riconoscendone la specificità, a partire proprio dai servizi sanitari e dall’alloggio sociale, e confermando l’esigenza di maggior chiarezza sul loro status economico o meno4. A più riprese anche il Parlamento europeo si è espresso sulla necessità di chiarire la distinzione fra SIG e SIEG. Approvando il rapporto Rapkay (27-09-2006) i deputati hanno chiesto alla Commissione di chiarire la distinzione tra SIG e SIEG, mettendo a punto criteri operativi che tengano conto delle tradizioni nazionali degli Stati membri, in base alla natura dei beni collettivi e del finanziamento pubblico o mediante meccanismi di solidarietà dei SIG. In proposito, peraltro, sottolineando che, per molti SIG, la distinzione tra aspetti economici e non economici «è estremamente difficile a causa del carattere dinamico di tali servizi e del loro rapido sviluppo». Riconoscendo poi che non è il caso di escludere ampi settori dei SIG dalla portata delle norme sul mercato interno e la concorrenza nel tentativo di definire i SIG stessi, rilevano anche che «una precisa definizione dei SIEG e dei SIG sarebbe contraria alla libertà degli Stati membri di definire i loro SIG». Sempre nello stesso rapporto, alla Commissione sono poi chiesti chiarimenti in merito alle conseguenze della giurisprudenza della Corte di giustizia basata su un approccio settoriale nonché dell'applicazione a SIG e SIEG del diritto della concorrenza, soprattutto per quanto riguarda il finanziamento di tali servizi. Rilevando poi che «il livello europeo deve contribuire a non compromettere la capacità del livello comunale e regionale di offrire tali servizi», il Parlamento ritiene che - nell'interesse delle autorità locali, regionali e nazionali, delle imprese pubbliche e degli utenti di tali servizi - la Commissione dovrebbe fornire chiarimenti giuridici, orientamenti e principi su alcuni temi problematici, includendo in particolare l'applicazione delle norme in materia di mercato interno e concorrenza nel settore dei SIG e dei SIEG. Ancora il Parlamento europeo, nella Relazione di Joel Hasse Ferreira5, riconosce che, nonostante tutta la giurisprudenza in merito, “si osserva una certa ambiguità concettuale in merito a determinate definizioni fondamentali in materia, per esempio "servizio pubblico", "servizio di interesse generale", "servizio di interesse economico generale", "servizio sociale di interesse generale" e che tale ambiguità persiste anche in recenti atti comunitari e ciò concorre all'incertezza giuridica rilevata nel settore”, e ne conclude che “considerando pertanto urgente e indispensabile disporre di un chiarimento dei concetti in causa e del contesto giuridico in cui operano i SSIG, in particolare un chiarimento del principio di interesse generale e delle norme in materia di concorrenza e di aiuti pubblici, e considerando che i servizi sociali non possono in nessun caso essere ridotti a una categoria marginale definita per la mancata equiparazione ai servizi commerciali o ai servizi di interesse economico generale;” propone che, in virtù della loro specificità in termini di organizzazione, finanziamento e compiti, debbano essere “ritenuti una categoria distinta di servizi a pieno titolo, fondamentale per la società.” Il Trattato di Lisbona (13 dicembre 2007) rafforza le nozioni già contenute nel Trattato costituzionale. Se la redazione dell’art. 86.2 resta invariata, l'articolo 166 riprende le modifiche apportate dal Trattato 4 “Sebbene in linea di principio la definizione delle funzioni e degli obiettivi dei servizi sociali e sanitari sia di competenza degli Stati membri, la normativa comunitaria può avere un impatto sui relativi mezzi di erogazione e di finanziamento. Un chiaro riconoscimento della distinzione tra mezzi e funzioni dovrebbe contribuire a creare maggiore chiarezza in relazione alla modernizzazione di tali servizi a fronte delle mutevoli esigenze dei consumatori, preservando nel contempo la loro natura specifica caratterizzata da requisiti particolari, tra cui, ad esempio, la solidarietà, il servizio volontario e l’inclusione delle categorie vulnerabili. Il chiarimento di questa distinzione aiuterà in special modo gli Stati membri che utilizzano sistemi basati sul mercato nella fornitura di servizi sociali e sanitari a prevedere l'eventuale impatto che la normativa UE avrà su di essi. La decisione degli Stati membri di utilizzare tali sistemi o di erogare i servizi direttamente attraverso agenzie di Stato finanziate dalle tasse rimarrà ovviamente una scelta di carattere politico”. Questo approccio ha prodotto la “Comunicazione sui servizi sociali di interesse generale”. 5 Relazione del PE sui servizi sociali di interesse generale nell'Unione europea, 14-3-2007 (Finale A6-0057/2007) 6 Articolo 14 (ex articolo 16 del TCE) 13/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 costituzionale e invita gli organi legislatori a fornire, far eseguire e finanziare le missioni di interesse generale nel rispetto delle disposizioni dei Trattati. Particolarmente innovativo è il Protocollo aggiuntivo relativo ai servizi di interesse generale7. Questo protocollo chiarisce una volta per tutte la piena discrezionalità degli Stati membri di creare e organizzare sul proprio territorio i Servizi di Interesse generale. Posizionamento dell’alloggio sociale: interesse economico generale o no? Le disposizioni del Trattato in materia di concorrenza si applicano esclusivamente alle imprese e alle attività economiche. Come abbiamo notato precedentemente, la Corte di Giustizia ne ha dedotto che, schematicamente, i “regimi che perseguono uno scopo sociale e obbediscono al principio di solidarietà” non sono considerati imprese. Il diritto della concorrenza non può quindi essere applicato a questi regimi. Questo principio legittima ad esempio l’esistenza di monopoli in materia di raccolta dei contributi del sistema generale di previdenza sociale. Il problema è quindi quello di definire se l’attività di produzione e/o gestione di alloggi sociali ha un carattere non economico, ossia un carattere sociale che obbedisce al principio di solidarietà (inapplicabilità del diritto della concorrenza), oppure un carattere economico (applicabilità del diritto della concorrenza). La questione deve essere considerata nel contesto del rafforzamento della missione sociale degli operatori dell’Edilizia sociale e dello sviluppo di nuove attività di integrazione sociale (supporto sociale, coordinamenti di quartiere, integrazione attraverso l’attività economica, clausole sociali nei contratti, gestione urbana di zona, partecipazione degli abitanti...). Risulta dalla giurisprudenza che ad eccezione dei settori già oggetto di regolamentazione settoriale, gli stati membri dispongono di un ampio potere di scelta circa la natura dei servizi suscettibili di essere qualificati come SIEG.8 La nozione di servizio di interesse economico generale ai sensi dell’art. 86 del Trattato implica che le imprese siano state incaricate di una particolare missione attribuita dallo stato. A eccezione dei settori di cui sopra i poteri pubblici hanno la responsabilità di fissare i criteri e le condizioni applicabili alla prestazioni dei servizi, indipendentemente dallo statuto del prestatario9 e della questione della Fatti salvi l'articolo 4 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi. 7 PROTOCOLLO (n. 26) SUI SERVIZI DI INTERESSE GENERALE Articolo 1 I valori comuni dell'Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale ai sensi dell'articolo 14 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea comprendono in particolare: − il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti; − la diversità tra i vari servizi di interesse economico generale e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse; − un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente. Articolo 2 Le disposizioni dei trattati lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare e ad organizzare servizi di interesse generale non economico. 8 Commissione Europea, Documento « Encadrement communautaire des aides d’état sous forme de compensations de service public » DGCOMP/I1/D(2005)179 9 Si intende per impresa ogni entità che esercita una attività economica, indipendentemente dallo statuto e dalle modalità di finanziamento. Per impresa pubblica si intende ogni impresa sulla quale il potere publico possa esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante derivante dalla proprietà, dalla partecipazione finanziaria o dalla regolamentazione, conformemente all’art. 2, par 1, punto b) della direttiva 14/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 fornitura sulla base di libera concorrenza. Ne consegue che l’attribuzione di un servizio pubblico è necessaria per definire gli obblighi delle imprese e dello Stato (per stato si intende sia lo stato centrale che le collettività locali o regionali, a seconda dell’ordinamento nazionale). La comunicazione della Commissione sui SSIG La Comunicazione della Commissione sui SIG Sociali si pronuncia in modo abbastanza chiaro sulla questione del SIEG o SIG, proprio in merito a una serie di servizi fra cui “gli alloggi popolari, che permettono alle persone socialmente svantaggiate o meno avvantaggiate di avere un alloggio“. Essa precisa infatti che: “Per quanto riguarda la libera prestazione di servizi e la libertà di stabilimento, la Corte ha stabilito che le prestazioni fornite solitamente contro retribuzione debbano essere considerate come attività economiche ai sensi del trattato. Il trattato non esige tuttavia che il servizio venga pagato direttamente da coloro che ne beneficiano10. Ne consegue che la quasi totalità dei servizi prestati nel settore sociale deve essere ritenuta «un’attività economica» conformemente agli articoli 43 e 49 del trattato CE.” Le attività che fanno riferimento ad un servizio di interesse economico generale in senso comunitario possono usufruire dell’esenzione dalle norme di concorrenza prevista dall’articolo 86. Esse devono soddisfare quattro requisiti : 1. atto di delega di un servizio pubblico, 2. obblighi connessi con la missione di interesse economico generale, 3. soddisfacimento dei criteri di necessità, 4. rispetto dell’interesse comunitario. Tre principi accompagnano il concetto di servizio di interesse economico generale: 1. neutralità per quanto riguarda il regime della proprietà delle imprese, 2. libertà degli Stati Membri di definire i servizi di interesse economico generale, 3. proporzionalità delle sovvenzioni pubbliche ai servizi di interesse economico generale. In questo caso, la Corte di Giustizia EU11 precisa che l’impresa che gestisce un servizio di interesse economico generale può usufruire di diritti esclusivi se soddisfa i seguenti requisiti: 1. l’applicazione non è discriminatoria, 2. l’attività risponde a un motivo imperioso di interesse generale, 3. vi è la misura è adeguata a garantire lo scopo perseguito, 4. proporzionalità tra scopo da raggiungere e la misura stessa. Il concetto di diritti esclusivi era così definito dalla direttiva appalti pubblici 92/50/CEE e 93/37/CEE: “Diritti che risultano da un’autorizzazione concessa da un’autorità competente dello Stato Membro interessato, con una qualsiasi norma legislativa, regolamentare o amministrativa, e il cui effetto è quello di riservare ad una o più entità l’esercizio di un’attività”. Tale concetto è ribadito dall’art. della nuova Direttiva 2004/18/CE. Da queste norme si deduce che spetta agli Stati Membri definire i servizi di interesse economico generale (è il caso, ad esempio, della Francia che ha qualificato le missioni degli organismi HLM come servizi di interesse economico generale), ma che la definizione dei diritti esclusivi deve rispettare il principio della proporzionalità e che la loro concessione iniziale non deve sfuggire alle norme di concorrenza (in particolare la parità di trattamento). L'attività dell’alloggio sociale è riferita ad un servizio universale delegato all’operatore? Il concetto di servizio universale è stato sviluppato recentemente dalle istituzioni comunitarie nell’ambito del processo di liberalizzazione dei servizi pubblici (telecomunicazioni, elettricità, gas, trasporti ferroviari, poste...). Questo concetto definisce una serie di requisiti di interesse generale ai quali dovrebbero sottostare, in tutto il territorio dell’Unione, le attività in oggetto in modo da garantire una parità di accesso a questi servizi di base. Diversamente dai servizi di interesse economico 80/723/CEE della Commissione relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli stati membri e le società pubbliche 10 Causa C-352/85, Bond van Adverteerders. 11 Sentenza Altmark 15/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 generale, le missioni che fanno riferimento ad un servizio universale vengono definite a livello comunitario attraverso direttive settoriali che si applicano agli Stati Membri. Servizi universali sono stati definiti, ad esempio, telecomunicazioni e di servizi postali, con la designazione di operatori incaricati dei servizi stessi e con l’indicazione dei meccanismi di finanziamento degli obblighi relativi al servizio universale (contributo ad esempio degli operatori del mercato al finanziamento del servizio universale). In caso di applicazione al settore dell’edilizia residenziale, ciò significherebbe definire a livello comunitario un servizio universale di edilizia abitativa (un diritto alla casa), indicando gli operatori incaricati a titolo esclusivo del servizio e i sistemi di finanziamento del diritto alla casa (contributo degli operatori del mercato). Dato che non esiste una competenza europea in questa materia, questa ipotesi è poco verosimile in quanto presuppone l’adozione di una direttiva settoriale in materia di edilizia residenziale e di diritto alla casa. L'attività è riferita ad un servizio di pubblica utilità concesso ad un terzo (regime delle concessioni di servizi)? La Commissione ha pubblicato nell’aprile 2000 una prima comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario2. Lo scopo principale di tale comunicazione era quello di chiarire lo stato del diritto comunitario delle concessioni in un contesto di sviluppo della partnership pubblicoprivato, in particolare nel campo delle grandi infrastrutture di trasporto. Con il termine concessioni, la Commissione intende “tutti gli atti statali con i quali un’autorità pubblica affida ad un terzo, che si tratti di un atto contrattuale o unilaterale (...), la gestione totale o parziale di servizi che ricadono in genere sotto la sua responsabilità e per i quali il terzo si assume la parte essenziale del rischio di esercizio”. Secondo la Commissione, in assenza di una specifica direttiva, a queste concessioni devono essere applicati i principi del Trattato Europeo, con particolare riferimento a: 1. la parità di trattamento e la non discriminazione tra operatori, 2. la trasparenza dei mercati, 3. la libera prestazione di servizi, 4. la proporzionalità, 5. e il reciproco riconoscimento all’interno dell’Unione Europea. Pur non creando un diritto positivo, questa comunicazione interpretativa rappresenta la linea di condotta che la Commissione intende difendere in qualsiasi contenzioso sottoposto all’arbitrato della Corte di Giustizia. La direttiva Servizi La Direttiva servizi esclude espressamente dal campo di applicazione l’edilizia sociale. Tuttavia alcuni passaggi contenuti nei considerando e nell’articolato aiutano a fare un passo avanti nella definizione dello status di SIG o SIEG della stessa. Infatti, escludendo sia i SIEG tout court che una serie di servizi a carattere sociale dall’applicazione, la Direttiva fissa alcuni principi che entrano dunque nel diritto positivo. Citiamo di seguito i passaggi più significativi. Il decimo considerando motiva l’esclusione dei Servizi sociali: “(10) La presente direttiva non concerne i requisiti che disciplinano l’accesso ai finanziamenti pubblici per taluni prestatori. Tali requisiti comprendono in particolare quelli che stabiliscono le condizioni in base alle quali i prestatori hanno diritto a beneficiare di finanziamenti pubblici, comprese specifiche condizioni contrattuali, e in particolare le norme di qualità che vanno osservate per poter beneficiare dei finanziamenti pubblici, ad esempio per quanto riguarda i servizi sociali12.” 12 Introdotto dal Parlamento nella propria relazione che approva il testo della Commissione. “(13) La presente direttiva non concerne i requisiti che disciplinano l'accesso ai finanziamenti pubblici per taluni prestatori di servizi. Tali requisiti comprendono in particolare quelli che stabiliscono le condizioni alle quali i prestatori di servizi hanno diritto a beneficiare di finanziamenti pubblici, comprese specifiche condizioni contrattuali, e in particolare le norme di qualità che vanno osservate per poter beneficiare dei finanziamenti pubblici, ad esempio per quanto riguarda i servizi sociali.” 16/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Il 17mo considerando riguarda i servizi non economici, esclusi in quanto tali dall’ambito di applicazione. Fra questi non è citata l’edilizia sociale. “(17) La presente direttiva si applica soltanto ai servizi che sono prestati dietro corrispettivo economico. I servizi d’interesse generale non rientrano nella definizione di cui all’articolo 5013 del trattato e sono pertanto esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva. I servizi d’interesse economico generale sono servizi che, essendo prestati dietro corrispettivo economico, rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva. Tuttavia, alcuni servizi d’interesse economico generale, per esempio quelli che possono esistere nel settore dei trasporti, sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva, mentre altri servizi d’interesse economico generale, per esempio quelli che possono esistere nel settore postale, sono oggetto di una deroga alla disposizione sulla libera prestazione di servizi stabilita nella presente direttiva. La presente direttiva non riguarda il finanziamento dei servizi d’interesse economico generale e non si applica alle sovvenzioni concesse dagli Stati membri, in particolare nel settore sociale, in conformità delle norme comunitarie sulla concorrenza. La presente direttiva non si occupa del follow-up del Libro bianco della Commissione sui servizi d’interesse generale.” L’alloggio sociale infatti gode di una deroga specifica, che riguarda sia il caso in cui si tratti di attività non economica (servizio fornito da associazioni caritative) che di attività economica (prestatori incaricati dallo Stato). “(27) La presente direttiva non dovrebbe applicarsi ai servizi sociali nel settore degli alloggi, dell’assistenza all’infanzia e del sostegno alle famiglie e alle persone bisognose, forniti dallo Stato a livello nazionale, regionale o locale, da prestatori incaricati dallo Stato o da associazioni caritative riconosciute come tali dallo Stato per sostenere persone che si trovano in condizione di particolare bisogno a titolo permanente o temporaneo, perché hanno un reddito familiare insufficiente, o sono totalmente o parzialmente dipendenti e rischiano di essere emarginate. È opportuno che la presente direttiva non incida su tali servizi in quanto essi sono essenziali per garantire i diritti fondamentali alla dignità e all’integrità umana e costituiscono una manifestazione dei principi di coesione e solidarietà sociale. (28) La presente direttiva non riguarda il finanziamento dei servizi sociali, né il sistema di aiuti ad esso collegato. Essa non incide sui criteri o le condizioni stabiliti dagli Stati membri per assicurare che tali servizi sociali effettivamente giovino all’interesse pubblico e alla coesione sociale. Inoltre la presente direttiva non dovrebbe incidere sul principio del servizio universale nell’ambito dei servizi sociali degli Stati membri.” Lo stesso concetto è ribadito dall’articolato, che tratta separatamente le casistiche dei SIG non economici e quelle dei servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari. “Articolo 2 Campo di applicazione 1. La presente direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro. 2. La presente direttiva non si applica alle attività seguenti: a) i servizi non economici d’interesse generale; j) i servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari, l’assistenza all’infanzia e il sostegno alle famiglie ed alle persone temporaneamente o permanentemente in stato di bisogno, forniti dallo Stato, da prestatori incaricati dallo Stato o da associazioni caritative riconosciute come tali dallo Stato;” La situazione in Italia In conclusione di questo capitolo possiamo affermare che l’alloggio sociale è normalmente considerato servizio economico, fatta eccezione per le attività svolte a titolo caritativo e senza alcun corrispettivo. La sua specificità è riconosciuta sia dalla Direttiva Servizi che dalla Comunicazione sui SIG sociali che infine dalla Decisione del novembre 2005 in materia di esenzione dagli aiuti di stato. 13 Articolo 50 Ai sensi del presente trattato, sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. [omissis] 17/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Tale conclusione, tradotta nella situazione italiana porta alla conclusione che tutta l’attività di costruzione e gestione degli alloggi sociali da parte degli ex IACP trasformati in enti pubblici economici e degli IACP o aziende non economici, e delle cooperative sia attività economica, se pure soggetta a tariffe (i canoni) definite dall’ente che delega la gestione del servizio (Regione o Comune). L’equilibrio della gestione deve essere assicurato vuoi attraverso la determinazione di una tariffa “media” che assicuri il rientro delle spese effettivamente sostenute, vuoi, in caso di impossibilità, attraverso uno dei meccanismi di compensazione ammessi dalla decisione della Commissione (che li desume dalla sentenza Altmark) Può invece non essere considerata attività economica quella del Comune che gestisca direttamente il proprio patrimonio di alloggi sociali (assenza di delega). D’altra parte le stesse leggi di riforma, che in quasi tutta Italia hanno trasformato gli IACP in Enti pubblici economici sono testimonianza dell’approccio delle Regioni che stanno riconoscendo l’esigenza di un pareggio di bilancio interno all’attività. Anche laddove gli Enti non sono stati riformati, in ogni caso, la logica economica è alla base dell’attività: infatti non esistono meccanismi per il ripiano dei bilanci in deficit, se non la possibilità di vendere parte del patrimonio destinando al ripiano una quota dei proventi. Meccanismo che però rischia di portare ad un eccessivo depauperamento dello stock sociale e a cui quindi occorre trovare alternative, se non nella compensazione diretta da parte della Regione (difficilmente praticabile per problemi di bilancio), attraverso meccanismi perequativi nell’ambito di una diversificazione dell’attività e/o la devoluzione di una quota del fondo di cui all’art. 11 della legge 431 direttamente agli enti gestori, a conguaglio dei canoni più bassi. Sicuramente non è sostenibile, in nome di una presunta “non economicità” del servizio, un meccanismo quale quello attuale che penalizza gli enti che svolgono maggiormente la loro funzione sociale, alloggiando una quota più alta di persone a basso reddito (in quanto i canoni sono proporzionali al reddito dell’utente), privandoli delle risorse necessarie per far fronte a situazioni sociali particolarmente critiche. La definizione di alloggio sociale Dopo la decisione della Commissione Europea di cui abbiamo detto sopra, lo Stato italiano si è posto il problema di dare una definizione giuridica dell’alloggio sociale che consentisse di evitare l’onere di notifica degli aiuti concessi sia dallo Stato che da Regioni ed Enti locali al settore. Ciò è stato fatto con una serie di provvedimenti, alcuni dei quali anche parzialmente sovrapposti e in contraddizione. Il documento fondamentale è il DM del 22 aprile 2008, derivante dalla delega espressa con la legge 9/2007, che aveva incaricato il Ministero delle Infrastrutture di tale adempimento. Secondo tale decreto l'alloggio sociale è fondamentalmente una casa data in locazione permanente. La funzione che svolge l'"alloggio sociale" è di interesse generale nella salvaguardia della coesione sociale, per ridurre il disagio abitativo di persone e famiglie in condizione svantaggiata, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. Rientrano anche nella definizione di alloggio sociale, quegli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree o immobili, fondi di granzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni e anche alla proprietà. L'alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi sulla base di modalità stabilite dalle norme regionali. Spetta alle regioni - di concerto con le Anci regionali - definire i requisiti per l'accesso e la permanenza nell'alloggio sociale e il canone di locazione. Quest'ultimo deve tener conto delle capacità economiche, della composizione del nucleo familiare e delle caratteristiche dell'alloggio. L'alloggio sociale deve essere adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle caratteristiche tecnico-costruttive indicate negli articoli 16 e 43 della legge 457/1978 (norme per l'edilizia residenziale). Gli alloggi sociali dati in locazione sono considerati adeguati se hanno un numero di vani abitabili tendenzialmente non inferiore ai componenti del nucleo familiare - e comunque non superiore a cinque - oltre ai vani accessori quali bagno e cucina. 18/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 L'alloggio sociale, infine, deve essere costruito secondo principi di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico, utilizzando, ove possibile, fonti energetiche alternative. Questa la definizione “base”. Su di essa si sono poi innestate altre definizioni parziali, tendenti a ricondurre nell’ambito della definizione alcune tipologie di aiuti, in particolare quelle previste dal Piano Casa di cui all’art. 11 del DL 112/2008. Il comma 7 recita infatti: “Ai fini della realizzazione degli interventi di cui al comma 3, lettera e) l'alloggio sociale, in quanto servizio economico generale, e' identificato, ai fini dell'esenzione dall'obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli articoli 87 e 88 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, come parte essenziale e integrante della più complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie”. Con questo gli interventi agevolativi relativi agli interventi di edilizia sociale compresi nella “realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale” vengono attratti nell’ambito della esenzione da notifica. Un’ulteriore definizione è stata data dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 che introduce il concetto di «residenze d’interesse generale destinate alla locazione», allargando il concetto di alloggio sociale praticamente a tutto il patrimonio in affitto sito nelle aree a forte tensione abitativa14. Tale definizione è poi ripresa dal DM 2259/2008 del Ministero delle Infrastrutture, che emanava il Bando per gli interventi di “Riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile”. Tale bando riconduce alla definizione di Alloggio sociale anche questa tipologia di intervento che comprende : “2. I programmi prevedono il recupero o la realizzazione di alloggi di edilizia residenziale sociale mediante iniziative attivate sia da operatori pubblici (comuni ed ex Iacp comunque denominati) che da operatori privati (imprese, cooperative, fondazioni, ecc.) da destinare sia alle fasce sociali in possesso dei requisiti per l’accesso al sistema dell’edilizia residenziale pubblica che a categorie di cittadini che superano i limiti di accesso all’edilizia residenziale pubblica ma che si trovano comunque in condizioni di disagio abitativo destinando, a tal fine, una quota non inferiore al 50 per cento del costo complessivo di ciascuna proposta. 3. I programmi di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile contribuiscono, all’incremento della dotazione infrastrutturale dei quartieri degradati mediante la realizzazione di urbanizzazioni secondarie a servizio delle unità abitative da realizzare o recuperare. 4. Gli alloggi realizzati o recuperati da operatori privati andranno comunque locati a canone agevolato, che dovrà risultare non superiore al 70% del canone concordato calcolato ai sensi dell’articolo 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 e comunque non inferiore al canone di edilizia pubblica vigente in ciascuna regione e provincia autonoma, per una durata non inferiore a 25 anni ai sensi dell’articolo 2, comma 285, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”. Recentemente alcune Regioni hanno avviato una riflessione autonoma sull’argomento della definizione di Alloggio sociale, come ad esempio ha fatto la Regione Lombardia15. Se questo tipo di iniziative è auspicabile per adattare la definizione generale alle esigenze locali, questo fatto rischia però di creare nel territorio nazionale situazioni di sperequazione fra i cittadini delle diverse Regioni, che acuiscono quelle già esistenti, come la presenza di livelli di reddito per l’accesso all’ERP molto differenti da Regione a Regione e i diversi concetti del diritto alla Casa riconosciuti dagli Statuti regionali. 14 legge 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2: “285. Al fine di incrementare il patrimonio immobiliare destinato alla locazione di edilizia abitativa a canone sostenibile, si considerano «residenze d’interesse generale destinate alla locazione» i fabbricati situati nei comuni ad alta tensione abitativa di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61, composti da case di abitazione non di lusso sulle quali grava un vincolo di locazione ad uso abitativo per un periodo non inferiore a 25 anni. 286. Le residenze di cui al comma 285 costituiscono servizio economico di interesse generale, ai fini dell’applicazione dell’articolo 86, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunita` europea, e sono ricomprese nella definizione di alloggio sociale di cui all’articolo 5 della legge 8 febbraio 2007, n. 9”. 15 Legge Regionale Regione Lombardia, 13 luglio 2007, N. n. 14, Innovazioni del sistema regionale dell'edilizia residenziale pubblica: disciplina dei servizi abitativi a canone convenzionato 19/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 6. Altri punti critici Rapporto con i comuni e proprietà del patrimonio, unitarietà di gestione del patrimonio pubblico Le due riforme Toscana (1998) e Emilia-Romagna (2001) sono nate in un’epoca in cui il dibattito europeo e nazionale sulla liberalizzazione dei SIEG aveva individuato la soluzione della separazione fra proprietà delle reti e gestione del servizio come condizione per un’apertura alla concorrenza. Si è vista così l’ERP come possibile settore cui applicare le stesse regole studiate per la liberalizzazione dei servizi di energia e di trasporto su ferro, senza rendersi conto delle diverse caratteristiche del servizio casa. Questo servizio è infatti un tipico servizio locale, che comporta quindi di per sé una riduzione della concorrenza ad ambiti regionali e locali, da una parte, e dall’altra è un servizio caratterizzato da una tale sproporzione fra domanda ed offerta che di per sé consentirebbe di sviluppare una concorrenza fra operatori, se si realizzassero le condizioni per renderlo economicamente sostenibile per altri che non siano gli operatori pubblici. Separare proprietà e gestione significa invece indebolire il livello di responsabilizzazione sulle scelte di valorizzazione e programmazione a lungo termine della manutenzione da parte degli enti gestori. Bisogna dire che la posizione dell’Italia era e rimane isolata nel panorama europeo, in cui la questione della separazione fra proprietà del patrimonio e gestione non è mai stata all’ordine del giorno di nessun paese! Oggi alcune condizioni al contorno sono cambiate, in particolare a livello europeo il concetto di SIEG si è evoluto, con l’introduzione dei concetti di Servizio Universale e SIG sociale (fra cui l’Alloggio Sociale), mentre sul fronte della Concorrenza, la Commissione sta stringendo in ambiti sempre più delimitati il concetto di “in house”, mettendo in crisi le soluzioni basate sulla creazione di strutture strumentali per la gestione. (Vedi i recenti pronunciamenti della CdGE) La separazione della gestione dalla proprietà degli enti ha comportato in ogni caso la scelta fra due opzioni: dare all’ente la mera funzione di braccio operativo dei comuni per la gestione del patrimonio, limitandone estremamente la possibilità di iniziativa autonoma, e vietando ogni previsione di cessione delle quote societarie anche parziale al privato (la riforma Toscana prevede invece una futura possibilità di cessione, che però farebbe cadere il rapporto “in house”); oppure dare all’ente piena autonomia operativa e quindi accettare la messa in concorrenza per l’aggiudicazione del servizio di gestione degli immobili di proprietà del Comune o per l’effettuazione delle attività di progettazione e costruzione per conto dei Comuni. Entrambe queste scelte hanno alcune conseguenze negative da sottolineare. La prima consiste nello snaturamento del ruolo degli enti, spinti a ricercare le proprie convenienze (ai fini dell’equilibrio di bilancio) in attività estranee alla mission principale, che non è più certa come prospettiva di attività e quindi porta a: Spostamento del core business sull’affitto intermedio (questione in sé assolutamente non negativa, se fa parte di una scelta politica, ma limitativa se disgiunta da una logica di gestione integrata del patrimonio pubblico, che consente anche di gestire meccanismi di mobilità al suo interno che seguano l’evoluzione sociale delle famiglie); Rischio di messa in concorrenza del servizio di gestione, e quindi perdita della sicurezza di continuità della missione principale che l’ente è chiamato a svolgere; Rischio di ripercussioni negative sull’utenza (aumento dei canoni) a causa della messa in concorrenza (solo un ente pubblico può accettare condizioni non economicamente equilibrate, e solo a condizione che possa ritrovare altrove, in attività affini o complementari, le risorse per l’equilibrio), o rischio di aumento del carico delle spese per manutenzione del patrimonio sui bilanci comunali; Disinteresse del gestore rispetto alle scelte a lungo termine di valorizzazione del patrimonio. Non è un caso se il patrimonio comunale affidato a gestione privata è normalmente più deteriorato rispetto a quello degli Istituti: il privato trova la sua convenienza negli interventi di manutenzione straordinaria (che sono normalmente pagati a piè di lista) e quindi trascura la manutenzione ordinaria pagata a forfait. 20/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 Se è sicuramente condivisibile l’obiettivo comune delle due riforme citate di ridare protagonismo ai comuni, bisogna capire come questo protagonismo possa affermarsi anche in altri modi. Nel caso della Francia (OPAC, OPHLM) : il controllo e la coerenza di strategie fra comune ed ente che costruisce e gestisce il patrimonio è assicurato dalla presenza del Sindaco o dell’Assessore a capo dell’ente. Nel caso della Spagna (aziende comunali, provinciali o regionali): anche in questo caso il rapporto di collaborazione è assicurato con la coincidenza delle persone a capo degli enti con gli amministratori dell’ente proprietario. Nei casi di Svezia e Germania i comuni hanno costituito società per assicurare la presenza sul mercato di uno stock sotto controllo pubblico. Ma, mentre la Svezia difende il ruolo delle proprie società pubbliche e non intende rinunciarvi come elemento di controllo e regolazione del mercato, merita qualche riflessione al situazione della Germania, dove le società comunali detengono un patrimonio che, così come parte del patrimonio privato, è sottoposto ad un regime di convenzione venticinquennale, al termine del quale la convenzione dovrà essere rinnovata. A causa delle ristrettezza del bilancio comunale alcune città stanno vendendo a immobiliari straniere le proprie società. Nel caso di Friburgo la popolazione preoccupata per le ripercussioni di questo processo di privatizzazione è riuscita a bloccare la vendita della SpA comunale. In controtendenza in Olanda e Inghilterra, dove la gestione diretta da parte dei comuni del patrimonio di edilizia sociale è stata sostituita da enti privati senza scopo di lucro (Corporatie e Housing Associations), cui è devoluto il patrimonio ed a cui il comune delega le funzioni di sviluppo degli alloggi sociali. Si opera così una distinzione fra il ruolo dell’Ente locale di indirizzi di politica e sviluppo del territorio e quello di costruzione e gestione dell’Alloggio Sociale. 21/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 7. Conclusioni Quali nuove missioni nell’ambito del piano casa? Il Piano casa promosso dal Governo con il DL 112/2008 innova radicalmente l’approccio alla questione dell’alloggio sociale, ricollocandola come uno degli elementi di un più ampio piano di rilancio dell’edilizia abitativa a fronte di una esplosione della domanda che ripropone i temi dell’espansione tipici del dopoguerra. Molte delle problematiche poste da questo Piano e dal DPCM attuativo, di cui si attende l’emanazione, dopo l’accordo sottoscritto fra Stato e Regioni sono ancora da approfondire e non sono certo oggetto di questa relazione. E’ utile però sottolineare alcune delle opportunità proposte dal piano alle aziende pubbliche perché fanno parte dell’evoluzione della missione con cui abbiamo aperto il nostro ragionamento. Promotori di sviluppo locale e trasformazione urbana L’aspetto più importante da sottolineare è che il nodo dell’attuazione del piano sta nel portare a regime l’approccio integrato che ha caratterizzato la programmazione degli interventi più interessanti dell’ultimo periodo. E’ proprio in questo approccio integrato che pare possibile cogliere delle opportunità per valorizzare il ruolo delle agenzie della casa come braccio operativo del Comune e come motore di sviluppo e di riqualificazione dei quartieri periferici monofunzionali. Le aziende che sapranno proporsi ai Comuni con progetti di valorizzazione che partono dal patrimonio pubblico (da trasformare, dotare di servizi e modificare nelle funzioni, anche, se del caso, con interventi di demolizione e ricostruzione) potranno attrarre nel quartiere investimenti privati e guidare il processo di riqualificazione. Su un progetto di trasformazione che parte dalla proprietà pubblica (ex Iacp e comune), dall’utilizzo per funzioni di servizio anche abitativo delle aree a standard è possibile costruire dei partenariati locali che consentano di creare quel mix di abitanti e di funzioni capace di togliere i quartieri dall’isolamento e dal degrado. Agenzie per l’affitto La carenza di alloggi in affitto rimane comunque uno dei nodi della questione casa nelle grandi città. La promozione di agenzie pubbliche per l’affitto fra Comune, Azienda casa, Fondazioni, operatori privati si sta rivelando uno strumento utile a mobilitare il mercato privato attraverso le garanzie che il pubblico può offrire. Per gli ex Iacp questa è un’opportunità di allargamento del proprio ruolo a un settore non convenzionale, ma sicuramente coerente con la mission sociale, che non può limitarsi agli assegnatari dell’ERP, ma deve offrire soluzioni anche per coloro che non possono accedervi (immigrati, giovani ecc.). Fondi immobiliari La questione dei fondi immobiliari che il Piano casa pone al centro del programma è ancora tutta da esplorare per quanto riguarda la convenienza delle aziende casa a parteciparvi con conferimenti. Al di là di questo rimangono però dei ruoli che possono valorizzare le capacità delle aziende: sia nella gestione dei Fondi (vedi l’iniziativa della Regione Veneto), che nell’opportunità di essere uno dei soggetti promotori degli interventi e sicuramente uno dei soggetti gestori del costruito. In questo ruolo occorrerà mirare ad ottenere la gestione complessiva del patrimonio in locazione, al fine di assicurare l’unitarietà di trattamento e di poter mettere in atto le misure di accompagnamento sociale che dovranno garantire il funzionamento del mix sociale. Casa e nuovi modelli di welfare L’interesse generale sottomette tutti gli operatori a un obbligo di risultato, operatori privati e proprietari singoli non sono detentori di un bene di consumo normale; essi detengono dei beni il cui 22/23 Nel Piano come Aziende Casa - Ancona, 22 aprile 2009 uso è sottoposto all’interesse generale in contropartita degli aiuti pubblici eventualmente necessari alla produzione, la manutenzione o la gestione dei beni. Questa evoluzione, sia del diritto che della società, modifica una concezione tradizionale delle politiche della casa troppo legata allo status del patrimonio. Il fatto che la casa contribuisca all’interesse generale induce forse ad aumentare i costi dell’aiuto pubblico concesso alla casa, ma, in contropartita, dovrebbe indurre le Amministrazioni a contabilizzare le economie della coesione sociale, dunque a dedurre le spese che, senza l’aiuto alla casa, non farebbero che crescere (alloggi d’emergenza, servizi di supporto per l’infanzia e per gli anziani, costi della sanità, delinquenza, difficoltà di reinserimento nell’impiego, deriva dei quartieri di abitazione sociale, fratture sociali e territoriali...). D’altra parte, l’emergenza della problematica del diritto alla casa come componente dei processi di coesione sociale e territoriale dell’Unione europea e l’evoluzione della natura del fabbisogno di casa hanno portato a desettorializzare l’intervento pubblico. Ciò rinvia: - all’evoluzione dello stesso concetto di abitazione sociale, dove sociale non designa più dei gruppi socialmente sostenuti ed alloggiati in un parco abitativo specifico al di fuori del mercato, ma tende a designare una nuova funzione sociale, che comprende un insieme coordinato di prestazioni organizzate attorno alla casa come è il caso del concetto anglosassone di Housing Plus; - il riutilizzo degli alloggi vuoti, quale che sia il loro statuto, pubblico, o privato, inserendoli in sistemi di convenzionamento a vocazione sociale flessibile, evolutiva in funzione degli occupanti; - l’adattabilità nel tempo degli alloggi, sociali o privati; adattabilità fisica, ma anche dello status, degli affitti, affinché seguano l’evoluzione delle condizioni di vita e dei livelli di reddito degli occupanti. I sistemi di convenzionamento consentono di attribuire il parco privato o sociale secondo dei criteri definiti dalla collettività in contropartita di un indennizzo monetario. Questi vincoli si avvicinano a degli obblighi di servizio pubblico assicurati dai proprietari (sia pubblici che privati) e compensati da meccanismi di aiuto pubblico. Per finire, ci limitiamo a due annotazioni: 1. in primo luogo, non siamo che all’inizio di un processo di presa di coscienza del fatto che l’alloggio è un servizio di interesse generale, sia da un punto di vista concettuale, che storicamente. 2. In secondo luogo, questo fatto deve indurci a ripensare l’operato delle organizzazioni locali della casa, il loro modello organizzativo, i loro modi di governo, le loro relazioni con gli abitanti. Nel concetto di servizi di interesse generale c’è quello di servizio, di qualità del servizio, di continuità del servizio, di valutazione. E’ uno degli impegni principali coi quali le imprese locali della casa devono confrontarsi in contesti spesso difficili, caratterizzati da una esclusione sociale e territoriale. Ma per far questo occorrono le risorse ed occorre rendere “sano” il rapporto, svincolandolo dalle logiche assistenziali che hanno portato alla disaffezione da parte degli abitanti ed alimentato un circuito perverso di morosità contro scarsi servizi e viceversa da cui è difficile uscire. La logica economica invece può servire a far emergere il costo reale del servizio in rapporto alla sua qualità ed è la base per l’attivazione di meccanismi di controllo dal basso. 23/23