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48° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
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La gestione delle patologie gastrointestinali nel gatto
Andrea Boari
Med Vet, Teramo
Carla Civitella, Med Vet, Teramo
Le malattie del tratto gastrointestinale (GI) del gatto rappresentano uno dei più frequenti motivi di visita nella pratica clinica
veterinaria. Nel gatto i segni clinici osservabili nei disordini dell’apparato gastroenterico sono assolutamente aspecifici e comuni
a numerose patologie extraintestinali. Pertanto nell’approccio diagnostico, bisogna affidarsi ad una dettagliata raccolta anamnestica, ad un accurato esame clinico e ad indagini collaterali adeguate. In merito alle forme croniche, queste appaiono quelle più problematiche sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico.
L’approccio ai disordini acuti si basa innanzitutto sul riconoscimento delle forme autolimitanti (24-36h) da quelle potenzialmente fatali (parvovirus, ostruzioni intestinali, alcune forme batteriche). Segni clinici quali depressione, anoressia, debolezza,
disidratazione, febbre e melena possono indirizzare verso la presenza di una forma grave che necessita di un approfondimento
diagnostico e di un’idonea terapia intensiva. Più frequentemente
siamo di fronte a forme autolimitanti che migliorano indipendentemente dal trattamento essenzialmente basato su una terapia
sintomatica che prevede fluidi rivolti alla correzione delle alterazioni idroelettrolitiche, acido-basiche e al riposo del tratto GI. È
consigliato un digiuno di 12-48h con susseguente passaggio a
piccoli quantitativi di acqua e quindi la somministrazione di piccoli pasti 6-8 volte al giorno incrementando la quota di alimento fino ad arrivare a far ricoprire, nell’arco di 3-4 giorni, i fabbisogni energetici giornalieri distribuiti in 2-3 pasti/die. L’alimento deve essere altamente digeribile, ipoallergenico, senza glutine, a basso tenore di grasso e lattosio, contenente proteine ad alto valore biologico, bilanciato in vitamine liposolubili, minerali
(potassio) e acidi grassi polinsaturi. L’uso di antibiotici non è indicato se non in caso di grave danno mucosale che può predisporre allo sviluppo di batteriemia, setticemia o endotossiemia
come si può verificare nelle forme enteriche emorragiche. Fra gli
antibiotici e chemioterapici consigliati ricordiamo: trimethoprim-sulfonamide, l’associazione aminoglicosidici e β-lattamici
quali ampicillina sodica o cefalotina sodica con gentamicina solfato e le cefalosporine di terza generazione. In caso di grave alterazione acuta della permeabilità intestinale è opportuno alimentare il gatto con la cosiddetta dieta “sacrificale” che prevede
l’introduzione di una nuova proteina per 3-6 settimane, per poi
tornare gradualmente alla dieta originaria. La nuova proteina
non dovrebbe più far parte della dieta di quel soggetto per evitare possibili manifestazioni di ipersensibilità alimentare. La terapia farmacologica prevede anche l’uso di gastroprotettori (sucralfato), inibitori delle secrezioni acide quali farmaci H2-antagonisti (cimetidina, ranitidina, famotidina), inibitori della pompa protonica (omeprazolo/lanzoprazolo), farmaci antiemetici e
regolatori della motilità GI (clorpromazina e metoclopramide).
Nelle malattie croniche intestinali è fondamentale un pia-
no diagnostico accurato per identificare la sede del problema
(grosso o piccolo intestino), la presenza di una enteropatia
proteino disperdente (meno frequente nel gatto rispetto al cane), di una malattia malassorbitiva e se quest’ultima consegue a maldigestione la cui causa è l’insufficienza pancreatica
esocrina (IPE) o a malassorbimento conseguente a problemi
dietetici, batterici, parassitari, a malattie infiltrative infiammatorie (IBD) o neoplastiche (linfoma).
La causa più comune di manifestazioni gastroenterologiche
croniche è l’IBD che rappresenta un’infiltrazione idiopatica
della parete gastrointestinale da parte di cellule infiammatorie o
immunocompetenti. Tali lesioni derivano probabilmente da una
risposta immunitaria appropriata ad uno stimolo abnorme o ad
una risposta prolungata e anomala ad uno stimolo “normale”.
La diagnosi di IBD origina dall’esclusione delle malattie infiammatorie GI ad eziologia nota (dieta, batteri, parassiti, funghi, neoplasie) e solo dopo aver eseguito un esame istologico.
La terapia è mirata essenzialmente all’eliminazione di cause
primarie che promuovono l’infiammazione quali allergeni dietetici e batterici. Per tale motivo la gestione include principalmente l’uso di una dieta controllata e secondariamente l’utilizzo di farmaci antinfiammatori, immunosoppressivi e antibiotici. La dieta deve essere iperdigeribile e a basso residuo, eventualmente integrata con acidi grassi polinsaturi opportunamente bilanciati. La fonte proteica ad elevata digeribilità deve essere nuova ed ipoallergenica. Lo scopo principale della terapia è
quello di portare ad una riduzione dello stimolo antigenico. In
tal senso, sono in commercio numerose diete opportunamente
preparate e indicate per le malattie del tratto GI e alcune contengono idrolizzati proteici con peso molecolare inferiore a
3000 dalton considerati non allergenici, che vengono indicati
nelle forme gravi di IBD (z/d Hill’s). Vista la riportata frequenza di carenze vitaminiche (soprattutto di folati e di cobalamina)
nei gatti con IBD è consigliabile effettuare un’opportuna integrazione della dieta con queste vitamine per via parenterale ed
anche di notevole ausilio appaiono aminoacidi, quali l’arginina,
e la carnitina. Tali misure portano ad un significativo miglioramento della risposta alla terapia farmacologica. Per quanto riguarda quest’ultima, il farmaco d’elezione è il prednisone (5
mg/gatto bid os; 2-3 mg/kg/die bid os solo nei casi gravi di IBD
ed in caso di enterite eosinofilica). Tale corticosteroide viene
metabolizzato a prednisolone a livello epatico e i suoi principali effetti sono di tipo antinfiammatorio e immunosoppressivo.
Nei casi refrattari alla terapia dietetica e corticosteroidea si può
associare il clorambucile (0,25-0,33 mg/kg q72h os). Altri farmaci quali azatioprina e ciclofosfamide per i gravi effetti collaterali sono da sconsigliarsi nel gatto. L’antibiotico di prima scelta è il metronidazolo (10-25 mg/kg q12-24h os) o, nei casi re-
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frattari di IBD, la tilosina (20-40 mg/kg bid os). In presenza di
un’IBD ad esclusiva localizzazione del grosso intestino la terapia corticosteroidea è controindicata, mentre l’integrazione di
fibra appare al momento controversa. Tuttavia, l’aggiunta di
modeste quantità di fibra alimentare solubile o insolubile allo
scopo di aumentare la massa delle feci ed allo stesso tempo garantire un apporto di butirrato quale fonte energetica per i colonociti appare utile nel trattamento dei soggetti colpiti da tale patologia. In commercio esistono diverse diete ad elevato contenuto di fibra. Dal momento che non è possibile prevedere gli effetti delle diverse diete (fibra vs ipoallergenica) nei confronti
delle colonopatie croniche del gatto, si consiglia l’adozione di
accurati e adeguati trial dietetici. L’uso di farmaci contenenti 5aminosalicilato è raramente consigliato nel trattamento dell’IBD del colon nel gatto, data la sua ben nota sensibilità ai salicilati. Pertanto l’uso della sulfasalazina nel gatto è consigliata
esclusivamente nei soggetti che non rispondono alle altre terapie e solo utilizzando dosaggi ridotti (10-20 mg/kg q8-24h os
per un massimo di 10 giorni).
Nel gatto l’IBD può talora non rappresentare un’entità
patologica unica ma può associarsi a pancreatite cronica,
rientrando nel cosiddetto quadro della triadite (IBD, colangioepatite, pancreatite). Da un punto di vista clinico la sintomatologia della pancreatite è aspecifica e variabile da grave (soggetto in stato di shock) a lieve (asintomatica o paucisintomatica) e la diagnosi rappresenta ancora oggi una sfida.
Recenti studi hanno proposto l’utilizzo del fPLI (feline Pacreatic Lipase Immunoreactivity) nella diagnosi della pancreatite felina che ha dimostrato una sensibilità e specificità
più elevata rispetto ai test considerati tradizionali (fTLI o feline Trypsin-Like Immunoreactivity ed ecografia). Una volta raggiunta la diagnosi occorre procedere all’“eliminazione” della causa (tenendo presente che circa il 90% delle pancreatiti nel gatto sono idiopatiche) e ad un trattamento di
supporto caratterizzato da fluidoterapia (cristalloidi, plasma). La sospensione della somministrazione di cibo, acqua
e farmaci per via orale necessaria nel cane, è controindicata
nel gatto poiché tale provvedimento può predisporre a lipidosi epatica. Quindi in caso di anoressia per più di 24h è necessario ricorrere ad una alimentazione enterale o parenterale. È inoltre consigliato l’uso di analgesici quali patch transdermici di fentanyl. Gli antibiotici sono indicati solo in caso di pancreatite suppurativa. La somministrazione di dopamina (5 µg/kg/min) sembra ridurre la flogosi migliorando la
circolazione pancreatica e diminuendo la permeabilità del
microcircolo. I corticosteroidi sono consigliati solo in caso
di shock o di concomitante IBD. La pancreatite cronica può
causare nel gatto l’IPE che porta, a seguito della carenza degli enzimi pancreatici, a una sindrome da maldigestione. La
terapia dell’IPE prevede la supplementazione di enzimi pancreatici in polvere o di pancreas di suino (fresco o congelato) da aggiungere ai pasti. È inoltre consigliabile la supplementazione parenterale di folati e vitamina B12 per correggere le carenze vitaminiche frequentemente osservate nei
gatti con IPE. La dieta da suddividersi possibilmente in più
pasti deve essere iperdigeribile, a basso contenuto di fibre e
con proteine di elevata qualità.
Altro disturbo frequente del tratto GI del gatto è la costipazione, tale condizione può essere indotta da svariati fattori quali: cam-
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biamenti dietetici o ambientali, ingestione di corpi estranei, ostruzioni intra-extraluminali, ileo, patologie neurologiche, terapie farmacologiche, disidratazione. La costipazione cronica esita in megacolon che può anche essere d’origine idiopatica. Il trattamento
della costipazione comprende l’identificazione e l’eliminazione
della causa, il ripristino dello stato di idratazione, l’uso di clisteri
di acqua tiepida e di lassativi. Occorre porre attenzione ai lassativi osmotici (lattulosio) e a quelli emollienti (docusato di sodio/calcio) che possono risultare irritanti per la mucosa intestinale, quindi controindicati in presenza di uno stato infiammatorio del tratto
GI e prima di procedure endoscopiche. Non bisogna utilizzare
lassativi catartici contenenti magnesio e clisteri contenenti fosfati poiché questi possono indurre stati di iperfosfatemia o ipermagnesemia potenzialmente fatali nel gatto. I lassativi migliori sono
quelli che aumentano la massa fecale (psillium, metilcellulosa) e
i lubrificanti (vaselina). I lassativi stimolanti (bisacodile) sono indicati nei gatti con costipazione cronica o con megacolon in stadio precoce. Agenti procinetici quali la ranitidina e la nizatidina
possono dimostrarsi utili nei casi refrattari alla dieta e ai lassativi
e trovano quindi indicazione per aumentare le contrazioni della
muscolatura liscia e quindi nel trattamento di gatti con ileo, costipazione cronica o megacolon idiopatico. L’utilizzo di diete ricche di fibra insolubile, che porta ad aumento della massa fecale,
si dimostra utile nel trattamento della costipazione, sempre che lo
stato di idratazione del gatto sia buono.
Un altro capitolo importante in medicina felina è la gestione delle reazioni avverse al cibo dovute ad una risposta abnorme su base immunitaria (allergia o ipersensibilità) e non
(intolleranza e errori) all’alimento ingerito o ad un additivo.
Nel gatto la contemporanea presenza di segni GI e dermatologici indirizzano verso una sospetta allergia alimentare ed, in
questo caso, la dieta rappresenta sia un mezzo diagnostico che
terapeutico di fondamentale importanza. Sono state prodotte
diverse diete commerciali ipoallergeniche o a limitato potere
antigenico, formulate utilizzando un’unica fonte di proteine e
carboidrati. La diagnosi comporta notevoli difficoltà, soprattutto perché la prova di eliminazione dura 6-12 settimane ed è
caratterizzata dall’utilizzo di una dieta ipoallergenica di “eliminazione” volta a dimostrare la scomparsa dei sintomi clinici
a seguito della rimozione dell’agente scatenante e a provare la
ricomparsa dei sintomi quando al paziente viene ripresentata la
dieta originale. Qualora si sia individuato l’elemento scatenante la reazione avversa, si prescriverà una razione equilibrata
priva di tale alimento o additivo, o in alternativa il paziente
continuerà a ricevere la dieta ipoallergizzante.
Letture consigliate
1.
2.
3.
4.
Jergens AE, (2003), Managing the refractory case of feline IBD, J Feline Med Surg., 5: 47-50.
Zoran D, (2003), Nutritional management of gastrointestinal disease,
Clin Tech Small Anim Pract, 4: 211-217.
Peterson PB, Willard MD, (2003), Protein-losing enteropathies, Vet
Clin N Am: Small Anim Pract 5: 1061-1082.
Washabau RJ, Holt D, (1999), Pathogenesis, diagnosis, and therapy of feline idiopathic megacolon, Vet Clin N Am: Small Anim Pract 2:589-603.
Indirizzo per la corrispondenza:
Andrea Boari, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie
Università degli Studi di Teramo, Viale F. Crispi 212, 64100 Teramo
Tel 0861 266972 - fax 0861 266971 - e-mail [email protected]