S. Palermo - Dipartimento di Analisi dei processi economico

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S. Palermo - Dipartimento di Analisi dei processi economico
III. RECENSIONI
S. Palermo, La Banca Tiberina. Finanza ed edilizia tra Roma ,Napoli e Torino
(1896-1895), Editoriale Scientifica, Napoli, 2006.
Prendendo in esame, dettagliatamente, alcuni temi dell’Italia post-unitaria,
quali lo sviluppo delle comunicazioni, con particolare riferimento alla rete ferroviaria ed il processo di inurbamento delle grandi città, il volume di Stefano Palermo si presenta come un lavoro critico-divulgativo sull’attività della Banca Tiberina, analizzandone, puntualmente, le vicende economiche, dalla costituzione, nel
1877, fino alla sua liquidazione del 1895.
I temi trattati dall’autore riguardano il ruolo svolto dall’intervento pubblico,
all’interno della nascente economia nazionale, finalizzato al sostegno degli istituti mobiliari per il salvataggio dell’intero sistema creditizio nazionale, e la nascita
di una particolare elite finanziaria, nobile o borghese, che determinò, in modo
incisivo, gli avvenimenti economici e politici di quegli anni.
Attraverso uno schema cronologico, il testo analizza le fasi economiche della
banca, quelle di espansione e quelle di recessione, soffermandosi sulle cause che
portarono alla crisi che la colpì, nel 1887, e alla successiva messa in liquidazione.
Partendo dalla fondazione della Banca Italo-Germanica e dalle principali
attività del fondatore, il banchiere e possidente, Giacomo Servadio, si traccia la
sua attività nel mondo politico e bancario e nel settore immobiliare. Nel secondo
capitolo del volume, viene analizzata la fase di liquidazione della Italo-Germanica prima dell’intervento del Banco di Sconto e la costituzione della Banca Tiberina. L’argomento si concentra, poi, sulla Banca Tiberina, indagando sulle modalità
operative nella fase di massima espansione e approfondisce, puntualmente, le scelte strategiche del gruppo dirigente; senza tralasciare di esaminare le singole operazioni economiche ed immobiliari effettuate dalla Banca nella città di Roma,
centro nevralgico e strategico di interessi delle attività. Nel capitolo conclusivo,
vengono esaminati gli anni dal1887 al 1895, periodo di crisi economica, prima,
e messa in liquidazione poi, della Banca, mettendo in risalto la capacità degli
amministratori di fronteggiare la crisi.
Fin dalla metà del 1800, fu avviata, in Italia, una vera e propria spirale di
investimenti finanziari, accompagnata da un aumento della circolazione cartacea
e dall’arrivo di capitali stranieri, indirizzati prima verso le società ferroviarie, per
poi passare alle grandi compagnie immobiliari ed agli investimenti bancari. In
questo contesto, si inserisce la nascita della Banca Italo-Germanica, istituto dedi145
to agli investimenti in titoli e alla compravendita di terreni e capogruppo di altre
5 società. Una fase economicamente sfavorevole, culminata nel 1873, unita alla
carenza di liquidità della Banca ed ad alcune criticabili scelte gestionali, portarono la stessa alla liquidazione ed alla contemporanea nascita della Banca Tiberina.
La Banca Tiberina nacque, ufficialmente, nel 1877, quando il Banco di Sconto e Sete di Torino (uno dei più importanti istituti di credito piemontese), assunse la liquidazione della Banca Italo-Germanica. Questi erano gli anni in cui si
apriva una fase di transizione per il sistema bancario, sfociata nel processo di
nascita di nuove banche e società anonime, che cercarono di sfruttare la congiuntura finanziaria favorevole, per inserirsi anche nei settori immobiliari e delle
infrastrutture.
La Banca disponeva di un capitale sociale di 10.000.000 di lire suddivise in
40.000 azioni, tra conversioni di quelle appartenenti alla liquidata Italo-Germanica, e le nuove emesse con i versamenti dei nuovi soci promotori. Il Banco di
Sconto risultò detenere il 41,5%del pacchetto azionario della nuova Banca, senza
considerare le quote individuali dei membri del gruppo di controllo, come Ulrico Geisser, che aumentavano la partecipazione di un altro 3,5%.
L’autore si sofferma dettagliatamente, sui singoli valori del patrimonio trasferiti dalla Italo-Germanica, sottolineando la presenza cospicua di azioni e obbligazioni di società ferroviarie, e di un gran numero di debitori sparsi sul territorio
italiano (Roma, Napoli, Firenze, Milano ed altri). Con la prima assemblea societaria (6 Marzo 1877) venne approvato lo statuto che prevedeva un gran numero
di operazioni sociali in grado di coprire quasi tutta l’attività bancaria, come anticipazioni su titoli, sconto di effetti, credito a privati ed enti pubblici, acquisto e
vendita di titoli, ed inoltre la possibilità di “assumere imprese di costruzioni,
colla facoltà di comprare o vendere, o permutare terreni o fabbricati, e associarsi
ad imprese di simile genere”.
In pratica, dallo statuto, risultava come la Banca Tiberina, nata si con lo
scopo di far fruttare le proprietà immobiliari della Italo-Germanica, si presentasse come una “banca generale”, capace di operare in tutti i settori più importanti, incluso quello edilizio; e sarà proprio nel campo dell’edilizia che la Banca
Tiberina risulterà la maggiore protagonista di quegli anni .Furono gli anni a
cavallo tra il 1884 ed il 1886 che videro salire maggiormente gli indici economici della Tiberina, con una punta massima nel 1886; il mercato edilizio era
infatti in forte crescita e la strategia operativa della Banca si stava orientando
sempre più sulla speculazione edilizia. Palermo, per analizzare meglio i dati rilevati nei bilanci dagli archivi comunali di Roma e Torino, e dare una maggiore
chiarezza della gestione bancaria, ha suddiviso la parte strettamente “immobiliare” da quella “economica” o “finanziaria”, inserendo nella prima tutte le attività
edilizie di proprietà dell’istituto; nella seconda, le attività più tipicamente creditizie o mobiliari. Tra il 1877 e 1880, si ebbe una fase di stallo generale delle attività, con un picco massimo nell’esercizio del 1879, per poi riprendersi l’anno suc146
cessivo con un continuo aumento dei principali indici economici, con dei record
massimi toccati, negli anni 1881 e 1884, grazie alla sempre maggiore espansione
delle attività immobiliari. Con lo scoppio della crisi edilizia, e della conseguente
bolla speculativa cominciò, per la Banca, la fase discendente, caratterizzata da un
forte calo degli utili causati dalla contrazione nelle vendite dei terreni e dall’aumento dei debitori: il progetto di creare una banca di credito ipotecario con forte
connotazione immobiliare stava svanendo, poiché non sussistevano più le garanzie per poter mantenere saldi i due settori. Nonostante il lungo periodo di crescita, fu proprio lo sgonfiamento della bolla speculativa, la causa principale della
crisi del 1889, che portò alla definitiva liquidazione sei anni più tardi.
Il volume di Palermo è interessante anche per la dovizia di particolari con cui
descrive gli investimenti della Banca nella città di Roma e Napoli, quest’ultima
beneficiaria di grandi risorse finanziarie messe a disposizione dal governo con la
famosa “Legge per il risanamento di Napoli”, emanate per frenare il dilagare del
colera. In particolare, nella città partenopea, la Banca Tiberina concentrò una
gran parte dei suoi investimenti, tra cui molto importante fu l’acquisto dei terreni della zona del Vomero, con la conseguente edificazione del quartiere collinare e della costruzione di due funicolari destinate a collegare la parte bassa della
città con le nuove zone residenziali.
Per l’espansione degli affari ed il rilancio delle attività, furono stipulate
alleanze con molti istituti di credito, a Torino, Roma e Napoli; tali compartecipazioni, con le immobiliari impegnate nel mercato edilizio, permisero una riduzione del rischio d’investimento a fronte di guadagni relativamente alti, ma
soprattutto limitarono la concorrenza tra di esse mantenendo il controllo sui prezzi dei terreni, oltre a costituire una valida alternativa per entrare in nuove zone
d’intervento. Col passare del tempo, la Tiberina si specializzò nella concessione di
sovvenzioni ai costruttori e nella compravendite dei terreni, ma, per far fronte ai
suoi impieghi, dovette ricorrere al sostegno della Banco di Sconto e Sete di Torino, della Banca Nazionale e del Banco di Napoli. Infatti, la Tiberina non poteva
più contare solo sulla propria liquidità o sugli ulteriori versamenti dei decimi del
capitale da parte dei soci. Proprio la pendenza con il primo istituto, che era la più
urgente, fu alle origini delle sue difficoltà economiche affrontate, alla fine degli
anni ottanta; nel 1889, la situazione della Tiberina peggiorò ulteriormente, quando l’esposizione finanziaria con la Banca Nazionale aumentò fino a 40 milioni.
L’autore sottolinea come l’immagine della Tiberina fosse ormai legata a quella di
una società fortemente condizionata dalle aperture di credito e dai risconti dei
principali istituti.
Un’ampia parte della ricerca è destinata agli investimenti compiuti nella
capitale, nel ventennio 1870-1890, sottolineando come questi interventi rappresentassero il settore di maggior interesse per la Tiberina divenuta, in pochi anni,
una delle maggiori società che animavano il mercato romano. Nel corso di questi
venti anni, gli investimenti riguardarono non solo i terreni ereditati dalla Italo147
Germanica, come l’edificazione di un quartiere residenziali nella zona di Castro
Pretorio e Prati di Castello, ma anche zone non riferibili a tale eredità, come gli
impieghi nei quartieri Fomentano e San Lorenzo, ed interventi inseriti dal municipio nel piano regolatore, inerenti alla riqualificazione del Ghetto ed alla costruzione del ponte Margherita.
Tuttavia tali investimenti non ressero alla caduta del mercato edilizio: la
Tiberina ed i suoi committenti furono, così, trascinati in quella più generale crisi
del sistema bancario che avrebbe contribuito a modificare l’assetto del sistema
creditizio nazionale. Gli storici datano l’arresto del movimento speculativo al
1887, individuando, tra le cause principali, il ritiro dei capitali esteri dal mercato mobiliare.
La crisi delle imprese coinvolse, in breve tempo, anche le banche (al vertice
c’erano la Banca Nazionale e il Banco di Napoli), che, per sostenere il sistema
negli anni ’80, avevano allargato le aperture di credito e i risconti sulle carte
commerciali, e colpì anche la Tiberina, che vide il triennio 1887-89 il più delicato della sua storia. In quegli anni, entrarono in crisi le strette relazioni politico-finanziarie che stavano alla base delle sue attività, e la sua insolvenza contribuì
e trascinò nella crisi il suo fondatore nonché sostenitore principale: il Banco di
Sconto e Sete.
Nell’ ultimo capitolo del libro, l’autore evidenzia come le scelte amministrative della Tiberina non fossero mai dirette a ricercare una soluzione concreta alla
crisi, ma attendevano passivamente un miglioramento della congiuntura economica o un evento esterno che potesse rimettere in moto il mercato mobiliare; egli
si sofferma sul tentativo di salvataggio (1889), grazie ad una sovvenzione di 40
milioni da parte della Banca Nazionale, messo in atto dalle forti pressioni esercitate da parte del governo, affinché gli istituti di emissione concedessero finanziamento alle imprese in crisi, ma, nonostante ciò, la liquidazione della Tiberina fu
soltanto rimandata, essendo quella cifra sufficiente soltanto a saldare il debito con
il Banco di Sconto e Sete e a portare a completamento alcuni cantieri edilizi, tra
cui le funicolari del Vomero. In seguito, una riduzione di capitale sociale e un
nuovo riassetto dell’organigramma societario furono dei palliativi in attesa della
liquidazione, che fu dichiarata durante l’assemblea straordinaria del 1895. Questa decisone fu triste, ma, allo stesso tempo, indispensabile, in quanto gli ultimi
bilanci della banca si erano chiusi con forti perdite e riduzioni dell’attivo,oltre ad
un’ulteriore richiesta di quattro milioni alla BNRI. Accordi con i creditori e ulteriori dilazionamenti nel rimborso dei prestiti, non riuscirono a coprire le perdite,
cosicché i liquidatori stipularono un accordo (1899) con la Banca D’Italia e il
Banco di Napoli, nel quale si cedeva la gran parte del patrimonio della Tiberina
e del suo credito fondiario. Tali accordi rappresentarono la fine di due decenni di
attività della Banca Tiberina, divenuta una delle più importanti banche di credito immobiliare del paese
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Con questo lavoro, utile strumento di informazione per chi, specialista o
meno, sia interessato ad approfondire la storia della nascente economia nazionale
post-unitaria,, l’autore, approfitta della disamina sulle vicende della Banca Tiberina per valutare come un’economia market oriented, dove l’efficienza è calcolata
dalla Borsa, più che dai rapporti privatistici tra banca, ceto politico e imprenditori, sia migliore di un economia banking oriented, come si presentava quella italiana di quegli anni.
Fabrizio Spina
T. Piffer, Il banchiere della Resistenza, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2005.
In questo volume, che si inserisce nell’ampia letteratura dedicata alla guerra
partigiana per la liberazione dell’Italia dal fascismo, Tommaso Piffer si propone di
fornire una dettagliata esposizione della vita di Alfredo Pizzoni, presidente del
Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia dalla costituzione fino al 27
aprile 1945. L’intenzione dell’autore è di far luce, attraverso una serrata e completa cronaca dei concitati eventi che caratterizzarono la lotta partigiana, su una
figura fondamentale per la liberazione dell’Italia di cui per anni si è persa la
memoria. Piffer non esita a definire il mutismo storiografico sulla figura di Pizzoni come il risultato delle inesattezze e dei condizionamenti di cui l’ampia letteratura sull’argomento non è sempre scevra.
Dalla biografia tracciata da Piffer, Pizzoni appare un anticonformista difficilmente inquadrabile in schemi fissi; nella formazione di questo aspetto del suo carattere ebbe parte importante l’educazione che per lui volle la famiglia. Infatti, incoraggiato dal padre, l’ufficiale Paolo Pizzoni, studiò in Inghilterra dove imparò la lingua inglese che si aggiunse al francese ed al tedesco di cui aveva già ampia padronanza. Gli studi all’estero non diedero i risultati didattici sperati:infatti Pizzoni non
divenne ingegnere, ma, grazie al soggiorno nel Regno Unito, migliorò le proprie
capacità di relazionarsi con altre culture che risultarono fondamentali per il ruolo di
mediatore ricoperto, anni dopo, nei rapporti tra movimento partigiano e forze alleate. Si pensi, ad esempio, agli ottimi rapporti che riuscì ad intavolare con Lord Rennel of Rodd durante la Prima Guerra Mondiale, che si rivelarono decisivi, quando
questi assunse il ruolo di capo degli affari civili nel governo militare alleato nei territori occupati. La propensione di Pizzoni a considerare le diverse sfaccettature di
ogni situazione contribuì non poco a renderlo persona indipendente e difficilmente
collocabile negli schemi politici del suo tempo. Piffer, infatti, scrive che Pizzoni “pur
condividendo i valori della disciplina fu antifascista e pur essendo partigiano non fu
comunista”. L’indipendenza politica aiutò Pizzoni ad assumere la presidenza del
CLNAI, ma non giocò a suo favore per il rinnovo della fiducia a liberazione acquisita, quando il Comitato uscì dalla clandestinità.
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