Bollettino 2-2011 - Diocesi di Ugento

Transcript

Bollettino 2-2011 - Diocesi di Ugento
Bollettino Diocesano
S. Maria de Finibus Terrae
Atti ufficiali e attività pastorali della
Diocesi di Ugento - S. M. di Leuca
Bollettino Diocesano
S. Maria de Finibus Terrae
Atti ufficiali e attività pastorali della
Diocesi di Ugento - S. M. di Leuca
Anno LXXIV n. 2 luglio - dicembre 2011
Direzione, redazione e amministrazione
Curia Vescovile Ugento - S. M. di Leuca
Piazza S. Vincenzo, 21
73059 Ugento
Tel. 0833-555049 Fax 0833-955801
www. diocesiugento.org
e-mail: [email protected]
Direttore responsabile
mons. Salvatore Palese
Redazione ed edithing
Gigi Lecci
EDIZIONI VIVEREIN - 70043 Monopoli (Ba) - C.da Piangevino, 224/A - Tel. 0806907030 - Fax 0806907026
www.edizioniviverein.it - E–mail: [email protected]
INDICE
DOCUMENTI PONTIFICI
Lettera Apostolica in forma di Motu proprio “Porta fidei”
del Sommo Pontefice Benedetto XVI
pag. 265
Discorso del Santo Padre Benedetto XVI
ai Responsabili degli Organismi Ecclesiali
per la Nuova Evangelizzazione
” 282
DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE
Congregazione per la Dottrina della Fede:
Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della Fede
” 289
DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA
Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana Comunicato finale
” 309
LITURGIA IN ONORE DI SAN VINCENZO
Lettera di approvazione della Congregatione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti
” 319
Lettera di promulgazione del Vescovo
” 320
Formulario della Messa e della Liturgia delle Ore
in onore di San Vincenzo,
diacono e martire, Patrono principale della Diocesi
” 323
INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO
VERSO IL PROGETTO PASTORALE DIOCESANO
Educare alla vita buona del vangelo
Dagli orientamenti della CEI all’elaborazione del
Progetto Pastorale Diocesano per il decennio 2010-2020
” 387
OMELIE
Dal magnificat al fiat, dal fiat al magnificat
Lo Spirito Santo anima la comunità
Cercatore e testimone della verità di Cristo
” 409
” 414
” 418
259
Don Pompilio, un prete senza aggettivi
pag. 422
“Il mio vivere è Cristo”
” 428
San Matteo e san Giovanni Bosco:
due santi, due guide di comunità
” 432
Vita fraterna, gratuita e accogliente
” 437
Culto, cultura, carità
” 440
Amministratore dei misteri di Dio e servo di Cristo
” 444
La Cattedrale: simbolo di unità, esemplarità, mondialità
” 449
La forma eucaristica, cristologica e “spirituale”
dell’azione pastorale
” 454
Il quadrilatero pastorale
” 458
Gli imperativi dell’azione pastorale
” 461
La dimensione comunitaria e missionaria dell’azione pastorale ” 465
La brama della gloria
” 469
La morte trasformata in vita
” 474
Solo con Dio c’è futuro nelle nostre campagne
” 478
L’Immacolata Concezione, modello della vita consacrata
” 482
«Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»
” 486
«Abbiamo contemplato la sua gloria»
” 492
A servizio dell’altare del Signore
” 498
Servo per amore
” 503
LETTERE
Lettera agli operai e alle loro famiglie
” 511
MESSAGGI
Tornare a scuola: perché?
Lo educò e ne ebbe cura
I futuri sacerdoti sono anche il futuro della Chiesa
” 517
” 523
” 533
ARTICOLI
In un albero senza radici i frutti non maturano
” 537
INTERVISTE
Vivo il ministero episcopale in laudem gloriae
” 545
PRESENTAZIONI
“Insieme”: titolo di un giornalino e programma pastorale
260
” 555
PREGHIERE
Preghiera alla Vergine Immacolata
pag. 563
NOTIFICAZIONI, DECRETI E NOMINE VESCOVILI - MINISTERI
DECRETI VESCOVILI
Cancelleria
Ufficio Amminstrativo
NOMINE VESCOVILI
MINISTERI
”
”
”
”
567
567
569
572
ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI
UFFICIO PASTORALE
Aggiornamento residenziale del clero presso la Diocesi di Noto ” 575
UFFICIO CATECHISTICO
Comunicazione a Catechisti, Educatori, Lettori istituiti,
Ministri straordinari
” 579
UFFICIO LITURGICO
Comunicazione ai Parroci
” 580
STATUTI E REGOLAMENTI
Statuto Museo Diocesano
Regolamento Museo Diocesano
Regolamento dell’Archivio Diocesano
” 585
” 588
” 596
PER LA STORIA DELLA CHIESA DI UGENTO-S.MARIA DI LEUCA
La visita pastorale di mons. De Rossi
all’antica Diocesi di Ugento nel 1711
Mons. Vito De Grisantis Vescovo nel Salento
all’avvio del terzo millennio cristiano
” 617
AGENDA PASTORALE
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
”
”
”
”
”
”
” 611
629
631
633
635
637
639
261
DOCUMENTI PONTIFICI
LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI MOTU PROPRIO “PORTA FIDEI”
DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI
1. LA “PORTA DELLA FEDE” (cfr. At 14,27) che introduce alla vita di
comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. È possibile oltrepassare quella soglia quando la
Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla
grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr. Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il
nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte
alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con
il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa
gloria quanti credono in Lui (cfr. Gv 17,22). Professare la fede nella
Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo
Dio che è Amore (cfr. 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel
mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del
ritorno glorioso del Signore.
2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho
ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere
in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per
l’inizio del pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pa265
stori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso
l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita
in pienezza”1. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche
del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto
non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato2. Mentre
nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario,
largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha
toccato molte persone.
3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce
sia tenuta nascosta (cfr. Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può
sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo
per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla
sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr. Gv 4,14). Dobbiamo
ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla
Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di
quanti sono suoi discepoli (cfr. Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù,
infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da
fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la
via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere
per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Ge1
Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005):
AAS 97(2005), 710.
2
Cfr. BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio
2010): Insegnamenti VI,1(2010), 673.
266
sù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter
giungere in modo definitivo alla salvezza.
4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella
solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i
vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni
Paolo II3, allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza
della fede. Questo documento, autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985
come strumento al servizio della catechesi4 e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica.
E proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da
me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova
evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede.
Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno
della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne
indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli
Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro
testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un’autentica e sincera professione
3
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS
86(1994), 113-118.
4
Cfr. Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre
1985), II, B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.
267
della medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca”5. Pensava che in tal modo la
Chiesa intera potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede,
per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla”6. I
grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si
concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio7, per attestare
quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi
e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato.
5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo
Anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare”8, ben
cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla
professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II
possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato
Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È
necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del
Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa… Sento più che
5
PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196.
6
Ibid., 198.
7
PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX
centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’“Anno della fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445.
8
ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801.
268
mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la
Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura
bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre”9. Io pure
intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito
del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro:
“se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il
sempre necessario rinnovamento della Chiesa”10.
6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere
la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava:
“Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non
conobbe il peccato (cfr. 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel
suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa
di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio»,
annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza
per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le
vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al
mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui,
9
GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS
93(2001), 308.
10
Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52.
269
fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza
della luce”11.
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad
un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore
del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr. At 5,31). Per
l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella
morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della
gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova
vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta
l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità
e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa
vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6)
diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta
la vita dell’uomo (cfr. Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17).
7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo
che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo
Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr. Mt 28,19). Con il suo amore,
Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con
un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entu11
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.
270
siasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo
amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti
che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi,
perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di
quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla
sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta
sant’Agostino, “si fortificano credendo”12. Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede
fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio13. I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la
verità della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla
“porta della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra
possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si
sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.
8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel
tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria
del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in
maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla
fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole
12
13
De utilitate credendi, 1,2.
Cfr. AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1.
271
ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta
vivendo. Avremo l’opportunità di confessare la fede nel Signore
Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo;
nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta
forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle
parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del
Credo.
9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente
l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche
per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”14.
Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede
professata, celebrata, vissuta e pregata15, e riflettere sullo stesso
atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare
proprio, soprattutto in questo Anno.
Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare
a memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana
per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in
un’Omelia sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il
simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che
14
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86
(1994), 116.
15
272
oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con
saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che
è Cristo Signore… Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella
mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare
in esso con il cuore”16.
10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a
comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci
totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda
tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di questa realtà
quando scrive: “Con il cuore… si crede… e con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con
cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e
trasforma la persona fin nel suo intimo.
L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e
il “Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At
16,14). Il senso racchiuso nell’espressione è importante. San Luca
insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in
profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio.
16
Sermo 215,1.
273
Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica
una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai
pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede,
proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità
sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e
dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il
dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa.
La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme
comunitario. È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella
fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»;
è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente,
soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede
della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la
Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci
insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»”17.
Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è
essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente
con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa.
La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico
rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che,
quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede,
perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette
17
Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.
274
di conoscere il suo mistero di amore18. D’altra parte, non possiamo
dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur
non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una
sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro
esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo”
alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita
l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”19. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore
umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro20. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.
11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti
della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei
frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione
Apostolica Fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del
trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un
contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento
dell’intera vita ecclesiale… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una
norma sicura per l’insegnamento della fede”21.
18
Cfr. CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III:
DS 3008-3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.
19
BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008):
AAS 100(2008), 722.
20
Cfr. AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1.
21
GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994),
115 e 117.
275
È proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della
Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti,
emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno
attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente
dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto
progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita
di fede.
Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica
presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive
nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione
della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e
continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti,
la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe
della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa
stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista
tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e
la preghiera.
12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così
determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i
competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui
offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere
276
quest’Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.
La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze
razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La
Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede
e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità22.
13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia
della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell’intreccio
tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto
che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della
comunità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione
per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro.
In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui
che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui
trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La
gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della
vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere
con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della
sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza.
22
Cfr. ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS
91(1999), 31-32, 86-87.
277
Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della
sua dedizione (cfr. Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto
di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr. Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce
il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr. Lc 2,6-7).
Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr. Mt 2,13-15). Con la stessa fede
seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr. Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr. Lc
2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr. At 1,14; 2,1-4).
Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro
(cfr. Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il
Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr. Lc 11,20).
Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte
(cfr. Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo
il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15) e,
senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione
di cui furono fedeli testimoni.
Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano
per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr. At 2,42-47).
Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità
del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al
dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori.
278
Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo,
lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore
che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso
un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del
Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un
anno di grazia per tutti (cfr. Lc 4,18-19).
Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il
cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr. Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano
chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi
e ministeri ai quali furono chiamati.
Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.
14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo: “Ora
dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità.
Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti – che da sempre impegnano i cristiani – l’apostolo
Giacomo affermava: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere
fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un
fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa
serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa
è morta. Al contrario uno potrebbe dire: “Tu hai la fede e io ho le
opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere
ti mostrerò la mia fede”» (Gc 2,14-18).
279
La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede
sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità
si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il
suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con
amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede
possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto
del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste
sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. È la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che
spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al
nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra
nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr. Ap 21,1).
15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo
chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr. 2Tm 2,22) con
la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr. 2Tm 3,15). Sentiamo
questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro
nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con
sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna
ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel
mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore
dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di
tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine.
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa
280
questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con
Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole
dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede:
“Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un
po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa
alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto
e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani conosce
l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua
voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di
Cristo (cfr. Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la
fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor
12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha
sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a
Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr. Lc
11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.
Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha
creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia.
Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011,
settimo di Pontificato.
281
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI RESPONSABILI DEGLI ORGANISMI ECCLESIALI
23
PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Signori Cardinali,
venerati fratelli nell’Episcopato nel Sacerdozio,
cari amici!
Ho accolto volentieri l’invito del Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ad essere presente con tutti voi, stasera almeno per un breve momento, e
soprattutto domani per la Celebrazione Eucaristica. Ringrazio
Mons. Fisichella per le parole di saluto che mi ha rivolto a nome
vostro, e mi rallegro di vedervi così numerosi. So che siete qui in
rappresentanza di tanti altri che, come voi, si impegnano nel non
facile compito della nuova evangelizzazione. Saluto anche quanti
stanno seguendo questo evento attraverso i mezzi di comunicazione che permettono a tanti nuovi evangelizzatori di essere collegati
contemporaneamente, pur se sparsi nelle diverse parti del mondo.
Avete scelto come frase-guida per la vostra riflessione di oggi
l’espressione: “La Parola di Dio cresce e si diffonde”. Più volte
l’evangelista Luca utilizza questa formula nel Libro degli Atti degli
Apostoli; in varie circostanze, egli afferma, infatti, che “la Parola di
Dio cresceva e si diffondeva” (cfr. At 6,7; 12,24). Ma nel tema di questa giornata voi avete modificato il tempo dei due verbi per eviden23
Convegno internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Aula Paolo VI, sabato 15 ottobre 2011.
282
ziare un aspetto importante della fede: la certezza consapevole che
la Parola di Dio è sempre viva, in ogni momento della storia, fino ai
nostri giorni, perché la Chiesa la attualizza attraverso la sua fedele
trasmissione, la celebrazione dei Sacramenti e la testimonianza dei
credenti. Per questo la nostra storia è in piena continuità con quella
della prima Comunità cristiana, vive dalla stessa linfa vitale.
Ma che terreno incontra la Parola di Dio? Come allora, anche
oggi può incontrare chiusura e rifiuto, modi di pensare e di vivere
che sono lontani dalla ricerca di Dio e della verità. L’uomo contemporaneo è spesso confuso e non riesce a trovare risposta a tanti interrogativi che agitano la sua mente in riferimento al senso della
vita e alle questioni che albergano nel profondo del suo cuore.
L’uomo non può eludere queste domande che toccano il significato
di sé e della realtà, non può vivere in una sola dimensione! Invece,
non di rado, viene allontanato dalla ricerca dell’essenziale nella vita, mentre gli viene proposta una felicità effimera, che accontenta
per un momento, ma lascia, ben presto, tristezza e insoddisfazione.
Eppure, nonostante questa condizione dell’uomo contemporaneo, possiamo ancora affermare con certezza, come agli inizi del
Cristianesimo, che la Parola di Dio continua a crescere e a diffondersi. Perché? Vorrei accennare ad almeno tre motivi. Il primo è
che la forza della Parola non dipende anzitutto dalla nostra azione,
dai nostri mezzi, dal nostro “fare”, ma da Dio, che nasconde la sua
potenza sotto i segni della debolezza, che si rende presente nella
brezza leggera del mattino (cfr. 1Re 19,12), che si rivela sul legno
della Croce. Dobbiamo sempre credere nell’umile potenza della Parola di Dio e lasciare che Dio agisca! Il secondo motivo è perché il
seme della Parola, come narra la parabola evangelica del Seminatore, cade anche oggi ancora in un terreno buono che la accoglie e
produce frutto (cfr. Mt 13,3-9). E i nuovi evangelizzatori sono parte
283
di questo campo che consente al Vangelo di crescere in abbondanza e di trasformare la propria vita e quella di altri. Nel mondo, anche se il male fa più rumore, continua ad esserci il terreno buono. Il
terzo motivo è che l’annuncio del Vangelo è veramente giunto fino
ai confini del mondo e, anche in mezzo a indifferenza, incomprensione e persecuzione, molti continuano anche oggi, con coraggio,
ad aprire il cuore e la mente per accogliere l’invito di Cristo ad incontrarLo e diventare suoi discepoli. Non fanno rumore, ma sono
come il granellino di senape che diventa albero, il lievito che fermenta la pasta, il chicco di grano che si spezza per dare origine alla
spiga. Tutto questo, se da una parte porta consolazione e speranza
perché mostra l’incessante fermento missionario che anima la
Chiesa, dall’altra deve riempire tutti di un rinnovato senso di responsabilità verso la Parola di Dio e la diffusione del Vangelo.
Il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che ho istituito lo scorso anno, è uno strumento prezioso
per identificare le grandi questioni che si agitano nei diversi settori
della società e della cultura contemporanea. Esso è chiamato ad
offrire un aiuto particolare alla Chiesa nella sua missione soprattutto all’interno di quei Paesi di antica tradizione cristiana che sembrano diventati indifferenti, se non addirittura ostili alla Parola di
Dio. Il mondo di oggi ha bisogno di persone che annuncino e testimonino che è Cristo ad insegnarci l’arte di vivere, la strada della
vera felicità, perché è Lui stesso la strada della vita; persone che
tengano prima di tutto esse stesse lo sguardo fisso su Gesù, il Figlio
di Dio: la parola dell’annuncio deve essere sempre immersa in un
rapporto intenso con Lui, in un’intensa vita di preghiera. Il mondo
di oggi ha bisogno di persone che parlino a Dio, per poter parlare di
Dio. E dobbiamo anche ricordare sempre che Gesù non ha redento
il mondo con belle parole o mezzi vistosi, ma con la sua sofferenza
e la sua morte. La legge del chicco di grano che muore nella terra
284
vale anche oggi; non possiamo dare vita ad altri, senza dare la nostra vita: “chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo,
la salverà”, ci dice il Signore (Mc 8,35). Vedendo tutti voi e conoscendo il grande impegno che ognuno pone al servizio della missione, sono convinto che i nuovi evangelizzatori si moltiplicheranno
sempre di più per dare vita a una vera trasformazione di cui il
mondo di oggi ha bisogno. Solo attraverso uomini e donne plasmati dalla presenza di Dio, la Parola di Dio continuerà il suo cammino
nel mondo portando i suoi frutti.
Cari amici, essere evangelizzatori non è un privilegio, ma un impegno che proviene dalla fede. Alla domanda che il Signore rivolge
ai cristiani: “Chi manderò e chi andrà per me?”, rispondete con lo
stesso coraggio e la stessa fiducia del Profeta: “Ecco, Signore, manda me” (Is 6,8). Vi chiedo di lasciarvi plasmare dalla grazia di Dio e
di corrispondere docilmente all’azione dello Spirito del Risorto. Siate segni di speranza, capaci di guardare al futuro con la certezza
che proviene dal Signore Gesù, il quale ha vinto la morte e ci ha
donato la vita eterna. Comunicate a tutti la gioia della fede con
l’entusiasmo che proviene dall’essere mossi dallo Spirito Santo,
perché Lui rende nuove tutte le cose (cfr. Ap 21.5), confidando nella promessa fatta da Gesù alla Chiesa: “Ed ecco io sono con voi tutti
i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Al termine di questa giornata chiediamo anche la protezione
della Vergine Maria, Stella della nuova evangelizzazione, mentre
accompagno di cuore ciascuno di voi e il vostro impegno con la Benedizione Apostolica. Grazie.
285
DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
NOTA CON INDICAZIONI PASTORALI PER L’ANNO DELLA FEDE
1. Introduzione
Con la Lettera apostolica Porta fidei dell’11 ottobre 2011, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede. Esso avrà
inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, e terminerà il 24 novembre
2013, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo.
Quest’anno sarà un’occasione propizia perché tutti i fedeli
comprendano più profondamente che il fondamento della fede cristiana è «l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà
alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva»24. Fondata sull’incontro con Gesù Cristo risorto, la fede potrà essere riscoperta nella sua integrità e in tutto il suo splendore. «Anche ai
nostri giorni la fede è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare», perché il Signore «conceda a ciascuno di noi di vivere
la bellezza e la gioia dell’essere cristiani»25.
L’inizio dell’Anno della fede coincide con il ricordo riconoscente
di due grandi eventi che hanno segnato il volto della Chiesa ai nostri giorni: il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio
Vaticano II, voluto dal beato Giovanni XXIII (11 ottobre 1962), e il
ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della
24
25
BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est, 25 dicembre 2005, n. 1.
ID., Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010.
289
Chiesa Cattolica, offerto alla Chiesa dal beato Giovanni Paolo II (11
ottobre 1992).
Il Concilio, secondo il Papa Giovanni XXIII, ha voluto «trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti»,
impegnandosi affinché «questa dottrina certa e immutabile, che
deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata
in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo»26. Al riguardo, resta di importanza decisiva l’inizio della Costituzione
dogmatica Lumen gentium: «Cristo è la luce delle genti: questo
santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,
15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende
sul volto della Chiesa»27. A partire dalla luce di Cristo che purifica,
illumina e santifica nella celebrazione della sacra liturgia (cfr. Costituzione Sacrosanctum Concilium) e con la sua parola divina (cfr.
Costituzione dogmatica Dei Verbum), il Concilio ha voluto approfondire l’intima natura della Chiesa (cfr. Costituzione dogmatica
Lumen gentium) e il suo rapporto con il mondo contemporaneo
(cfr. Costituzione pastorale Gaudium et spes). Attorno alle sue quattro Costituzioni, veri pilastri del Concilio, si raggruppano le Dichiarazioni e i Decreti, che affrontano alcune delle maggiori sfide del
tempo.
Dopo il Concilio, la Chiesa si è impegnata nella recezione e
nell’applicazione del suo ricco insegnamento, in continuità con tutta la Tradizione, sotto la guida sicura del Magistero. Per favorire la
corretta recezione del Concilio, i Sommi Pontefici hanno più volte
26
GIOVANNI XXIII, Discorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II,
11 ottobre 1962.
27
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 1.
290
convocato il Sinodo dei Vescovi28, istituito dal Servo di Dio Paolo VI
nel 1965, proponendo alla Chiesa degli orientamenti chiari attraverso le diverse Esortazioni apostoliche post-sinodali. La prossima
Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, nel mese di ottobre
2012, avrà come tema: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
Sin dall’inizio del suo Pontificato, Papa Benedetto XVI si è impegnato decisamente per una corretta comprensione del Concilio, respingendo come erronea la cosiddetta «ermeneutica della discontinuità e della rottura» e promuovendo quella che lui stesso ha
denominato «l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato;
è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però
sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino»29.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, ponendosi in questa linea,
da una parte è un «autentico frutto del Concilio Vaticano II»30, e
dall’altra intende favorirne la recezione. Il Sinodo Straordinario dei
Vescovi del 1985, convocato in occasione del ventesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II e per effettuare un bilan28
Le Assemblee Ordinarie del Sinodo dei Vescovi hanno trattato i seguenti temi:
La preservazione e il rafforzamento della fede cattolica, la sua integrità, il suo
vigore, il suo sviluppo, la sua coerenza dottrinale e storica (1967), Il sacerdozio
ministeriale e la giustizia nel mondo (1971), L’evangelizzazione nel mondo
moderno (1974), La catechesi nel nostro tempo (1977), La famiglia cristiana
(1980), La penitenza e la riconciliazione nella missione della Chiesa (1983), La
vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo (1987), La formazione
dei sacerdoti nelle circostanze attuali (1991), La vita consacrata e la sua missione
nella Chiesa e nel mondo (1994), Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo
per la speranza del mondo (2001), L’Eucaristia: fonte e culmine della vita e della
missione della Chiesa (2005), La Parola di Dio nella vita e nella missione della
Chiesa (2008).
29
BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005.
30
ID., Lett. ap. Porta fidei, n. 4.
291
cio della sua recezione, ha suggerito di preparare questo Catechismo per offrire al Popolo di Dio un compendio di tutta la dottrina
cattolica e un testo di sicuro riferimento per i catechismi locali. Il
Papa Giovanni Paolo II ha accolto tale proposta quale desiderio
«pienamente rispondente a un vero bisogno della Chiesa universale e delle Chiese particolari»31. Redatto in collaborazione con
l’intero Episcopato della Chiesa Cattolica, questo Catechismo
«esprime veramente quella che si può chiamare la “sinfonia” della
fede»32.
Il Catechismo comprende «cose nuove e cose antiche (cfr. Mt
13, 52), poiché la fede è sempre la stessa e insieme è sorgente di
luci sempre nuove. Per rispondere a questa duplice esigenza, il Catechismo della Chiesa Cattolica da una parte riprende l’”antico” ordine, quello tradizionale, già seguito dal Catechismo di san Pio V,
articolando il contenuto in quattro parti: il Credo; la sacra Liturgia,
con i sacramenti in primo piano; l’agire cristiano, esposto a partire
dai comandamenti; ed infine la preghiera cristiana. Ma, nel medesimo tempo, il contenuto è spesso espresso in un modo “nuovo”,
per rispondere agli interrogativi della nostra epoca»33. Questo Catechismo è «uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale» e «una norma sicura per l’insegnamento della
fede»34. In esso i contenuti della fede trovano «la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegna31
GIOVANNI PAOLO II, Discorso di chiusura della II Assemblea Straordinaria del
Sinodo dei Vescovi, 7 dicembre 1985, n. 6. Lo stesso Pontefice, nella fase iniziale
di tale Sinodo, durante l’Angelus del 24 novembre 1985, ebbe a dire: «La fede è
il principio basilare, è il cardine, il criterio essenziale del rinnovamento voluto dal
Concilio. Dalla fede derivano la norma, lo stile di vita, l’orientamento pratico in
ogni circostanza».
32
ID., Cost. ap. Fidei depositum, 11 ottobre 1992, n. 2.
33
Ibid., n. 3.
34
Ibid., n. 4.
292
mento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai
Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la
Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina
per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede»35.
L’Anno della fede vuol contribuire ad una rinnovata conversione
al Signore Gesù e alla riscoperta della fede, affinché tutti i membri
della Chiesa siano testimoni credibili e gioiosi del Signore risorto
nel mondo di oggi, capaci di indicare alle tante persone in ricerca la
“porta della fede”. Questa “porta” spalanca lo sguardo dell’uomo
su Gesù Cristo, presente in mezzo a noi «tutti i giorni, fino alla fine
del mondo» (Mt 28, 20). Egli ci mostra come «l’arte del vivere» si
impara «in un intenso rapporto con lui»36. «Con il suo amore, Gesù
Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli
convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un
più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel
comunicare la fede»37.
Per incarico di Papa Benedetto XVI38, la Congregazione per la
Dottrina della Fede ha redatto, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede e con il contributo del Comitato per la preparazione dell’Anno della fede39, la presente Nota con alcune
35
BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 11.
ID., Discorso ai partecipanti all'Incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la
Promozione della Nuova Evangelizzazione, 15 ottobre 2011.
37
ID., Lett. ap. Porta fidei, n. 7.
38
Cfr. ibid., n. 12.
39
Detto Comitato, costituito presso la Congregazione per la Dottrina della Fede
per mandato del Santo Padre Benedetto XVI, annovera fra i suoi membri: i Car36
293
indicazioni per vivere questo tempo di grazia, senza precludere altre proposte che lo Spirito Santo vorrà suscitare tra i Pastori e i fedeli nelle varie parti del mondo.
2. Indicazioni
«So a chi ho creduto» (2 Tm 1, 12): questa parola di san Paolo ci
aiuta a comprendere che la fede «è innanzi tutto una adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è
l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato»40. La fede come affidamento personale al Signore e la fede che professiamo nel
Credo sono inscindibili, si richiamano e si esigono a vicenda. Esiste
un profondo legame fra la fede vissuta ed i suoi contenuti: la fede
dei testimoni e dei confessori è anche la fede degli apostoli e dei
dottori della Chiesa.
In tal senso, le seguenti indicazioni per l’Anno della fede desiderano favorire sia l’incontro con Cristo attraverso autentici testimoni
della fede, sia la conoscenza sempre maggiore dei suoi contenuti.
Si tratta di proposte che intendono sollecitare, in modo esemplificativo, la pronta responsabilità ecclesiale davanti all’invito del Santo Padre a vivere in pienezza quest’Anno come speciale «tempo di
grazia»41. La riscoperta gioiosa della fede potrà anche contribuire a
consolidare l’unità e la comunione tra le diverse realtà che compongono la grande famiglia della Chiesa.
dinali William Levada, Francis Arinze, Angelo Bagnasco, Ivan Dias, Francis E. George, Zenon Grocholewski, Marc Ouellet, Mauro Piacenza, Jean-Pierre Ricard,
Stanisław Ryłko e Christoph Schönborn; gli Arcivescovi Luis F. Ladaria e Salvatore
Fisichella; i Vescovi Mario Del Valle Moronta Rodríguez, Gerhard Ludwig Müller e
Raffaello Martinelli.
40
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 150.
41
BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 15.
294
2.1 A livello di Chiesa universale
1. Il principale avvenimento ecclesiale all’inizio dell’Anno della
fede sarà la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, convocata da Papa Benedetto XVI nel mese di ottobre 2012 e
dedicata a La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede
cristiana. Durante questo Sinodo, nella data dell’11 ottobre 2012,
avrà luogo una solenne celebrazione d’inizio dell’Anno della fede,
nel ricordo del cinquantesimo anniversario di apertura del Concilio
Vaticano II.
2. Nell’Anno della fede occorre incoraggiare i pellegrinaggi dei
fedeli alla Sede di Pietro, per professarvi la fede in Dio Padre, Figlio
e Spirito Santo, unendosi con colui che oggi è chiamato a confermare nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc 22, 32). Sarà importante favorire anche i pellegrinaggi in Terra Santa, luogo che per primo ha
visto la presenza di Gesù, il Salvatore, e di Maria, sua madre.
3. Nel corso di quest’Anno sarà utile invitare i fedeli a rivolgersi
con particolare devozione a Maria, figura della Chiesa, che «in sé
compendia e irraggia le principali verità della fede»42. È dunque da
incoraggiare ogni iniziativa che aiuti i fedeli a riconoscere il ruolo
particolare di Maria nel mistero della salvezza, ad amarla filialmente ed a seguirne la fede e le virtù. A tale scopo risulterà quanto mai
conveniente effettuare pellegrinaggi, celebrazioni e incontri presso
i maggiori Santuari.
4. La prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro nel luglio 2013 offrirà un’occasione privilegiata ai giovani per
sperimentare la gioia che proviene dalla fede nel Signore Gesù e
dalla comunione con il Santo Padre, nella grande famiglia della
Chiesa.
42
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 65.
295
5. Sono auspicati simposi, convegni e raduni di ampia portata,
anche a livello internazionale, che favoriscano l'incontro con autentiche testimonianze della fede e la conoscenza dei contenuti della
dottrina cattolica. Documentando come anche oggi la Parola di Dio
continua a crescere e a diffondersi, sarà importante rendere testimonianza che in Gesù Cristo «trova compimento ogni travaglio ed
anelito del cuore umano»43 e che la fede «diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo»44.
Alcuni convegni saranno particolarmente dedicati alla riscoperta
degli insegnamenti del Concilio Vaticano II.
6. Per tutti i credenti, l’Anno della fede offrirà un’occasione
propizia per approfondire la conoscenza dei principali Documenti
del Concilio Vaticano II e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ciò vale in modo speciale per i candidati al sacerdozio, soprattutto durante l’anno propedeutico o nei primi anni di studi
teologici, per le novizie ed i novizi degli Istituti di Vita Consacrata e
delle Società di Vita Apostolica, così come per coloro che vivono un
tempo di verifica per aggregarsi ad un’Associazione o a un Movimento ecclesiale.
7. Detto Anno sarà occasione propizia per un’accoglienza più attenta delle omelie, delle catechesi, dei discorsi e degli altri interventi del Santo Padre. I Pastori, le persone consacrate ed i fedeli
laici saranno invitati a un rinnovato impegno di effettiva e cordiale
adesione all’insegnamento del Successore di Pietro.
8. Durante l’Anno della fede, in collaborazione con il Pontificio
Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sono auspicate
varie iniziative ecumeniche volte ad invocare e favorire «il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani» che «è uno dei principali in43
44
BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 13.
Ibid., n. 6.
296
tenti del sacro Concilio Ecumenico Vaticano II»45. In particolare, avrà luogo una solenne celebrazione ecumenica per riaffermare la
fede in Cristo da parte di tutti i battezzati.
9. Presso il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione sarà istituita un’apposita Segreteria per coordinare le diverse iniziative riguardanti l’Anno della fede, promosse dai
vari Dicasteri della Santa Sede o comunque aventi rilevanza per la
Chiesa universale. Detta Segreteria dovrà essere informata per
tempo Sarà conveniente informare per tempo detta Segreteria circa i principali eventi organizzati; essa potrà anche suggerire opportune iniziative in merito. La Segreteria aprirà un apposito sito
internet al fine di offrire ogni informazione utile per vivere in modo
efficace l’Anno della fede.
10. A conclusione di quest’Anno, nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, avrà luogo un’Eucaristia celebrata dal Santo Padre, in cui rinnovare solennemente la professione della fede.
2.2 A livello di Conferenze Episcopali46
1. Le Conferenze Episcopali potranno dedicare una giornata di
studio al tema della fede, della sua testimonianza personale e della
sua trasmissione alle nuove generazioni, nella consapevolezza della
missione specifica dei Vescovi come maestri e «araldi della fede»47.
2. Sarà utile favorire la ripubblicazione dei Documenti del Concilio Vaticano II, del Catechismo della Chiesa Cattolica e del suo
45
CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 1.
Le indicazioni offerte alle Conferenze Episcopali valgono in modo analogo
anche per i Sinodi dei Vescovi delle Chiese Patriarcali e Arcivescovili Maggiori e
per le Assemblee dei Gerarchi di Chiese sui iuris.
47
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25.
46
297
Compendio, anche in edizioni tascabili ed economiche, e la loro
maggiore diffusione con l’ausilio dei mezzi elettronici e delle moderne tecnologie.
3. È auspicabile un rinnovato sforzo per tradurre i Documenti
del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica nelle
lingue nelle quali ancora non esistono. Si incoraggiano iniziative di
sostegno caritativo per tali traduzioni nelle lingue locali dei Paesi in
terra di missione, dove le Chiese particolari non possono gestirne
le spese. Ciò sia condotto sotto la guida della Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli.
4. I Pastori, attingendo ai nuovi linguaggi della comunicazione,
si impegneranno per promuovere trasmissioni televisive o radiofoniche, films e pubblicazioni, anche a livello popolare e accessibili a
un ampio pubblico, sul tema della fede, dei suoi principi e contenuti, nonché sul significato ecclesiale del Concilio Vaticano II.
5. I Santi e i Beati sono gli autentici testimoni della fede48. Sarà
pertanto opportuno che le Conferenze Episcopali si impegnino per
diffondere la conoscenza dei Santi del proprio territorio, utilizzando anche i moderni mezzi di comunicazione sociale.
6. Il mondo contemporaneo è sensibile al rapporto tra fede e
arte. In tal senso, si raccomanda alle Conferenze Episcopali di valorizzare adeguatamente, in funzione catechetica ed eventualmente
in collaborazione ecumenica, il patrimonio delle opere d’arte reperibili nei luoghi affidati alla loro cura pastorale.
7. I docenti nei Centri di studi teologici, nei Seminari e nelle
Università cattoliche sono invitati a verificare la rilevanza, nel loro
insegnamento, dei contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica
e delle implicazioni derivanti per le rispettive discipline.
48
Cfr. BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 13.
298
8. Sarà utile preparare, con l’aiuto di teologi e autori competenti, sussidi divulgativi dal carattere apologetico (cfr. 1 Pt 3, 15).
Ogni fedele potrà così meglio rispondere alle domande che si pongono nei diversi ambiti culturali, in rapporto ora alle sfide delle sette, ora ai problemi connessi con il secolarismo e il relativismo, ora
agli «interrogativi che provengono da una mutata mentalità che,
particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a
quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche»49, così come ad
altre specifiche difficoltà.
9. È auspicabile una verifica dei catechismi locali e dei vari sussidi catechistici in uso nelle Chiese particolari, per assicurare la loro
piena conformità con il Catechismo della Chiesa Cattolica50. Nel caso in cui alcuni catechismi o sussidi per la catechesi non siano in
piena sintonia col Catechismo, o rivelino delle lacune, si potrà cominciare a elaborarne di nuovi, eventualmente secondo l’esempio
e con l’aiuto di altre Conferenze Episcopali che già hanno provveduto a redigerli.
10. Sarà opportuna, in collaborazione con la competente Congregazione per l’Educazione Cattolica, una verifica della presenza
dei contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica nella Ratio della formazione dei futuri sacerdoti e nel Curriculum dei loro studi
teologici.
2.3 A livello diocesano
1. È auspicabile una celebrazione di apertura dell’Anno della fede e una sua solenne conclusione a livello di ogni Chiesa particola-
49
50
Ibid., n. 12.
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum, n. 4.
299
re, in cui «confessare la fede nel Signore risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo»51.
2. Sarà opportuno organizzare in ogni diocesi del mondo una
giornata sul Catechismo della Chiesa Cattolica, invitando in modo
particolare i sacerdoti, le persone consacrate e i catechisti. In
quest’occasione, ad esempio, le eparchie orientali cattoliche potranno svolgere un incontro con i sacerdoti per testimoniare la
propria specifica sensibilità e tradizione liturgica all’interno dell’unica fede in Cristo; così, le giovani Chiese particolari nelle terre
di missione potranno essere invitate ad offrire una rinnovata testimonianza di quella gioia della fede che tanto le contraddistingue.
3. Ogni Vescovo potrà dedicare una sua Lettera pastorale al
tema della fede, richiamando l’importanza del Concilio Vaticano II
e del Catechismo della Chiesa Cattolica e tenendo conto delle specifiche circostanze pastorali della porzione di fedeli a lui affidata.
4. Si auspica che in ogni diocesi, sotto la responsabilità del Vescovo, si organizzino momenti di catechesi, destinati ai giovani ed a
coloro che sono in ricerca del senso della vita, allo scopo di scoprire la bellezza della fede ecclesiale, e si promuovano incontri con
suoi testimoni significativi.
5. Sarà opportuno verificare la recezione del Concilio Vaticano II
e del Catechismo della Chiesa Cattolica nella vita e nella missione
di ogni singola Chiesa particolare, specialmente in ambito catechistico. In tal senso, si auspica un rinnovato impegno da parte degli
Uffici catechistici delle diocesi, che – sostenuti dalle Commissioni
per la Catechesi delle Conferenze Episcopali – hanno il dovere di curare la formazione dei catechisti sul piano dei contenuti della fede.
51
BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 8.
300
6. La formazione permanente del clero potrà essere incentrata,
particolarmente in quest’Anno della fede, sui Documenti del Concilio Vaticano II e sul Catechismo della Chiesa Cattolica, trattando, ad
esempio, temi come “l’annuncio del Cristo risorto”, “la Chiesa sacramento di salvezza”, “la missione evangelizzatrice nel mondo di
oggi”, “fede e incredulità”, “fede, ecumenismo e dialogo interreligioso”, “fede e vita eterna”, “l’ermeneutica della riforma nella continuità”, “il Catechismo nella cura pastorale ordinaria”.
7. Si invitano i Vescovi ad organizzare, specialmente nel periodo
quaresimale, celebrazioni penitenziali in cui chiedere perdono a
Dio, anche e specialmente per i peccati contro la fede. Quest’Anno
sarà altresì un tempo favorevole per accostarsi con maggior fede e
più intensa frequenza al sacramento della Penitenza.
8. Si auspica un coinvolgimento del mondo accademico e della
cultura per una rinnovata occasione di dialogo creativo tra fede e
ragione attraverso simposi, convegni e giornate di studio, specialmente nelle Università cattoliche, mostrando «come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità»52.
9. Sarà importante promuovere incontri con persone che, «pur
non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una
sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo»53, ispirandosi anche ai dialoghi del Cortile dei
Gentili, avviati sotto la guida del Pontificio Consiglio della Cultura.
10. L’Anno della fede potrà essere un’occasione per prestare
un’attenzione maggiore alle Scuole cattoliche, luoghi adeguati per
offrire agli alunni una testimonianza viva del Signore e per coltivare
52
53
Ibid., n. 12.
Ibid., n. 10.
301
la loro fede, con un opportuno riferimento all’utilizzo di buoni
strumenti catechistici, come, ad esempio, il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica o come Youcat.
2.4 A livello di parrocchie / comunità / associazioni / movimenti
1. In preparazione all’Anno della fede, tutti i fedeli sono invitati
a leggere e meditare attentamente la Lettera apostolica Porta fidei
del Santo Padre Benedetto XVI.
2. L’Anno della fede «sarà un’occasione propizia per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia»54. Nell’Eucarestia, mistero della fede e sorgente della
nuova evangelizzazione, la fede della Chiesa viene proclamata, celebrata e fortificata. Tutti i fedeli sono invitati a prendervi parte
consapevolmente, attivamente e fruttuosamente, per essere autentici testimoni del Signore.
3. I sacerdoti potranno dedicare maggior attenzione allo studio
dei Documenti del Concilio Vaticano II e del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone frutto per la pastorale parrocchiale – la catechesi, la predicazione, la preparazione ai sacramenti – e proponendo cicli di omelie sulla fede o su alcuni suoi aspetti specifici,
come ad esempio, “l’incontro con Cristo”, “i contenuti fondamentali del Credo”, “la fede e la Chiesa” 55.
4. I catechisti potranno attingere maggiormente alla ricchezza
dottrinale del Catechismo della Chiesa Cattolica e guidare, sotto la
responsabilità dei rispettivi parroci, gruppi di fedeli per la lettura e
il comune approfondimento di questo prezioso strumento, al fine
54
Ibid., n. 9.
Cfr. BENEDETTO XVI, Esort. ap. post-sinodale Verbum Domini, 30 settembre
2010, nn. 59-60 e 74.
55
302
di creare piccole comunità di fede e di testimonianza del Signore
Gesù.
5. Nelle parrocchie si auspica un rinnovato impegno nella diffusione e nella distribuzione del Catechismo della Chiesa Cattolica o
di altri sussidi adatti alle famiglie, autentiche chiese domestiche e
luoghi primari di trasmissione della fede, ad esempio nel contesto
delle benedizioni delle case, dei Battesimi degli adulti, delle Confermazioni, dei Matrimoni. Ciò potrà contribuire alla confessione e
all’approfondimento della dottrina cattolica «nelle nostre case e
presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di
conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di
sempre»56.
6. Sarà opportuno promuovere missioni popolari e altre iniziative, nelle parrocchie e nei luoghi di lavoro, per aiutare i fedeli a riscoprire il dono della fede battesimale e la responsabilità della sua
testimonianza, nella consapevolezza che la vocazione cristiana «è
per sua natura anche vocazione all’apostolato»57.
7. In questo tempo, i membri degli Istituti di Vita Consacrata e
delle Società di Vita Apostolica sono sollecitati ad impegnarsi nella
nuova evangelizzazione, con una rinnovata adesione al Signore Gesù, mediante l’apporto dei propri carismi e nella fedeltà al Santo
Padre ed alla sana dottrina.
8. Le Comunità contemplative durante l’Anno della fede dedicheranno una particolare intenzione alla preghiera per il rinnovamento della fede nel Popolo di Dio e per un nuovo slancio nella sua
trasmissione alle giovani generazioni.
56
57
ID., Lett. ap. Porta fidei, n. 8.
CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 2.
303
9. Le Associazioni e i Movimenti ecclesiali sono invitati a farsi
promotori di specifiche iniziative che, mediante il contributo del
proprio carisma e in collaborazione con i Pastori locali, si inseriscano nel grande evento dell’Anno della fede. Le nuove Comunità e i
Movimenti ecclesiali, in modo creativo e generoso, sapranno trovare i modi più adeguati per offrire la loro testimonianza di fede al
servizio della Chiesa.
10. Tutti i fedeli, chiamati a ravvivare il dono della fede, cercheranno di comunicare la propria esperienza di fede e di carità58 dialogando coi loro fratelli e sorelle, anche delle altre confessioni
cristiane, con i seguaci di altre religioni, e con coloro che non credono, oppure sono indifferenti. In tal modo si auspica che l’intero
popolo cristiano inizi una sorta di missione verso coloro con cui vive e lavora, nella consapevolezza di aver «ricevuto un messaggio di
salvezza da proporre a tutti»59.
3. Conclusione
La fede «è compagna di vita che permette di percepire con
sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna
ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel
mondo»60. La fede è un atto personale ed insieme comunitario: è
un dono di Dio, che viene vissuto nella grande comunione della
Chiesa e deve essere comunicato al mondo. Ogni iniziativa per
l’Anno della fede vuole favorire la gioiosa riscoperta e la rinnovata
testimonianza della fede. Le indicazioni qui offerte hanno lo scopo
di invitare tutti i membri della Chiesa ad impegnarsi perché
58
Cfr. BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 14.
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 1.
60
BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 15.
59
304
quest’Anno sia occasione privilegiata per condividere quello che il
cristiano ha di più caro: Cristo Gesù, Redentore dell’uomo, Re
dell’Universo, «autore e perfezionatore della fede» (Eb 12, 2).
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 6 gennaio 2012, Solennità dell’Epifania del Signore.
WILLIAM Card. LEVADA, Prefetto
LUIS F. LADARIA, S.I., Segretario
305
DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA
CONSIGLIO PERMANENTE DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
COMUNICATO FINALE61
Piena consonanza e sincera gratitudine ha raccolto la prolusione con cui il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Card.
Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, ha aperto i lavori della
sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente (Roma,
26-29 settembre 2011). Egli ha offerto una riflessione a tutto campo, caratterizzata dalla preoccupazione per le conseguenze della
crisi economica e sociale che colpisce soprattutto le fasce deboli,
ma anche animata dalla ferma volontà di offrire all’Italia il contributo specifico dell’esperienza cristiana.
Consapevoli dell’impossibilità di rimanere “spettatori intimiditi”
e rassegnati a subire una sorta di “oscuramento della speranza collettiva”, i membri del Consiglio Permanente – riprendendo e approfondendo l’analisi “severa, coraggiosa e pacata” del Presidente –
non si sono sottratti alla responsabilità di un ascolto attento del
presente, volto a favorire il discernimento e il giudizio. L’orizzonte
ermeneutico della Giornata Mondiale della Gioventù (Madrid, 1621 agosto 2011) e del Congresso Eucaristico Nazionale (Ancona, 311 settembre 2011) ha fornito gli elementi per una lettura di fede
anche di questo tempo. Nelle “fotografie” emerse dal confronto
appare un Occidente scosso da una globalizzazione non governata
e da un generale calo demografico e, nel contempo, incapace di
61
Roma, 26-29 settembre 2011.
309
correggere abitudini di vita che lo pongono al di sopra delle proprie
possibilità. Di qui la questione etica, che investe la cultura in molti
ambiti, e il rischio diffuso di un progressivo impoverimento delle
famiglie, a fronte di provvedimenti economici che stentano a contenere la gravità della crisi.
I Vescovi hanno dato voce alle molteplici iniziative con cui la
Chiesa sostiene il bene comune, da quelle caritative a quelle formative, educative e culturali, volte anche a favorire l’adesione ai valori
dell’umanizzazione – o valori irrinunciabili, per cui l’etica della vita
è fondamento dell’etica sociale – e la partecipazione attiva dei cattolici alla vita pubblica. Nello specifico, ha preso forma l’urgenza di
“concorrere alla rigenerazione del soggetto cristiano”, ossia alla riproposta in chiave sociale dell’esperienza di fede, riconosciuta come questione decisiva.
In questa prospettiva, il Consiglio Permanente ha formulato il
programma di lavoro della CEI per il quadriennio 2012-2015, mettendo a fuoco soggetti e metodi dell’educazione cristiana; ha approvato il proprio contributo di studio sui Lineamenta della
prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata al tema della nuova evangelizzazione; ha esaminato la bozza del testo esplicativo, per la situazione italiana, delle Lineeguida della Congregazione della dottrina della fede circa gli abusi
sessuali su minori compiuti da chierici; ha discusso una prima ipotesi di lavoro in vista della prossima Settimana Sociale dei cattolici
italiani.
Si è inoltre proceduto alla verifica dell’andamento del Prestito
della speranza, all’approvazione del messaggio per la Giornata per
la vita del 2012 e al vaglio della proposta di un sussidio pastorale
per l’accompagnamento dei fidanzati. Infine, è stata presentata la
relazione finale dell’attività della commissione di studio sulle picco310
le diocesi e si è nuovamente affrontata la questione della cura pastorale dei fedeli cattolici orientali provenienti dall’estero.
1. Con la sapienza della dottrina sociale
Il clima di insicurezza diffuso nel corpo sociale, e rafforzato dal
disorientamento culturale e morale, ha trovato nei Vescovi interlocutori attenti, partecipi e consapevoli della responsabilità a contribuire per farvi fronte con quella speranza certa che ha il volto di
Gesù Cristo. Consapevoli del loro ruolo di pastori, essi hanno espresso preoccupazione per la situazione in cui versa il Paese e che
colpisce pesantemente il mondo del lavoro e, quindi, le famiglie;
hanno lamentato la fatica a reagire adeguatamente alla crisi, purtroppo accompagnata dal deterioramento del senso civico e della
vita pubblica; hanno messo in guardia dall’incidenza che la questione morale ha sull’educazione e sulla cultura del Paese, veicolando una visione individualistica dell’esistenza tanto più superficiale, quanto più irresponsabile e fuorviante.
Questa crisi complessiva – hanno rilevato – infrange i legami di
solidarietà, scatena aggressività e diffonde indifferenza e cinismo. I
dinamismi in atto, se letti con la sapienza della dottrina sociale della Chiesa, richiedono il recupero di un respiro di speranza, che passa attraverso la riaffermazione del primato della persona e della
famiglia e necessita di percorsi culturali e politici innovativi,
all’interno dei quali la responsabilità dei cattolici è chiamata a
spendersi con ritrovato vigore.
Riprendendo i contenuti della prolusione, i Vescovi hanno sottolineato come la Chiesa non si limiti a generici richiami, ma viva
nel territorio – a partire dal tessuto parrocchiale – un’effettiva
prossimità alla vita della gente. Ne sono espressione le molteplici
iniziative solidali promosse dalla Caritas e da Migrantes a livello na311
zionale e diocesano, come pure il Prestito della speranza – la cui
utilità è stata ribadita –, senza dimenticare la generosa disponibilità di tanti sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate, la presenza
operosa dei laici nel mondo della sanità e dell’assistenza, l’impegno
oneroso – spesso nemmeno sufficiente ad assicurarne la sopravvivenza – nella scuola paritaria.
2. Una Chiesa eucaristica, dal volto giovane
La missione prioritaria a cui la Chiesa avverte di essere chiamata – hanno sottolineato i Vescovi – non può che essere l’educazione alla fede, a pensare la fede e a pensare nella fede. Da essa,
infatti, sgorga la speranza: perciò la questione di Dio rimane la
questione decisiva. Il Consiglio Permanente ha espresso questa
convinzione riprendendo a più riprese il Magistero di Papa Benedetto XVI, in particolare quello espresso nella recente visita in
Germania (22-25 settembre).
Anche l’esito positivo della Giornata Mondiale della Gioventù di
Madrid e del Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona – è stato
rilevato da più voci in seno al Consiglio – confermano ampiamente
tale prospettiva. Per entrambi gli eventi, i Vescovi hanno espresso
apprezzamento per il servizio svolto dai media ecclesiali (Avvenire,
Tv2000, Radio InBlu, l’agenzia Sir, Radio Vaticana) e dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali. In particolare, si è evidenziato
come la partecipazione di circa centodiecimila giovani italiani
all’evento madrileno sia stata caratterizzata dall’ascolto attento
delle catechesi, dalla disponibilità all’approfondimento, da una partecipazione vivace ai momenti sacramentali e di preghiera, non disgiunti dalla capacità di sopportare qualche disagio logistico.
Analogamente il volto di popolo di Dio emerso in occasione del
Congresso Eucaristico ha svelato la presenza di una Chiesa viva, per
312
la quale il culto eucaristico ha una rilevanza sostanziale; una Chiesa
innervata dalla vita buona del Vangelo, costantemente alimentata
dalla fedeltà al mandato originario del suo Signore: “Fate questo in
memoria di me”.
All’interno di questo orizzonte, il Consiglio Permanente ha definito il programma di lavoro della CEI per la prima metà del decennio 2011-2020, dedicato all’educazione. Assodata la necessità di
superare un’impostazione “puerocentrica”, sulla scorta degli Orientamenti pastorali i Vescovi hanno collocato il compito educativo
nell’odierna stagione culturale, evidenziando il ruolo che sono
chiamati ad assumere soggetti istituzionali quali la famiglia, la parrocchia e la scuola, e quindi la condizione degli educatori e degli
adulti in genere.
Ribadita la scelta di dedicare la prima metà del decennio al rapporto tra educazione cristiana e comunità ecclesiale, mentre la seconda metà volgerà l’attenzione alla relazione tra educazione
cristiana e città, è stata confermata la centralità del ruolo della
comunità e l’obiettivo di puntare alla maturità della fede, assumendo un concetto integrale di iniziazione cristiana, che si compie
nel contesto di una comunità che celebra e vive secondo verità.
Questa visione complessiva si è sposata con la proposta di articolare i prossimi anni attorno ad alcuni temi di fondo: la formazione
cristiana degli adulti e della famiglia (2012); gli educatori nella comunità cristiana (2013); i destinatari dell’iniziazione cristiana
(2014); gli itinerari e gli strumenti dell’iniziazione cristiana (2015).
In Italia la Chiesa continua a essere percepita come un’istituzione affidabile, perché vive in mezzo alla gente. Questo non riduce, tuttavia, il rischio che l’esperienza religiosa sia sperimentata
in maniera privatistica: ciò è stato rilevato nel contributo preparato
sui Lineamenta della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo
313
dei Vescovi, dedicati alla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Tra i punti di forza del caso italiano, è stata
sottolineata l’esperienza del progetto culturale, la revisione
dell’impostazione dell’iniziazione cristiana e la ricerca di una pastorale marcatamente missionaria.
Dando attuazione alle direttive della Santa Sede, il Consiglio
Permanente ha esaminato la bozza del testo che mira a esplicare,
in rapporto alla realtà italiana, le Linee-guida pubblicate nei mesi
scorsi dalla Congregazione della dottrina della fede circa gli abusi
sessuali su minori compiuti da chierici. Il dibattito ha dato voce alla
necessità di un sempre più rigoroso percorso formativo nei seminari, luogo di preparazione dei sacerdoti di domani; alla piena disponibilità nel porsi in ascolto delle vittime; all’accompagnamento
dei sacerdoti coinvolti, ferma restando l’assunzione delle conseguenze penali dei comportamenti di ciascuno. Il testo sarà perfezionato alla luce delle osservazioni emerse, per essere approvato in
una prossima sessione di lavoro.
3. Nel nome della famiglia
La premura per la famiglia ha trovato espressione anche nella
scelta di dedicare a tale tema la XLVII Settimana Sociale dei cattolici italiani, che è in programma nell’autunno del 2013. È stata così
accolta la proposta del Comitato scientifico e organizzatore delle
Settimane Sociali di far convergere l’attenzione sulla famiglia, in relazione all’importanza determinante che essa ha per la crescita del
Paese, esplicitando quanto già emerso nella Settimana Sociale di
Reggio Calabria. L’intento è quello di approfondirne i fondamenti
antropologici, teologici e giuridico-costituzionali; gli aspetti educativi, sociali ed economici; il rapporto tra famiglia e lavoro; il confronto con la situazione legislativa di altri Paesi europei. A tale
314
proposito, il Consiglio ha apprezzato la volontà di promuovere – in
continuità con la tradizione delle precedenti edizioni – quattro seminari, che si svolgeranno tra l’autunno 2011 e la primavera 2012
nelle diverse aree del Paese. Con particolare interesse verrà seguito il VII Incontro mondiale delle famiglie (Milano, 30 maggio – 3
giugno 2012), alla luce del quale saranno precisati i contenuti della
prossima Settimana Sociale. Nella linea dell’attenzione alla famiglia, il Consiglio Permanente ha accolto la proposta della competente Commissione Episcopale di elaborare un vademecum che
accompagni la preparazione dei fidanzati al matrimonio e ha licenziato il testo del Messaggio per la Giornata per la vita, che sarà celebrata il 5 febbraio 2012.
Roma, 30 settembre 2011.
315
LITURGIA IN ONORE DI SAN VINCENZO
CONGREGATIO DE CULTO DIVINO
ET DISCIPLINA SACRAMENTORUM
PROT. N. 468/11/L
UXENTINAE – SANCTAE MARIAE LEUCADENSIS
Instante Excellentissimo Domino Vito Angiuli, Episcopo Uxentino – Sanctae Mariae Leucadensis, litteris die 10 mensis maii 2011
datis, vigore facultatum huic Congregationi a Summo Pontifice BENEDICTO XVI tributarum, textum italicum Missae et Liturgiae Horarum in honorem Sancti Vincentii, diaconi et martyris, prout in
adiecto exstat exemplari, perlibenter probamus seu confirmamus.
In textu imprimendo mentio fiat de approbatione seu confirmatione ab Apostolica Sede concessa. Eiusdem insuper textus impressi duo exemplaria ad hanc Congregationem transmittantur.
Contrariis quibuslibet minime obstantibus.
Ex aedibus Congregationis de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, die 24 mensis maii 2011.
Antonius Card. Canizares Llovera
Praefectus
* Iosephus Augustinus Di Noia, OP
Archiepiscopus a Secretis
319
Mons. Vito Angiuli
Vescovo di Ugento – S. Maria di Leuca
Prot. n. 87 / 2011
Carissimi sacerdoti e fedeli
della Chiesa di Ugento – S. Maria di Leuca,
è con immensa gioia che voglio rendervi partecipi della significativa approvazione, accordata alla nostra Diocesi da parte della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, del
formulario di Messa e della Liturgia delle Ore in onore di San Vincenzo, diacono e martire, Patrono principale della nostra Diocesi con Decreto Prot. N. 468/11/L del 24 maggio 2011.
I testi liturgici approvati provengono dal patrimonio eucologico
della Diocesi di Valenzia in Spagna, luogo dove il nostro Santo Patrono ha subìto il martirio, durante la persecuzione di Diocleziano e
Massimiano, particolarmente ricordato nell’antichità da Prudenzio,
che lo ha inserito nella sua opera Peristephanon, e da Sant’Agostino
che ha pronunciato diversi sermoni in occasione della sua festa.
Tale provvedimento non è solo un motivo di particolare attenzione che la Santa Sede ha voluto prestare alla nostra Chiesa particolare, ma costituisce un formidabile incoraggiamento a perseguire quel
personale e comunitario impegno a crescere nella fede sull’esempio
di San Vincenzo che i miei predecessori hanno voluto eleggere quale
patrono di questa porzione del popolo di Dio.
320
«La vita dei santi è norma di vita per gli altri», scriveva
Sant’Ambrogio. Faccio mia questa convinzione e la rendo partecipe
a ciascuno di voi nella consapevolezza che lo scopo ultimo del culto
dei santi è la nostra personale santificazione. Solo in questa prospettiva, infatti, trova la sua efficacia la memoria, la venerazione,
l’amore, la devozione, la celebrazione dei santi.
La venerazione del nostro Santo Patrono deve sollecitare ognuno di noi a vivere la propria esistenza seguendo l’esempio di Cristo,
il Santo di Dio.
Il vero culto a Dio, secondo quanto attestato dalla Sacra Scrittura, è quello dato con la santità della vita, ispirata al prototipo di
Gesù Cristo (cfr. Lv 22, 3; 19, 2; 20, 26. Dt 10, 12; 1 Cor 1, 2; 6, 11;
Rm 1, 7; Fil 1, 1). Tutti i fedeli, “santi per vocazione” (Rm 1, 7), in
quanto “santificati in Gesù Cristo”, sono per ciò stesso “chiamati ad
essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore” (1 Cor 1, 2; cf. Fil 1, 1). Per questo tutta la vita dei
credenti deve diventare una vita “secondo lo Spirito” (Rm 8, 1-13),
un “camminare secondo lo Spirito” e un “lasciarsi guidare dallo Spirito” (Gal 5, 16-25).
La Costituzione dogmatica Lumen Gentium esprime bene tale
concetto quando afferma che «tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella
perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste» (n. 11), e
che «nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità
è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre, seguono Cristo povero, umile e carico
della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria. Ognuno secondo i propri doni e le proprie funzioni deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e
opera per mezzo della carità» (n. 41).
321
Per dare rilievo a tale percorso di crescita cristiana personale e
comunitaria nella santità ho voluto far preparare, agli inizi del mio
ministero episcopale in mezzo a voi, i testi liturgici del nostro Santo
Patrono, perché sia per noi fulgido esempio di vita cristiana e intercessore presso Dio a nostro favore.
Mi preme sottolineare due caratteristiche della vita di San Vincenzo che vorrei diventassero il programma di vita di ciascuno di noi:
la diaconia e la martyria.
Servizio e testimonianza diventino, dunque, le due coordinate
fondamentali della nostra pastorale diocesana e le dinamiche essenziali che devono caratterizzare la nostra vita spirituale. Solo in questo
modo ogni nostra attività, illuminata e sostenuta dalla potente intercessione del nostro Santo Patrono, diacono e martire, contribuirà a
farci fare un’autentica esperienza di Dio e a far crescere la Chiesa
come corpo mistico di Cristo.
Stabilisco, pertanto, che i testi liturgici in onore di San Vincenzo,
diacono e martire, siano obbligatori in tutta la Diocesi a partire dal 22
gennaio 2012.
Dal Palazzo Vescovile, 25 dicembre 2011, nella solennità del Natale del Signore.
† Vito Angiuli
322
FORMULARIO DELLA MESSA E DELLA LITURGIA DELLE ORE
IN ONORE DI
SAN VINCENZO, DIACONO E MARTIRE
22 Gennaio
Solennità
San Vincenzo, diacono del Vescovo san Valerio della Chiesa di
Saragozza, subì il martirio tra crudeli tormenti a Valencia nel tribunale del Prefetto Daciano all’inizio del secolo IV durante la persecuzione di Diocleziano.
La fama del suo martirio, al quale Prudenzio dedicò il libro V del
Peristephanon, si estese presto all’intera chiesa con il suo inserimento già nel IV secolo nei calendari di varie chiese locali dell’impero romano al 22 gennaio, giorno della sua morte.
Nel secolo VII nel Sacramentario Gregoriano compare la festa di
San Vincenzo con un formulario liturgico proprio e nel corso della
storia della Chiesa numerose chiese e monasteri in ogni parte del
mondo hanno assunto il nome di questo martire, la cui iconografia
è una delle più copiose della cristianità.
In lui si compirono le parole di Cristo: Chi vuole servirmi mi segua
e dove sono io là sarà anche il mio servo. Glossando l’etimologia del
suo nome, che significa “vincitore”, Sant’Agostino affermava con
ammirazione: «Abbiamo contemplato un grande spettacolo con gli
occhi della fede: il martire San Vincenzo, vincitore in tutto.
Vinse con le parole, vinse con i tormenti, vinse con la testimonianza, vinse nelle tribolazioni e vinse, infine, patendo e morendo
per la fede».
323
MESSA
ANTIFONA D’INGRESSO
Questo è il vero testimone: non temette le minacce dei giudici,
sparse il suo sangue per Cristo ed entrò nel regno dei cieli.
COLLETTA
Dio onnipotente ed eterno, infondi benigno su di noi il tuo Spirito e
fortifica i nostri cuori con lo stesso amore che rese san Vincenzo
martire invincibile in mezzo ai tormenti. Per il nostro Signore Gesù
Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello
Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Oppure:
O Dio, che hai confermato i nostri padri nella luce del Vangelo attraverso le parole, l’esempio e il martirio del glorioso martire san
Vincenzo, concedi a noi, per sua intercessione, nel chiamarci cristiani, di mostrare con le opere la fede che professiamo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te
nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
SULLE OFFERTE
Ti offriamo con gioia, Signore, questo sacrificio di lode, celebrando
il trionfo di san Vincenzo martire, nella speranza di poter godere,
mediante questa offerta, della sua gloriosa protezione. Per Cristo
nostro Signore.
PREFAZIO
V/. Il Signore sia con voi.
R/. E con il tuo spirito.
V/. In alto i nostri cuori.
R/. Sono rivolti al Signore.
324
V/. Rendiamo grazie al Signore nostro Dio.
R/. È cosa buona e giusta.
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Tu hai chiamato alla gloria il diacono Vincenzo, vero testimone di
Cristo, che, riconoscendo la caducità di questo mondo, sperò
nell’eredità che è nei cieli. Trionfatore nel testimoniare la fede egli
è esempio perenne per il popolo cristiano, per Cristo nostro Signore.
Per questo, uniti agli angeli e ai santi, cantiamo con gioia, l’inno
della tua lode:
Santo, Santo, Santo...
ANTIFONA ALLA COMUNIONE
Ap 2, 7
Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio.
Oppure: (quando si legge il Vangelo di Giovanni)
Gv 12, 26
Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il
mio servitore.
DOPO LA COMUNIONE
O Signore, il pane celeste che abbiamo ricevuto, ci comunichi la
stessa fortezza di spirito, che rese san Vincenzo ministro fedele nel
tuo servizio e vincitore valoroso nel martirio. Per Cristo nostro Signore.
LITURGIA DELLA PAROLA
PRIMA LETTURA
Mi hai liberato, secondo la grandezza della tua misericordia.
325
Dal libro del Siràcide
51, 1-12 (NV) [gr 51, 1-8]
Ti loderò, Signore, re, e ti canterò, Dio, mio salvatore, loderò il tuo
nome, perché sei stato mio riparo e mio aiuto, salvando il mio corpo dalla perdizione, dal laccio di una lingua calunniatrice, dalle labbra di quelli che proferiscono menzogna, e di fronte a quanti mi
circondavano sei stato il mio aiuto e mi hai liberato, secondo la
grandezza della tua misericordia e del tuo nome, dai morsi di chi
stava per divorarmi, dalla mano di quelli che insidiavano la mia vita, dalle molte tribolazioni di cui soffrivo, dal soffocamento di una
fiamma avvolgente e dal fuoco che non avevo acceso, dal profondo
del seno degl’inferi, dalla lingua impura e dalla parola falsa e dal
colpo di una lingua ingiusta. La mia anima era vicina alla morte, la
mia vita era giù, vicino agl’inferi. Mi assalivano da ogni parte e nessuno mi aiutava; mi rivolsi al soccorso degli uomini, e non c’era. Allora mi ricordai della tua misericordia, Signore, e dei tuoi benefici
da sempre, perché tu liberi quelli che sperano in te e li salvi dalla
mano dei nemici.
Parola di Dio.
SALMO RESPONSORIALE
Dal Salmo 33 (34)
R/. Il Signore mi ha liberato da tutte le mie paure.
Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua
lode. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino. R/.
Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho
cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato. R/.
Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le
sue angosce. R/.
L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono, e li
libera. Gustate e vedete com’è buono il Signore; beato l’uomo che
in lui si rifugia. R/.
326
SECONDA LETTURA
Nessuna creatura potrà separarci dall’amore di Dio manifestato in
Cristo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
8, 35. 37-39
Fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione,
l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui
che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né
angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci
dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
Parola di Dio.
CANTO AL VANGELO
Cfr. Gc 1, 12
R/. Alleluia, alleluia.
Beato l’uomo che resiste alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita.
R/. Alleluia.
VANGELO
Sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare
testimonianza a loro e ai pagani.
Dal Vangelo secondo Matteo
10, 17-22
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle
loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per
causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi
consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte,
perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il
fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno
327
ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».
Parola del Signore.
Oppure:
VANGELO
Se il chicco di grano muore, produce molto frutto.
Dal Vangelo secondo Giovanni
12, 24-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi
dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo;
se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la
perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per
la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là
sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».
Parola del Signore.
PREGHIERA DEI FEDELI
Fratelli carissimi, la nostra fede e la nostra preghiera si nutrono
della testimonianza che i martiri ci hanno dato sull’esempio di Cristo, modello di ogni martirio.
R. O Dio degli Apostoli e dei Martiri, ascoltaci.
Perché la Chiesa, piena dello Spirito scaturito dalla morte pasquale
del Cristo, proclami e viva la beatitudine promessa a tutti i perseguitati per la fede, preghiamo. R.
Perché la nostra comunità diocesana che oggi celebra la solennità
del suo Santo patrono, nel fervore della sua fede e della sua testimonianza, sia lievito che fermenta la massa, preghiamo. R.
Perché il Padre attiri a Cristo salvatore, con la forza e la soavità dello Spirito, quanti vivono ancora nel dubbio e nell’indifferenza, preghiamo. R.
328
Perché il Signore conceda alle famiglie cristiane la grazia di essere
nella Chiesa e nel mondo il segno dell’amore di Dio che crea, redime e santifica, preghiamo. R.
Perché lo Spirito Santo, liberandoci da ogni paura ed esitazione, ci
aiuti a seguire Cristo, modello di santità in ogni stato di vita, preghiamo. R.
Sii benedetto, Signore, per averci dato la compagnia e l’esempio
dei santi, tuoi servi e amici; per la loro preziosa intercessione donaci la gioia di percorrere con l’audacia della fede la via santa che
dal fonte battesimale porta alla Gerusalemme celeste. Per Cristo
nostro Signore.
R. Amen.
BENEDIZIONE SOLENNE
Dio nostro Padre, che ci ha riuniti per celebrare oggi la festa di san
Vincenzo, patrono della nostra comunità diocesana, vi benedica e
vi protegga, e vi confermi nella sua pace.
R/. Amen.
Cristo Signore, che ha manifestato in san Vincenzo la forza rinnovatrice della Pasqua, vi renda autentici testimoni del suo Vangelo.
R/. Amen.
Lo Spirito Santo, che in san Vincenzo ci ha offerto un segno di solidarietà fraterna, vi renda capaci di attuare una vera comunione di
fede e di amore nella sua Chiesa.
R/. Amen.
E la benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo,
discenda su di voi, e con voi rimanga sempre.
R/. Amen.
329
LITURGIA DELLE ORE
Vincenzo, diacono di san Valerio Vescovo di Saragozza, morì
martire a Valencia durante la persecuzione di Diocleziano, il 22
gennaio del 304. Il suo culto si diffuse rapidamente in tutta la Chiesa. La sua basilica sepolcrale, situata fuori delle mura della città di
Valencia, divenne la chiesa di un illustre monastero e luogo di culto
cristiano durante la dominazione musulmana. Il martirio di san Vincenzo fu celebrato da sant’Agostino in diversi suoi sermoni, uno dei
quali è proposto come lettura per questa solennità.
Primi Vespri
R/. O Dio, vieni a salvarmi.
V/. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia.
INNO
Beato martire,
rendi propizio il giorno del tuo trionfo,
con cui, a prezzo del sangue versato,
ti è stata data, o Vincenzo, la corona.
Questo giorno, dopo la vittoria
sul giudice e sul carnefice,
dalle tenebre del secolo ti ha innalzato al cielo
e ti riportò, esultante, a Cristo.
330
Alzati, martire insigne;
alzati, senza timore;
alzati, nostro compagno,
e unisciti all’alma schiera.
Ora dimori fra gli angeli,
tutto lucente con l’insigne stola,
che, indomito testimone della fede,
lavasti con rivi di sangue.
Vieni ora in nostro aiuto,
e accogli le supplici preghiere di quanti ti invocano,
o valido avvocato dei nostri peccati
davanti al trono del Padre.
Sia lode e gloria perenne
al Padre e a Cristo suo Figlio,
allo Spirito Santo Paraclito,
nei secoli in eterno. Amen.
Oppure:
Beáte Martyr, próspera
diem triumphálem tuum;
quo sánguinis merces tibi
coróna Vincénti datur.
Hic te ex ténebris saéculi,
tortóre victo, et iúdice,
evéxit ad caelum dies,
Cristóque ovántem réddidit.
O miles invictíssime,
fortissimórum fórtior,
iam te ipsa saeva et áspera
torménta vostórem trémunt.
331
Nunc Angelórum párticeps
collúces insígni stola,
quam testis indomábilis
rivis cruóris láveras.
Adésto nunc, et pèrcipe
voces precántum súpplices,
nostri reátus éfficax
orátor ad thronum Patris.
Laus et perénnis glória
Patri sit atque Fílio,
Sancto simul Paráclito,
in sempitérna saécula. Amen.
Oppure un altro inno o canto adatto approvato dall’autorità ecclesiastica.
1 ant. Sconfitto il tiranno, l’invitto martire Vincenzo,
presenta oggi nel cielo la sua gloriosa palma.
Salmo 117 I (1-18)
Celebrate il Signore, perché è buono; *
eterna è la sua misericordia.
Dica Israele che egli è buono: *
eterna è la sua misericordia.
Lo dica la casa di Aronne: *
eterna è la sua misericordia.
Lo dica chi teme Dio: *
eterna è la sua misericordia.
332
Nell’angoscia ho gridato al Signore, *
mi ha risposto, il Signore, e mi ha tratto in salvo.
Il Signore è con me, non ho timore; *
che cosa può farmi l’uomo?
Il Signore è con me, è mio aiuto, *
sfiderò i miei nemici.
È meglio rifugiarsi nel Signore *
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore *
che confidare nei potenti.
Tutti i popoli mi hanno circondato, *
ma nel nome del Signore li ho sconfitti.
Mi hanno circondato, mi hanno accerchiato, *
ma nel nome del Signore li ho sconfitti.
Mi hanno circondato come api, †
come fuoco che divampa tra le spine, *
ma nel nome del Signore li ho sconfitti.
Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, *
ma il Signore è stato mio aiuto.
Mia forza e mio canto è il Signore, *
egli è stato la mia salvezza.
Grida di giubilo e di vittoria, *
nelle tende dei giusti:
la destra del Signore ha fatto meraviglie, †
la destra del Signore si è alzata, *
la destra del Signore ha fatto meraviglie.
Non morirò, resterò in vita *
e annunzierò le opere del Signore.
333
Il Signore mi ha provato duramente, *
ma non mi ha consegnato alla morte.
1 ant. Sconfitto il tiranno, l’invitto martire Vincenzo,
presenta oggi nel cielo la sua gloriosa palma.
2 ant. Attratti dalla speranza della felice vittoria,
il vescovo Valerio e il suo diacono Vincenzo
corsero valorosamente per dare testimonianza a Cristo.
II (19-29)
Apritemi le porte della giustizia: *
entrerò a rendere grazie al Signore.
È questa la porta del Signore, *
per essa entrano i giusti.
Ti rendo grazie, perché mi hai esaudito, *
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori *
è divenuta testata d’angolo;
ecco l’opera del Signore: *
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno fatto dal Signore: *
rallegriamoci ed esultiamo in esso.
Dona, Signore, la tua salvezza, *
dona, Signore, la tua vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore. *
Vi benediciamo dalla casa del Signore;
Dio, il Signore è nostra luce. †
334
Ordinate il corteo con rami frondosi *
fino ai lati dell’altare.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, *
sei il mio Dio e ti esalto.
Celebrate il Signore, perché è buono: *
eterna è la sua misericordia.
2 ant. Attratti dalla speranza della felice vittoria,
il vescovo Valerio e il suo diacono Vincenzo
corsero valorosamente per dare testimonianza a Cristo.
3 ant. Dichiariamo, Daciano, di essere fedeli alla religione cristiana,
servi e testimoni dell’unico vero Dio.
Cantico Cfr. 1 Pt 2, 21-24
Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, *
perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccato e non si trovò inganno *
sulla sua bocca;
oltraggiato non rispondeva con oltraggi, *
e soffrendo non minacciava vendetta
ma rimetteva la sua causa *
a colui che giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati sul suo corpo *
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia. *
Dalle sue piaghe siamo stati guariti.
335
3 ant. Dichiariamo, Daciano, di essere fedeli alla religione cristiana,
servi e testimoni dell’unico vero Dio.
LETTURA BREVE
Ap 3, 5
Il vincitore sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome
dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli.
RESPONSORIO BREVE
Sap 10, 11b-12a.14b
R/. Il Signore lo rese ricco, lo custodì dai suoi nemici*
e gli diede una gloria eterna.
Il Signore lo rese ricco, lo custodì dai suoi nemici
e gli diede una gloria eterna.
V/. Non lo abbandonò mentre era in catene,
e gli diede una gloria eterna.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Il Signore lo rese ricco, lo custodì dai suoi nemici
e gli diede una gloria eterna.
Ant. al Magn.: A chi sarà vincitore darò da mangiare dell’albero della vita che sta nel paradiso di Dio.
Cantico della Beata Vergine
Esultanza dell’anima nel Signore
L’anima mia magnifica il Signore *
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
336
(Lc 1, 46-55)
perché ha guardato l’umiltà della sua serva. *
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente *
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia *
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, *
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, *
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati, *
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, *
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri, *
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
Ant. al Magn.: A chi sarà vincitore darò da mangiare dell’albero della vita che sta nel paradiso di Dio.
INTERCESSIONI
Invochiamo Gesù Cristo, Re dei martiri, che chiamò il diacono san
Vincenzo a servire nella liturgia celeste e diciamo:
Rendi forte il tuo popolo, Signore.
Signore Gesù Cristo, che hai visitato san Vincenzo nel carcere,
— visitaci con la tua luce e donaci la ricchezza del tuo premio
eterno.
337
Tu che hai illuminato le tenebre della prigione,
— riempi con la tua luce i nostri cuori, affinché possiamo fuggire
dalla condanna eterna. Tu che hai insegnato a san Vincenzo a servire anziché essere servito,
— conserva nella tua Chiesa questo stesso modo di pensare e di agire. Tu che confermasti nella passione di san Vincenzo il significato
del suo nome,
— concedi, per sua intercessione, ai nostri fratelli defunti di condividere la sua gloria nel regno del cielo.
Padre nostro.
ORAZIONE
Dio onnipotente ed eterno, infondi benigno su di noi il tuo Spirito e
fortifica i nostri cuori con lo stesso amore che rese san Vincenzo
martire invincibile in mezzo ai tormenti. Per il nostro Signore Gesù
Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello
Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
INVITATORIO
V/. Signore, apri le mie labbra
R/. e la mia bocca proclami la tua lode.
Ant. Venite, adoriamo Cristo Signore,
che diede a san Vincenzo la corona del martirio.
Salmo 94
Venite, applaudiamo al Signore, *
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.
338
Accostiamoci a lui per rendergli grazie, *
a lui acclamiamo con canti di gioia. (Ant.)
Poiché grande Dio è il Signore, *
grande re sopra tutti gli dèi.
Nella sua mano sono gli abissi della terra, *
sono sue le vette dei monti.
Suo è il mare, egli l’ha fatto, *
le sue mani hanno plasmato la terra. (Ant.)
Venite, prostrati adoriamo, *
in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.
Egli è il nostro Dio, e noi il popolo del suo pascolo, *
il gregge che egli conduce (Ant.)
Ascoltate oggi la sua voce: «Non indurite il cuore, *
come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri: †
mi misero alla prova, *
pur avendo visto le mie opere (Ant.)
Per quarant’anni mi disgustai di quella generazione †
e dissi: Sono un popolo dal cuore traviato, *
non conoscono le mie vie;
perciò ho giurato nel mio sdegno: *
Non entreranno nel luogo del mio riposo» (Ant.).
Ufficio delle Letture
R/. O Dio, vieni a salvarmi.
V/. Signore, vieni presto in mio aiuto.
339
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio,
e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia.
Questa introduzione si omette quando si comincia l’Ufficio con
l’Invitatorio.
INNO
Quando il magistrato idolatra,
armato di leggi funeste,
ti costringeva con ferro e catene
a sacrificare agli dèi dei pagani,
Così esclamava, Vincenzo:
«Adora tu delle pietre,
adora tu un pezzo di legno;
fa’ pure il morto pontefice di dèi morti.
È il Padre, creatore della luce,
e il Cristo suo Figlio,
l’unico e vero Dio
che noi confesseremo, o Daciano».
Le torture, il carcere, gli unghioni,
il soffio delle lame roventi
e l’estrema pena della morte
sono un gioco per i cristiani.
Sorrideva il soldato di Dio
spregiando le mani sanguinarie,
giacché gli unghioni non riuscivano
a penetrare più a fondo nelle carni.
340
A Dio Padre sia gloria
e al suo unico Figlio
con lo Spirito Santo Paraclito,
ora e per i secoli eterni. Amen.
Oppure:
Cum iam satélles ímpius,
praecínctus atris légibus,
litáre divis géntium
ferro et caténis cógeret.
Exclámat hic Vincéntius:
tu saxa, tu lignum colas;
tu mortuórum mórtuus
fias deórum póntifex.
Nos lucis auctórem Patrem,
eiúsque Christum Fílium,
qui solus, ac verus Deus,
Daciáne, confitébimur.
Torménta, cárcer, úngulae,
stridénsque flammis lámina,
atque ipsa poenárum última,
mors, Christiánis ludus est.
Ridébat haec miles Dei
manus cruéntas íncrepans
quod fixa non profúndius
intráret artus úngula.
Deo Patri sit glória,
eiúsque soli Fílio.
cum Spíritu Paráclito,
nunc et per omne saéculum. Amen.
341
Oppure un altro inno o canto adatto approvato dall’autorità ecclesiastica.
1 ant. Sarete odiati a causa del mio nome:
a chi sarà fedele sino alla fine sarà salvo.
Salmo 2
Perché le genti congiurano, *
perché invano cospirano i popoli?
Insorgono i re della terra †
e i principi congiurano insieme *
contro il Signore e contro il suo Messia:
«Spezziamo le loro catene, *
gettiamo via i loro legami».
Se ne ride chi abita i cieli, *
li schernisce dall’alto il Signore.
Egli parla loro con ira, *
li spaventa nel suo sdegno:
«Io l’ho costituito mio sovrano *
sul Sion, mio santo monte».
Annunzierò il decreto del Signore. †
Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, *
io oggi ti ho generato.
Chiedi a me, ti darò in possesso le genti *
e in dominio i confini della terra.
Le spezzerai con scettro di ferro, *
come vasi di argilla le frantumerai».
342
E ora, sovrani, siate saggi, *
istruitevi, giudici della terra;
servite Dio con timore *
e con tremore esultate;
che non si sdegni e voi perdiate la via. †
Improvvisa divampa la sua ira. *
Beato chi in lui si rifugia.
1 ant. Sarete odiati a causa del mio nome:
ma chi sarà fedele sino alla fine sarà salvo.
2 ant. Non sono paragonabili le sofferenze presenti
alla gloria futura che apparirà in noi.
Salmo 10
Nel Signore mi sono rifugiato, come potete dirmi: *
«Fuggi come un passero verso il monte»?
Ecco, gli empi tendono l’arco, †
aggiustano la freccia sulla corda *
per colpire nel buio i retti di cuore.
Quando sono scosse le fondamenta, *
il giusto che cosa può fare?
Ma il Signore nel tempio santo, *
il Signore ha il trono nei cieli.
I suoi occhi sono aperti sul mondo, *
le sue pupille scrutano ogni uomo.
Il Signore scruta giusti ed empi, *
egli odia chi ama la violenza.
343
Farà piovere sugli empi brace, fuoco e zolfo, *
vento bruciante toccherà loro in sorte.
Giusto è il Signore, ama le cose giuste, *
gli uomini retti vedranno il suo volto.
2 ant. Non sono paragonabili le sofferenze presenti
alla gloria futura che apparirà in noi.
3 ant. Come oro nel fuoco il Signore li ha provati;
li ha graditi come un olocausto.
Salmo 16
Accogli, Signore, la causa del giusto, *
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera: *
sulle mie labbra non c’è inganno.
Venga da te la mia sentenza, *
i tuoi occhi vedano la giustizia.
Saggia il mio cuore, scrutalo nella notte, *
provami al fuoco, non troverai malizia.
La mia bocca non si è resa colpevole, *
secondo l’agire degli uomini;
seguendo la parola delle tue labbra, *
ho evitato i sentieri del violento.
Sulle tue vie tieni saldi i miei passi *
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco, mio Dio: *
dammi risposta; porgi l’orecchio, *
ascolta la mia voce,
344
mostrami i prodigi del tuo amore: *
tu che salvi dai nemici chi si affida alla tua destra.
Custodiscimi come pupilla degli occhi, *
proteggimi all’ombra delle tue ali,
di fronte agli empi che mi opprimono, *
ai nemici che mi accerchiano.
Essi hanno chiuso il loro cuore, *
le loro bocche parlano con arroganza.
Eccoli, avanzano, mi circondano, *
puntano gli occhi per abbattermi;
simili a un leone che brama la preda, *
a un leoncello che si apposta in agguato.
Sorgi, Signore, affrontalo, abbattilo; *
con la tua spada scampami dagli empi,
con la tua mano, Signore, dal regno dei morti *
che non hanno più parte in questa vita.
Sazia pure dei tuoi beni il loro ventre, †
e ne sazino anche i figli *
e ne avanzi per i loro bambini.
Ma io per la giustizia contemplerò il tuo volto, *
al risveglio mi sazierò della tua presenza.
3 ant. Come oro nel fuoco il Signore li ha provati;
li ha graditi come un olocausto.
V/. Mi afferra l’angoscia e l’oppressione.
R/. ma la tua parola mi sostiene.
345
PRIMA LETTURA
Dalla seconda lettera ai Corinzi di san Paolo, apostolo
4, 7 – 5, 8
Nei martiri si manifesta la potenza di Dio
Fratelli, noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia
che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma
non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non
uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di
Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.
Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a
causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la
vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato (Sal 115, 10), anche noi crediamo
e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore
Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.
Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l’inno di lode alla gloria di Dio.
Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci
procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non
fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili.
Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne.
Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra
abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora
eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo
in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi.
346
In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un
peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che
è mortale venga assorbito dalla vita. È Dio che ci ha fatti per questo
e ci ha dato la caparra dello Spirito.
Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché
abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione. Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore.
RESPONSORIO
Mt 5, 11.12a.10
R/. Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno per causa mia. * Rallegratevi ed esultate: grande è la vostra ricompensa nei cieli.
V/. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il
regno dei cieli.
R/. Rallegratevi ed esultate: grande è la vostra ricompensa nei cieli.
SECONDA LETTURA
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo.
(Disc. 276, 1-2: PL 38, 1256)
Vincenzo ha vinto in Colui che aveva vinto il mondo.
«A voi è stato dato – dice l’Apostolo – non solo di credere in Cristo,
ma anche di patire per lui» (Fil 1, 29).
Il diacono Vincenzo aveva ricevuto l’una e l’altra cosa e, come le
aveva ricevute, le conservava. Se infatti non le avesse ricevute, che
avrebbe? Nelle parole aveva la fiducia, nel martirio aveva la pazienza.
Perciò, nessuno conti sulla propria saggezza quando parla; nessuno
abbia fiducia nelle proprie forze quando soffre la tentazione, in
347
quanto e perché si faccia un discorso retto e prudente viene da lui
la nostra sapienza e perché si possano tollerare i mali con fortezza
viene da lui la nostra pazienza.
Ripensate al Signore Gesù Cristo che, secondo il Vangelo, avverte i
suoi discepoli; ripensate al Re dei martiri che provvede le sue
schiere delle armi dello spirito, fa prevedere le guerre, somministra
gli aiuti, promette le ricompense. Egli, dopo aver detto ai suoi discepoli: «In questo mondo sarete nelle tribolazioni», a rincuorarne
l’animo che ne era stato atterrito, subito proseguì dicendo: «Ma
abbiate fiducia perché io ho vinto il mondo» (Gv 16, 33).
Perché allora, carissimi, andiamo meravigliandoci se Vincenzo ha
vinto in Colui che ha vinto il mondo? «In questo mondo – dice il Signore – sarete nelle tribolazioni», ma in modo tale che, se la tribolazione angustia, non opprima e, se assale, non conquisti. La spada
a doppio taglio del mondo contro i soldati di Cristo: lusinghe e terrori. Contro i soldati di Cristo il mondo sfodera una spada a doppio
taglio. Badate, fratelli, il mondo – ho detto – sfodera una spada a
doppio taglio contro i soldati di Cristo. Lusinga, infatti, per indurre
nell’errore, terrorizza per infrangere la resistenza.
Non lasciamoci trasportare dall’impulso a conservarci, non ci spaventi la crudeltà altrui, e il mondo è vinto. E, poiché Cristo si para
innanzi all’una e all’altra via di accesso, non è vinto il cristiano. Se
in questa passione si prende a considerare la pazienza dell’uomo,
comincia a rivelarsi incredibile; se si scopre la divina potenza, cessa
allora ogni meraviglia.
All’infierire della brutalità nel corpo del martire corrispondeva la
serena pacatezza della sua voce; vi brava tanta fermezza nelle parole per quanto l’atrocità dei dolori travagliava le membra, da indurre con sorpresa a credere che era un altro ad essere torturato
mentre Vincenzo era sotto la prova o, almeno, che un altro lo era
mentre Vincenzo parlava. E, in realtà, fratelli carissimi, era così; era
348
veramente così: era un altro a parlare. Infatti Cristo promise anche questo ai suoi testimoni. Perciò, ai suoi che andava disponendo a combattimenti di tal genere, nel Vangelo tenne questo
discorso: «Non preoccupatevi di come o di cosa sia necessario dire. Infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro
che parla in voi» (Mt 10, 19-20). Quindi, a patire era la carne e a
parlare lo Spirito e, per la parola dello Spirito, non solo veniva
sconfessata l’empietà ma, nello stesso tempo, la debolezza ne
provava ristoro.
RESPONSORIO
Cfr. Gb 23, 10b-11; Fil 3, 8.10
R/. Il Signore mi ha messo alla prova, come oro puro io ne esco. *
Alle sue orme si è attaccato il mio piede, al suo cammino mi sono
attenuto e non ho deviato.
V/. Tutto è una perdita a motivo della conoscenza di Cristo, e della
comunione alle sue sofferenze.
R/. Alle sue orme si è attaccato il mio piede, al suo cammino mi sono attenuto e non ho deviato.
Oppure:
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo.
(Disc. 274, sul martirio di S. Vincenzo: PL 38, 1252-1253)
Vincenzo, per la sua fede, è stato vincitore in tutto
Con gli occhi della fede abbiamo ammirato un magnifico spettacolo: il martire Vincenzo vincitore sempre. Vince a parole, vince nei
tormenti, vince nella confessione, vince nella tribolazione, vince
quando è arso dal fuoco, vince quando è sommerso nelle acque;
vince infine nella tortura, vince da morto.
Quando il suo corpo segnato dal trofeo di Cristo vincitore, dalla
349
piccola imbarcazione veniva gettato in mare, diceva mormorando:
«Siamo scagliati via, ma non è la fine per noi» (2 Cor 4, 9).
Chi ha donato una tale pazienza al suo soldato se non Colui che per
primo ha dato il suo sangue per lui? A Cristo si dice nel Salmo:
«Poiché tu, Signore, sei la mia pazienza, Signore, tu la mia speranza
fin dalla mia giovinezza» (Sal 70, 5). Un combattimento molto duro
procura molta gloria, non umana né transitoria, ma divina ed eterna.
È la fede a combattere e, quando è la fede a condurre la lotta, nessuno riesce ad averla vinta sul corpo. Infatti, anche se straziato, anche se lacerato, come può finire chi è stato redento dal sangue di
Cristo? Un uomo potente non può perdere quanto ha comprato
con il suo oro e Cristo perde quanto ha comprato con il suo sangue?
RESPONSORIO
Cfr. Gb 23, 10b-11; Fil 3, 8.10
R/. Il Signore mi ha messo alla prova, come oro puro io ne esco. *
Alle sue orme si è attaccato il mio piede, al suo cammino mi sono
attenuto e non ho deviato.
V/. Tutto è una perdita a motivo della conoscenza di Cristo, e della
comunione alle sue sofferenze.
R/. Alle sue orme si è attaccato il mio piede, al suo cammino mi sono attenuto e non ho deviato.
INNO
TE DEUM
Noi ti lodiamo, Dio, *
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre, *
tutta la terra ti adora.
350
A te cantano gli angeli *
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo *
il Signore Dio dell’universo.
I cieli e la terra *
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli *
e la candida schiera dei martiri;
le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; *
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico Figlio, *
e lo Spirito Santo Paraclito.
O Cristo, re della gloria, *
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre *
per la salvezza dell’uomo.
Vincitore della morte, *
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre. *
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Soccorri i tuoi figli, Signore, *
che hai redento col tuo sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria *
nell’assemblea dei santi.
[*] Salva il tuo popolo, Signore, *
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo, *
lodiamo il tuo nome per sempre.
351
Degnati oggi, Signore, *
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia: *
in te abbiamo sperato.
Pietà di noi, Signore, *
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza, *
non saremo confusi in eterno.
[*] Quest’ultima parte dell’inno si può omettere.
Oppure:
Te Deum laudámus: *
te Dóminum confitémur.
Te aetérnum Patrem, *
omnis terra venerátur.
Tibi omnes ángeli, *
tibi caeli et univérsae potestátes:
tibi chérubim et séraphim *
incessábili voce proclámant:
Sanctus, * Sanctus, * Sanctus *
Dóminus Deus Sábaoth.
Pleni sunt caeli et terra *
maiestátis glóriae tuae.
Te gloriósus *
Apostolórum chorus,
te prophetárum *
laudábilis númerus,
352
te mártyrum candidátus *
laudat exércitus.
Te per orbem terrárum *
sancta confitétur Ecclésia,
Patrem *
imménsae maiestátis;
venerándum tuum verum *
et únicum Fílium;
Sanctum quoque *
Paráclitum Spíritum.
Tu rex glóriae, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Fílius.
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, *
non horruísti Vírginis úterum.
Tu, devícto mortis acúleo, *
aperuísti credéntibus regna caelórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.
Te ergo quaésumus, tuis fámulis súbveni, *
quos pretióso sánguine redemísti.
Aetérna fac cum sanctis tuis *
in glória numerári.
[*] Salvum fac pópulum tuum, Dómine, *
et bénedic hereditáti tuae.
Et rege eos, *
et extólle illos usque in aetérnum.
Per síngulos dies *
benedícimus te;
353
et laudámus nomen tuum in saéculum, *
et in saéculum saéculi.
Dignáre, Dómine, die isto *
sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, *
miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, *
quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi:
non confúndar in aetérnum.
[*] Quest’ultima parte dell’inno si può omettere.
ORAZIONE
Dio onnipotente ed eterno, infondi benigno su di noi il tuo Spirito e
fortifica i nostri cuori con lo stesso amore che rese san Vincenzo
martire invincibile in mezzo ai tormenti. Per il nostro Signore Gesù
Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello
Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Lodi mattutine
R/. O Dio, vieni a salvarmi.
V/. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
354
Come era nel principio, e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia.
Questa introduzione si omette quando immediatamente prima si è
eseguito l’Invitatorio.
INNO
Vincenzo ancora più lieto
rischiara la fronte serena,
libera da ogni nube,
vedendo, o Cristo, la tua presenza.
Hai sopportato abbastanza, Vincenzo,
le pene del crudele martirio:
l’avvento di una morte gloriosa
pone fine a tutta la tua passione.
Il Cristo Dio ne è stato spettatore
e ti ricompensa con la vita eterna;
divenuto compagno della sua croce,
egli ti incorona con la sua destra generosa.
Per la tua intercessione,
per quel carcere che accrebbe il tuo onore;
per le catene, le fiamme, gli unghioni,
per il ceppo che ti tenne prigioniero:
Abbi pietà delle nostre preghiere,
affinché Cristo placato
volga l’orecchio benigno verso i tuoi
e non ci imputi tutte le nostre colpe.
Sia lode e gloria perenne
355
al Padre e a Cristo suo Figlio,
allo Spirito Santo Paraclito,
nei secoli in eterno. Amen.
Oppure:
Ast ille tanto laétior
omni vacántem núbilo,
frontem serénam lúminat
Te, Christe, praeséntem videns.
Decúrsa, Vincénti, tibi
poenae minácis múnia;
pulchróque mortis éxitu,
omnis perácta est passio.
Spectátor haec Christus Deus
compénsat aevo intérminio,
suaéque collégam crucis
larga corónat déxtera.
Per te, per illum cárcerem,
honóris augméntum tui,
per vincla, flammas, úngulas,
per carcerálem stípitem;
Te deprecámur, póscito,
placátus ut Christus suis
inclínet áurem prósperam,
noxas nec ullas ímputet.
Laus et perénnis glória
Patri sit, atque Fílio,
Sancto simul Paráclito,
in sempitérna saecula. Amen.
356
Oppure un altro inno o canto adatto approvato dall’autorità ecclesiastica.
1 ant. L’intrepido martire Vincenzo patì il tormento dei ferri incandescenti ed elevando gli occhi al cielo, invocava il Signore.
Salmo 62
O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, *
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne, *
come terra deserta, arida, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho cercato, *
per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita, *
le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva, *
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Mi sazierò come a lauto convito, *
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
Nel mio giaciglio di te mi ricordo, *
penso a te nelle veglie notturne,
tu sei stato il mio aiuto; *
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe *
l’anima mia.
La forza della tua destra *
mi sostiene.
1 ant. L’intrepido martire Vincenzo patì il tormento dei ferri incandescenti ed elevando gli occhi al cielo, invocava il Signore.
357
2 ant. Martiri del Signore, benedite il Signore nei secoli.
Cantico Dn. 3, 57-88.56
Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, *
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, angeli del Signore, il Signore, *
benedite, cieli, il Signore.
Benedite, acque tutte, che siete sopra i cieli, il Signore, *
benedite, potenze tutte del Signore, il Signore.
Benedite, sole e luna, il Signore, *
benedite, stelle del cielo, il Signore.
Benedite, piogge e rugiade, il Signore, *
benedite, o venti tutti, il Signore.
Benedite, fuoco e calore, il Signore, *
benedite, freddo e caldo, il Signore.
Benedite, rugiada e brina, il Signore, *
benedite, gelo e freddo, il Signore.
Benedite, ghiacci e nevi, il Signore, *
benedite, notti e giorni, il Signore.
Benedite, luce e tenebre, il Signore, *
benedite, folgori e nubi, il Signore.
Benedica la terra il Signore, *
lo lodi e lo esalti nei secoli.
Benedite, monti e colline, il Signore, *
benedite, creature tutte che germinate sulla terra, il Signore.
Benedite, sorgenti, il Signore, *
benedite, mari e fiumi, il Signore.
Benedite, mostri marini e quanto si muove nell’acqua, il Signore, *
benedite, uccelli tutti dell’aria, il Signore.
358
Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore, *
benedite, figli dell’uomo, il Signore.
Benedica Israele il Signore, *
lo lodi e lo esalti nei secoli.
Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore, *
benedite, o servi del Signore, il Signore.
Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore, *
benedite, pii e umili di cuore, il Signore.
Benedite, Anania, Azaria e Misaele, il Signore, *
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benediciamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo, *
lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento del cielo, *
degno di lode e di gloria nei secoli.
2 ant. Martiri del Signore, benedite il Signore nei secoli.
3 ant. Se qualcuno mi riconoscerà davanti agli uomini,
anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti al Padre.
Salmo 149
Cantate al Signore un canto nuovo; *
la sua lode nell’assemblea dei fedeli.
Gioisca Israele nel suo Creatore, *
esultino nel loro Re i figli di Sion.
Lodino il suo nome con danze, *
con timpani e cetre gli cantino inni.
Il Signore ama il suo popolo, *
incorona gli umili di vittoria.
359
Esultino i fedeli nella gloria, *
sorgano lieti dai loro giacigli.
Le lodi di Dio sulla loro bocca *
e la spada a due tagli nelle loro mani,
per compiere la vendetta tra i popoli *
e punire le genti;
per stringere in catene i loro capi, *
i loro nobili in ceppi di ferro;
per eseguire su di essi *
il giudizio già scritto:
questa è la gloria *
per tutti i suoi fedeli.
3 ant. Se qualcuno mi riconoscerà davanti agli uomini,
anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti al Padre.
LETTURA BREVE
Ap 2, 27-28
Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere, darò autorità sopra le nazioni; le pascolerà con bastone di ferro e le frantumerà come vasi di terracotta, con la stessa autorità che a me fu
data dal Padre mio e darò a lui la stella del mattino.
RESPONSORIO BREVE
R/. Il Signore è mia forza * e mio baluardo. Il Signore è mia forza e
mio baluardo.
V/. Egli è mia salvezza e mio baluardo.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Il Signore è mia forza e mio baluardo.
360
Ant. al Ben. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me,
non può essere mio discepolo.
Cantico di Zaccaria (Lc 1, 68-79)
Il Messia e il suo Precursore
Benedetto il Signore Dio d’Israele, *
perché ha visitato e redento il suo popolo,
e ha suscitato per noi una salvezza potente *
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva promesso *
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:
salvezza dai nostri nemici, *
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri *
e si è ricordato della sua santa alleanza,
del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, *
di concederci, liberàti dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia *
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo *
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza *
nella remissione dei suoi peccati,
grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, *
per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge,
per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre *
e nell’ombra della morte
361
e dirigere i nostri passi *
sulla via della pace.
Ant. al Ben. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me,
non può essere mio discepolo.
INVOCAZIONI
Invochiamo, fratelli, il nostro Salvatore, il testimone fedele, e nel
ricordare oggi san Vicenzo diacono e martire, che morì per la parola di Dio, supplichiamolo dicendo:
Concedi a noi, Signore, di partecipare della sua gloria.
Signore Gesù Cristo, che hai dato in premio al tuo martire Vincenzo
la stella del mattino,
— rendici forti con la gioia della risurrezione battesimale e la speranza della vita eterna.
Signore Gesù Cristo, che hai nutrito san Vincenzo con la manna nascosta,
— concedi a noi, per sua intercessione, di rivestirci della gloriosa
veste dell’immortalità.
Signore Gesù Cristo, che hai reso il tuo martire vittorioso nella prigionia e nei tormenti,
— liberaci dalle catene di questo mondo, perché possiamo evitare
il fuoco del supplizio eterno.
Signore Gesù Cristo, che hai premiato il tuo discepolo Vincenzo
che, patendo la croce, seguì i tuoi passi,
— insegnaci a sopportare con generosità, come lui, le difficoltà della vita.
Signore Gesù Cristo, che hai accolto la testimonianza resa da san
Vincenzo con la parola, l’Eucaristia e la carità,
— fa’ che tutti i credenti ti servano con fedeltà e con gioia.
362
Padre nostro.
ORAZIONE
Dio onnipotente ed eterno, infondi benigno su di noi il tuo Spirito e
fortifica i nostri cuori con lo stesso amore che rese san Vincenzo
martire invincibile in mezzo ai tormenti. Per il nostro Signore Gesù
Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello
Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Ora media
Terza - Sesta - Nona
R/. O Dio, vieni a salvarmi.
V/. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia.
Terza
O Spirito Paraclito,
uno col Padre e il Figlio,
discendi a noi benigno
nell’intimo dei cuori.
363
Voce e mente si accordino
nel ritmo della lode,
il tuo fuoco ci unisca
in un’anima sola.
O luce di sapienza,
rivélaci il mistero
del Dio trino ed unico,
fonte d’eterno amore. Amen.
Oppure:
L’ora terza risuona
nel servizio di lode:
con cuore puro e ardente
preghiamo il Dio glorioso.
Venga su noi, Signore,
il dono dello Spirito,
che in quest’ora discese
sulla Chiesa nascente.
Si rinnovi il prodigio
di quella Pentecoste
che rivelò alle genti
la luce del tuo regno.
Sia lode al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo,
al Dio trino ed unico,
nei secoli sia gloria. Amen.
Ant. Il Signore gli ha dato la vittoria nella dura battaglia,
affinché sappia che la sapienza è più forte di ogni altra cosa.
364
Salmo 119
Nella mia angoscia ho gridato al Signore *
ed egli mi ha risposto.
Signore, libera la mia vita dalle labbra di menzogna, *
dalla lingua ingannatrice.
Che ti posso dare, come ripagarti, *
lingua ingannatrice?
Frecce acute di un prode, *
con carboni di ginepro.
Me infelice: abito straniero in Mosoch, *
dimoro fra le tende di Kedar!
Troppo io ho dimorato *
con chi detesta la pace.
Io sono per la pace, *
ma quando ne parlo, essi vogliono la guerra.
Salmo 120
Alzo gli occhi verso i monti: *
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore, *
che ha fatto cielo e terra.
Non lascerà vacillare il tuo piede, *
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenta, non prende sonno, *
il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode, †
il Signore è come ombra che ti copre, *
e sta alla tua destra.
365
Di giorno non ti colpirà il sole, *
né la luna di notte.
Il Signore ti proteggerà da ogni male, *
egli proteggerà la tua vita.
Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri, *
da ora e per sempre.
Salmo 121
Quale gioia, quando mi dissero: *
«Andremo alla casa del Signore».
E ora i nostri piedi si fermano *
alle tue porte, Gerusalemme!
Gerusalemme è costruita *
come città salda e compatta.
Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore, †
secondo la legge di Israele, *
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i seggi del giudizio, *
i seggi della casa di Davide.
Domandate pace per Gerusalemme: *
sia pace a coloro che ti amano,
sia pace sulle tue mura, *
sicurezza nei tuoi baluardi.
Per i miei fratelli e i miei amici *
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio, *
chiederò per te il bene.
366
Ant. Il Signore gli ha dato la vittoria nella dura battaglia,
affinché sappia che la sapienza è più forte di ogni altra cosa.
LETTURA BREVE
Ap 3, 21
Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho
vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono.
V/. Il Signore lo ha rivestito con il manto della gloria.
R/. E ha posto sul suo capo la corona della vittoria.
Orazione come alle Lodi mattutine.
Sesta
Glorioso e potente Signore,
che alterni i ritmi del tempo,
irradi di luce il mattino
e accendi di fuochi il meriggio,
tu placa le tristi contese,
estingui la fiamma dell’ira,
infondi vigore alle membra,
ai cuori concedi la pace.
Sia gloria al Padre e al Figlio,
sia onore al Santo Spirito,
all’unico e trino Signore
sia lode nei secoli eterni. Amen.
367
Oppure:
L’ora sesta c’invita
alla lode di Dio:
inneggiamo al Signore
con fervore di spirito.
In quest’ora sul Golgota,
vero agnello pasquale,
Cristo paga il riscatto
per la nostra salvezza.
Dinanzi alla sua gloria
anche il sole si oscura:
risplenda la sua grazia
nell’intimo dei cuori.
Sia lode al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo,
al Dio trino ed unico
nei secoli sia gloria. Amen.
Ant. Il Signore lo ha coronato con un diadema di giustizia
e gli ha dato un nome di gloria.
Salmo 122
A te levo i miei occhi, *
a te che abiti nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni; *
come gli occhi della schiava
alla mano della sua padrona,
368
così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, *
finché abbia pietà di noi.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi, *
già troppo ci hanno colmato di scherni,
noi siamo troppo sazi degli scherni dei gaudenti, *
del disprezzo dei superbi.
Salmo 123
Se il Signore non fosse stato con noi, – lo dica Israele – †
se il Signore non fosse stato con noi, *
quando uomini ci assalirono,
ci avrebbero inghiottiti vivi, *
nel furore della loro ira.
Le acque ci avrebbero travolti; †
un torrente ci avrebbe sommersi, *
ci avrebbero travolti acque impetuose.
Sia benedetto il Signore, *
che non ci ha lasciati in preda ai loro denti.
Noi siamo stati liberati come un uccello *
dal laccio dei cacciatori: il laccio si è spezzato *
e noi siamo scampati.
Il nostro aiuto è nel nome del Signore, *
che ha fatto cielo e terra.
Salmo 124
Chi confida nel Signore è come il monte Sion: *
non vacilla, è stabile per sempre.
I monti cingono Gerusalemme: †
369
il Signore è intorno al suo popolo, *
ora e sempre.
Egli non lascerà pesare lo scettro degli empi *
sul possesso dei giusti,
perché i giusti non stendano le mani *
a compiere il male.
La tua bontà, Signore, sia con i buoni *
e con i retti di cuore.
Quelli che vanno per sentieri tortuosi †
il Signore li accomuni alla sorte dei malvagi. *
Pace su Israele!
Ant. Il Signore lo ha coronato con un diadema di giustizia
e gli ha dato un nome di gloria.
LETTURA BREVE
Ap 2, 17
Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla
quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di
chi la riceve.
V/. In Dio confido e non ho timore.
R/. Cosa potrà farmi un uomo?
Orazione come alle Lodi mattutine.
Nona
Signore, forza degli esseri,
Dio immutabile, eterno,
370
tu segni i ritmi del mondo:
i giorni, i secoli, il tempo.
Irradia di luce la sera,
fa’ sorgere oltre la morte,
ello splendore dei cieli,
l giorno senza tramonto.
Sia lode al Padre altissimo,
al Figlio e al Santo Spirito,
com’era nel principio,
ora e nei secoli eterni. Amen.
Oppure:
L’ora nona ci chiama
al servizio divino:
adoriamo cantando
l’uno e trino Signore.
San Pietro, che in quest’ora
salì al tempio a pregare,
rafforzi i nostri passi
sulla via della fede.
Uniamoci agli apostoli
nella lode perenne
e camminiamo insieme
sulle orme di Cristo.
Ascolta, Padre altissimo,
tu che regni in eterno,
con il Figlio e lo Spirito
nei secoli dei secoli. Amen.
371
Ant. Nell’andare, se ne vanno piangendo, portando la semente da
gettare.
Salmo 125
Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, *
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, *
la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.
Allora si diceva tra i popoli: *
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi, *
ci ha colmati di gioia.
Riconduci, Signore, i nostri prigionieri, *
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime *
mieterà con giubilo.
Nell’andare, se ne va e piange, *
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo, *
portando i suoi covoni.
Salmo 126
Se il Signore non costruisce la casa, *
invano vi faticano i costruttori.
Se la città non è custodita dal Signore *
invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino, †
tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: *
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.
372
Ecco, dono del Signore sono i figli, *
è sua grazia il frutto del grembo.
Come frecce in mano a un eroe *
sono i figli della giovinezza.
Beato l’uomo *
che piena ne ha la farètra:
non resterà confuso quando verrà alla porta *
a trattare con i propri nemici.
Salmo 127
Beato l’uomo che teme il Signore *
e cammina nelle sue vie.
Vivrai del lavoro delle tue mani, *
sarai felice e godrai d’ogni bene.
La tua sposa come vite feconda *
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo *
intorno alla tua mensa.
Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore. *
Ti benedica il Signore da Sion!
Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme *
per tutti i giorni della tua vita.
Possa tu vedere i figli dei tuoi figli. *
Pace su Israele!
Ant. Nell’andare, se ne vanno piangendo, portando la semente da
gettare.
373
LETTURA BREVE
Ap 3, 12
Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e
non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il
nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome
nuovo.
V/. Nel tornare, vengono con gioia.
R/. Portando i loro covoni.
Orazione come alle Lodi mattutine.
Secondi Vespri
R/. O Dio, vieni a salvarmi.
V/. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia.
INNO
Vincenzo, a passo svelto,
si affretta verso il martirio:
la gioia gli mette le ali ai piedi
e anticipa gli esecutori del supplizio.
374
«Ti sbagli, sanguinario,
se pensi di infliggermi una pena
facendo a pezzi e uccidendo
le membra soggette alla morte.
Questo corpo che ti affanni a distruggere
con tutta la furia delle tue forze,
è un fragile vaso d’argilla,
destinato comunque a spezzarsi».
Se veneriamo come è giusto il giorno solenne, o due volte glorioso,
se ci prostriamo con gioia davanti alle tue reliquie,
discendi un poco fra noi e portaci la benevolenza di Cristo,
affinché la nostra umanità affranta senta il sollievo del perdono.
Sia lode e gloria perenne al Padre
e a Cristo suo Figlio,
allo Spirito Santo Paraclito,
nei secoli in eterno. Amen.
Oppure:
Haec ille sese ad múnera gradu citáto próripit;
ipsósque pernix gáudio poenae minístros praévenit.
«Erras, cruénte, si meam te rere poenam súmere
cum membra morti obnóxia dilancináta interfícis.
Hoc, quod labóras pérdere tantis furóris víribus,
vas est solútum ac fíctile, quocúmque frangéndum modo».
Si rite sollémnem diem venerámur, o bis ínclite,
si sub tuorum gáudio vestigiórum stérnimur,
paulísper huc inlábere, Christi favórem déferens,
sensus graváti ut séntiant levámen indulgéntiae.
375
Laus et perénnis glória Patri sit atque Fílio,
Sancto simul Paráclito, in sempitérna saécula. Amen.
Oppure un altro inno o canto adatto approvato dall’autorità ecclesiastica.
1 ant. Nell’andare a combattere per il nome di Cristo, impugniamo
le armi dello Spirito, senza alcun timore di minacce e di supplizi.
Salmo 114
Amo il Signore perché ascolta *
il grido della mia preghiera.
Verso di me ha teso l’orecchio *
nel giorno in cui lo invocavo.
Mi stringevano funi di morte, *
ero preso nei lacci degli inferi.
Mi opprimevano tristezza e angoscia †
e ho invocato il nome del Signore: *
«Ti prego, Signore, salvami».
Buono e giusto è il Signore, *
il nostro Dio è misericordioso.
Il Signore protegge gli umili: *
ero misero ed egli mi ha salvato.
Ritorna, anima mia, alla tua pace, *
poiché il Signore ti ha beneficato;
egli mi ha sottratto dalla morte, †
ha liberato i miei occhi dalle lacrime, *
ha preservato i miei piedi dalla caduta.
376
Camminerò alla presenza del Signore *
sulla terra dei viventi.
1 ant. Nell’andare a combattere per il nome di Cristo, impugniamo
le armi dello Spirito, senza alcun timore di minacce e di supplizi.
2 ant. Mentre Vincenzo era in mezzo ai tormenti, gridava che così
si compivano tutti i suoi desideri.
Salmo 115
Ho creduto anche quando dicevo: *
«Sono troppo infelice».
Ho detto con sgomento: *
«Ogni uomo è inganno».
Che cosa renderò al Signore *
per quanto mi ha dato?
Alzerò il calice della salvezza *
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore, *
davanti a tutto il suo popolo.
Preziosa agli occhi del Signore *
è la morte dei suoi fedeli.
Sì, io sono il tuo servo, Signore, †
io sono tuo servo, figlio della tua ancella; *
hai spezzato le mie catene.
A te offrirò sacrifici di lode *
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore *
davanti a tutto il suo popolo,
377
negli atri della casa del Signore, *
in mezzo a te Gerusalemme.
2 ant. Mentre Vincenzo era in mezzo ai tormenti, gridava che così
si compivano tutti i suoi desideri.
3 ant. In cielo ti è stata preparata una corona, Vincenzo, da Colui
nel cui nome hai lottato con fedeltà.
Cantico Cfr. Ap 4, 11; 5, 9. 10. 12
Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, *
l’onore e la potenza,
perché tu hai creato tutte le cose, †
per la tua volontà furono create, *
per il tuo volere sussistono.
Tu sei degno, o Signore, di prendere il libro *
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato †
e hai riscattato per Dio con il tuo sangue *
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione
e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti *
e regneranno sopra la terra.
L’Agnello che fu immolato è degno di potenza, †
ricchezza, sapienza e forza, *
onore, gloria e benedizione.
3 ant. In cielo ti è stata preparata una corona, Vincenzo, da Colui
nel cui nome hai lottato con fedeltà.
378
LETTURA BREVE
Ap 2, 10-11
Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare
alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona
della vita. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Il
vincitore non sarà colpito dalla seconda morte.
RESPONSORIO BREVE
R/. Sii fedele fino alla morte * e ti darò la corona della vita.
Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita.
V/. Fino alla morte lotta per la giustizia e il Signore combatterà in
tuo favore.
E ti darò la corona della vita.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita.
Ant. al Magn. Il glorioso Vincenzo, martire di Cristo, riportando la
vittoria nel combattimento per la fede, libero dai
vincoli del corpo, affidò lo spirito a Dio.
Cantico della Beata Vergine (Lc 1, 46-55)
Esultanza dell’anima nel Signore
L’anima mia magnifica il Signore *
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva. *
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
379
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente *
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia *
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, *
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, *
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati, *
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, *
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri, *
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
Ant. al Magn. Il glorioso Vincenzo, martire di Cristo, riportando la
vittoria nel combattimento per la fede, libero dai
vincoli del corpo, affidò lo spirito a Dio.
INTERCESSIONI
In questa solennità di san Vincenzo, nella stessa ora il Re dei martiri
offrì la propria vita nell’ultima cena e la consegnò sulla croce, rendiamo grazie dicendo:
Ti glorifichiamo, Signore.
Poiché ci hai amato sino alla fine, Salvatore nostro, principio e origine di ogni martirio,
— Ti glorifichiamo, Signore.
380
Poiché la tua forza ha vinto attraverso la debolezza umana del tuo
martire Vincenzo e ci hai lasciato in lui un testimone memorabile,
— Ti glorifichiamo, Signore.
Poiché hai dato alla Chiesa, come sacrificio, il sangue della nuova
ed eterna alleanza versato per la remissione dei peccati,
— Ti glorifichiamo, Signore.
Poiché con la tua grazia e l’intercessione del tuo diacono e martire
Vincenzo ci hai dato un esempio di perseveranza nella fede,
— Ti glorifichiamo, Signore.
Poiché hai associato alla tua morte e alla beatitudine dei santi i
nostri fratelli defunti,
— Ti glorifichiamo, Signore.
Padre nostro.
ORAZIONE
Dio onnipotente ed eterno, infondi benigno su di noi il tuo Spirito e
fortifica i nostri cuori con lo stesso amore che rese san Vincenzo
martire invincibile in mezzo ai tormenti. Per il nostro Signore Gesù
Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello
Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
PREGHIERA
Dio onnipotente ed eterno, che al tuo santo diacono e martire Vincenzo hai dato la forza di sostenere fino all’ultimo la pacifica battaglia della fede, concedi anche a noi di affrontare, per tuo amore,
ogni avversità, e di camminare con entusiasmo incontro a te, che
sei la vera vita.
Amen.
381
INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO
VERSO IL PROGETTO PASTORALE DIOCESANO
EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO
Dagli orientamenti della CEI
all’elaborazione del Progetto Pastorale Diocesano
per il decennio 2010-2020∗
La storia, certo, non si ripete. Tuttavia, nel suo sviluppo, è possibile riscontare delle analogie. Così, pensando alla programmazione pastorale del decennio 2010-2020, sembra immediatamente
evidente che, per la nostra diocesi, si ripresenta una circostanza
tutta particolare: l’inizio del nuovo cammino pastorale coincide con
la venuta del nuovo Vescovo. Questo fatto era già accaduto con il
mio venerato predecessore, Mons. Vito de Grisantis, il quale aveva
fatto il suo ingresso in diocesi il 29 luglio 2000. La stessa situazione
si è ripetuta con la mia persona, avendo iniziato il mio ministero
episcopale il 19 dicembre 2010. Il cambio della guida della comunità
diocesana non è un affare personale riguardante i Vescovi, ma un
avvenimento ecclesiale che trova la sua espressione pastorale nella
delineazione di una nuova tappa del cammino della Chiesa locale.
1. Da “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”
a “Educare alla vita buona del Vangelo”
A ogni ripresa del cammino viene spontaneo porsi alcune domande: Da dove ricominciare? Qual è il nuovo punto di partenza?
Quale svolta deve avvenire nella vita delle comunità cristiane?
∗
Programmazione pastorale 2011-2012.
387
Il passaggio consiste nel seguente cambio di prospettiva: dalla
necessità di comunicare il Vangelo nel contesto di una società in
continuo cambiamento all’urgenza di educare alla vita buona del
Vangelo. In altri termini, non basta saper proclamare il Vangelo in
un contesto non favorevole all’annuncio e alla trasmissione della
fede, occorre anche individuare percorsi concreti attraverso i quali
far maturare persone adulte nelle fede, capaci di dare ragione della
speranza che abita in loro e di testimoniare Gesù Cristo, morto e
risorto, con umiltà e coraggio.
Passare a una nuova fase progettuale non significa dimenticare
o mettere da parte quanto realizzato precedentemente, ma vuol
dire procedere con uno stile di continuità e di sviluppo con il percorso compiuto nella fase antecedente, conservandone la memoria
e domandandosi: Quali sono stati i punti salienti del piano pastorale diocesano dello scorso decennio (2000-2010)?
Raccogliendo in una visione sintetica e unitaria il precedente
percorso pastorale, si possono individuare due fasi fondamentali.
Nel primo quinquennio (2000-2005) la programmazione pastorale,
di anno in anno, è stata modellata ispirandosi al documento dei vescovi italiani Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia62. La
meta fondamentale è stata così formulata: «L’adulto riscopre
l’iniziazione cristiana per una identità comunitaria e missionaria
della fede». Questo obiettivo prioritario era dettato da «diverse esigenze riconosciute come dirompenti anche nelle nostre comunità
e messe a fuoco nel Consiglio presbiterale del gennaio 2000: processo di scristianizzazione (che ci sta investendo) soprattutto
62
I temi sono stati i seguenti: In Principio… La Parola (2000-2001); Comunicare la
Parola (2001-2002); Per una fede adulta e pensata (2002-2003); Comunicare il
vangelo ai giovani d’oggi, dono di Dio per la Chiesa e per il mondo (2003-2004);
Parrocchia e risveglio della fede nell’età adulta (2004-2005).
388
dell’adulto e, in particolare, delle famiglie; prevalenza del cultualismo rispetto al primato dell’annuncio; relativismo morale dei giovani e degli adulti nelle scelte decisive e pratiche; riduzione della
fede a puro “sentire” soggettivo e una relazione privata con Dio,
indipendentemente dalla comunità cristiana dove nasce e dove
conduce la fede battesimale». Di volta in volta, Mons. De Grisantis
ha proposto alcune indicazioni pastorali63.
Il Convegno di Verona, celebrato a metà del decennio (ottobre
2006)64, è stato il momento di passaggio alla programmazione del
secondo quinquennio. In questo caso, gli ambiti nei quali si è articolato il Convegno sono stati assunti come linee guida del cammino pastorale65 e sono diventati presupposti tematici della questione educativa. Benedetto XVI, infatti, affermando che «una
questione fondamentale e decisiva è quella dell’educazione della
persona» ha orientato la Chiesa italiana a focalizzare la propria attenzione sull’urgenza del compito educativo.
2. Educare, oggi: sfida, urgenza, risorsa, generazione, grazia
Nell’affrontare questo argomento, non è superfluo ricordare
che il Novecento si è aperto con una riflessione di John Dewey che
ha segnato la ricerca pedagogica del secolo scorso e ha evidenziato
lo stretto rapporto che si è instaurato nel nostro tempo tra impe63
Cfr. DIOCESI DI UGENTO - S. MARIA DI LEUCA, Piano Pastorale 2000-2005, Ugento
2005, pp. 59-110.
64
L’idea guida dell’anno è stata così formulata: Riappropriarsi della fede
battesimale nell’età adulta, oggi (2005-2006).
65
Gli argomenti sono stati i seguenti: I fedeli laici oggi, a quarant’anni dal
Concilio Vaticano II (2006-2007); Comunicare il Vangelo dell’amore nell’esperienza umana degli affetti (2007-2008); Prendersi cura dell’uomo: esperienza
della fragilità, del limite, del dolore (2008-2009); Testimoni di speranza nel
mondo del lavoro e nella città degli uomini (2009-2010); Educazione della
persona e trasmissione della fede (2010-2011).
389
gno educativo e società moderna e democratica66. In tal modo,
all’inizio del nuovo Millennio sono tornate alla ribalta le grandi
domande sul senso e sul valore dell’educazione: Cosa vuol dire educare nel contesto di una cultura globalizzata e democratica? Perché l’educazione, considerata fin dall’inizio una nobilissima arte, è
oggi ritenuta un’attività in profonda crisi? Perché si è passati da
una sostanziale condivisione dei fini e dei metodi educativi a una
frammentazione e dispersione degli orientamenti più idonei per la
crescita integrale della persona umana?
Questi interrogativi mettono in evidenza le difficoltà in cui si dibattono le tradizionali “agenzie educative” (scuola, parrocchia, famiglia) impegnate a definire un modello educativo appropriato al
radicale mutamento antropologico delle nuove generazioni. Definiti “nativi digitali o simbionti umani”67 per la loro abilità e velocità a
connettere informazioni e conoscenze, i giovani, oggi, sono esposti
al rischio di non saper valorizzare in profondità le molteplici esperienze della vita. E questo non è senza conseguenze per la loro persona e per il futuro della società.
In questo scenario, anche la Chiesa, da sempre impegnata a
promuovere l’educazione delle nuove generazioni, avverte la difficoltà di sintonizzarsi con il loro vissuto. Tuttavia, fedele al mandato
ricevuto dal Signore, essa si prodiga per attuare anche nel nostro
tempo il compito di evangelizzare e di educare. «La sua storia bimillenaria – afferma il card. Bagnasco – è un intreccio fecondo di
evangelizzazione e di educazione»68. Non c’è nulla nella vita della
Chiesa che non abbia una valenza educativa. E non c’è nessuna
opera educativa che non sia allo stesso tempo una nuova proposta
66
Cfr. J. DEWEY, Democrazia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 2004.
Cfr. G. O LONGO, Il nuovo Golem, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 7.
68
A. BAGNASCO, Presentazione degli Orientamenti pastorali.
67
390
di evangelizzazione. L’inscindibile legame tra evangelizzazione ed
educazione rappresenta il punto fondamentale di ogni progetto
pastorale e disegna il quadro di riferimento generale e la finalità
ultima dell’impegno profuso dalle comunità cristiane. Si deve, dunque, evangelizzare educando ed educare evangelizzando69.
Si tratta di due compiti connessi tra di loro quanto alla finalità,
anche se distinti quanto alla modalità. L’evangelizzazione richiama
la necessità di proporre costantemente le principali verità e di introdurre nell’esperienza della fede ripartendo continuamente dal
primo annuncio; l’educazione è la prosecuzione del cammino intrapreso con l’accettazione e l’accoglienza del dono della grazia. Si
tratta di realizzare il compito che fin dall’inizio ha segnato
l’impegno missionario della Chiesa: annunciare il kerigma (ossia il
nucleo fondamentale della fede: la morte e la risurrezione di Gesù)
e accompagnare il cammino di maturazione con la didakè (ossia
l’insegnamento proposto autorevolmente dalla Chiesa per spiegare
e introdurre il credente nella comprensione e nell’esperienza del
mistero della salvezza). La vita cristiana ha inizio con l’accoglienza
del kerigma e si nutre con la didakè.
L’educazione, pertanto, va dalla proposta di fede alla sua maturazione nella vita quotidiana. Per questo essa assume delle precise
connotazioni: si caratterizza come un processo che richiede tempo
e non si riduce a interventi puramente funzionali e frammentari;
esige l’incontro tra due libertà che intessono una relazione interpersonale; si rafforza attraverso un sapiente e rispettoso accompagnamento della libertà dell’altro. Dinamismo, relazionalità e
reciproco sostegno sono qualità imprescindibili del compito educativo e richiamano la condizione in cui si trova ogni uomo: quella
non solo di vivere, ma di imparare a vivere. In questo senso, rimane
69
Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Generale della Catechesi, 147.
391
attuale l’insegnamento proposto da Jacques Delors in un fondamentale documento europeo circa le competenze necessarie per
esercitare il diritto/dovere a una cittadinanza attiva: imparare a
conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad
essere.
D’altra parte, anche il Verbo incarnato si è assoggettato a questa legge. Anche lui che era Dio, incarnandosi, ha «imparato
l’obbedienza dalle cose che ha patito» (Eb 5,8); ha imparato cioè a
vivere umanamente e a mostrare, con la sua umanità, la dignità e
la vocazione di ogni uomo e, reso perfetto, è divenuto «causa di
salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,9-10).
Gesù Cristo è il Modello esemplare e il divino Maestro che insegna
a essere e a diventare uomini secondo il progetto di Dio. È lui l’uomo
perfetto che svela ad ogni uomo il mistero della sua umanità!
Certo, in un’epoca di crisi delle grandi narrazioni o, come suggerisce qualcun altro, di ”passioni tristi” e di “perdita del senso
creativo”70, l’educazione è diventata un’impresa estremamente
problematica. Per questo, di solito, si utilizzano parole come sfida,
questione, emergenza educativa; espressioni che richiamano due
aspetti problematici del nostro tempo: l’incertezza circa il senso
della vita e il radicale cambiamento del modello antropologico.
Quanto al primo aspetto, il documento della CEI sottolinea che
«le persone fanno sempre più fatica a dare un senso profondo
all’esistenza. Ne sono sintomi il disorientamento, il ripiegamento
su se stessi e il narcisismo, il desiderio insaziabile di possesso e di
consumo, la ricerca del sesso slegato dall’affettività e dall’impegno
di vita, l’ansia e la paura, l’incapacità di sperare, il diffondersi
dell’infelicità e della depressione» (EVBV, 9).Circa il secondo aspet70
Cfr. M. BENASAYAG - G. SCHMIT, L’epoca della passioni tristi, Feltrinelli, Milano
2004.
392
to, il documento rileva che le radicali trasformazioni antropologiche avvenute nella società «influiscono in modo particolare sul
processo educativo: l’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione dell’identità personale in un contesto plurale frammentato, le difficoltà di dialogo tra
le generazioni, la separazione tra intelligenza e affettività» (EVBV,
9). Insomma, per dirla con il card Bagnasco, siamo di fronte a “disastro antropologico”71.
Questa congiuntura culturale rende problematica l’opera educativa. Tuttavia, la consapevolezza che l’educazione costituisce
un’impresa ardua e difficile, non deve ingenerare l’idea che sia diventata una missione impossibile ad attuarsi. Per il suo statuto, il
compito educativo è sempre stato una sfida che ha assunto forme
diverse con il mutare dei tempi e l’avvicendarsi dei metodi e delle
tecniche, ma che si ripresenta ad ogni cambio generazionale con
inalterate ragioni di fondo e il senso perenne del conflitto.
Si deve, pertanto, rafforzare la convinzione che l’educazione è
un compito inalienabile e oltremodo urgente perché si tratta di
un’indispensabile opera di promozione umana e di crescita di persone adulte e responsabili, disponibili a lasciarsi coinvolgere nei
tumultuosi cambiamenti sociali, culturali, tecnologici e scientifici
senza farsi travolgere dal loro impetuoso avvicendarsi, ma orientando ogni cosa verso una maggiore qualità della vita personale e
sociale. Superando il disincanto e la fascinazione propugnata dai
modelli mass-mediali, occorre imparare a vivere la quotidianità e
ad apprendere nuovamente il valore dell’esperienza generatrice di
senso e non di consenso meramente virtuale, promuovendo una
sintesi capace di organizzare, in un tutto unitario, il flusso disordi71
A. BAGNASCO, Prolusione al Consiglio Permanente della CEI, Ancona 24-27
gennaio 2011.
393
nato delle emozioni e dei sentimenti per ricreare un’armonia tra
mente e cuore, criticità e libertà.
L’opera educativa rimane anche oggi una grande risorsa per garantire un futuro di speranza per i singoli e la società. Educare è un
atto generativo72; un evento che metaforicamente rimanda alla
nascita biologica. Quasi come una madre, l’educatore e la comunità educante devono prendersi cura della crescita integrale della
persona. In definitiva, il compito educativo non è mai una monotona ripetizione, ma una “nuova nascita”, un nuovo modo di trasmettere i valori essenziali della vita, un’arte antica che si rinnova ad
ogni generazione. L’educazione è “arte delicata e sublime”, anzi
“arte delle arti”. E, come la vita è un prezioso dono, così l’educazione è una grazia che si riceve per trasmetterla ad altri. In fondo,
– come afferma Clemente Alessandrino – siamo tutti «allievi della
divina pedagogia»!
3. Anno 2011-2012: dalla verifica alla progettazione pastorale
Educare è, dunque, il grande imperativo del nuovo decennio
pastorale; un imperativo che anche la nostra diocesi intende perseguire con tenacia e fiducia.
3.1. Il contesto pastorale
Per la sua realizzazione occorre che l’impegno della nostra comunità diocesana tenga conto degli eventi riguardanti la Chiesa e
la comunità degli uomini e cerchi di raccogliere le opportunità che
ogni singolo avvenimento può produrre anche a livello locale, sen72
«Esiste uno stretto rapporto tra educare e generare», EVBV, 27. Per questo
vedi i due articoli di I. SIVIGLIA, Educare come atto generativo: aspetti teologici;
G. BARBON, Educare come atto generativo: l’iniziazione cristiana, entrambi
pubblicati in “Vocazioni”, 28, 2011, n. 3, pp. 30-55.
394
za però lasciarsi distogliere e distrarre dal particolare cammino che
si intende percorrere. Da una parte, bisogna saper guardare il più
ampio orizzonte della Chiesa e del mondo per non perdere di vista i
grandi scenari in cui si sviluppano i radicali ed epocali cambiamenti
che riguardano l’intera società, evitando di lasciarsi ingabbiare
nell’angusta visuale del proprio recinto necessariamente limitato e
limitante; dall’altra, è necessario radicarsi nella propria storia e nel
proprio territorio per non perdere il contatto con il tessuto reale in
cui, di fatto, le comunità cristiane vivono e agiscono.
Richiamo alcuni importanti appuntamenti.
A livello di Chiesa universale, occorre prestare attenzione a due
grandi eventi: il sinodo sulla nuova evangelizzazione (Roma, 7-28
ottobre 2012) e il raduno mondiale sulla famiglia (Milano, 30 maggio-3 giugno 2012). A livello di Chiesa nazionale sarà opportuno tener conto del Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona (3-11
settembre 2011) incentrato sulla declinazione del valore dell’eucaristia nella vita quotidiana. A livello di Chiesa regionale, sarà di valido aiuto la riflessione sulla Nota pastorale dei vescovi pugliesi
dopo il Convegno sul laicato. Ognuno di questi avvenimenti propone argomenti e temi di interesse generale, validi anche per il cammino della nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca.
3.2. La principale finalità dell’impegno pastorale
In questo orizzonte si colloca la meta pastorale che vogliamo
perseguire nel prossimo anno. Essa si può precisare nel seguente
modo: ritradurre le indicazioni pastorali della CEI nel nostro contesto culturale e territoriale cercando di delineare il quadro di riferimento pastorale per il decennio 2010-2020.
395
Sarà, pertanto, indispensabile che la nostra diocesi di Ugento-S.
Maria di Leuca approfondisca le linee che i Vescovi hanno proposto
a tutta la Chiesa italiana innestando alcune indicazioni contenute
nella proposta della CEI nel cammino della nostra Chiesa locale. Il
documento dei Vescovi italiani, infatti, «non costituisce il programma pastorale delle singole diocesi, ma rappresenta uno strumento pastorale organico di discernimento e di programmazione,
un quadro ermeneutico, una cornice di compatibilità dei percorsi
che le singole Chiese si sentono chiamate a compiere. Per corrispondere all’identità e alla missione proprie di ciascuna nelle condizioni in cui vive ed opera»73. La sua finalità «consiste nell’offrire
un quadro di orientamenti nel cui orizzonte le singole diocesi sono
poi chiamate a trovare il proprio originale cammino pastorale, raccogliendo dagli orientamenti pastorali dell’episcopato italiano
spunti e indicazioni che possano integrare e perfezionare l’impegno intrapreso»74.
In tal senso, possiamo considerare il Convegno pastorale diocesano (14-16 giugno 2011) come un contributo all’approfondimento
degli Orientamenti della CEI e un’indicazione di alcuni motivi irrinunciabili per l’odierna prassi educativa.
Il Convegno, infatti, ha ribadito la necessità di compiere un attento discernimento della temperie socio-culturale e degli effetti
che essa produce, in modo particolare, nella coscienza dei giovani.
Oggi, – ha avvertito mons. A. Staglianò – c’è bisogno «di educazione non di seduzione»! Le due parole, pur avendo la stessa radice
(e-ducere, se-ducere), esprimono concetti contraddittori tra loro: la
73
M. CROCIATA, Intervento al Consiglio Permanente della CEI del 24-27 gennaio
2011.
74
ID., L’educazione è un atto creativo, in “Vita pastorale”, 99, 2011, 2, pp. 76-78,
qui p. 76.
396
prima (e-ducere) è un invito a portare la persona fuori dal suo egoismo per introdurla nella realtà così come si presenta davanti al
proprio sguardo; la seconda (se-ducere), invece, propone di legare
l’altro a sé impedendogli il confronto con la realtà. E, così, invece di
introdurlo nel mare immenso della verità, lo si inganna trasportandolo nel laghetto (che spesso è solo uno stagno) dell’io e dell’interesse personale.
La seconda relazione, quella di don Pio Zuppa, ha tracciato il
percorso storico-pastorale della Chiesa italiana dopo il Concilio Vaticano II e ha individuato due fasi: la prima (1970-1990), caratterizzata dal primato dell’evangelizzazione e dalla preminenza della
comunità come soggetto pastorale; la seconda (1990-2010), centrata sul primato della carità e sulla necessità di comunicare il messaggio evangelico ad extra. Il tema dell’educazione, pertanto, è la
logica conseguenza di questo percorso e si caratterizza per l’azione
di una comunità educante, intenta a programmare solidi e permanenti itinerari formativi più che a proporre iniziative tra di loro disarticolate e frammentate; una proposta educativa che deve
qualificarsi come “azione che forma” e invita a una necessaria “riflessività” dentro una comunità di pratica.
Infine, don Stefano Zamboni, nel suo intervento, ha richiamato
la necessità di coltivare le attitudini etico-spirituali idonee per vivere con consapevolezza la fede ed educare alla vita buona del Vangelo in una società sempre più globalizzata e “plurale”. Sotto
questo profilo, Gesù Cristo diventa il paradigma antropologico del
credente e il modello educativo cristianamente orientato. Nello
stesso tempo, egli è il “Maestro” per antonomasia, il grande “Pedagogo” che eccelle nell’arte della relazione e della comunicazione
interpersonale. I tre titoli cristologici (Figlio, Servo, Fratello) mettono in evidenza un diverso modo di relazionarsi con se stessi, con gli
397
altri e con Dio e propongono un atteggiamento di servizio verso gli
altri, un riconoscimento di un legame imprescindibile con Dio, la
consapevolezza che l’altro non è un nemico o un estraneo, ma un
fratello. Servizio, figliolanza e fraternità sono le principali direzioni
sulle quali deve orientarsi il cammino di crescita e di maturità umana e cristiana.
3.3. Le due tappe del percorso annuale
Se quella sopra indicata è la finalità principale, il percorso di riflessione e di progettazione pastorale del prossimo anno sarà
scandito da due attenzioni particolari: a) compiere una verifica del
cammino realizzato, in modo particolare, negli ultimi cinque anni;
b) delineare le priorità pastorali del decennio 2010-2020.
a) La prima parte dell’anno (settembre-gennaio) sarà il tempo
opportuno perché a livello delle zone pastorali e delle singole parrocchie si proceda a una verifica del cammino compiuto nell’ultimo
quinquennio (cfr. EVBV, 7, 53-54b). Sono gli stessi orientamenti della CEI a chiedere che nell’ottica della corresponsabilità educativa
della comunità ecclesiale si realizzi «un’attenta verifica delle scelte
pastorali sinora compiute» (EVBV, 53) e ci si interroghi su «come le
indicazioni maturate nel Convegno ecclesiale di Verona siano state
recepite e attuate in ordine al rinnovamento dell’azione ecclesiale
e alla formazione dei laici, chiamati a coniugare una matura spiritualità e il senso di appartenenza ecclesiale con un amore appassionato per la città degli uomini e la capacità di rendere ragione
della propria speranza nelle vicende del nostro tempo» (EVBV, 54).
In altri termini, la verifica ha una natura kairologica più che ricognitiva perché non si tratta di passare in rassegna il tempo trascorso come frutto di un’indagine storica, ma di compiere un
discernimento circa il cammino della nostra Chiesa locale come
398
frutto dell’azione dello Spirito. Gli Orientamenti pastorali non sono
un semplice invito a tornare ad educare, dal momento che la Chiesa non ha mai smesso di coltivare questa speciale attenzione, sono
invece «una verifica circa la qualità dell’educazione»75. Essi insistono sull’idea che l’educazione cristiana deve qualificarsi come un incontro con Cristo76. Per questo offrono una riflessione molto
articolata sulla categoria dell’incontro: la vocazione dell’uomo è incontrare Dio (Presentazione); nell’incontro con Gesù Cristo, l’uomo
sperimenta la sua forza sanante e liberante (n. 4); la relazione personale con Cristo genera un cammino (nn. 25-26. 28.32); compito
della Chiesa è di facilitare e favorire un’autentica relazione con Cristo (n. 39).
b) La seconda parte dell’anno (febbraio-giugno) sarà dedicata
alla delineazione di alcune idee guida per il cammino diocesano del
prossimo decennio. Anche in questo campo, gli Orientamenti pastorali della CEI offrono preziose indicazioni (cfr. EVBV, 52-55) che
devono essere attentamente valutate e inserite nel particolare itinerario della nostra Chiesa locale. Si tratta di disegnare un quadro
di riferimento pastorale generale all’interno del quale focalizzare,
di volta in volta, la programmazione annuale. In tal modo, le parrocchie, i movimenti, i gruppi e le associazioni potranno avvalersi di
una riflessione comune e così orientare lo specifico percorso della
propria comunità di appartenenza.
75
N. GALANTINO-A. MATTEO, La sfida educativa in un mondo che cambia. Gli
Orientamenti pastorali della Chiesa italiana per il decennio 2010-2020, “Rassegna di teologia”, 52, 2011, 19-38, qui 20.
76
È questa la convinzione espressa da Benedetto XVI: «All'inizio dell'essere
cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un
avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la
direzione decisiva» (BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 1).
399
3.4. I fondamenti, i soggetti e i principali ambiti educativi
Precisato l’obiettivo fondamentale e le tappe del percorso annuale, in questo ultimo paragrafico desidero proporre alcune considerazioni che mi sembrano particolarmente utili per la riflessione
di tutta la comunità diocesana.
3.4.1. Il fondamento dell’educazione
Quasi in sede di premessa, devo ricordare che ogni progetto
pastorale ha sempre un sottofondo vocazionale e missionario. Vocazione e missione, costituendo il DNA della vita cristiana, sono attenzioni da tener sempre presenti anche quando non sono
esplicitamente richiamate. Queste due connotazioni essenziali dell’azione pastorale rimangono valide anche nel cammino che ci apprestiamo a percorrere.
Circa lo specifico impegno nel campo dell’educazione cristiana,
è doveroso chiedersi quale sia il fondamento su cui esso poggia.
Sotto questo profilo, occorre ribadire che l’educazione cristiana,
prima di essere una strategia da mettere in atto, è un ambiente vitale nel quale si è già collocati. Siamo tutti immersi nell’orizzonte
del mistero! Perciò educare, in senso cristiano, vuol dire sottolineare il primato del mistero celebrato nella liturgia (cfr. EVBV, 39)77.
Per questo il Santo Padre scrive: «L’autentico credente, in ogni
tempo, sperimenta nella liturgia la presenza, il primato e l’opera di
Dio. Essa è “veritatis splendor” (Sacramentum caritatis, 35), avvenimento nuziale, pregustazione della città nuova e definitiva e partecipazione ad essa; è legame di creazione e di redenzione, cielo
77
A tal proposito, Benedetto XVI scrive: «Il Sinodo dei Vescovi ha riflettuto molto
sulla relazione intrinseca tra fede eucaristica e celebrazione, mettendo in
evidenza il nesso tra lex orandi e lex credendi e sottolineando il primato dell’azione liturgica» (Sacramentum caritatis, 34).
400
aperto sulla terra degli uomini, passaggio dal mondo a Dio; è Pasqua, nella Croce e nella Risurrezione di Gesù Cristo; è l’anima della
vita cristiana, chiamata alla sequela, riconciliazione che muove a
carità fraterna»78.
La liturgia, per sua natura, ha sempre una dimensione educativa
e rivelativa79. In questo senso i vescovi italiani in Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia richiamavano l’urgenza di «esplicitare la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo,
facendone emergere la dignità e l’orientamento verso l’edificazione del Regno. La celebrazione eucaristica chiede molto al sacerdote che presiede l’assemblea e va sostenuta con una robusta
formazione liturgica dei fedeli. Serve una liturgia insieme seria,
semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo
stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con
gli uomini»80.
La centralità della liturgia va sempre coniugata con la sua interazione con la catechesi e la carità per realizzare una circolarità e
una sintesi tra l’annuncio, la celebrazione e la vita81. Non da oggi i
documenti magisteriali richiamano questa urgenza82. Gli Orientamenti pastorali per gli anni ’90, Evangelizzazione e testimonianza
della carità, sottolineano la necessità di «favorire un’osmosi sempre più profonda fra queste tre essenziali dimensioni del mistero e
della missione della Chiesa» perché «ogni pratico distacco o incoe78
BENEDETTO XVI, Messaggio alla 62° Assemblea Generale della CEI, 2.
Su questo aspetto cfr. V. ANGIULI, Educazione come mistagogia. Un orientamento pedagogico nella prospettiva del Concilio Vaticano II, CLV, Roma 2010.
Vedi anche il numero monografico della “Rivista Liturgica”, La risorsa educativa
della liturgia, 98, 2011, marzo-aprile, fascicolo 2.
80
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia,
49.
81
Cfr. F. CACUCCI, Catechesi liturgia vita, EDB, Bologna 2000.
82
Cfr. SC 71; AG 14; Premesse al RICA; ES 57, 65, 82-92; RdC 32-33.
79
401
renza fra parola, sacramento e testimonianza impoverisce e rischia
di deturpare il volto dell’amore di Cristo»83. Il documento dei vescovi italiani per il primo decennio del duemila, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, ribadisce che per realizzare questo
compito occorre fare il possibile «perché attraverso la preghiera
liturgica la parola del Signore contenuta nelle Scritture si faccia
evento, risuoni nella storia, susciti la trasformazione del cuore dei
credenti» (CVMC, 32).
Allo stesso modo, Benedetto XVI ha ribadito che «la corrispondenza della preghiera della Chiesa (lex orandi) con la regola della
fede (lex credendi) plasma il pensiero e i sentimenti della comunità
cristiana, dando forma alla Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello
Spirito. Ogni parola umana non può prescindere dal tempo, anche
quando, come nel caso della liturgia, costituisce una finestra che si
apre oltre il tempo. Dare voce a una realtà perennemente valida
esige pertanto il sapiente equilibrio di continuità e novità, di tradizione e attualizzazione»84.
Su questa stessa linea si pone il documento del prossimo decennio, quando afferma che «l’iniziazione cristiana mette in luce la
forza formatrice dei sacramenti per la vita cristiana, realizza l’unità
e l’integrazione fra annuncio, celebrazione e carità, e favorisce alleanze educative» (EVBV, 54a).
In ultima analisi, occorre tener conto dell’esortazione di Benedetto XVI ai Vescovi italiani nella quale egli invitava «a valorizzare
la liturgia quale fonte perenne di educazione alla vita buona del
Vangelo. Essa introduce all’incontro con Gesù Cristo, che con parole e opere costantemente edifica la Chiesa, formandola alle profondità dell’ascolto, della fraternità e della missione. I riti parlano
83
84
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 28.
BENEDETTO XVI, Messaggio alla 62° Assemblea Generale della CEI, 2.
402
in forza della loro intrinseca ragionevolezza e comunicabilità ed
educano a una partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa (cfr.
Sacrosanctum Concilium, 11)»85.
3.4.2. I soggetti dell’educazione
Se la liturgia costituisce il perenne fondamento dell’educazione
cristiana, la parrocchia e la famiglia rappresentano i due principali
soggetti educativi (EVBV, 36 e 41-45). Tra di essi deve instaurarsi
un rapporto di collaborazione e di reciproco sostegno, perché la
famiglia resta la prima e fondamentale comunità educante e la
parrocchia continua ad essere l’ambito privilegiato per la comunicazione del Vangelo. Questi due soggetti, inoltre, devono realizzare
un’alleanza educativa con la scuola (EVBV, 46-49).
Occorre, però, ricordare che se è giusto sottolineare l’azione
comune della famiglia, della parrocchia e della scuola è altrettanto
importante esaltare la funzione dei singoli. Non basta, infatti, richiamare il compito educativo che la comunità cristiana, la famiglia
e la scuola devono esercitare, bisogna anche risvegliare la responsabilità personale dei genitori, dei parroci, degli insegnanti e degli
operatori pastorali (catechisti, educatori, animatori… ). L’educazione richiede un ambito di vita comunitaria, ma esige anche una relazione interpersonale finalizzata a far crescere persone adulte e
responsabili.
3.4.3. I cinque ambiti dell’impegno pastorale
L’insistenza sulla necessità di un impegno corale non deve far
dimenticare che esso deve essere preceduto e accompagnato da
un’attenta riflessione. La pastorale non consiste solo nella programmazione di iniziative, ma richiede anche una comune valuta85
Idem, 4.
403
zione circa i contesti socio-culturali, gli obiettivi, le modalità e i
percorsi attraverso i quali deve esprimersi l’azione educativa. Bisogna, in altri termini, evidenziare la dimensione culturale della pastorale. Non per nulla, la Chiesa italiana da anni è impegnata a
disegnare e a realizzare il cosiddetto “progetto culturale”.
In concreto, è necessario che gli organismi pastorali e l’intera
comunità parrocchiale compiano un attento discernimento comunitario in vista di una fede “adulta e pensata”. Per una più chiara
individuazione degli obiettivi specifici dell’impegno delle nostre
comunità, richiamo l’attenzione sui seguenti ambiti.
Il primo ambito ha attinenza con l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi (EVBV, 40 e 54). Circa questo importante snodo
della vita pastorale, è utile sapere che l’Ufficio Catechistico Nazionale ha promosso per il prossimo anno la celebrazione di Convegni
regionali nei quali sarà posto a tema la questione dell’iniziazione
cristiana. Saranno esaminate le iniziative e le nuove modalità messe in campo dalle diverse diocesi per rendere ancora più incisiva la
proposta del diventare cristiani. La preparazione al Convegno regionale pugliese costituirà una grossa opportunità per le nostre
parrocchie per fare il punto sulla situazione e verificare la prassi
iniziatica presente nella nostra Diocesi.
Il secondo ambito riguarda l’attenzione da prestare agli adolescenti e ai giovani (EVBV, 42). In questo settore occorre dare fondo a tutta
l’inventiva pastorale di cui disponiamo per creare una “rete educativa” che aiuti a superare le difficoltà strutturali nei confronti dell’educazione e della trasmissione della fede ai giovani. Occorre proporre
itinerari credibili e concreti di “vita buona”, collegando i grandi eventi con la vita ordinaria e mettendo al centro dell’educazione la persona e le relazioni personali; in primo luogo, quella con Cristo.
404
Un’espressione tipica ed ancora valida dell’impegno educativo
a favore degli adolescenti e dei giovani è la proposta oratoriana.
L’Oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità,
in quanto è l’ambito di vita e uno speciale strumento per promuovere l’evangelizzazione delle nuove generazioni e creare una sintesi
armonica tra fede e vita. Paolo VI, durante l’udienza del 25 settembre 1968, ha definito l’Oratorio «una necessaria palestra di vita
dove la preghiera, l’istruzione religiosa, il gioco, l’amicizia, il senso
della disciplina e del bene comune, la letizia e il rigore morale, si
fondono insieme per fare dei ragazzi e dei giovani, cristiani forti e
coscienti».
In questi anni, la nostra Chiesa locale ha profuso molte energie
per dotare le parrocchie di ambienti adatti per radunare gli adolescenti e i giovani e proporre loro attività diversificate: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio. È ora necessario passare
dall’impegno a costruire le strutture alla programmazione di una
intensa attività educativa, favorendo iniziative che vedano
l’Oratorio come la “casa comune” dei giovani situata in un territorio e in un paese.
Il terzo ambito si riferisce all’accompagnamento dei fidanzati e
delle giovani coppie (EVBV, 31-32 e 42). In questo settore, sono
state profuse molte energie. È necessario insistere e raccordare le
diverse iniziative in atto.
Il quarto ambito intende ribadire l’importanza della pietà popolare. Essa «costituisce anche ai nostri giorni una dimensione rilevante della vita ecclesiale e può diventare veicolo educativo di
valori della tradizione cristiana, riscoperti nel loro significato più
autentico» (EVBV, 43). La presenza in diocesi di alcuni santuari è da
considerarsi come un’importante risorsa. Nello stesso tempo, le
associazioni, i movimenti, i gruppi e le confraternite sono «espe405
rienze significative per l’azione educativa, che richiedono di essere
sostenute e coordinate» (ivi).
Nel prossimo anno si terrà nella nostra diocesi un importante
evento: il Convegno regionale delle Confraternite. Si tratta di un
provvidenziale appuntamento per riflettere sul valore della pietà
popolare nella vita e nella missione della Chiesa.
Il quinto ambito si prefigge di valorizzare la straordinaria bellezza del nostro territorio, diventato uno dei luoghi più ambiti per trascorrere giornate di riposo, di vacanze e di tempo libero. Si tratta di
una straordinaria opportunità di evangelizzazione che la nostra
Chiesa locale deve saper cogliere e far fruttificare. Gli stessi Orientamenti pastorali sottolineano che «i vari ambienti di vita e di relazione – non ultimi quelli del divertimento, del tempo libero e del
turismo – esercitano un’influenza talvolta maggiore di quella dei
luoghi tradizionali (…). Essi offrono perciò preziose opportunità
perché non manchi, in tutti gli spazi sociali, una proposta educativa
integrale» (EVBV, 50).
Affido queste considerazioni al sapiente discernimento della
nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca e ringrazio tutti, sacerdoti, diaconi, religiosi e laici, per la disponibilità a lavorare con rinnovato ardore a servizio del Regno.
Ci sorregga e ci protegga la materna protezione della Vergine
de finibus terrae.
Ugento, 6 agosto 2011,
festa della Trasfigurazione del Signore.
† Vito Angiuli
406
OMELIE
DAL MAGNIFICAT AL FIAT, DAL FIAT AL MAGNIFICAT86
Quali sono i sentimenti che albergano nel tuo animo di sacerdote, carissimo Don Giuseppe, tu che hai vissuto la tua vita e il tuo
ministero sotto lo sguardo materno e amorevole della Vergine
Maria?
La Madonna ti ha accompagnato in tutti i momenti della tua vita: la preparazione al ministero sacerdotale, il ministero di parroco,
la sapiente conduzione del Santuario di Leuca. Nel Seminario Regionale, ti ha assistito la “Regina Apuliae”; a Miggiano, “Maria Immacolata”; nel Santuario di Leuca, la “Vergine de finibus terrae”.
Questa sera i tuoi sentimenti non possono essere se non quelli di
Maria. Le sue parole sintetizzano tutta la tua vita sacerdotale.
La prima parola è quella del Magnificat. In questi giorni, nei
quali abbiamo avuto modo di incontrarci, ho letto nel tuo animo lo
stesso sentimento vissuto da Maria. Con Lei hai ripetuto le parole
del Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito
esulta in Dio, mio Salvatore». È il sentimento di lode al Signore,
dell’esultanza, del cuore in festa, perché celebrare questo evento
giubilare non è soltanto contare cronologicamente il tempo, ma
vuol dire imparare la sapienza nascosta nel tempo, riconoscendo i
momenti ti grazia che si sono susseguiti durante le diverse tappe
del tuo cammino. E chi guarda alla propria vita come a un intreccio
tra la grazia di Dio e la personale corrispondenza alla grazia, non
può non esprimere un inno di lode al Signore. Per questo credo che
86
Omelia nel 50° di sacerdozio di mons. Giuseppe Stendardo, Santuario di Leuca,
2 luglio 2011.
409
il tuo cuore, come quello di Maria, è in festa. E con te, gioiscono
tutti coloro che ti hanno conosciuto, apprezzato e amato.
Vorrei, però, caro Don Giuseppe, che avvertissi dentro di te la
stessa gioia e lo stesso giubilo di Cristo che sale dal profondo
dell’anima per la grandezza del piano salvifico del Padre. Per questo, in un impeto di gioiosa esultanza, egli esclama: «Ti benedico, o
Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste
queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te» (Mt 11,25).
Caro Don Giuseppe, non sono questi forse i sentimenti che anche tu provi questa sera? Non vale anche per te, la certezza che i
disegni di Dio, così come si sono espressi nella tua vita, hanno una
parte di misteriosità che ancora oggi, a distanza di tempo, non riesci a comprendere in profondità? E tuttavia, nelle modalità con le
quali il Signore ha condotto la tua vita, scopri un progetto, un piano
di Dio; un disegno sapiente che ha caratterizzato l’intero arco della
tua esistenza e che tu, giunto a questa età, puoi in qualche modo,
almeno nelle trame fondamentali se non in tutto il suo percorso,
comprendere nella sua bellezza e nella manifestazione della sua
misericordia.
La Madonna esulta perché sa che Dio ha guardato alla sua umiltà. Forse anche questo è un elemento che caratterizza la tua persona in questo momento giubilare. Di solito, gli uomini giudicano
gli altri più per l’aspetto esterno; guardano a ciò che appare, a ciò
che si mostra; diverso è invece il modo di considerare le cose da
parte di Dio. E anche tu puoi dire che il Signore, come per Maria,
ha guardato ai sentimenti di piccolezza, di semplicità con i quali tu
hai pensato sempre alla tua vita e con i quali hai voluto corrispondere alla grazia di Dio. La parola di lode e di esultanza è la prima
espressione che la Madonna mette sulla tua bocca.
410
Maria, però, riconosce le grandi opere che Dio ha compiuto attraverso di lei: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è
il suo nome». Anche tu caro Don Giuseppe, guardando a tutta la
tua intensissima attività, puoi dire che il Signore ha fatto grandi cose in te e attraverso di te. A questo punto dovrei richiamare il lungo elenco di tutte le opere che hai realizzato durante il tuo
ministero pastorale, vissuto sempre in atteggiamento di obbedienza e di feconda creatività. Sarebbe un esercizio troppo facile, ma
non darebbe conto di ciò che è più importante.
Mi sono, infatti, domandato quali sono le grandi opere che Don
Giuseppe Stendardo ha compiuto durante la sua vita. Molte sono
talmente evidenti che non c’è bisogno di elencarle. La bellezza e
l’efficienza con cui questo Santuario accoglie i numerosi pellegrini
che vengono per sostare davanti alla Madonna è cosa talmente evidente e nota che non vale la pena di ricordarla. Le grandi opere
che hai compiuto nella tua vita solo altre e possiamo sintetizzarle
nel modo seguente.
A Miggiano, dove hai vissuto un lungo e fecondissimo ministero
pastorale, la tua più grande opera, oltre a quelle di carattere strutturale, è stata quella di educare le nuove generazioni. Sei stato per
tanti giovani un punto di riferimento; un padre, un fratello, un amico, al quale rivolgersi in tutti i momenti della propria vita, soprattutto nei momenti della crescita, delle decisioni, delle scelte di
impegno professionale, sociale e politico. Sei stato capace di offrire
a una intera generazione di giovani i consigli giusti, la paterna vicinanza, la spinta ad accogliere le sfide del tempo, la capacità di
mantenere saldo il richiamo alla fede e di assumere le responsabilità pubbliche dinanzi al mondo. Ed ora questi giovani sono qui (almeno una parte di essi). E se, dopo 25, 30, 40 anni, il ricordo di un
educatore e di un sacerdote rimane indelebile nel cuore delle persone, questa è un’opera troppo grande.
411
Caro Don Giuseppe, è questa una delle grandi opera che hai
compiuto. Probabilmente non ha la stessa forza di visibilità delle
costruzioni di pietra, ma certamente, molto più di queste, ha la resistenza al tempo per la fecondità degli esiti. Sono da poco tempo
in Diocesi. Tuttavia, in questi mesi, sono state moltissime le testimonianze di coloro che conservano il ricordo della tua grande paternità. Questo deve riempirti il cuore di gioia perché sai che hai
contribuito in una maniera notevole a creare nuove generazioni di
credenti che hanno saputo corrispondere alla loro vocazione e alla
loro chiamata.
Questo è quanto è avvenuto negli anni del tuo ministero di parroco a Miggiano. Ma anche qui, in questo Santuario, in maniera diversa hai compiuto grandi opere. Quali sono? A mio parere sono
soprattutto due: l’attenzione ai malati e agli anziani, e la capacità di
ascolto dei pellegrini, dei devoti della Madonna e di tutti coloro
che considerano il Santuario come una luce che illumina la loro vita. In questo luogo, grazie al tuo ministero e a quello dei sacerdoti
collaboratori di cui ti sei saputo circondare, hai lenito le sofferenze,
hai ascoltato i loro problemi, e li hai indirizzati tutti alla Madonna.
Un ministero di ascolto, di accoglienza, di perdono e di misericordia.
Caro Don Giuseppe, queste sono le grandi opere che il Signore
ha compiuto attraverso di te. La Madonna, però, ti invita anche a
guardare e considerare la tua vita da un'altra angolazione. Maria
dice che il Signore stende la sua misericordia su quelli che lo temono. Ecco, se hai compiuto grandi opere, caro Don Giuseppe, non è
principalmente per le tue doti e capacità, ma per la forza
dell’eterna misericordia di Dio che tu hai accolto e nel cui alveo hai
imparato a leggere la tua vita.
«Eterna è la sua misericordia», è il ritornello che il salmista ripete
ad ogni richiamo delle gesta compiute da Dio. Come ha fatto la Ma412
donna, ti invito a cantare l’eterna misericordia di Dio raccontando ciò
che lui ha compiuto nella tua vita: i fatti, gli avvenimenti, gli eventi, i
sentimenti, le difficoltà e le amarezze. Mi hai raccontato anche questi
momenti di sofferenze, con il tuo stile sobrio. Forse non volevi
nemmeno accennarle perché è nel tuo carattere comportarti come
Maria la quale meditava e custodiva nel cuore i misteri del Signore.
Ti invito, caro Don Giuseppe, a rileggere la tua storia come un
evento della misericordia di Dio. In essa puoi raccogliere ogni cosa
della tua vita. Se nella tua esistenza ci sono stati momenti di scoraggiamento, di dubbio e di incertezza, (atteggiamenti che nascono
dalla nostra debolezza, dai nostri peccati, dalla nostra incapacità),
non rammaricarti, ma confida sempre nel Signore con una grande
apertura d’animo.
In definitiva, caro Don Giuseppe, in questo momento giubilare,
che è tempo di raccolta e di rinnovata prospettiva, di riflessione e
di ricominciamento di una nuova esperienza di vita, ti invito a ripetere la parola più importante che Maria dice e che in un certo senso sintetizza tutto il suo mistero.
Con il trasporto del cuore e la gioiosa adesione alla volontà di
Dio, Maria dice “fiat”, “sì”, “avvenga”, “amen”. Dire di “sì” è sempre difficile. A una età matura è ancora più difficile. Tutti noi, però,
siamo sicuri che la devozione alla Madonna che hai coltivato è molto di più di un sentimento. È un ideale di vita, un desiderio di essere mariano fino in fondo. E allora, caro don Giuseppe, ripeti anche
oggi il tuo sì, totale, sincero e generoso
Si potrebbe raccogliere tutta la tua esperienza spirituale sintetizzandola con queste parole: Dal magnificat al fiat, dal fiat al magnificat!
413
LO SPIRITO SANTO ANIMA LA COMUNITÀ87
Cari fedeli,
che cosa stiamo vivendo questa sera? Che cosa avviene? Soltanto il passaggio di una responsabilità pastorale da un parroco a
un altro? Certamente è un aspetto importante di questa celebrazione eucaristica, ma non è tutto.
Colgo questa occasione per ringraziare Don Giuseppe Martella
del lavoro che ha svolto in tutti questi anni. Per riassumere quello
che egli ha compiuto con il suo zelo pastorale a favore del popolo
di Dio, dovrei richiamare molti aspetti. Metto solo in evidenza la
sua fedeltà a Cristo, alla Chiesa, e ai vescovi che si sono succeduti
in questa diocesi. Si tratta di una caratteristica decisiva per un ministro di Cristo, perché quello che si chiede a chi ha la vocazione a
servire è innanzitutto la fedeltà al compito ricevuto, la capacità di
assolvere le mansioni che vengono affidate, mettendo da parte se
stesso e le umane gratificazioni. Caro Don Giuseppe, ho ammirato
fin dall’inizio questa tua capacità e ti ringrazio a nome di questa
comunità e di tutta la Chiesa di Ugento-Santa Maria di Leuca che tu
hai saputo servire e che continuerai ancora a sostenere con
l’intelligenza che ti contraddistingue.
E a te, caro Don Giuseppe Indino, che hai accolto il mio invito
ad assumere la responsabilità di questa parrocchia dopo aver vissuto un’intensa esperienza pastorale nelle altre comunità, in particolar modo in quella di Supersano, esprimo la mia stima più
87
Omelia per l’ingresso canonico di Don Giuseppe Indino nella parrocchia “Cristo
Re”, Marina di Leuca, 28 agosto 2011.
414
sincera. Voi, cari fedeli di Supersano, conoscete le qualità e le capacità di Don Giuseppe, capacità che certamente sapranno dare un
frutto anche in questa comunità. Don Giuseppe lavora con intelligenza pastorale, sa raccogliere in unità la molteplicità degli impegni pastorali trovando nella celebrazione eucaristica domenicale il
contesto più giusto per ridare un volto alla comunità. Lo ha fatto in
una maniera egregia nella comunità di Supersano, continuerà a farlo in questa comunità.
Cari fedeli, mi sono introdotto in questa omelia con queste domande: Cosa stiamo celebrando questa sera? Soltanto il passaggio
di una responsabilità pastorale?
I riti liturgici che abbiamo vissuto all’inizio di questa Santa Messa ci orientano, invece, a considerare l’aspetto più importante di
questa liturgia, cioè l’azione dello Spirito Santo. Nella Chiesa non
avviene nulla senza l’azione dello Spirito e la fecondità del ministero non è altro che l’opera dello Spirito Santo che si manifesta attraverso la parola, i gesti e i silenzi di colui che è chiamato a
guidare la comunità. Per questo, proprio all’inizio della nostra celebrazione, abbiamo invocato lo Spirito Santo.
Cari fedeli, alcune volte vediamo la Chiesa con occhi troppo
umani: ci soffermiamo sulle persone, consideriamo le loro qualità,
facciamo delle considerazioni che riguardano gli aspetti più evidenti della vita pastorale. Anche questo fa parte della concretezza di
una comunità. Essa è un insieme di persone concrete, vive in un
tempo e in un luogo, è guidata da pastori che hanno un volto, una
storia e una loro specifica personalità.
Dobbiamo, però, guardare in profondità gli eventi della Chiesa
e scorgere, oltre e dentro le realtà concrete, il movimento dello
Spirito che anima la comunità cristiana e la guida nel suo cammino.
Siamo tutti, cari fedeli, sotto l’azione dello Spirito Santo che certa415
mente orienta l’azione del parroco, primo responsabile della comunità, senza però far mancare l’apporto di tutta la comunità. Lo
Spirito promuove sempre un’azione ecclesiale, un corale coinvolgimento di tutto il popolo di Dio.
Voi non siete spettatori, ma protagonisti della vita della comunità. La responsabilità pastorale è certamente affidata al presbitero, ma sempre in un contesto ecclesiale di cui lo Spirito è
l’animatore principale. E lo Spirito orienta la Chiesa a seguire le
orme di Cristo. La vita di una comunità non è fatta di iniziative e di
attività, ma è soprattutto vita di ascolto di quello che lo Spirito dice
alla Chiesa attraverso la liturgia e gli eventi della storia. La comunità è chiamata costantemente a fare un discernimento pastorale e
spirituale.
L’orientamento dello Spirito è in sintonia con ciò che Gesù raccomanda ai suoi discepoli: «Se uno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». In queste parole
troviamo il senso della nostra vita ecclesiale e di tutta l’opera pastorale. Il parroco, per primo, deve seguire Cristo, mettersi dietro
di lui. Un sacerdote guarda innanzitutto Cristo, il vero pastore della
Chiesa. Anche la comunità deve guardare a Cristo. Troppe volte fissiamo lo sguardo sul sacerdote come uomo. Senza dimenticare la
dimensione umana della sua persona, dovremmo scorgere in lui i
tratti della figura di Cristo, di cui è servo, strumento, rappresentante e discepolo.
In questo movimento di discepolato e di sequela, il sacerdote e
la comunità, mossi dallo Spirito Santo, si incamminano sulle orme
di Cristo per vivere con Cristo e come Cristo l’unica missione della
Chiesa. Non c’è che una sola missione: la missione di Cristo. Questa, però, non avviene se non si compie l’esperienza descritta dal
profeta Geremia: un’esperienza di seduzione. Dice il profeta: «Mi
416
hai sedotto Signore ed io mi sono lasciato sedurre». Il sacerdote è
un uomo che si è lasciato e si lascia continuamente sedurre (che
parola carica di affetto e di amore è questa!), da Cristo, accoglie la
bellezza della persona di Gesù e si lascia attrarre da lui.
Santa Teresa del Bambin Gesù, è stata proclamata patrona delle missioni senza lasciare mai il monastero. La missione non coincide con il “darsi da fare”, ma con il lasciarsi attirare. Riprendendo
un bellissimo versetto del Cantico dei Cantici, ella esclama: «Attirami, e gli altri mi seguiranno». Non trasformiamo, cari fedeli, la vita della comunità cristiana in un’azienda che deve produrre
qualche cosa. La missione è la presenza di Cristo vivo nella storia,
da cui ci si lascia sedurre, per attirare gli altri non a noi stessi, ma a
lui.
417
CERCATORE E TESTIMONE DELLA VERITÀ DI CRISTO88
Carissimo don Oronzo,
mentre indossavamo i paramenti per iniziare il sacro rito, mi
confidavi di vivere un momento di grande trepidazione. La tua trepidazione è anche quella della comunità che questa sera ti viene
affidata.
Come potrebbe essere altrimenti? Questi momenti non possono essere vissuti se non con questo sentimento. Esso include la
consapevolezza della grandezza del dono del Signore accompagnata dalla coscienza della nostra fragilità e dalla certezza che, quando
Dio sceglie e affida un compito, dona anche la grazia per portare a
compimenti il suo progetto.
Quello che si sta realizzando questa sera non è solo un fatto
giuridico. La lettura del Decreto e, al termine della S. Messa, la lettura del Verbale sono atti giuridici previsti dal Codice di Diritto Canonico. Un popolo ben organizzato deve darsi una struttura, una
regola, un orientamento.
Non è nemmeno un avvenimento solo di natura pastorale, benché si tratta di affidare un compito di pastore e di guida. Non è neanche un evento che sottolinea la dimensione umana e relazionale.
Certo, molti di voi si domandano: Chi è don Oronzo? Com’è il suo
carattere? Quali sono le sue doti? È bravo, cordiale, simpatico? Naturalmente si tratta di domande legittime. La Chiesa è fatta di per-
88
Omelia per l’ingresso canonico di don Oronzo Cosi nella Parrocchia “san Michele Arcangelo”, Supersano, 29 Agosto 2011.
418
sone che devono conoscersi, stimarsi, volersi bene. San Paolo dice:
«Gareggiate nella stima reciproca». C’è quindi una dimensione
umana. Ma non è questo il motivo fondamentale.
Cari fedeli, questa sera viviamo un avvenimento di fede. Come
la Vergine Maria, da voi onorata con il bellissimo titolo di Coelimanna, accolse con fede l’annuncio dell’angelo che le rivelava la
sua divina maternità, così anche voi accogliete don Oronzo con fede come segno della benevolenza di Dio e, nel suo ministero, scorgete l’opera di Dio in mezzo a voi. E tu, caro don Oronzo, sai bene
che attraverso il ministero della Parola e della Eucaristia, la salvezza di Cristo si rende presente in questa porzione del popolo di Dio.
Certo, don Oronzo ha le sue qualità e i suoi doni! E poiché non
voglio togliervi il gusto della scoperta, non vi dico quali sono; li
scoprirete voi. Uno, però, ve lo dico subito: don Oronzo è un giovane sacerdote che ha maturato diverse esperienze, sempre in maniera molto brillante. Fra tutte egli ama cercare la verità, non le
cose ovvie e le risposte scontate, ma quelle che hanno bisogno di
riflessione e di approfondimento. Vi sembra poco avere un sacerdote che ha questo desiderio e vuole condividerlo con voi?
La celebrazione di questa sera, caro don Oronzo, cade in una
festa bellissima. Ti invito a ricordarla sempre nella tua vita e a fare
di san Giovanni Battista, il modello del tuo ministero sacerdotale.
Ci sono, infatti, alcune caratteristiche nella sua persona che esprimono e illustrano il modello del tuo ministero. La prima qualità è
che Giovanni Battista è un uomo di frontiera, l’ultimo grande personaggio dell’Antico Testamento, la figura culminante e quasi
l’approdo di tutta la storia antico-testamentaria. Nello stesso tempo, egli è colui che apre la nuova storia e indica il nuovo cammino
che bisogna percorrere.
419
Non solo! Giovanni Battista è una figura molto importante per
gli Ebrei e per tutta la tradizione cristiana. Nella deesis, gli Ortodossi dipingono Giovanni Battista insieme a Giovanni Evangelista e alla
Madonna. Anche presso i Musulmani, Giovanni Battista è molto
venerato. In questo senso, caro don Oronzo, la figura di Giovanni
Battista manifesta il tuo desiderio più profondo: essere, cioè, un
uomo di frontiera, che sa trarre il meglio dalle diverse tradizioni, sa
individuare le prospettive che il futuro presenta e sa cogliere in unità i valori delle diverse tradizioni religiose perché esse possano
incontrarsi e illuminarsi reciprocamente. Ti invito, dunque, ad essere così: un uomo di frontiera, che raccoglie gli elementi più disparati e sa tenerli in unità.
San Giovanni Battista, però, è anche l’indicatore del Cristo. In
uno dei più famosi quadri di Giovanni Battista si nota un dito lunghissimo e sproporzionato. Il pittore ha voluto così richiamare la
funzione di Giovanni Battista: quella di essere colui che, come un
segnale stradale, indica la direzione dello sguardo verso Cristo. Non
ti sembra, caro don Oronzo, che sia questa la tua missione? Non un
dito rivolto verso te stesso, quasi per dire: guardate me! Il sacerdote non si pone al centro della comunità, non è lui la persona più
importante. Giovanni Battista afferma: «Io devo diminuire e lui deve crescere». Cristo deve crescere, il sacerdote deve diminuire, e
quasi scomparire. Per la comunità, egli deve essere un dito puntato
per indicare il cammino da seguire, e orientare tutti verso Cristo.
Un terzo aspetto è che San Giovanni Battista è “l’amico dello
sposo”. Tu non sei lo sposo della Chiesa, perché lo sposo della
Chiesa è Cristo. Tu, caro don Oronzo, sei l’amico dello sposo: stai
accanto allo sposo nella preghiera, nella contemplazione dei misteri di Dio. Imparando a conoscere i sentimenti dello sposo, vivi il tuo
ministero, cercando di accompagnare la sposa, che è la Chiesa, allo
420
sposo, per poi ritirarti perché avvenga l’incontro d’amore tra Cristo, sposo e la Chiesa, sposa. Tu sei soltanto l’amico dello sposo,
colui che sta accanto a Cristo e consente alla Chiesa di riconoscere
lo sposo e di amarlo con intensità.
In ultimo, san Giovanni Battista è il testimone della verità. Di
fronte ad essa egli non arretra, ma si immola. Giovanni Battista
precorre Cristo nella nascita e nella morte. È il primo ad offrire a
Cristo la testimonianza della vita e del sangue. Questo deve essere
anche il tuo ideale di vita sacerdotale: testimone della verità di Cristo in un mondo che non sempre vuole accoglierla e accettarla;
una testimonianza portata avanti anche con sofferenza, con sacrificio e con il dono della propria vita.
421
DON POMPILIO, UN PRETE SENZA AGGETTIVI89
Cari fedeli,
viviamo in un tempo nel quale l’apparenza conta più della sostanza. Per essere ammirati bisogna compiere dei gesti eclatanti;
bisogna vivere e dire parole “alla moda”, in sintonia con la cultura
contemporanea.
Seguire lo “spirito del tempo” è il metro di misura della società
contemporanea. Talvolta, sembra essere il criterio di riferimento
anche della comunità cristiana.
Oggi, si parla volentieri dei sacerdoti che “stanno al passo con i
tempi”. I mezzi di comunicazione sociale si interessano prevalentemente di figure sacerdotali che presentano qualità accattivanti.
Si potrebbe definirli: sacerdoti con gli aggettivi. Si inneggia ai cosiddetti “preti di frontiera”, cioè a coloro che sono “in prima linea”
per risolvere le diverse emergenze di carattere sociale. Oppure, si
esaltano coloro che si autodefiniscono preti di strada, intendendo
dire che il loro programma pastorale non si consuma nella comunità cristiana, ma si apre all’orizzonte delle molteplici realtà e dinamiche della storia.
Insomma per essere considerati dai mezzi di comunicazione sociale bisogna avere delle qualità appariscenti ed entusiasmanti,
proclamare parole che sollecitano l’attenzione e i sentimenti della
gente, compiere gesti che si impongono perché hanno una certa
risonanza mediatica.
89
Omelia nella Messa di ringraziamento per il ministero di Parroco di don Pompilio, Montesano Salentino, 2 settembre 2011.
422
E per preti come don Pompilio cosa avviene? Ed ancora: Chi è
questo sacerdote che voi avete amato? Questo ministro di Dio che
la nostra Chiesa locale ammira?
Contrariamente a quanto suggerito dallo spirito del tempo, a
me piace pensare che la più bella definizione di don Pompilio sia la
seguente: un prete senza aggettivi. Don Pompilio è semplicemente
un prete!
Sì, cari fedeli, al di là delle mode, dovremmo fare l’elogio di una
figura sacerdotale che non ha bisogna di altre qualità per imporsi
all’attenzione se non il quotidiano esercizio del suo ministero compiuto con fedeltà e amore. Dovremmo innamorarci di un prete che
è stato ed è soltanto un prete, senza ulteriori qualificazioni. La vera
identità sacerdotale non è data dagli aggettivi, ma dalla corrispondenza al dono di grazia ricevuto.
Chi è don Pompilio? E perché lo avete amato e continuate ad
amarlo?
La risposta è di tutta evidenza: lo amate perché don Pompilio
ha vissuto fino in fondo il dono e la vocazione che il Signore gli ha
dato nella fedeltà, nella quotidianità, in una dimensione non appariscente eppure profondamente concreta e reale.
Tracciando alcuni aspetti della figura spirituale di don Pompilio,
non intendo riferirmi solo a lui: voglio, attraverso di lui, ricordare le
dimensioni essenziali e imprescindibili dell’identità sacerdotale e
del compito che ogni sacerdote è chiamato ad attuare nella sua
vita.
Il primo aspetto riguarda la relazione con Cristo. Prete è colui
che mette al centro della sua vita e della vita del popolo di Dio il
primato di Cristo: Cristo al primo posto! Lui, il Signore della vita e
423
della storia! Lui, il punto centrale e focale di tutte le aspirazioni
dell’uomo! Lui, il centro della vita della comunità!
Il sacerdote è colui che, come Giovanni il Battista, deve diminuire di fronte a Gesù e richiamare continuamente il popolo di Dio a
vivere la centralità del mistero di Cristo, a dare il primato a Cristo,
ritenendo che Egli è il Signore della vita, della Chiesa e dell’umanità. Il sacerdote è soprattutto questo: il servo di Cristo.
Don Pompilio è un esempio luminoso di un prete che diminuisce, si nasconde, diventa piccolo di fronte al mistero di Dio e, attraverso il suo ritirarsi, fa emergere la grandezza di Cristo, sommo ed
eterno sacerdote.
Il secondo aspetto della spiritualità sacerdotale che don Pompilio ha incarnato in modo veramente encomiabile, è quella di un
ministro che si mette a totale servizio del suo popolo, senza fare
preferenze, amando tutti, piccoli, grandi, vicini e lontani. Il sacerdote deve manifestare lo stesso atteggiamento di Dio nei riguardi
degli uomini: non fare preferenza per nessuno, accogliere tutti e a
tutti donare il proprio tempo, elargire i frutti delle proprie fatiche
ministeriali, fare del bene senza chiedere il contraccambio. Il sacerdote è anche questo: il servo di tutti.
Nel caso di don Pompilio, cari fedeli, voi, meglio di me, potete
raccontare una molteplicità di episodi, di eventi, di fatti in cui avete
constatato che egli ha vissuto il suo ministero in una totale dedizione, senza risparmio di energia, senza pensare a se stesso, senza
considerare in primo luogo le sue esigenze personali, ma quelle
della comunità.
Per me è stato un esempio molto grande quando, partecipando
alla processione di San Donato, momento particolarmente sentito
della vostra espressione religiosa, ho avvertito la stanchezza fisica
424
per il lungo percorso. E mi sono domandato: «Ma don Pompilio
non si è stancato?».
E lo vedevo lì, mentre ogni tanto prendeva il microfono, intonava i canti con le ultime forze disponibili, vi esortava a vivere intensamente questo momento di preghiera. E mi domandavo: «Ma non
si è stancato? Non pensa a se stesso? Perché non chiede ad un altro sacerdote di prendere il suo posto?». E lo vedevo camminare
insieme a voi con il suo passo stanco, ma deciso ad arrivare fino in
fondo. Che scena straordinaria!
Voi, cari fedeli, non potete immaginare la gioia che questo gesto ha suscitato nella mia persona. Certo, all’esterno potrebbe
sembrare soltanto un fatto devozionale. In realtà, esprime il cammino del popolo di Dio. La Chiesa, infatti, è il popolo di Dio pellegrinante nel tempo. Ovviamente, si tratta di un cammino da
compiere non solo nelle processioni, ma soprattutto nella vita di
fede, speranza e carità. Tuttavia, è bello vedere il popolo di Dio in
cammino per le strade del mondo in compagnia del suo pastore,
che è lì, in mezzo al suo popolo, a vivere insieme con la sua gente il
medesimo itinerario di fede.
Come è a tutti noto, don Pompilio ha qualche difficoltà nel
camminare. Eppure ha camminato fino alla fine del percorso. Un
gesto, questo, di grande edificazione perché è l’espressione visibile
dell’immersione del sacerdote all’interno di un popolo: non davanti, proponendo se stesso, ma in mezzo al popolo, facendo un
tutt’uno con la sua gente, in una estrema dedizione di tutte le proprie forze. Prendendo a prestito le parole del Vangelo di Giovanni,
mi viene da dire che è l’immagine eloquente di un sacerdote che
dona tutto se stesso, fino all’offerta di tutte le sue energie.
Per questo lo avete molto amato e lo amate. Avete sentito che
don Pompilio è un ministro di Dio che, quotidianamente, si mette a
425
servizio di tutti, in un atteggiamento di umiltà e di mitezza. Le virtù
sacerdotali di Gesù.
Il terzo aspetto che voglio sottolineare pubblicamente del ministero di don Pompilio riguarda le virtù della gratuità e del distacco.
Don Pompilio non ha trattenuto nulla, non ha preso per sé. Anzi, ha
donato anche del suo. Nessuno di voi ha avuto la benché minima
impressione che Pompilio fosse legato a un desiderio di possesso e
di denaro. Don Pompilio è un prete libero. Libero a tal punto che
non soltanto non ha preso, ma addirittura ha dato. Ha dato quello
che aveva, discretamente e silenziosamente. So che dire questo
pubblicamente significa metterlo in imbarazzo. Ma la verità è sotto
gli occhi di tutti. Non si può tenerla nascosta.
Libertà e povertà! Libertà del cuore, non attaccamento a niente
se non a Cristo e al suo popolo!
Dobbiamo, però, domandarci: perché un uomo è capace di dimenticare se stesso, le sue giuste esigenze umane, per mettere totalmente la propria vita a servizio di Cristo e della Chiesa?
Questo interrogativo non si spiega se non con il fatto che il sacerdote si è lasciato affascinare dal mistero di Cristo e, avendo detto una volta nella vita il proprio sì al Signore, rimane per tutta la
vita fedele a questo proposito.
Cari fedeli, quello che dovete ammirare in don Pompilio è soprattutto il suo amore a Cristo. Da lui, egli ha attinto la forza e la
spinta interiore del suo ministero. Ciò che conta è la fedeltà alla
vocazione, accolta nel cuore e coltivata nel tempo. È così, il sacerdote rimane giovane nel cuore anche quando diventa anziano per
l’età.
In conclusione, cari fedeli, amate i vostri sacerdoti. Nella figura
di uno, vi invito a vedere l’immagine di tutti, perché questo conta
426
nel ministero sacerdotale: non c’è una forma di competizione. La
bellezza del ministero sacerdotale si mostra nel fatto che nella figura di un sacerdote possiamo riconoscere l’immagine di tutti i sacerdoti.
L’amore che voi portate a don Pompilio non deve essere rivolto
soltanto alla sua persona, ma ad ogni sacerdote, anzi al sacerdozio
di Cristo. Avrete tra poco un altro parroco. Non potete pensare che
si tratta della controfigura di don Pompilio. Non vi è un unico modello di vita sacerdotale, né si deve chiedere che l’uno sia totalmente uguale all’altro. Si deve soltanto comprendere che l’unico
mistero si esprime in una pluralità di forme, da ricondurre tutte
all’unica grande immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote.
E allora, viva don Pompilio, prete senza aggettivi! Viva don
Pompilio che ha voluto essere soltanto un prete di Cristo!
427
“IL MIO VIVERE È CRISTO”90
Caro don Antonio,
in questa celebrazione eucaristica ti viene affidata questa porzione del popolo di Dio, che tu già conosci e che, alcuni anni fa, ti
ha accolto, stimato, amato.
Sai già che il tuo compito è quello vivere il ministero nel solco
del cammino che questa comunità ha percorso in quest’ultimo periodo sotto la guida di don Stefano Ancora, sacerdote che tu conosci molto bene, essendo stato suo vice-parroco all’inizio del tuo
ministero.
Hai lavorato sapientemente insieme con lui per il bene di questa comunità cristiana. E continuerai a farlo anche come parroco.
La Parola di Dio di quest’oggi sottolinea che il ministero pastorale
non consiste in primo luogo in un’azione esterna, ma in un’immedesimazione profonda e interiore con Cristo, che è l’unico ed
eterno Sacerdote.
Quello che tu vivrai nella tua esperienza pastorale e programmatica con questa comunità parrocchiale non sarà il frutto di una
tua strategia pastorale, ma la manifestazione della tua profonda
unione con Cristo.
Il programma pastorale che la Parola di Dio ti indica questa sera
è proprio racchiuso nella frase dell’apostolo Paolo: «Il mio vivere è
Cristo». La parola dell’apostolo suggerisce che la vita del sacerdote,
90
Omelia per l’ingresso canonico di don Antonio De Giorgi nella parrocchia
“Presentazione V. Maria”, Specchia, 17 settembre 2011.
428
come quella di tutti i cristiani, non consiste in una molteplicità di
iniziative, sia pure utili e importanti. La verità del ministero sacerdotale e della vita cristiana si esprime nella conformazione a Cristo,
e nella piena corrispondenza tra il mistero di Gesù e la nostra vita
personale.
Sono sicuro, caro don Antonio, che tu comprendi e ti senti profondamente in sintonia con questa parola dell’apostolo: la vita del
sacerdote e tutta la sua persona devono lasciar trasparire il volto e
il mistero di Cristo.
Questa è la tensione spirituale che devi coltivare nel tuo ministero e che tu, ne sono certo per la conoscenza che ho di te, già
coltivi nella tua vita. Non opere esterne, non una molteplicità di
cose o se si vuole anche quelle, come frutto di una vita e di una intensa relazione con Cristo, fino al punto da poter ripetere con
l’apostolo: «La mia vita è Cristo».
Voi, cari fedeli, avete già imparato questa lezione da don Stefano. Gli avete voluto bene e avete espresso il vostro amore in tanti
modi. Ogni volta che mi giungevano notizie circa le vostre iniziative
per esprimere il vostro affetto a don Stefano partecipavo con gioia
a questo vostro intenso rapporto con lui. Ma cosa vi ha uniti a lui?
Soltanto la molteplicità delle iniziative, una più bella dell’altra, che
don Stefano ha realizzato in questa comunità? Io credo molto di
più. Non si ama un sacerdote soltanto per le cose che fa: lo si ama
perché è un sacerdote, un ministro nel quale la comunità tocca la
persona di Gesù, perché quel sacerdote, come ha fatto don Stefano, e come sicuramente farà anche don Antonio, non ha nessun’altra preoccupazione se non quella di vivere la sua immedesimazione
con Cristo.
E tu, caro don Antonio, cosa dovrai dire a questo popolo? Dovrai richiamare alcune verità attestate nella Sacra Scrittura, soprat429
tutto quelle indicate dalla prima lettura tratta dal profeta Isaia. Dovrai innanzitutto ricordare che Dio è un Dio misterioso, i suoi disegni sono diversi dai nostri, la sua Parola imperscrutabile, la sua
volontà ineffabile: insomma, che Dio è Dio, il Signore della nostra
vita. Egli è il Dio che ci ha creati, ci sostiene in vita, ed è il fine della
nostra esistenza. Dovrai continuamente sottolineare che Dio è trascendente e il suo mistero è sempre diverso da quello che noi possiamo conoscere. Dovrai dire al popolo che bisogna cercare questo
Dio, quasi inseguirlo, perché egli è sempre davanti a noi, è sempre
più grande e diverso da noi.
Dovrai dire che questo Dio misterioso è vicino ad ogni uomo. Sì,
il nostro è un Dio vicino. Devi far percepire che Dio, benché misterioso e ineffabile, è il Dio con noi, il Dio che si è incarnato in Gesù e
si è reso presente nella nostra storia.
Cari fedeli, che bella esperienza è vivere la fede nella comunità
cristiana, percependo quasi sensibilmente la vicinanza di Dio. Gli
uomini di oggi sono un po’ confusi e si domandano: «C’è o non c’è
Dio? E se c’è, dove dimora?». Siamo tutti un po’ smarriti e, non appena arriva una difficoltà, una malattia, un’avversità, la nostra fede
vacilla, e ci chiediamo: «Dov’è il nostro Dio?».
Caro don Antonio, dovrai ricordare che l’Emanuele, il Dio con
noi, è vicino in ogni momento e che il suo è un amore preveniente.
Non soltanto egli sta accanto a noi, ma cammina davanti a noi e ci
precede in ogni nostro passo.
Come il padrone del campo richiamato dal Vangelo, anche tu,
dovrai riunire questo popolo e invitare tutti a vivere nell’unità della
fede e della carità. Dovrai chiamare non soltanto quelli che partecipano alla vita della comunità cristiana, ma anche quelli che sembrano lontani, i lavoratori dell’ultima ora. Il tuo compito, come
430
quello di Gesù, è radunare il popolo di Dio e riunirlo attorno alla
Parola e all’Eucaristia.
Cari fedeli, venerate la Vergine Maria con il titolo di “Madonna
del Passo”. È un titolo bellissimo! Sta ad indicare il cammino che
l’uomo deve fare verso Dio. È il cammino che voi vivrete insieme
con Don Antonio e don Pompilio. Accompagnati da Maria, correrete verso l’unica meta: Cristo, nostro Signore e Salvatore!
431
SAN MATTEO E SAN GIOVANNI BOSCO:
DUE SANTI, DUE GUIDE DI COMUNITÀ91
Caro don Stefano e cari fedeli,
per un disegno provvidenziale di Dio celebriamo in questa liturgia la festa dell’apostolo Matteo e, nello stesso tempo, facciamo
memoria del santo patrono di questa comunità, San Giovanni Bosco. Pensando a questi due santi, carissimo don Stefano, puoi attingere indicazioni utili per il tuo ministero pastorale e per una
sapiente guida di questa comunità cristiana.
Come ha già detto don Beniamino all’inizio della celebrazione,
ricevi una comunità che ha una sua storia, fatta d’intelligenza pastorale, di grande intuizione nel campo dell’educazione, e di un
prezioso lavoro che ha visto, lungo il corso del tempo, alternarsi diverse figure sacerdotali. Innanzitutto il fondatore di questa parrocchia che “riposa” proprio in questa Chiesa, il carissimo don
Leopoldo De Giorgi. Ho avuto modo di conoscerlo quando, diversi
anni fa, son venuto ad Ugento. Allora la struttura, che adesso possiamo ammirare, era ancora in fase di costruzione. Sono venuto
un’altra volta, invitato da Mons. De Grisantis a tenere proprio in
quest’aula, prima che fosse costruito l’Auditorium, una conferenza
ai sacerdoti, in vista del Congresso Eucaristico Nazionale che si è
celebrato a Bari il 2005. Don Leopoldo ha fondato questa comunità
partendo dall’intuizione di lavorare per l’educazione dei giovani.
Per questo è stata intitolata a San Giovanni Bosco.
91
Omelia per l’ingresso canonico di don Stefano Ancora nella parrocchia “San
Giovanni Bosco”, Ugento, 21 settembre 2011.
432
Dopo di lui si sono avvicendati diversi sacerdoti, che ne hanno
continuato il percorso pastorale. Prima i “Figli dell’Amore Misericordioso”, coadiuvati dalle suore. A loro va il mio sincero ringraziamento per l’opera che hanno compiuto. Successivamente ha
continuato quest’opera don Stefano Rocca. Ringrazio anche lui
dell’opera svolta. Ultimamente la parrocchia è stata affidata a don
Beniamino Nuzzo e a don Giorgio Margiotta. Tu, carissimo don Stefano, raccogli la ricchezza di questa comunità, che è stata impreziosita, non soltanto dal lavoro dei sacerdoti e delle suore, ma
anche da un’attività molto intensa, frutto della dedizione pastorale
di molti laici, che ringrazio per l’opera che hanno compiuto e che
ne sono certo, continueranno ancora ad offrire con generosità.
Guardando alle due figure di santi, di cui facciamo memoria
questa sera, penso che tu possa attingere proficuamente indicazioni per continuare questo generoso impegno pastorale. San Matteo, il pubblicano diventato apostolo, ci ricorda che siamo tutti
peccatori: di fronte a Dio dobbiamo tutti sentire di essere indegni
dei suoi doni e ricordare che portiamo, nel cuore, la ferita del peccato. Siamo consapevoli di essere chiamati senza nostro merito.
Tu, caro don Stefano, sei chiamato a diventare immagine dell’apostolo. Ti riconoscerai, come ciascuno di noi, debole e fragile e,
tuttavia, forte della grazia del Signore.
Matteo insegna che occorre essere come lo scriba che sa trarre
dal deposito biblico «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). Nella
meditazione assidua della Parola di Dio, anche tu saprai inserirti
nella tradizione di questa comunità cristiana, seguendo il percorso
che è stato portato avanti in questi anni, ma anche sapendo intravedere le nuove prospettive che il tempo e le sfide della storia
pongono alla comunità cristiana.
Sai anche, caro don Stefano, che San Matteo è stato l’annun433
ciatore del Regno di Dio: le famose parabole del Regno che leggiamo nel capitolo 13 del suo Vangelo sono una meravigliosa sintesi
della predicazione di Gesù. Anche tu dovrai continuamente indicare a questo popolo che il senso della vita cristiana è quello di mettersi a servizio del Regno di Dio. Il cristiano non guarda se stesso,
non è ripiegato sui propri progetti: riconosce che l’unico progetto è
il Regno di Dio a cui tutti siamo chiamati ad aderire.
Soprattutto, caro don Stefano, il Vangelo di Matteo indica
l’immagine di Chiesa alla quale dovrai ispirarti (ekklesia: cfr. Mt
16,18; 18,17). Conosci bene quali sono le caratteristiche richiamate
nel Vangelo: una comunità fraterna (cfr. Mt 12,50), disponibile al
perdono reciproco (cfr. Mt 6,12; 18,22), nella quale colui che presiede si riconosce come il servo di tutti (cfr. Mt 20,26); attenta ai
poveri, ai piccoli (cfr. Mt 18,1-10), ai deboli e agli smarriti nella fede
(cfr. Mt 18,12-14); una comunità in continua conversione, che pratica le opere buone: la preghiera, il digiuno e la carità.
Sono queste, carissimi fedeli, le opere che noi siamo chiamati a
compiere e dobbiamo farlo sempre nel modo indicato dal Vangelo:
non davanti agli uomini, ma davanti a Dio. Più volte l’evangelista
sottolinea che la preghiera, il digiuno e la carità vanno compiute in
segreto: non per essere ammirati dagli uomini, ma per essere riconosciuti da Dio, l’unico che scruta in profondità il cuore dell’uomo
(en to krypto, cfr. Mt 6,3. 6. 17).
Anche san Giovanni Bosco, caro don Stefano, richiama alcuni
elementi che possono caratterizzare il tuo ministero pastorale. Sai
bene che san Giovanni Bosco è stato definito padre, amico, maestro, educatore dei giovani e patrono degli educatori. Viviamo in un
momento nel quale la Chiesa italiana ha posto come suo obiettivo
fondamentale quello dell’educazione e, soprattutto, dell’educazione delle nuove generazioni. Conosci la difficoltà di trasmettere oggi
434
la fede: per questo l’insegnamento di san Giovanni Bosco rimane
un modello da imitare. Voglio ricordarti alcune espressioni luminose della sua pedagogia. Egli soleva dire: «L’educazione è cosa del
cuore e Dio solo ne è il padrone e non potremmo riuscire a niente,
se Dio non ci dà in mano la chiave di questi cuori». E quando già
era vecchio, quasi riassumendo tutta la sua vita, affermava: «Ho
promesso a Dio che fino all’ultimo respiro avrei dato la mia vita
tutta intera per i giovani». Rivolgendosi ai giovani, egli soleva dire:
«Fate conto che quanto io sono, tutto ciò che io sono, sono tutto
per voi, giorno e notte, mattino e sera, in qualunque momento».
È questo, caro don Stefano, lo stile dell’azione pastorale che
dovrai prendere come linea guida del tuo ministero. Se richiamo la
figura di don Leopoldo e di don Tonino, è perché ogni volta che
parlo con i ragazzi e gli adulti, anche fuori del territorio parrocchiale, sento sempre dire: «Don Leopoldo stava sempre in parrocchia
per permettere ai giovani di frequentare l’Oratorio. Era l’ultimo ad
andarsene». Tutti parlano anche di don Tonino Bello e del suo amore per lo sport. Insomma, sento richiamare continuamente questi nomi e questi riferimenti. Don Leopoldo e don Tonino sono i
modelli a cui devi ispirare il tuo ministero con quella finezza pedagogica che san Giovanni Bosco raccomandava ai suoi discepoli:
«Non basta amare i giovani: occorre che essi si sentano amati». Bisogna cioè far percepire loro l’affetto paterno. Il metodo educativo
di don Bosco, il cosiddetto metodo preventivo, si basava su tre pilastri: ragione, religione e amorevolezza. Non è possibile, in questo
momento, spiegare queste tre caratteristiche del metodo educativo salesiano. Basta solo qualche sottolineatura. Il nostro, è un
mondo fondato sulle emozioni. Ai giovani, bisogna insegnare anche
la fatica di pensare, di ragionare, maturando non solo il lato sentimentale, ma anche quello intellettivo. È ciò che san Giovanni Bosco
intendeva dire con il termine “ragione”. La secondo parola è “reli435
gione”. E questo vuol dire richiamare l’importanza della preghiera,
della conoscenza delle verità di fede, della partecipazione alla vita
della comunità cristiana. La terza parola è “amorevolezza”. Si ottiene più con un atto d’amore, che con centomila atti di autorità.
Caro don Stefano e cari fedeli, ispirandovi a san Matteo e san
Giovanni Bosco, farete fruttificare in maniera meravigliosa questa
comunità!
Concludo leggendo la bellissima omelia di san Beda il Venerabile riportata nell’Ufficio delle letture di questo giorno. In essa, il santo chiede che il cristiano apra le porte della sua anima a Cristo. Le
ultime affermazioni sono le seguenti: «Gli apriamo la porta per accoglierlo, quando, udita la sua voce, diamo volentieri l’assenso ai
suoi segreti o palesi inviti e ci applichiamo con impegno nel compito da lui affidatoci. Entra, quindi, per cenare con noi e noi con Lui,
perché, con la grazia del suo amore, viene ad abitare nei nostri
cuori per ristorarli con la luce della sua presenza. Essi, cioè i nostri
cuori, sono, così, in grado di avanzare sempre più nei desideri del
cielo. A sua volta – e questa, carissimi fedeli, veramente è una cosa
straordinaria – anche Gesù, che viene in noi, riceve anche Lui ristoro». Noi riposiamo in Cristo, ma anche Cristo riposa in noi, nei nostri cuori e nella nostra comunità perché anche lui possa ricevere
“ristoro mediante il nostro amore per le cose celesti, come se gli
offrissimo vivande gustosissime”92.
Sinceri auguri, caro don Stefano!
92
Beda il Venerabile, Om. 21; CCL 122,151.
436
VITA FRATERNA, GRATUITA E ACCOGLIENTE93
Cari fedeli,
è la prima volta che celebro insieme con voi questa bellissima
festa dei Santi Cosma e Damiano. Mi avevano già detto che per
Ugento, ma anche per i paesi limitrofi, questa festa brillava per la
sua bellezza e per la presenza di molta gente che vive una grande
devozione ai Santi Cosma e Damiano. Gioisco, quindi, insieme con
voi. È una vera festa di popolo, che riunisce la comunità ecclesiale
e la comunità civile.
La devozione, però, deve diventare imitazione.
Dobbiamo, cari fedeli, trasformare la nostra devozione in uno
sforzo di imitazione della vita dei Santi Cosma e Damiano. Perché
se la nostra devozione rimane soltanto un fatto emotivo e non ci
spinge a un cambiamento della vita tutto si ridurrebbe soltanto ad
un’espressione esteriore, per certi versi anche molto bella, ma che
non prende il nostro cuore e soprattutto non cambia la vita.
Quale esempio viene da questi due santi patroni, punti di riferimento della nostra vita personale e comunitaria?
Vorrei innanzitutto sottolineare il fatto che sono due fratelli.
Nel Vangelo di Marco, in maniera particolare, all’inizio della missione pubblica di Cristo, i discepoli vengono chiamati a due a due.
Ciò indica che tra loro esiste uno stesso ideale di vita. In altri termini, il Vangelo ci insegna a sconfiggere tutte le forze individualisti93
Omelia in occasione della festa dei SS Medici Cosma e Damiano Ugento, Piazza
S. Vincenzo, 26 settembre 2011.
437
che e disgregatrici e a instaurare una vera comunione tra gli uomini. Se la devozione ai santi è vera, deve spronare a vincere la
frammentazione, le lotte intestine, la spinta a rompere i legami di
fraternità. È necessario che la dimensione della fraternità e della
comunione si manifesti in ogni momento e in ogni ambito della nostra esistenza.
I Santi Medici sono chiamati Anàrgiri. Sembra una parola complicata, ma tradotta significa “coloro che non prendono i soldi”.
Esercitano gratuitamente la loro professione. Anche questo, cari
fedeli, è un valore che deve animare la nostra vita cristiana: non si
può fare tutto per i soldi, non si può vivere quantificando ogni cosa. Bisogna imparare la gratuità; occorre guardare le difficoltà soprattutto dei poveri e offrire il nostro contributo liberamente e
gratuitamente. È un impegno comune. Le attuali difficoltà a livello
mondiale nascono anche perché tutto si misura in base al mercato,
cioè ad una serie di regole, dove il punto fondamentale è il denaro.
Il Papa nella sua enciclica Caritas in Veritate richiama l’importanza
per l’economia del principio di gratuità.
Non voglio essere idealista. Capisco che si vive anche di cose
concrete, però, cari fedeli, se non impariamo un minimo di gratuità, se non guardiamo ai bisogni dell’altro senza pensare al nostro
tornaconto personale non vivremo una vera vita cristiana.
Forse non viene troppo sottolineato che questi due Santi patroni non sono nati nella nostra terra, ma vengono dall’Oriente,
precisamente dalla Siria. Abbiamo accolto due “stranieri” fino a
considerarli come nostri punti di riferimento spirituale.
Non dovremmo fare così con tutte le persone che, ancora oggi,
vengono dall’Oriente o da altre parti della terra per trovare calore,
fraternità e una maggiore qualità della vita? Dobbiamo rendere insensibile il nostro cuore al grido di dolore dei poveri?
438
In conclusione, cari fedeli, una devozione fatta soltanto di luci e
di colori non dà vera gioia. La bellezza della vita consiste nell’esercizio dei tre valori che i Santi Medici ci propongono: la comunione e la fraternità, con la conseguente sconfitta di ogni individualismo; la gratuità, secondo il detto evangelico «gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date»; l’ospitalità e l’accoglienza di
chiunque bussa alla porta della nostra casa.
439
CULTO, CULTURA, CARITÀ94
Cari fedeli,
ogni domenica celebriamo il mistero della risurrezione di Cristo
e viviamo il raduno della comunità cristiana. In questo contesto pasquale, don Mario esprimerà la sua volontà di assumere la guida di
questa comunità parrocchiale. Gli sarà conferito l’incarico di diventare il punto di riferimento del cammino di fede e di vita spirituale
di questa porzione del popolo di Dio. Un atto, questo, che assume
un valore diocesano. Per questo alla concelebrazione partecipano il
vicario generale, Mons. Gerardo Antonazzo, don Giorgio Inguscio,
Rettore del Seminario diocesano, don Rocco Frisullo, sacerdote di
questa comunità parrocchiale.
E tu, carissimo don Mario, vivi questo momento con semplicità
e profondità spirituale, atteggiamenti che caratterizzano la tua
persona e che ti fanno rimanere sempre giovane, pronto ad assumere impegni, senza tergiversazioni, senza porre condizioni o mettere in campo i tuoi problemi personali, ma accogliendo con gioia e
con decisione le indicazioni che vengono dal Vescovo e dalla Chiesa. Mi piace evidenziare quest’aspetto, carissimo don Mario, perché non è soltanto una dimensione caratteriale, ma un tratto della
tua spiritualità cristiana e sacerdotale che hai vissuto in questi anni
e che, al momento opportuno come in questa circostanza, si manifesta in una maniera limpida ed esemplare.
94
Omelia nella messa per l’ingresso canonico di don Mario Ciullo come parroco
della parrocchia “Maria SS. Immacolata”, Torrepaduli, 13 ottobre 2011.
440
La presenza delle responsabili dell’Apostolato della preghiera,
associazione che tu segui con tanta attenzione, sottolinea ancora di
più la dimensione spirituale che caratterizza il tuo ministero. Coloro che aderiscono a questa associazione, infatti, si impegnano in
primo luogo a pregare.
Ricevi una comunità che ha compiuto un grande cammino spirituale e pastorale, sotto la guida di don Rocco Zocco: un cammino
intenso, intelligente, fatto di novità, attento anche agli aspetti
strutturali della comunità. E su questa linea, sono sicuro, la comunità continuerà a camminare sotto la tua guida.
Occorre ricordare che questa comunità parrocchiale è strettamente collegata al Santuario di San Rocco. La nostra diocesi è inglobata da due santuari: quello di san Rocco a nord e quello della
Madonna di Leuca a sud. L’unità tra parrocchia e Santuario caratterizza il tuo impegno pastorale che si dovrà indirizzare lungo tre
linee.
Si tratta innanzitutto di aiutare la comunità a celebrare degnamente i misteri del Signore che risplendono nella vita dei santi e, in
particolar modo, nella vita di san Rocco, e orientano la comunità a
sentire l’impegno della santità come aspetto prioritario. In primo
luogo occorrerà ricordare ai fedeli che vengono per venerare san
Rocco, il primato di Dio e, conseguentemente, la centralità della liturgia. Vivere la liturgia significa lasciare che Dio trasformi la nostra
vita, perché tutta la nostra esistenza sia messa davanti a Lui e ogni
atto sia una modalità di realizzare i suoi disegni, i suoi progetti, la
sua volontà. Dire culto non significa soltanto richiamare l’aspetto
celebrativo, ma mettere tutta la propria vita al servizio di Dio. Celebrare è servire. Servire è celebrare!
Ripeto: il culto consiste nel trasformare la vita in un servizio a
Dio da realizzare fuori dal tempio, nella professione e nel proprio
441
ambiente. L’apostolo Paolo, nella Lettera ai Romani al versetto
12,12 esorta: «Offrite i vostri corpi a Dio». Mi piace pensare che
coloro che passeranno per la porta del Santuario sentano il profumo di santità.
Il culto, caro don Mario, è anche la radice della parola cultura.
Cultura viene da culto. Questo significa che gli atti di culto devono
generare una visione della vita, un modo di pensare e di interpretare la storia. Il culto non produce soltanto un cambiamento personale, ma genera anche una concezione della vita, un modo di
intendere l’esistenza.
Viviamo in un tempo, per certi versi, ambiguo e complesso. Da
una parte continuiamo a coltivare la devozione e il culto ai santi.
Dall’altra assumiamo una cultura che si potrebbe definire “pagana”
o, almeno, non sempre cristiana. Insomma, siamo un po’ schizofrenici. Per questo, caro don Mario, sarà tuo compito aiutare questa comunità e tutti coloro che verranno al Santuario a far
percepire che la devozione deve trasformarsi in una visione della
vita e del mondo.
Cultura significa imparare a ragionare secondo il Vangelo, a fare
precise scelte della vita in riferimento al matrimonio, alla nascita
dei figli, all’educazione delle nuove generazioni. Occorre passare
da una comunità che celebra ad una comunità che vive il vangelo
nella storia. E che cosa deve caratterizzare questa dimensione che
dal culto va verso la cultura? Qual è l’anima della vita cristiana, nel
culto e nella cultura?
Cari fratelli, voi lo sapete bene: è la carità. Al centro del culto e
dell’impegno culturale deve esserci la carità, sintesi di tutta la legge, primo e più grande comandamento. Questa comunità dovrà
esprimere la sua vita attraverso la fantasia della carità, l’allarga442
mento del cuore per comprendere le malattie spirituali e corporali,
i bisogni dell’anima e del corpo.
È questo l’augurio che rivolgo a te, carissimo don Mario, e a voi,
cari fratelli. Sono sicuro che la tua profonda spiritualità, maturata
in tanti anni ed espressa in tanti modi, saprà dare il giusto orientamento a questa comunità parrocchiale.
443
AMMINISTRATORE DEI MISTERI DI DIO E SERVO DI CRISTO95
Caro don Antonio,
conosci molto bene la città di Ugento e, a tua volta, sei una persona conosciuta da molti di coloro che sono qui presenti, perché
negli ultimi anni della vita di mons. De Grisantis sei stato il suo segretario. Da lui hai potuto raccogliere il senso della vita e del ministero sacerdotale. Con la sua nobile forza d’animo anche nel
momento della sofferenza, mons. De Grisantis ha rivelato la bellezza di vivere una donazione totale a Cristo. Credo che, attraverso la
mia persona, sia lui a conferirti questo incarico. Così il legame con il
mio venerato predecessore, tuo maestro e pastore di questa diocesi, si rende ancora presente in questa comunità.
La conoscenza che tu hai di questo paese ti permette certamente di comprendere le qualità, le virtù, i punti di forza, ma anche i punti di debolezza di questa gente che ora è il tuo popolo, la
tua comunità. O per dirla con l’immagine che abbiamo ascoltato
nelle letture: la vigna che il Signore ti affida, perché tu possa farla
fruttificare.
In particolare, conosci la storia pastorale di questa comunità.
Questa mattina, Don Mario Ciullo, ha assunto l'incarico di guidare
la comunità di Torrepaduli. Questa sera ricevi da lui il testimone di
guida di questa comunità. Vi è un passaggio di responsabilità: da lui
a te, e attraverso di lui si rende presente il ricordo di quei sacerdoti
che hanno lavorato in questa comunità. Prima di don Mario, è sta95
Omelia per l’ingresso canonico di don Antonio Turi nella parrocchia “Sacro
Cuore”, Ugento, 13 ottobre 2011.
444
to don Pietro Carluccio a dare il meglio delle sue energie e, prima
di lui, don Tonino ha posto il seme che è fruttificato nelle strutture
pastorali e nella realizzazione di una comunità riunita attorno all’Eucaristia e alla Parola di Dio. Tu, caro don Antonio, raccogli questa eredità come un dono prezioso, come i talenti di cui parla il
Vangelo, per metterli a frutto, far moltiplicare i doni, e realizzare
quei germi di bene che sono presenti in questa porzione del popolo
di Dio.
La Sacra Scrittura ci aiuta a comprendere lo specifico del ministero sacerdotale e della responsabilità di guida che da questa sera
rivesti. Mi riferisco soprattutto alle espressioni dell’apostolo Paolo
nella Prima Lettera ai Corinzi. Si tratta di due definizioni luminosissime che ti invito a tenere presenti e a meditare continuamente
per comprendere il loro significato spirituale.
Per l’apostolo Paolo, il sacerdote è servo di Cristo e amministratore dei misteri di Dio. Caro Don Antonio, sei costituito servo di Cristo! Paolo utilizza due parole greche: yperetas, cioè colui che mette
a disposizione tutte le sue qualità, liberamente e senza chiedere
nulla in contraccambio. Con l’ordinazione sacerdotale e con l’assunzione di questa responsabilità pastorale, metti a disposizione
del Signore tutte le tue energie; lo fai con libertà e senza chiedere
nulla in cambio, perché la ricompensa è già nel servizio. Ricorda
che è già una grande grazia poter servire il Signore ed essere definito servo di Cristo.
L’altra parola utilizzata da Paolo è doulos, che tradotta alla lettera si dovrebbe dire “schiavo”. Da questo momento, metti la tua
volontà, la tua intelligenza, la tua carica affettiva nelle mani del Signore per appartenere unicamente a lui, per essere totalmente suo
e del popolo a cui egli ti manda. Questa consegna di te stesso a
Gesù e al popolo cristiano qualifica tutto il tuo ministero. Sei
445
chiamato ad essere yperetas e doulos riguardo a Cristo e a questa
comunità.
L’apostolo Paolo afferma anche che il sacerdote è amministratore dei misteri di Dio. Amministratore, non padrone; operaio nella
vigna del Signore. In greco amministratore di dice oikonomos ossia
colui che segue una regola (nomos) per mandare avanti la casa (oikos), consapevole di dover far fruttificare i doni del Signore senza
sciuparne alcuno.
Sant'Agostino soleva dire che chi riceve un incarico pastorale
assume una doppia responsabilità: riguardo alla propria salvezza e
a quella del popolo di Dio. D’ora in poi, tu sei amministratore dei
misteri di Dio e quindi sei responsabile non soltanto del tuo cammino di fede, ma anche di quello del popolo che ti è affidato. I misteri di Dio sono l’Eucaristia che forma la Chiesa e la Parola di Dio
che invita alla conversione e al cambiamento. I doni di Dio, inoltre,
sono la stessa comunità che ti viene affidata e soprattutto i poveri.
Essi sono quasi l’ottavo sacramento. Non dobbiamo chiudere gli
occhi, ma accogliere questi nostri fratelli come i doni di grazia che il
Signore ci dà attraverso l’Eucarestia e la sua Parola.
Tu, dunque, caro don Antonio, sei chiamato ad essere servo di
Cristo e amministratore dei misteri di Dio, in questa particolare
comunità. È molto importante tener conto del contesto ecclesiale e
sociale in cui sei chiamato a vivere la tua missione. Il fatto che questa sera sono presenti oltre al Vicario Generale anche altri sacerdoti e, in particolare, gli altri due parroci di Ugento non è un segno
eloquente? Non significa nulla il fatto che tutti e tre i nuovi responsabili delle tre comunità di Ugento sono insieme a gioire, a incoraggiarsi, a tenersi per mano, volendo testimoniare insieme che le
parrocchie sono tre, ma il popolo di Dio è uno? Il popolo di Dio non
può essere diviso, né le parrocchie sono compartimenti stagni.
446
Uno, cari fedeli, è il popolo di Ugento. I tre parroci sono come un
solo parroco! Tre persone con qualità differenti, che lavorano insieme per il bene dell’unico popolo di Dio. Questo è l'impegno che
lascio a te e agli altri due parroci.
Conoscendovi, sono sicuro che questo è anche il vostro profondo convincimento. È la comunione ecclesiale quella che conta, non
la parcellizzazione parrocchiale. Le parrocchie non sono isole, non
sono castelli con il fossato attorno. Per questo ripeto: tre parrocchie, una sola comunità ecclesiale! Certo, per offrire una maggiore
attenzione pastorale è opportuno dividere il territorio, ma non l'attività pastorale. Pertanto, carissimi don Antonio, don Stefano, don
Rocco, vi invito a manifestare in maniera chiara di fronte al popolo
di Dio la comunione ecclesiale. Formate ad Ugento un’unica grande
comunità!
C’è un secondo aspetto che vorrei mettere in evidenza. In questa
celebrazione, oltre ai tre parroci, ci sono il Rettore del seminario minore, il carissimo don Giorgio Inguscio, don Salvatore Chiarello, il vice rettore, e Andrea Romano, educatore del seminario. Sono
presenti questa sera, ma sono ad Ugento tutti i giorni dell’anno. Siete consapevoli, cari fedeli, che il seminario sta ad Ugento? Conosco
la vostra fierezza. Spesso sento dire: «Qui ad Ugento abbiamo la Cattedrale e il Vescovo, siamo il centro della diocesi!». Dovreste anche
dire: «Abbiamo il seminario!». Il seminario, infatti, appartiene a
tutta la diocesi, ma cari ugentini, appartiene in una maniera particolare a voi. Il seminario è il cuore pulsante della vita diocesana.
Dovreste avere una maggiore attenzione, e distinguervi nel circondare con l’affetto e la preghiera questo importante luogo formativo della nostra diocesi. Dovete considerare il seminario come un
grande tesoro ed essere fieri di avere nella vostra città questa realtà diocesana, che è veramente il cuore e il centro della diocesi.
447
Un ultimo punto vorrei sottolineare. Il compito del parroco prevede che si esplichino molte attività. Ne sottolineo tre, in modo
particolare: l’attenzione agli ammalati e agli anziani perché si sentano inseriti nella comunità anche quando non possono venire in
Chiesa; la cura dei poveri e dei bisognosi che aumentano sempre di
più e che, a volte, abitano accanto alla porta della nostra casa;
l’impegno per l’educazione delle nuove generazioni. Abbiamo gli
Oratori. Ora occorre che queste strutture pastorali scoppino di presenze giovanili. Questo, cari fedeli, non è un compito soltanto dei
sacerdoti. Occorre che vi siano anche educatori laici disponibili ad
offrire la loro opera per l’educazione dei ragazzi e dei giovani. Insomma, cari sacerdoti e fedeli, lavoriamo tutti insieme appassionatamente!
448
LA CATTEDRALE:
SIMBOLO DI UNITÀ, ESEMPLARITÀ, MONDIALITÀ96
Caro Don Rocco,
carissimi fedeli,
la storia della salvezza si muove secondo progetti di Dio che noi
conosciamo solo in parte e riusciamo a comprendere dopo che sono avvenuti: allora, infatti, appare la loro luminosa trasparenza.
Prima, quando sono annunciati o quando stanno per compiersi,
sembrano difficili, incomprensibili, certamente non secondo i nostri progetti.
Quello che accade nella grande storia della salvezza accade anche nei piccoli avvenimenti dell’esistenza personale e della vita della comunità. Qualcosa del genere è accaduto anche per l’evento
che stiamo per celebrare in questa solenne liturgia eucaristica e
cioè, il conferimento della responsabilità pastorale a Don Rocco.
Quando abbiamo stilato il programma dell’ingresso dei nuovi parroci, non potevamo pensare a quello che ora appare in modo più
chiaro; e cioè che questo avvenimento avvenisse a conclusione, direi a suggello, di tutti i cambiamenti che sono avvenuti nella nostra
diocesi, quasi a racchiuderli tutti e a dare un significato unitario.
D’altra parte questo evento è legato anche alla memoria dei
tuoi genitori: il 16 Ottobre, è la memoria liturgica di San Gerardo,
come si chiamava tuo padre, mentre ieri, 15 Ottobre, festa di Santa
Teresa d’Avila, era l’onomastico di tua madre. Non avevamo previ96
Omelia nella messa per l’ingresso canonico di don Rocco Zocco come parroco
della “Cattedrale”, Ugento, 16 Ottobre 2011.
449
sto queste ricorrenze. Proprio per questo, il momento che stiamo
vivendo è carico di un particolare affetto e di una forza emotiva
che coinvolge te e tutti noi.
Caro don Rocco, vieni in questa nuova realtà pastorale carico di
un’esperienza che hai maturato in questi anni e che ha dato
un’ottima prova di sé in tutti i luoghi in cui sei stato. Ho potuto
constatare di persona, quando sono andato a Giuliano, come il popolo avesse memoria dell’opera che hai compiuto. La stessa cosa
ho potuto verificare quando sono andato a Torrepaduli. Dico questo non per esaltare la tua persona, che non ha bisogno di lodi e
che non le cerca; lo dico perché è la verità e soprattutto perché
credo sia giusto ricordarti le parole che i compaesani dicevano a
Gesù: «Quello che hai fatto altrove, desideriamo, attendiamo di
vederlo realizzato anche qui».
Ti inserisci in una bellissima storia ecclesiale. Questa parrocchia, infatti, ha avuto dei pastori intelligenti, dediti al bene del popolo di Dio, a partire innanzitutto da Don Pietro che è vissuto qui
ad Ugento e ha dato il meglio della sua esperienza pastorale, prima
nella parrocchia del Sacro Cuore, poi nella parrocchia della Cattedrale. E prima di lui altri zelanti sacerdoti hanno accompagnato il
popolo di Dio; ricordo Mons. Giuseppe Martella e Mons. Domenico
De Giorgi, dei quali la gente ha apprezzato la generosa dedizione
pastorale.
Mi sembra giusto in questo momento ricordare un altro sacerdote giovane, che è scomparso prematuramente, la cui memoria è
ancora viva tra di voi. Mi riferisco a Don Francesco Cordella, giovane sacerdote che ho avuto modo di conoscere quando era seminarista a Molfetta; un sacerdote solare, gioioso, capace di attirare i
giovani e di aiutarli a crescere.
450
Caro don Rocco, assumendo la responsabilità pastorale, raccogli il meglio di quanto è avvenuto in questa comunità per dare ad
essa la ricchezza dei tuoi doni in modo che tutti possano arricchirsi
dei tuoi carismi e della tua capacità pastorale. E voi, cari fedeli, potete arricchire e perfezionare ulteriormente questa storia straordinaria.
Il titolo di parroco della Cattedrale non è soltanto un titolo di
onore, è soprattutto un titolo di responsabilità. Sono sicuro che
Don Rocco è consapevole di questa verità. D’altra parte ne ha dato
testimonianza, quando ha chiesto che la nomina fosse “ad nutum
Episcopi” che tradotto in termini semplici significa che egli si affida
totalmente al Vescovo e rimarrà in carica finché il Vescovo lo vorrà,
disponibile a lasciare il suo incarico quando le necessità della diocesi lo richiederanno. È un segno di libertà, una vera disponibilità al
servizio: un servizio a Cristo e alla Chiesa con le mani libere e con il
cuore pronto, con il desiderio che la comunità possa edificarsi e
crescere nella fede, nella speranza e nella carità.
La Cattedrale non è “una” delle tante parrocchie della Diocesi,
ma è la Chiesa Madre e per questo riveste un ruolo speciale
all’interno della comunità diocesana ed ha una responsabilità
commisurata alla sua funzione: la Cattedrale è un simbolo, oltre
che essere una realtà concreta. Un simbolo di che cosa?
Innanzitutto, un simbolo di unità ecclesiale. La Cattedrale è segno della Chiesa locale che si ritrova, anche fisicamente, in uno
stesso luogo per celebrare gli eventi più importanti della vita della
diocesi. Mi riferisco, in modo particolare, alla festa del patrono della diocesi, San Vincenzo, e alla celebrazione del mistero pasquale di
Cristo nella settimana santa e nel Triduo pasquale. La Cattedrale è
segno di un popolo che cammina insieme ed è simbolo dell’identità
ecclesiale. La Cattedrale è l’espressione visibile di un popolo, che
451
vive in tanti luoghi ma che si sente “un cuor solo e un’anima sola”.
Questo è dunque, il servizio che tu, caro don Rocco sei chiamato a
compiere insieme con tutta la comunità: un servizio all’unità, a partire da Ugento per allargarsi a tutta la diocesi.
Quando sono andato nelle altre due parrocchie di Ugento, ho
lanciato questo slogan: “Tre parrocchie, una sola comunità”; tre
nuovi parroci, un unico popolo di Dio; ovviamente, con le specificità proprie di ogni comunità, ma in un disegno pastorale unitario e
condiviso. Se la Cattedrale è simbolo della Chiesa locale, Ugento è
il paese centrale della diocesi. E anche questo deve richiamare tutti
a sentire la responsabilità di questo ruolo. Non solo la Cattedrale
deve essere segno e simbolo, ma anche il paese dove è situata la
Cattedrale deve avvertire l’onore e l’onere di questa particolare
vocazione.
La Cattedrale, poi, è anche figura ecclesiale esemplare. L’esemplarità nella liturgia, innanzitutto, perché è il luogo dove il Vescovo
celebra insieme con il popolo di Dio. La liturgia che si celebra in
Cattedrale deve esprimere in modo eminente quella nobile semplicità di cui parlano i documenti della Chiesa. La dimensione esemplare deve però manifestarsi anche nelle altre dimensioni fondamentali della vita cristiana: la catechesi, la carità, l’apertura,
l’accoglienza. Insomma, tutto il popolo di Dio si attende da questa
parrocchia e da questo paese l’esemplarità della vita cristiana.
In terzo luogo, la Cattedrale è simbolo di mondialità, perché richiama le altre Cattedrali e le altre Chiese locali. Non siamo
un’isola. La nostra diocesi non è autarchica, non vive chiusa in se
stessa, non pensa solo alla piccola realtà della sua vita ordinaria,
misurando la sua azione sul minimo comune denominatore, ma è
aperta alla Metropolia del Salento, alla Regione ecclesiastica pugliese, al mondo intero. La Cattedrale deve respirare l’orizzonte più
452
ampio della vita degli uomini, curando non soltanto quelli che sono
accanto, ma anche quelli che sono lontani. Anch’essi appartengono
a questa Chiesa, sono nostri fratelli e amici.
La Cattedrale è, dunque, simbolo di unità, esemplarità e mondialità.
Vorrei aggiungere un’ultima considerazione. La Cattedrale di
Ugento si trova collocata al centro di un territorio diviso in due zone: da una parte il territorio storico, dove vivono prevalentemente
persone anziane, ammalate e sole; l’altra parte, la zona nuova dove
sono presenti le scuole, strutture sportive e le famiglie giovani.
Cosa deve fare una parrocchia che si trova al centro di questo
territorio e di questo ambiente umano? Deve servire tutte e due
queste realtà: nella zona storica incontrare i malati, sostenere gli
anziani, confortare le famiglie; nella zona 167 accogliere i ragazzi e
incontrare i genitori. In altri termini, la parrocchia è il centro di un
habitat umano da servire con lo stesso ardore pastorale, prestando
attenzione agli uni senza tralasciare gli altri. E così, l’esemplarità
diventa modello pastorale per tutte le altre parrocchie della diocesi.
453
LA FORMA EUCARISTICA, CRISTOLOGICA E “SPIRITUALE”
DELL’AZIONE PASTORALE97
L’incontro di questa sera si svolge innanzitutto attorno alla Parola e all’Eucaristia, e poi continua con la comune riflessione all'inizio del nuovo anno pastorale.
Consideriamo questo nostro raduno come una grazia divina. La
comunità che si riunisce e si ritrova insieme, il popolo di Dio che vive momenti di reciproco ascolto non sono soltanto avvenimenti
programmati dalle nostre strategie pastorali: sono, invece, doni di
Dio. Lui ci chiama e ci convoca. Tutta la nostra vita è una risposta
alla sua chiamata; una risposta, ovviamente, che deve essere in
sintonia con la chiamata ed esprimersi con lo stesso ardore e la
stessa intensità di amore. La Parola di Dio che ci chiama e ci riunisce è la forza della nostra vita, anima delle nostre comunità, stimolo alla fede e alla speranza. Essa deve radicarsi nel cuore di
ciascuno di noi e deve costituire il vincolo dell'unità fra tutti i credenti. Per questo il nostro incontro è un momento significativo sul
piano spirituale e pastorale.
Mi piace sottolineare che il piano pastorale altro non è se non
un'esplicitazione dell’incontro personale e comunitario con Gesù,
da cui scaturiscono riflessioni, progetti, programmi e proposte. E
tutto questo, cari fedeli, secondo la regola della fede, la regula fidei: una regola che non è inventata dal Vescovo, né dal parroco o
97
Omelia nella Messa per la riunione della Forania di Tricase, parrocchia della
Natività, Tricase 5 ottobre 2011.
454
dalla comunità, ma è data dalla liturgia: il mistero che celebriamo è
anche ciò che dobbiamo credere e vivere.
Ed è a partire da un’espressione della terza preghiera eucaristica che vorrei sottolineare alcuni aspetti. Essa così si esprime: «A
noi che ci nutriamo del Corpo e Sangue di Cristo dona la pienezza
dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo Corpo e un
solo Spirito». Parole di una bellezza spirituale veramente molto alta che indicano la regola del nostro cammino, l’orientamento che
dobbiamo dare alla nostra vita, lo sforzo che dobbiamo esprimere
nella quotidianità dell’esperienza ecclesiale e parrocchiale.
A noi che ci nutriamo del Corpo di Cristo. Vorrei, cari fratelli, innanzitutto sottolineare il soggetto: “noi”, non “io” come individuo
o “io” come comunità avulsa dal contesto di tutta la Chiesa locale.
L’Eucaristia fa la Chiesa: la crea, la esprime, la manifesta; pertanto
nell’Eucaristia il noi della Chiesa si esprime in tutta la sua evidenza.
Se c'è un momento nel quale possiamo dire veramente “siamo la
Chiesa” è quello della celebrazione eucaristica.
A noi che ci nutriamo del Corpo e Sangue di Cristo: questa è la
più bella definizione di Chiesa. La Chiesa è l’unità di coloro che si
ritrovano insieme per celebrare il mistero della morte e della risurrezione di Gesù e nutrirsi di questo mistero. Nutrirsi in modo tale
che il mistero stesso entri profondamente nella vita di ciascun credente, trasformi la sua esistenza e faccia apparire l’immagine ecclesiale.
Cosa accade durante questa assemblea liturgica? Cosa avviene
in questo gioioso raduno della comunità cristiana? Il Padre, attraverso Gesù, dona lo Spirito Santo, anzi secondo la preghiera eucaristica , “la pienezza dello Spirito Santo”.
Cari fedeli, mi sembra che non consideriamo in modo adeguato
455
questo aspetto. La nostra riflessione sull'Eucaristia, di solito, è più
orientata a sottolineare la dimensione cristologica. Diciamo: “Ci uniamo a Gesù Eucaristico”; “Cristo entra nella nostra persona”,
“Noi ci uniamo a Lui”. Questa dimensione, ovviamente, è vera. Dimentichiamo, però, la dimensione pneumatologica dell’Eucaristia.
Quando celebriamo l’Eucaristia ci nutriamo del Corpo di Cristo, ma
anche dello Spirito di Cristo, dello Spirito Santo. La coppa del vino è
la coppa del sangue di Cristo, ma è anche la coppa dello Spirito di
Cristo. L’ostia è il Corpo di Cristo ma è anche la persona dello Spirito di Cristo.
I Padri della Chiesa, soprattutto i Padri orientali, e in particolar
modo i Padri siriaci, sottolineavano questo aspetto con una solare
evidenza: «Tu che mangi l’Eucaristia, mangi e bevi il fuoco dello
Spirito!», diceva sant’Efrem. Accostandoci alla mensa eucaristica
riceviamo lo Spirito di Dio e lo Spirito di Cristo, l'artefice della creazione e della redenzione del mondo.
Cari fedeli, lo Spirito del Padre e del Figlio entra in noi con tutta
la sua forza, i suoi doni, la sua energia divina. Oh! Se avessimo la
consapevolezza di questa verità! Lo Spirito entra in noi attraverso il
corpo di Cristo e opera la grande meraviglia che è la Chiesa, l’unità
tra i credenti, lo slancio della missione nel mondo. Siamo chiamati
a vivere nel mondo come testimoni di Cristo Risorto non in virtù di
un nostro desiderio e di un nostro impegno, ma perché spinti dallo
Spirito Santo che è dentro di noi, avendolo ricevuto attraverso
l'Eucaristia.
A noi, dunque, che ci nutriamo del Corpo e Sangue di Cristo dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo un solo Corpo
e un solo Spirito. Queste parole, cari fedeli, rivelano la dialettica
che esiste nella vita cristiana fra ciò che si è e ciò che si deve diventare. In un certo senso, cibandoci dell’Eucaristia, noi siamo già il
456
Corpo di Cristo, siamo già uniti in un solo Spirito e, nella preghiera,
chiediamo di diventare sempre di più quello che siamo, lo esprimiamo sempre meglio, opponiamo meno resistenze perché emerga in una maniera più evidente, la totalità del Corpo di Cristo: Lui è
il capo, noi le sue membra. Questa è la finalità dell’azione pastorale! Non si tratta di programmare iniziative, quasi che il mondo si
salvi attraverso il nostro impegno. Il mondo lo salva il Signore, non
noi! Noi dobbiamo essere solo un docile strumento dello Spirito
perché egli agisca attraverso di noi e rinnovi il mondo con la sua
forza.
Ecco, cari fedeli, perché ci siamo riuniti questa sera. Dopo la
Santa Messa rifletteremo insieme sul nostro progetto pastorale.
Ma si tratta di un fatto consequenziale, quasi un corollario rispetto
a quanto operato dallo Spirito. A fondamento della nostra vita c’è
l’Eucaristia. Nutrendoci del Corpo e Sangue di Cristo, riceviamo la
pienezza dello Spirito e diventiamo un solo Corpo e un solo Spirito.
457
IL QUADRILATERO PASTORALE98
La liturgia eucaristica è memoriale, conformazione al mistero,
regola di vita. Se, infatti, ci domandassimo: Cosa dobbiamo fare?
Come dobbiamo vivere? Le risposte a queste domande sono contenute nella liturgia. Essa indica il sentiero da percorrere, perché il
mistero che si celebra offre l’esperienza della grazia e segna
l’orientamento della vita. La lex orandi è anche lex vivendi; ciò che
celebriamo costituisce la regola del comportamento.
Per questo, cari fedeli, se prendiamo sul serio questo assioma,
dobbiamo essere molto attenti al mistero che celebriamo. I riti, le
parole, le formule eucologiche esprimono il mistero e indicano il
cammino da seguire. In modo particolare, dobbiamo considerare
con la dovuta attenzione la preghiera eucaristica, il canone, che
tradotto significa appunto regola: regola della preghiera, regola
della vita. Il canone fissa il mistero della fede e l’etica cristiana.
La riforma conciliare ci ha offerto diverse preghiere eucaristiche. Una di esse, il canone V/a, chiede al Signore che tutti i membri
della Chiesa, sacerdoti e fedeli, «possano irradiare nel mondo gioia
e fiducia e camminare nella fede e nella speranza» Queste parole
delineano lo stile pastorale che deve animare la vita delle nostre
comunità.
Una breve riflessione innanzitutto sul verbo “possano irradiare”. L’azione pastorale non è un dovere e non parte da noi (dobbiamo impegnarci!), ma è semplicemente il riflesso di una luce che
98
Omelia nella Messa per la riunione della Forania di Taurisano, parrocchia della
Trasfigurazione, Taurisano, 14 ottobre 2011.
458
viene da altrove. “Irradiare” significa che la comunità cristiana è lo
specchio, sul quale la luce di Cristo si riflette e viene irradiata nel
mondo. Ecco cosa dovremmo essere: uno specchio che irradia la
luce di Cristo. Non si tratta di “darsi da fare”, “fare le riunioni”, “organizzare gli incontri”, “programmare l’attività”, ma semplicemente di “irradiare” lo splendore di Cristo non solo nel piccolo recinto
della propria parrocchia, ma nel mondo.
Se però lo specchio è opaco, non riflette la luce. Per questo occorre essere luminosi, per poter irradiare la luce di Cristo. Non
dobbiamo avere la pretesa che senza di noi il mondo si smarrisce. Il
mondo ha bisogno di Cristo, della sua luce, del suo mistero; noi, cari fedeli, dobbiamo solo irradiare la sua luce.
La frase del canone ci consegna altre quattro parole per definire lo stile della nostra azione pastorale. Possiamo chiamarlo il quadrilatero pastorale. Immaginate quattro punti segnati da queste
quattro parole: due sono virtù morali (gioia e fiducia); due sono virtù teologali (fede e speranza). È come se tra queste quattro virtù ci
fosse un collegamento, un’armonica circolarità. Si tratta di quattro
connotazioni della vita cristiana, messe insieme, per esprimere uno
stile pastorale nuovo e adatto ai tempi moderni.
Vediamo le prime due virtù: “gioia e fiducia”. Il mondo di oggi
ha bisogno di essere incoraggiato, sostenuto, aiutato a non arrendersi di fronte alle difficoltà, a ritrovare continuamente motivi di
speranza, a non perdere l’orientamento fondamentale, a non scoraggiarsi, a vivere con gioia. Quanto è bella questa virtù!
Si arriva prima al cuore delle persone per il modo gioioso con il
quale si propone il messaggio evangelico. Siamo portatori del Vangelo. Non possiamo annunciarlo con la faccia triste, come i discepoli di Emmaus, che se ne andavano stanchi e sfiduciati.
Queste due virtù morali (gioia e fiducia) si fondano sulle virtù
459
teologali, cioè “infuse” da Dio. La fede e la speranza sono energie
divine che risvegliano atteggiamenti positivi e danno bellezza alla
vita.
Questo quadrilatero tra virtù teologali e virtù morali tratteggia
lo stile del cristiano. Occorre, innanzitutto, avere fede, cioè la capacità di non arrendersi di fronte ai fallimenti e alle difficoltà. La
fede, poi, deve sbocciare nella speranza, cioè nella capacità di
guardare oltre l’immediato e vedere il futuro che avanza. Il futuro
viene sempre come un’alba, un sole che sorge, una novità di vita.
Qualcuno dirà: non manca qualcosa a questo quadrilatero? C’è
la gioia, la fede, la fiducia e la speranza. Ma dov’è la carità? Non è
questa la virtù più importante?
La carità, cari fedeli, sta al centro del quadrilatero. La carità è
l’unità di tutte le virtù, le comprende tutte. Al centro di tutto c'è
l’amore. «La carità è la pienezza della legge» (Rm 10,12). La carità
si fonda sulla fede e genera la speranza. La carità è vita, fiducia, sostegno, gioia. Viviamo così la nostra vita cristiana «irradiando nel
mondo gioia e fiducia e camminando nella fede e nella speranza».
460
GLI IMPERATIVI DELL’AZIONE PASTORALE99
Bisogna interpretare i segni attraverso i quali Dio parla e agisce
nella storia. La sua è sempre un’azione potente, trasformante, carica di novità, capace di dare un orientamento e una direzione.
Non è facile stare a questa scuola. Talvolta possiamo perdere la
direzione del cammino o attardarci ad inseguire i nostri progetti e i
nostri programmi, frutto più della nostra sensibilità che dei segni
inviati da Dio. Per educare la nostra sensibilità, creare in noi le
condizioni a saper valutare i tempi e le circostanze della vita e far
risplendere le potenzialità del Vangelo, dobbiamo metterci alla
scuola della Parola di Dio e della Liturgia.
Il progetto che la Chiesa italiana ci ha dato per questo decennio
è quello di educare. Occorre che coniughiamo questo verbo prima
al passivo, poi all’attivo. Non saremo mai educatori se prima non ci
lasceremo educare da Cristo, il grande Maestro e Padagogo che
parla, insegna e ammaestra attraverso la Parola e la Liturgia. Per
questo – cari fedeli – come ho fatto negli incontri delle altre foranie, vi ricordo la seguente espressione che troviamo nella Preghiera Eucaristica V/C: «Donaci occhi per vedere le necessità e le
sofferenze dei fratelli, infondi in noi la luce della tua Parola per
confortare gli affaticati e gli oppressi, fa’ che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti, la tua Chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace, perché il
mondo si apra alla speranza del mondo nuovo».
99
Omelia nella Messa per la riunione della Forania di Leuca, Santuario di Leuca
21 ottobre 2011.
461
Sono le parole della liturgia che tratteggiano un programma pastorale di straordinaria attualità e bellezza. Ho voluto ricordare
queste parole a questa forania di Leuca, perché c’è una grande assonanza con il magistero e l’insegnamento di Don Tonino Bello.
Probabilmente, se non avessi detto che erano le parole della liturgia, voi avreste potuto pensare che erano parole prese dai suoi
scritti.
Che cosa dunque chiede questa preghiera? Innanzitutto ci fa
capire che senza l’intervento gratuito e preveniente di Dio, non accade nulla nella nostra vita. L’azione pastorale, cari fedeli, non parte da noi e non siamo noi i principali protagonisti. Quello che siamo
chiamati a vivere nelle nostre comunità non è un progetto scelto
da noi. La preghiera eucaristica ci invita innanzitutto a una grande
implorazione espressa dai due verbi: “donaci” e “infondi”.
Dobbiamo invocare Dio, perché egli crei in noi le condizioni più
opportune per accogliere la sua Parola e cambiare i nostri cuori. Il
vero protagonista dell’azione pastorale è Cristo e il suo Spirito. Egli
agisce nella nostra vita e si rende presente nella nostra storia.
All’inizio dell’anno pastorale non conta sottolineare quello che noi
programmiamo; certo, occorre fissare alcuni obbiettivi utili a orientare il cammino, ma non va mai dimenticato che il primato spetta a
Dio, alla sua grazia. Come sacerdoti e laici, chiediamo al Signore di
maturare le condizioni più giuste perché le sue parole possano entrare nel nostro cuore e fare breccia nell’animo degli uomini del
nostro tempo.
Si tratta, innanzitutto, di avere gli occhi per vedere. Come è
possibile interpretare i segni dei tempi senza avere gli occhi per
scrutare gli esempi della storia e vedere, come dice la preghiera
eucaristica, le necessità e le sofferenze dei fratelli? Per questo dovremmo domandarci: Le nostre comunità sono forse ripiegate su
462
se stesse? Abbiamo gli occhi per vedere le necessità e le sofferenze
dei fratelli? Se siamo ciechi di fronte alla realtà, che cosa possiamo
pensare di programmare?
Non si tratta di fare un’analisi sociologica, ma di vedere con gli
occhi di Dio le sofferenze, le necessità materiali e spirituali dei nostri fratelli. Tutta la comunità dovrebbe avere gli occhi spalancati o,
secondo una bella immagine della Sacra Scrittura, dovrebbe avere
“gli occhi davanti e di dietro”.
La preghiera eucaristica invita a considerare tutti gli ambiti della
vita umana (intelligenza, corpo, sentimento) e, attraverso la Parola,
a purificarsi e a lasciarsi guidare. E tutto questo per confortare gli
affaticati e gli oppressi. Cari fratelli, non vi sembra che questo sia
un bellissimo percorso della nostra azione pastorale? Si tratta di
portare a tutti il conforto dello Spirito. Da una parte, dunque, occorre vedere le necessità e le sofferenze dei fedeli, dall’altra è necessario portare la Parola di Dio per lenire le difficoltà e dare la
giusta consolazione ai cuori.
La preghiera eucaristica continua poi menzionando le quattro
parole che Giovanni XXIII aveva posto nella sua enciclica Pacem in
terris: verità, libertà, giustizia e pace. Si potrebbe dire che in queste quattro virtù ritroviamo le quattro direzioni della nostra azione
pastorale. Di che cosa, infatti, ha bisogno l’uomo contemporaneo
se non di sapere coniugare verità e libertà, giustizia e pace?
In molti suoi discorsi, Benedetto XVI ribadisce che l’uomo contemporaneo incontra molte difficoltà a coniugare queste quattro
virtù. La verità spalanca l’orizzonte più vero della libertà, e la libertà che si nutre della verità realizza la sua essenza più profonda. Verità e libertà, dunque, ma anche giustizia e pace. Sono le altre due
grandi parole che risuonano in maniera frequente nella società di
oggi: l’aspirazione a una giustizia sul piano sociale ed economico e,
463
nello stesso tempo, il desiderio di una pace a livello personale, sociale e mondiale.
Questa sera ci siamo incontrati per dare avvio all’anno pastorale e per richiamare gli impegni fondamentali che danno senso alla
nostra azione pastorale. Non si tratta di rifare le stesse cose, ma di
dare novità al nostro lavoro. La Liturgia, alla quale continuamente
dobbiamo attingere, ci indica la strada maestra, riempie il nostro
cuore di gioia e rafforza la speranza di un mondo rinnovato.
464
LA DIMENSIONE COMUNITARIA E MISSIONARIA
DELL’AZIONE PASTORALE100
Questa liturgia esprime tutta la sua bellezza per il fatto che sono presenti i sacerdoti, le consacrate e i consacrati, gli operatori
pastorali delle comunità parrocchiali di questa Forania.
Questa immagine liturgica parla da sé: ci fa capire che la nostra
azione pastorale è fondamentalmente un'azione ecclesiale, realizzata da tutto il popolo di Dio, ognuno con la sua vocazione, con il
suo dono, con la sua responsabilità, ma tutti insieme a lavorare
nella vigna del Signore, perché il suo Regno possa realizzarsi nel
nostro tempo, nel nostro territorio, nella comunità degli uomini.
Questo nostro desiderio si esprime non in modo strategico, con
una intenzione di programmare la vita pastorale a partire dai nostri
progetti. Se prima di ogni altra cosa celebriamo la liturgia eucaristica è soprattutto per riconfermare l'idea che è il Signore a guidare la
Chiesa, ed è il suo Spirito a sostenere il popolo di Dio nel suo compito di evangelizzazione.
Il nostro dovere è solo quello di metterci al suo servizio vivendo
in sintonia con la sua chiamata. Il primato spetta sempre al Signore! Dovremmo mettere da parte ogni forma di protagonismo. È
questo il motivo per il quale, prima di parlare del cammino pastorale, celebriamo la liturgia eucaristica e facciamo esperienza di
quello di cui ci ha parlato la prima lettura. Dice l’Apostolo Paolo
nella sua lettera: «non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini
100
Omelia nella Messa per la riunione della Forania di Ugento, parrocchia “S.
Giovanni Bosco”, Ugento 28 ottobre 2011.
465
dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). È questa la nostra condizione
più vera e più profonda da cui attingiamo la forza per l'evangelizzazione e la trasmissione della fede.
Partiamo dall'esperienza liturgica, ci sentiamo chiamati dal Signore, raccolti dalla sua Parola, stretti intorno all’Eucaristia, ognuno con il suo dono spirituale per sperimentare la presenza
liberante di Dio ed essere annunciatori di questa presenza nel
mondo.
Vorrei, cari fedeli, sottolineare questa verità: noi siamo familiari
di Dio, non ospiti o stranieri! Siamo la Chiesa di Dio! E ciò appare
con maggiore evidenza perché siamo, insieme al Vescovo, nella ricchezza di ministeri e di carismi di cui ognuno di voi è portatore.
Siamo qui per vivere un’esperienza di fraternità prima ancora che
per riflettere, programmare, orientare il cammino pastorale. A partire da questa esperienza possiamo procedere nella programmazione pastorale. Quando una comunità parrocchiale e una Chiesa
diocesana vivono la comunione e l’unità hanno già compiuto la loro missione. La comunione è già missione!
Siamo all’inizio di un nuovo decennio pastorale nel quale vogliamo impegnarci nell’educazione e nella trasmissione della fede
soprattutto alle nuove generazioni. Se ci chiediamo qual è il compito fondamentale che sta alla base della nostra programmazione,
dobbiamo ricordare che al primo posto c’è l’impegno a recepire e
realizzare il Concilio Vaticano II. I passi programmatici devono tenere questo grande compito che la Chiesa ha nel nostro tempo. Lo
ha ricordato Giovanni Paolo II più volte nel suo lungo servizio ministeriale. Lo ricorda continuamente Benedetto XVI. Anche nel Motu
proprio sull’anno della Fede, egli sottolinea che la Chiesa è impegnata nel nostro tempo ad attuare il Concilio Vaticano II. Ed è in
466
questo orizzonte che si comprendono i piani pastorali della Chiesa
italiana e della nostra Chiesa locale.
Di questo parla anche la liturgia di oggi. Il prefazio V/ B, chiede
che tutti i membri della Chiesa sappiano riconoscere i segni dei
tempi e si impegnino con coerenza al servizio del Vangelo. E aggiunge: «Rendici aperti e disponibili verso i fratelli che incontriamo
sul nostro cammino, perché possiamo condividerne i dolori e le angosce, le gioie e le speranze e progredire insieme nella via della
salvezza».
Sentendo queste parole, cari fedeli, non avvertite anche voi il
richiamo al Concilio? Non sentite che in questa preghiera riecheggia in maniera quasi letterale l’insegnamento conciliare? Non percepite l’assonanza con l’incipit della Gaudium et Spes: i dolori e le
angosce, le gioie e le speranze del mondo sono anche quelle della
Chiesa? La preghiera eucaristica chiede di renderci aperti e disponibili verso i fratelli che incontriamo sul nostro cammino per condividere la loro vita, le loro aspirazioni, i loro desideri, assumendo le
loro debolezze e le loro difficoltà.
Cari fratelli, quello che noi viviamo nella Chiesa non è “fuori dal
mondo”. La Chiesa non è una oasi fuori del tempo e dello spazio,
una realtà fuori dalla storia. Al contrario, la Chiesa vive nel tempo,
è chiamata a compiere la sua missione pro mundi vita, per la vita
del mondo. Non possiamo pensare di chiuderci in un recinto sacro,
in una sorta di autoreferenzialità, per parlare di argomenti che interessano solo noi. La Chiesa è per il mondo! Per questo Cristo l’ha
istituita. Essa è chiamata ad essere “segno e strumento di salvezza”. La Chiesa è il riflesso della luce di Cristo, ed ha il compito di far
trasparire il suo volto!
Gli uomini di oggi possono incontrare Cristo nella comunità cristiana che vive attorno all’Eucaristia, celebra i misteri del Signore,
467
s'impegna nella vita della comunità e programma il suo impegno
pastorale nel territorio. In questa opera, ciò che conta è far trasparire il volto di Gesù. Occorre stare accanto agli uomini, a tutti gli
uomini, condividere i loro problemi, le loro difficoltà e, nello stesso
tempo, annunciare che Cristo è il Salvatore di tutti e che la sua è
una salvezza definitiva. Per questo dobbiamo impegnarci a discernere i segni dei tempi, a comprendere i cambiamenti delle stagioni,
a saper valutare le trasformazioni sociali e culturali.
La Chiesa non può prescindere da questo compito fondamentale. Essa deve rendersi conto del cambiamento del mondo e cercare
di comprendere le domande fondamentali dell’uomo. Discernere i
segni dei tempi significa vivere la duplice fedeltà a Dio e all’uomo:
essere attenti a Dio che parla nella storia attraverso la molteplicità
degli avvenimenti, ed essere attenti all’uomo attraverso il quale la
voce di Dio si rende presente nel mondo.
Questo è il compito che accompagnerà la nostra generazione e
quella che verrà dopo di noi: recepire il Concilio, farlo nostro e viverlo! Non è compito da poco né si esaurisce in un piccolo spazio di
tempo. È il compito che accompagna intere generazioni e chiede
una conversione continua: una grande conversione pastorale, che
significa una conversione della mente e della prassi pastorale. Questa sera siamo qui con il desiderio di imparare dal Signore tutto
questo, di sperimentarlo nelle nostre comunità e di invitare gli uomini ad entrare in questo grande movimento, che sappiamo essere
guidato dallo Spirito di Cristo.
468
LA BRAMA DELLA GLORIA101
Fratelli carissimi,
«a che serve – si chiede San Bernardo – la nostra lode ai santi, a
che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità?
Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la
promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri
encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla
viene a loro dal nostro culto. È chiaro che, quando ne veneriamo la
memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro».
La compagnia dei santi – risponde il grande Dottore della Chiesa – rafforza il desiderio di conformare la nostra vita a quella di Cristo, stimola il nostro cuore ad imitare il loro esempio e rende più
intensa l’aspirazione a condividerne la gloria.
La festa di tutti i santi ci invita a un atteggiamento di contemplazione perché la santità prima ancora di essere una qualità che
nasce da un impegno etico e ascetico, è una qualità di Dio e, dunque, è su di Lui che dobbiamo appuntare il nostro sguardo. A questo ci invita tutta la parola di Dio che abbiamo ascoltato: dobbiamo
contemplare la grande Liturgia celeste che si svolge attorno al trono, dove è seduto il Padre e lì accanto l’Agnello. Attorno a loro c’è
una schiera di Santi, di testimoni, di coloro che hanno offerto la loro vita per rimanere profondamente legati al Signore. La santità,
che dobbiamo contemplare, è innanzitutto la santità di Dio, prima
ancora di quella dei Santi, o meglio è la santità che traspare attraverso di loro. Dio è tre volte Santo. Ogni volta nella Messa ripetia101
Omelia nella festa di “Tutti i Santi”, Tiggiano, 1 novembre 2011.
469
mo “Santo, Santo, Santo”: sono le parole del profeta Isaia che, guardando la maestà di Dio, vede la grandezza e la luminosità di questa
santità e comprende anche la propria debolezza, la fragilità e il peccato. Allora, cari fedeli, la santità, prima di essere un fatto etico, è un
fatto che riguarda la sostanza stessa di Dio: Dio è santo!
E se ci domandassimo: In che cosa consiste la santità di Dio?
Che cosa noi contempliamo? Che cosa contemplano gli angeli e i
santi, che fissano lo sguardo sul mistero della Trinità? Credo che
potremmo rispondere così: «Contemplano la bellezza dell’amore,
perché questa è la santità!». «Dio è amore», dice l’apostolo Giovanni. L’amore è la sostanza, l’essenza più profonda della natura di
Dio e, dunque, della sua santità. Dovremmo fare quasi un’equazione, un’equiparazione tra santità e amore. È l’amore che si esprime
in tutta la sua forza, nell’infinita modalità con cui Dio manifesta all’interno e all’esterno di sé la sua stessa natura, cioè quella di essere Carità, Amore. La santità è lo splendore dell’amore, la bellezza
dell'amore che, ovviamente, non può non incantare e affascinare.
Questo è il primo sguardo e il primo oggetto che noi dobbiamo
contemplare in questa giornata.
Il secondo è il riflesso della santità di Dio. La creazione e la storia
sono un riflesso della sua bellezza e del suo amore. E così noi dovremmo imparare a contemplare la santità di Dio nelle cose che ci
circondano, ma soprattutto nella storia della salvezza. Nella prima
lettura, l’Apocalisse ci ricorda che ci sono centoquarantaquattro mila
che seguono l’Agnello. Il numero non è senza un significato: ci ricollega a tutta la storia della salvezza, antica e nuova, perché il numero
dodici da una parte significa le dodici tribù d’Israele, dall’altra i dodici Apostoli. Dodici per dodici fa, appunto, centoquarantaquattro. E,
quindi, il numero sta a rappresentare l’intera storia della salvezza,
nella quale risplende la santità di Dio. E noi, cari fedeli, dobbiamo
470
imparare a contemplare anche questa dimensione storica della santità. La santità non è soltanto la sua dimensione trascendente; è anche la dimensione che si rivela nella creazione e nella storia della
salvezza. Per questo la Lettera agli Ebrei dice, «Circondati da un così
gran numero di testimoni, noi fissiamo lo sguardo su Gesù, che è autore e perfezionatore della fede». Ed è questa la vita cristiana: fissando lo sguardo su questa folla immensa di Santi – quelli che sono
canonizzati ufficialmente dalla Chiesa, ma anche molti che non
avranno un nome, un volto eppure hanno espresso con la loro vita la
santità – dobbiamo sentirci dentro una grande storia di santità. E per
non andare troppo lontano, ognuno di noi dovrebbe guardare la storia di santità della propria comunità. Prima di noi ci sono stati tanti
sacerdoti, vescovi, laici, consacrati che han vissuto una vita di straordinaria somiglianza con quella di Gesù. E noi siamo dentro questa
storia, accompagnati da questi santi, nostri amici, fratelli, esempi per
la nostra vita. Ecco il secondo sguardo: è lo sguardo di contemplazione sulla santità storica.
La santità è una nota essenziale della Chiesa. È la Chiesa che riflettendo la santità di Dio diventa essa stessa illuminata e santa
come quando il sole rinfrange i suoi raggi in uno specchio e illumina tutta la casa. Certo la santità per essenza appartiene a Dio, ma il
Signore ce ne fa dono, ci fa vivere la sua stessa vita e quindi ci fa
vivere la sua stessa forma di santità. Quando veniamo battezzati,
veniamo immersi nel mistero della morte e della risurrezione di
Gesù, e così partecipiamo della sua santità. Sottolineiamo il valore
della santità dei grandi testimoni della fede. In questo paese voi fate riferimento in maniera particolare a sant’Ippazio, in altri paesi
ad altri santi. Però teniamo in considerazione il fatto che la santità
ci coinvolge tutti, non è un privilegio per alcuni soltanto.
La santità non è legata alle opere taumaturgiche, ai miracoli,
471
ma alla grazia dello Spirito Santo, che noi abbiamo ricevuto nel battesimo e che dobbiamo far fruttificare nella nostra vita. Avete ascoltato nel brano dell’Apocalisse, che è stato proclamato questa sera,
un particolare molto bello. Di solito non viene sufficientemente
messo in evidenza. Il testo dice che ci sono alcune persone che indossano l’abito bianco. Ciò rappresenta lo splendore della bellezza
e della santità di Dio di cui queste persone si sono rivestite.
C’è un ultimo sguardo che la Chiesa oggi ci invita a orientare: è
lo sguardo su noi stessi, sulla nostra persona, perché quello che Dio
è e ciò che Dio ha realizzato nella storia della salvezza, lo vuole realizzare in ciascuno di noi. Ecco la responsabilità, il momento della
presa di coscienza che la santità di Dio ci appartiene. Egli vuole che
noi dobbiamo essere santi come Lui: lo dice il libro del Levitico:
“Siate santi, come io sono santo”. Qualunque sia lo stato di vita,
ognuno di noi deve sentire la responsabilità di rispondere a questa
fondamentale vocazione: siamo chiamati alla santità. Ce lo ricorda
la Lumen Gentium: la chiamata universale alla santità.
L’altro giorno sono stato a Castrignano, dove è stata battezzata
una persona adulta. Ad un certo punto ha messo l’abito bianco: segno della bellezza e della santità di Dio. Il libro dell’Apocalisse spiega: questa veste bianca è stata lavata nel sangue dell’Agnello. Ogni
battezzato viene lavato nel sangue dell’Agnello e immerso nell’acqua battesimale. Tutti i peccati sono perdonati. Da questa santità oggettiva, donata attraverso la grazia battesimale, deve
svilupparsi una santità soggettiva. Ognuno di noi deve incamminarsi e vivere in maniera tale da non macchiare più quella veste bianca
che ha ricevuto il giorno del battesimo. Anzi da farla risplendere.
Questa è la vita di tutti i credenti. Ciò che hanno vissuto i santi
dobbiamo viverlo anche noi, perché anche noi abbiamo ricevuto la
grazia dello Spirito Santo che ci santifica. La santità, cari fedeli, la
472
dobbiamo intendere come la vita quotidiana animata dalla forza
dello Spirito Santo.
Ognuno di noi deve vedere il Suo volto e deve contemplare
l’azione dello Spirito Santo nella sua vita. In questo rapporto tra
quello che noi già siamo in virtù del battesimo e quello che dobbiamo far risplendere nella nostra vita, c’è tutto il cammino della
santità.
Qual è la strada che dobbiamo percorrere? La risposta viene dal
Vangelo, in maniera molto chiara: le Beatitudini. Le Beatitudini sono le vie, i sentieri che Gesù ha indicato perché i suoi discepoli possano seguirlo e diventare come Lui.
473
LA MORTE TRASFORMATA IN VITA102
Cari fedeli,
dopo aver celebrato la festa di tutti i santi, la Chiesa ci fa vivere
la commemorazione di tutti i defunti. Ognuno di noi può comprendere che tra le due celebrazioni vi è una profonda unità, perché esse ci ricordano che la vita terrena è orientata alla vita eterna e che
l'esistenza si esprime in tutta la sua pienezza soltanto quando raggiungiamo definitivamente il Signore.
Riflettendo sulla celebrazione di oggi, siamo invitati a considerare l'affetto che ci unisce ai nostri cari defunti. Facciamo memoria
di coloro che sono vissuti con noi e hanno già compiuto per intero
il loro percorso di vita. E così, stringiamo ancora una volta con loro
legami di amore. Anche se non sono più tra noi, rimane ancora un
profondo legame di pietà, un sentimento di amore, una relazione
che nemmeno la morte può distruggere.
Tuttavia non siamo qui solo per ricordare i nostri cari. Sarebbe
una celebrazione individualistica. Siamo qui per commemorare tutti i defunti. C’è una solidarietà che unisce tutti in una sola famiglia
umana. Per questo non basta ricordare i propri familiari, occorre
anche pregare per tutti i defunti. Soprattutto dovremmo ricordare
quelli di cui nessuno si ricorda. La solidarietà ha un valore universale.
Siamo anche invitati a riflettere sulla morte. La morte degli altri
richiama la nostra morte. Il pensiero della morte, cari fedeli, non ci
102
Omelia nella “Commemorazione dei defunti”, Ugento, Cimitero, 2 novembre
2011.
474
allontana dalla vita, se mai ce ne fa comprendere meglio il significato.
Oggi c’è chi tenta di esorcizzare la morte, di nasconderla, di far
finta che non esiste. Si vorrebbe renderla invisibile, come se non
appartenesse alla condizione umana. C’è anche chi dice che la morte è un evento naturale, un fatto puramente biologico. Come gli animali, anche l’uomo è destinato a morire.
Qual è la visione cristiana della morte e della vita?
Certo non esiste una “bella morte”. Per tutti la morte è accompagnata da sentimenti di angoscia per la sua apparente assurdità e
solitudine. Si tratta sempre di una prova, di un distacco, di una realtà che ci fa soffrire. Non fa eccezione neppure la morte di Gesù.
Egli è morto con un grido: un grido di dolore e di speranza, di sofferenza e di abbandono, di solitudine e di fiducia, di afflizione e di
preghiera.
Il cristiano sa che deve morire; soprattutto sa che la sua morte
non è altro che un incontro con Dio. La morte non è la fine, ma un
passaggio. All’ingresso di questo cimitero, cari fedeli, potete leggere in latino la frase del prefazio che il sacerdote recita durante la
liturgia dei defunti: vita mutatur non tollitur. Con la morte, la vita
non è tolta, ma trasformata. Si cambia il modo di vivere perché si
vive in maniera definitiva con Dio. Per questo, un autore ha scritto:
«La morte non è niente.
Sono solamente passato dall’altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
475
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente,
solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace»103.
Come nel brano biblico che abbiamo ascoltato, dobbiamo sentirci nelle mani di Cristo risorto. Non finiremo nel nulla. Cristo risorto ci dona la vita vera.
La nostra vita deve essere un esercizio di preparazione alla morte. Sant’Ambrogio ci esorta con queste parole: «Esercitiamoci quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte». Anche Steve Jobs afferma: «Ricordarsi che
moriremo è il modo migliore che conosco per evitare le trappole di
pensare di avere qualcosa da perdere». E ancora «la morte è probabilmente l’unica, la migliore invenzione della vita e agente di
cambiamento della vita».
103
Henry Scott Holland, 1847-1917, canonico della cattedrale di St. Paul di
Londra.
476
Cari fratelli e sorelle, dobbiamo vivere come indicato dal Vangelo, cioè come servi che aspettano il padrone, vigilano e gli aprono
la porta appena egli bussa. Se il Signore ci troverà vigilanti, ci farà
sedere alla sua tavola e passerà egli stesso a servirci.
477
SOLO CON DIO C’È FUTURO NELLE NOSTRE CAMPAGNE104
Viviamo in una cultura del disincanto e della supremazia della
tecnica. E questo condiziona anche il nostro rapporto con il mondo
e con la realtà che ci circonda.
Dalla visione della cultura classica che intendeva la realtà come
physis cioè come forza divina generativa e il mondo come kosmos
cioè come un “insieme ordinato e armonico”, oggetto di contemplazione e da quella ebraico-cristiana che considera il mondo come
realtà creata, frutto della sapiente azione creatrice di Dio affidata
all’uomo perché la coltivi e la custodisca siamo passati alla visione
moderna che considera il mondo come un immenso serbatoio di
ricchezze di cui l’uomo può disporre a proprio piacimento e, grazie
alle possibilità offerte dallo sviluppo tecnico e informatico, “sfruttare” secondo disegni che obbediscono al desiderio di potenza e di
dominio. Nonostante il sorgere e il diffondersi di una forte sensibilità ecologica e di un impegno per la salvaguardia del creato, rimane l’idea che la terra sia un grande contenitore da cui attingere il
sostentamento e da manipolare secondo le nuove possibilità offerte dalla tecnica.
In tempi recenti, è fortemente aumentata la domanda di approvvigionamento di alcune materie prime agricole e vegetali, come la soia e il grano, elementi che sono alla base anche dell’alimentazione animale e «così è maturata la consapevolezza che
l’equilibrio dei mercati agricoli rischia di diventare sempre più precario a causa dei cambiamenti di natura strutturale che stanno ac104
Omelia nella Messa di Ringraziamento, Cattedrale, Ugento, 27 novembre
2011.
478
compagnando l’evoluzione della domanda alimentare»105. Da qui la
corsa all’accaparramento della terra e dell’acqua, fenomeno che
assomiglia a una nuova edizione del colonialismo.
L’arrivo dei biocarburanti ha ulteriormente complicato un puzzle già abbastanza complesso. Presentati come una soluzione al
grande problema del cambiamento climatico, successivamente sono diventati un “crimine contro l’umanità” in quanto ritenuti responsabili della sottrazione di terreni coltivabili a scopi alimentari
con il conseguente innalzamento dei prezzi agricoli. Infine sono
stati ritenuti dannosi sotto il profilo dell’impatto ambientale, perché considerati una concausa della distruzione di ecosistemi naturali come le foreste, a loro volta fondamentali per l’equilibrio e il
contenimento delle emissioni.
Se si considera la questione degli approvvigionamenti agricoli
nel prossimo futuro, si deve rilevare che siamo «di fronte a due tipi
di limiti. Da un lato, la necessità di un’agricoltura più sostenibile e
quindi basata su un minor utilizzo di input chimici, tra i principali
protagonisti della rivoluzione verde. Dall’altro, la preoccupazione
di aver raggiunto una frontiera tecnologica tale da poter essere migliorata, nel prossimo futuro, solo in maniera marginale, perdendo
così il contributo di quello che è stato il principale impulso
all’aumento di produttività»106.
Molto acceso e articolato è il dibattito sulla conciliazione tra chi
pensa che il progresso tecnologico e il suo trasferimento sul piano
agricolo-alimentare, senza minacciare la sostenibilità ambientale,
sia un trend ancora in divenire e chi ritiene che sia stato raggiunto
105
P. DE CASTRO, Corsa alla terra. Cibo e agricoltura nell’era della nuova scarsità,
Donzelli, Roma 2011, p. 20.
106
Ivi, p. 31.
479
un punto limite oltre il quale non è possibile andare senza minacciare l’ecosistema.
Certo, il cambiamento climatico, la riduzione progressiva del
terreno agricolo, l’emergenza acqua, l’incremento demografico,
l’accesso al cibo, la qualità degli alimenti sono tutte problematiche
che richiedono innovazione. Ma aumentare ulteriormente la produttività dei terreni non basta.
Tra le diverse forme di innovazione quella basata sulla genetica
mantiene un ruolo centrale anche se non può essere concepita
come l’unica risposta né tantomeno come la più sostenibile. Le forti perplessità che hanno acceso il dibattito sulle biotecnologie sono
state in buona parte guidate dalla convinzione che gli OGM sono
stati sviluppati per ottimizzare un modello di agricoltura caratterizzato dalla produzione intensiva e monoculturale, fortemente dipendente dai fertilizzanti e diserbanti chimici. Un paradigma ormai
superato, in quanto orientato alla ricerca delle economie di scala
attraverso la sola standardizzazione.
Il settore delle biotecnologie, tuttavia, non è affatto uniforme, e
presenta almeno due macro-segmenti: gli OGM transgenici e le
biotecnologie applicate a tecniche tradizionali: se sui primi si è lavorato prevalentemente per lo sviluppo di nuove varietà di sementi che fossero utilizzabili a livello globale, in futuro l’obiettivo sarà
soprattutto quello di trovare soluzioni specifiche per i diversi contesti locali. Le risposte andranno quindi cercate nelle altre forme
– meno note – di genetica che per loro natura riescono a conciliarsi
meglio con le tecniche colturali tradizionali, opportunamente rivisitate alla luce delle conoscenze di oggi. In questo contesto, ci si domanda quale ruolo potranno avere queste innovazioni nel
contribuire a risolvere le sfide future del settore agroalimentare,
tra cui l’accesso al cibo (un miliardo di persone denutrite), la crisi
480
della produttività agricola (in calo dello 0,8% all’anno dal 1990 al
2008) e la scarsità di risorse idriche (un miliardo di persone con
meno di 20 litri d’acqua dolce al giorno).
Il Messaggio pubblicato il 4 ottobre 2011 dalla “Commissione
Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace” in
occasione della Giornata di Ringraziamento dal significativo titolo
Solo con Dio c’è futuro nelle nostre campagne! invita a riscoprire il
valore della terra e riconoscere il suo ineliminabile riferimento a
Dio creatore. È lui il futuro del mondo. Senza di lui «nella vita delle
nostre campagne, anche il pane non solo non ci sazia, ma anzi si
trasforma in pietra, pesante e rude. Quando viviamo nell’egoismo,
nella chiusura del cuore e delle mani, nel latifondo e nei respingimenti, nell’inquinamento delle terre, nella speculazione sul grano,
nel lavoro nero degli immigrati, il nostro pane diventa pietra e serve a innalzare muri tetri e invalicabili».
Occorre ritornare alla terra, rispettando i suoi ritmi e i tempi
della crescita, ma operando anche in vista di uno sviluppo sostenibile. Occorre anche considerare la terra come un dono di cui ringraziare il Signore perché «se la terra sarà amata come dono
gratuito di Dio Padre, sarà anche custodita da imprenditori agricoli
intelligenti e attivi, capaci di speranza, pronti a investire, per “intraprendere” anche con notevoli rischi economici».
481
L’IMMACOLATA CONCEZIONE,
MODELLO DELLA VITA CONSACRATA107
La festa dell’Immacolata Concezione è un invito a contemplare
e a stupirsi delle meraviglie dell’amore di Dio. Alcune immagini bibliche ci aiutano a comprendere il mistero che celebriamo.
L’Immacolata è l’aurora del mondo nuovo, la stella del mattino.
Allo stesso tempo, ella è la tenda del Convegno, il luogo dove Dio ci
attende per parlarci e confidarci i suoi segreti, e l’arca dell’Alleanza, lo scrigno dove la Parola si fa carne.
La vocazione di Maria ha inizio con un evento che capovolge la
storia di peccato e dà inizio alla storia della grazia. L’angelo squarcia il velo del tempo e annuncia una novità inaudita, eppure desiderata. Il suo annuncio introduce nella contemplazione del mistero.
Così comincia anche la storia di ogni vocazione e di ogni consacrazione. All’inizio c’è la venuta del messaggero divino, lo squarcio
del velo che introduce nel mistero, l’ingresso nella vita del Dio silenzioso e potente. Così è avvenuto per ogni Fondatore e Fondatrice, quando hanno sentito fortemente dentro di sé una particolare
chiamata da parte di Dio. L’hanno accolta e se ne sono fatti portavoce nel mondo.
È molto bello leggere con uno sguardo sinottico le due pagine
della Scrittura proposte nella liturgia odierna: una tratta dal Libro
della Genesi e l’altra dal Vangelo di Luca. Due pagine di una bellezza straordinaria. Sembra quasi un dittico: due donne e due dialo107
Omelia nella solennità dell’Immacolata Concezione, Monastero Clarisse,
Alessano, 8 dicembre 2011.
482
ghi. Due dialoghi, però, completamente diversi. Il primo descrive
l’ascolto della voce del serpente, la titubanza e la fragilità umana, il
peccato e il nascondimento da Dio. Il secondo esprime l’acconsentimento, l’accoglienza, la trepidazione. “Come è possibile?”,
si chiede la Madonna. Il mistero di Dio è sempre troppo grande. La
voce del messaggero rivela la maestosa potenza della Parola divina
e annuncia l’iniziativa gratuita dell’amore di Dio: «Lo Spirito Santo
scenderà su di te. Su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo». Lo Spirito Santo verrà con tutta la sua potenza e darà
compimento al mistero. Dio verrà con la maestosità della sua forza
e della sua presenza e prenderà dimora nella carne.
“Come è possibile?”, viene proprio da dire. Eppure in Maria il
mistero si realizza, si avvera, s’incarna. I Padri della Chiesa e molti
commentatori medioevali intravedono in questo versetto la presenza e l’azione della Trinità. Alla vergine viene annunciata una realtà straordinaria: essere persona amata dal Padre, dal Figlio e
dallo Spirito Santo. Le tre persone divine compiranno in lei il miracolo. Lo Spirito Santo, “ombra” del Padre, scende su di lei e la copre con la potenza dell’Altissimo. Per questo Colui che nasce è
santo e chiamato Figlio di Dio. È, dunque, una meraviglia dell’amore di Dio quella che contempliamo.
Ma questo avviene solo in Maria? La Madonna ci è data soltanto come icona della bellezza divina o anche come esempio e via di
quel cammino che noi dobbiamo vivere? Quando voi, care sorelle,
vi siete consacrate al Signore non avete voluto dire che quello che
è capitato a Maria desiderate che si realizzi anche nella vostra vita?
Non c’è stato forse anche per voi un angelo che, nel silenzio della
vostra esistenza, è venuto ad annunciarvi che il Signore vi ha scelto
perché su ognuna di voi egli ha un mirabile disegno di speciale consacrazione?
483
Le parole che l’angelo rivolse alla Madonna possono essere applicate, in maniera analoga, a ciascuna di voi e, in maniera estensiva, a ogni cristiano. Consacrarsi vuol dire che la Trinità instaura una
relazione particolare con ognuno di noi. Non è questo il significato
dei tre voti di castità, povertà e obbedienza? Sono tre voti, come
tre sono le persone della Trinità. E ognuno di essi è un riflesso delle persone della Trinità. Così li definisce il documento Vita Consecrata.
I voti sono doni della Trinità. La povertà è il riflesso dell’amore
infinito e abissale del Padre: il “Padre dei poveri”; di Colui che si
nasconde, che è sempre al di là. La castità è il segno dell’impronta
dello Spirito Santo che ama, anzi che è l’Amore tra l’Amante e
l’Amato. L’obbedienza è una particolare relazione con il Figlio, “il
Servo obbediente”.
E così la vostra vita di consacrazione diventa una inabitazione
della Trinità, una particolare presenza del Padre, del Figlio e dello
Spirito, resa visibile attraverso la povertà, la castità e l’obbedienza.
In Maria, voi trovate lo specchio e il modello della vostra vita: ciò
che ognuna di voi desidera e vuole essere e che certamente sarà,
se il legame con Maria diventerà sempre più forte e intenso. Maria
vi insegna il segreto, la via e la bellezza della relazione con il Dio
uno e trino.
Qual è questo segreto? La Madonna non è complicata. Nella
sua semplicità indica il modo in cui si realizza il rapporto con la Trinità. Semplicemente insegna a dire “sì” a Dio. Tutta la sua vita è
raccolta in un “sì”. Avvenga, accada, fiat, amen: sono le sue parole.
Non dice mai “no”. Ma ripete sempre “sì”. Un sì pieno e totale che
risuona con amore e con insistenza anche sotto la croce; anzi, allora in modo ancora più intenso. Sotto la croce – dice Giovanni Paolo
II nella Redemptoris Mater – Maria vive la kenosi della fede. Vive
484
un sì che accetta il mistero nella più grande oscurità, e lo accoglie
in un totale e fiducioso abbandono alla divina volontà.
Occorre ripetere ogni volta il “sì”, pronunciato la prima volta.
Occorre ridirlo nuovamente, con il desiderio di ricominciare sempre, come fosse un nuovo inizio. Non in una maniera stanca, ma
gioiosamente come fosse il primo sì. Un sì pieno di esultanza che
abbraccia tutta l’esistenza.
La Chiesa vi accompagni in questo vostro rinnovato desiderio di
consacrazione. Noi vi sosteniamo con la preghiera e vi ringraziamo
per quello che fate e, molto di più, per quello che siete. Alcuni frutti del vostro lavoro sono visibili; altri sono nascosti nel Signore. È
bello però pensare che la ricompensa della vostra vita non è data
dagli uomini, ma da Dio.
L’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo effuso nei vostri cuori sia la vostra ricompensa e il vostro eterno gaudio!
485
«TU SEI MIO FIGLIO, OGGI TI HO GENERATO» (SAL 2,79)108
Cari fedeli,
questa è una notte feconda, gravida di un mistero ineffabile!
Totalmente diversa dalla notte che il mondo cerca. Il nostro
tempo esalta il valore della notte e ne fa il tempo della vita; preferisce vivere di notte, ma ha tolto alla notte il suo fascino misterioso
e l’ha riempita di luci, suoni, rumori assordanti. Il silenzio si è dileguato e l’attesa di una nuova alba ha ceduto il posto alla consumazione avida delle ore.
Oggi, l’uomo desidera vivere di notte. Ma è una vita fatua, ridanciana e chiassosa. Niente di nuovo accade e tutto si ripete stancamente. Non vi è nessun annuncio di qualcosa di inatteso, né si
vedono apparire nuovi germogli. La notte del mondo sembra aver
preso il posto della notte del manifestarsi di Dio.
Sì, perché anche Dio ama la notte. E di notte realizza i suoi più
grandi misteri: la creazione, l’incarnazione, la redenzione. Il primo
giorno del mondo sorge dall’oscurità e dalle tenebre; la nascita del
Messia accade mentre il mondo è immerso in un sonno profondo;
la luce della Pasqua comincia ad albeggiare quando l’umanità è ancora stordita dai tristi eventi della storia.
Queste notti di Dio si rincorrono l’una con l’altra, quasi fossero
l’una nell’altra. Sembra il gran gioco di Dio con il tempo: il suo particolare modo di manifestarsi, per eventi successivi che si richia-
108
Omelia nella Messa della notte di Natale, Ugento, Cattedrale, 24 dicembre
2011.
486
mano l’uno con l’altro, anche se ognuno di loro ha un suo specifico
modo di accadere e di manifestarsi. Un solo disegno di salvezza, in
tanti avvenimenti storici!
La notte di Natale si carica di molte notti della storia della salvezza e, finalmente, annuncia la nascita dell’Antico dei giorni,
dell’Atteso delle genti. Nella pienezza del tempo, egli viene a ridare
splendore al creato, a spalancare l’orizzonte della storia sull’immenso scenario dell’eternità.
«Ci è nato un Bambino, un Figlio ci è dato, sia gloria al Signore!», canta la liturgia di questa Veglia di Natale. È la notte
dell’irruzione dell’eternità nel tempo. La notte che annunzia il nuovo inizio della storia. La notte della manifestazione della novità di
Dio.
Nel cuore di questa notte risuonano le parole del Salmo: «Tu sei
mio figlio, oggi ti ho generato» (Sal 2,79). Chi pronunzia queste misteriose parole?
È la voce del Padre che proclama la generazione eterna del
Verbo!
Essa avviene nel seno del Padre come luce da luce, Dio vero da
Dio vero. «In principio era il Verbo» (Gv 1,1). Con queste parole
Giovanni comincia il suo Vangelo, facendo risalire l’inizio al di là del
tempo, fino all'eternità divina. “In principio” significa inizio assoluto, inizio senza inizio, l’eternità appunto. L’espressione fa eco a
quella presente nel racconto della creazione: «In principio Dio creò
il cielo e la terra» (Gn 1,1). Ma nella creazione si trattava dell'inizio
del tempo, mentre ora si parla del Verbo e si tratta dell'eternità.
Tra i due principi, vi è uno spazio infinito. È la distanza tra il tempo
e l'eternità, tra le creature e Dio.
487
Cristo ha un’origine che risale ben al di là della sua nascita nel
tempo. Nella sua persona, l’eternità non solo precede il tempo, ma
entra nel tempo. La sua venuta è una presenza salvatrice, che libera l'umanità dal potere del male, ed è una nuova creazione, che
procura agli uomini la partecipazione alla vita divina.
È la voce di Maria che riconosce nel suo grembo la generazione
nel tempo del Figlio di Dio.
Il mistero della venuta del Verbo si compie nella «pienezza del
tempo» (Gal 4,1). In quel momento, proprio in quel preciso istante,
ogni avvenimento della storia trova la sua giusta collocazione nel
tempo; ogni cosa si lega armonicamente al passato e al futuro, e i
tempi divengono un solo tempo.
Il tempo dell’uomo si riempie dell’eternità di Dio e la perennità
dell’Eterno si fascia della fragilità del tempo. Ed è una voce di donna ad annunciare a tutti questo incantevole miracolo. La voce
dell’umile serva del Signore, di colei che concepisce nella fede e
genera nella carità divenendo per tutti segno di consolazione e di
sicura speranza.
È la voce della Chiesa che nella liturgia canta la generazione sacramentale del Signore.
Ogni volta, il Verbo abbreviato si fa ancora più piccolo, fino a
riempire ogni frammento e ad espandersi in tutti i riti, i segni e i
tempi liturgici. E lì, in quel piccolo e semplice gesto, in quell’atto
simbolico, l’evento si fa carne, il germe di vita fiorisce, la figura si
carica di realtà. Nella liturgia è la Chiesa a diventare madre «perché
con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti per opera dello Spirito Santo e nati da Dio»
(Lumen gentium, 64).
488
È la voce dell’anima che avverte nel suo intimo la generazione
mistica del Verbo eterno.
Lo stesso Cristo applica il titolo di “Madre” all’anima del credente, quando dichiara: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che
ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21; cfr. Mc
3,31s; Mt 12,49).
È un tema, questo, caro ai Padri della Chiesa e ai mistici. Una
frase di Origene, ripresa da sant’Agostino, san Bernardo, Lutero e
altri, afferma: «Che giova a me che Cristo sia nato una volta da Maria a Betlemme, se non nasce anche per fede nella mia anima?»109.
«Ogni anima che crede – scrive sant’Ambrogio –, concepisce e genera il Verbo di Dio […]. Se secondo la carne una sola è la Madre di
Cristo, secondo la fede, tutte le anime generano Cristo quando accolgono la parola di Dio»110. A sant’Ambrogio fa eco san Massimo il
Confessore, il quale afferma: «Il Cristo nasce sempre misticamente
nell’anima, prendendo carne da coloro che sono salvati e facendo
dell’anima che lo genera una madre vergine»111.
Intendendo la maternità di Cristo nel suo significato spirituale e
mistico, ogni cristiano, pieno di stupore, può cantare con
Sant’Efrem il mistero della nascita del Signore nella sua vita e nella
storia nel mondo:
«Il giorno della tua nascita ti assomiglia,
perché è desiderabile e amabile come te.
Noi, che non abbiamo visto la tua nascita,
l’amiamo come se le fossimo contemporanei.
Nel tuo giorno noi vediamo te:
109
ORIGENE, Commento al vangelo di Luca, 22,3; SCh, 87, p. 302.
S. AMBROGIO, Esposizione del vangelo secondo Luca, II, 26; CSEL 32, 4, p. 55.
111
S. MASSIMO CONFESSORE, Commento al Padre nostro; PG 90, 889.
110
489
è un bimbo come te, coccolato da tutti.
Ecco, di esso esultano le Chiese!
Il tuo giorno ha ornato e si è ornato.
Benedetto il tuo giorno,
che fu fatto per noi!
Il tuo giorno ci ha dato un dono,
quale il Padre non ne ha altro uguale.
Non ci mandò dei serafini,
e neppure dei cherubini
scesero presso di noi.
Non vennero vigilanti ministranti
ma il primogenito, che è servito.
Chi potrebbe essere all’altezza
di rendere grazie
per il fatto che la grandezza
incommensurabile
giacque in una disprezzabile mangiatoia?
Benedetto colui che ci ha dato
tutto ciò che possedeva!
La tua nascita fece gioire quella generazione,
ma la nostra l’ha fatta gioire il tuo giorno.
Doppia era stata la beatitudine
della generazione,
poiché aveva visto sia la tua nascita
che il tuo giorno;
più piccola la beatitudine degli ultimi,
che vedono soltanto il tuo giorno.
Ma poiché coloro che erano vicini
dubitarono,
si è moltiplicata la beatitudine degli ultimi,
i quali, senza averti visto, hanno creduto in te.
490
Benedetta la tua beatitudine
che si è incrementata per noi!»112.
Sì, cari fedeli, questa è una notte feconda!
È la fecondità dello Spirito di Dio che tutto realizza con sapienza
e armonia. Essa proclama un nuovo inizio, promette cieli nuovi e
terra nuova, aiuta a intravedere il sorgere luminoso della speranza.
Il silenzioso grido del Padre, la trepidante parola di Maria, la gioiosa preghiera della Chiesa, l’amorosa invocazione del cuore dell’uomo si fondono insieme e lasciano intendere che si tratta di un
unico atto generativo che si realizza in modalità differenti e in
tempi diversi, producendo lo stesso risultato: l’apparizione del
mondo nuovo e la redenzione dell’uomo, di tutto l’uomo e di tutti
gli uomini!
Nel cuore dell’uomo c’è una grande sete di giustizia e di pace.
Ma non vi sarà nessuna pace se l’anima non accoglierà e farà riposare in sé il Principe della pace. E non vi sarà nessuna giustizia se
nel mondo non spunterà il Germoglio giusto.
Solo quanto Cristo nasce e prende dimora nell’anima, la notte
del mondo viene illuminata dalla notte di Dio. Allora la notte non fa
più paura perché viene illuminata da Cristo, astro del cielo che non
tramonta. E noi, assetati di luce, ci lasciamo affascinare dal luminoso bagliore della stella mattutina, diventando per i fratelli un riflesso della luce vera che illumina ogni uomo.
112
EFREM IL SIRO, Inno di Natale, XXIII, 7-9.
491
«ABBIAMO CONTEMPLATO LA SUA GLORIA» (GV 1,14)113
Cari fedeli,
l’amore desidera vedere e non si contenta se non scorge la persona amata.
Poiché Dio è il vero e segreto amore dell’uomo, egli desidera
ardentemente vedere Dio. Un desiderio nobile che ha percorso la
storia di tutte le religioni e l’esperienza spirituale di tutti i mistici.
Questo desiderio è attesa, invocazione, anelito mai pienamente
soddisfatto eppure sempre risorgente.
Sì, l’uomo desidera che Dio si manifesti, «faccia brillare la luce
del suo volto» (Nm 6,25) e sia possibile vedere «l’irradiazione della
sua gloria» (Eb 1,3).
Il tema è inaugurato da Mosè quando, «parlando con Dio faccia
a faccia, come un uomo parla con un altro» (Es 33,11), chiede al
Signore: «Mostrami la tua gloria!» (Es 33,18), e si sente rispondere: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò
il mio nome: Signore, davanti a te […]. Ma tu non potrai vedere il
mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (Es
33,19-20).
Anche Dio ha un mistero da proteggere. L’inafferrabilità del volto di Dio esprime la sua trascendenza e la sua ineffabile identità,
ma rivela anche l’infedeltà dell’uomo. Il peccato offusca la vista,
rende difficile all’uomo di vedere Dio e gli procura un senso di infe-
113
Omelia nella Messa del giorno di Natale, Ugento, Cattedrale, 25 dicembre
2011.
492
licità e tristezza. Per questo il salmista esclama: «Quando hai nascosto il tuo volto, sono stato turbato» (Sal 30,8); e ancora «Se nascondi il tuo volto vengo meno» (Sal 104,29).
Nonostante tutti gli impedimenti esterni e interni, il desiderio di
vedere il volto di Dio resta profondamente radicato nel cuore
dell’uomo. Il volto è la spia dell’anima, il fascino della persona in
tutta la gamma della bellezza possibile; la fessura dove affiora
qualche traccia della biografia interiore. Il volto di Dio si manifesta
nell’apparire della sua gloria. Per questo non stupisce che l’orante
di Israele si rivolga a Dio ed esorti i fedeli a «ricercare sempre il suo
volto» (Sal 105,4); a cercarlo con tutto l’ardore del cuore: «Come
una cerva anela ai corsi delle acque, così la mia anima anela a te, o
Dio. La mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e
vedrò il volto di Dio?» (Sal 42,1-2).
Questa brama insaziabile di vedere Dio non è solo il frutto di
forze naturali. È Dio stesso ad aver posto nel cuore dell’uomo la
nostalgia del suo volto. Così scrive San Pietro Crisologo: «La fiamma della divina carità accese i cuori umani e tutta l’ebbrezza dell'amore di Dio si effuse nei sensi dell'uomo. Feriti nell’anima, gli
uomini cominciarono a volere vedere Dio con gli occhi del corpo.
Ma se Dio non può essere contenuto dal mondo intero, come poteva venir percepito dall’angusto sguardo umano? Si deve rispondere che l'esigenza dell’amore non bada a quel che sarà, che cosa
debba, che cosa gli sia possibile. L’amore non si arresta davanti all’impossibile, non si attenua di fronte alle difficoltà. L’amore, se
non raggiunge quel che brama, uccide l’amante; e perciò va dove è
attratto, non dove dovrebbe. L’amore genera il desiderio, aumenta
l’ardore e l’ardore tende al vietato. E che più? L’amore non può
trattenersi dal vedere ciò che ama; per questo tutti i santi stimarono ben poco ciò che avevano ottenuto, se non arrivavano a vedere
493
Dio. Perciò l’amore che brama vedere Dio, benché non abbia discrezione, ha tuttavia ardore di pietà»114.
Cari fedeli, in tutto il tempo di Avvento, con le parole del Profeta Isaia, abbiamo sospirato: «Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi!»; e con insistenza lo abbiamo invocato «Maranathà, vieni
Signore Gesù».
In questo giorno di Natale, la preghiera viene accolta ed esaudita da Dio. «Oggi – canta la liturgia – è nato per noi il Salvatore, Cristo Signore». Il velo è squarciato e Dio si rende visibile nel volto del
Bambino Gesù. In Lui appare la grazia, si mostra l’infinita misericordia di Dio, si rende visibile l’ineffabile tenerezza del Padre, si
manifesta il Dio-Amore.
Con gli occhi della fede possiamo scorgere in Cristo il misterioso
volto di Dio. Sant’Ireneo così scrive: «Questo è il Verbo di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo, che nella pienezza dei tempi si è fatto
uomo tra gli uomini per unire la fine con il loro principio, cioè l'uomo a Dio […]. Fin dall'inizio della storia il Verbo aveva annunziato
che gli uomini avrebbero visto Dio […]. I profeti annunziarono in
anticipo che Dio sarebbe stato visto dagli uomini, conformemente
alle parole del Signore: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”
(Mt 5,8). Certo nella realtà della sua grandezza e della sua gloria
ineffabile nessuno potrà vedere Dio e vivere (cfr. Es 33,20). Il Padre
infatti è inaccessibile. Ma nel suo amore, nella sua bontà e nella
sua potenza è giunto fino a concedere a coloro che lo amano il privilegio di poterlo vedere. Ed è proprio questo che annunziavano i
profeti, poiché “ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio”
(Lc 18,27).
114
SAN PIETRO CRISOLOGO, Disc. 147; PL 52, 594-595.
494
L’uomo infatti con le sue sole forze non può vedere Dio. Ma se
Dio lo vuole, nell'abisso della sua volontà, si lascia vedere da chi
vuole, quando vuole e come vuole. Dio ha potere su tutti e su ogni
cosa. Si rese un tempo accessibile in visione profetica per mezzo
del suo Spirito, si lascia vedere ora mediante il suo Figlio, dando
l’adozione a figli. Sarà visto, infine, nel regno dei cieli nella pienezza
della sua paternità. Lo Spirito infatti prepara gli uomini nel Figlio. Il
Figlio li conduce al Padre. Il Padre dona l’incorruttibilità e la vita
eterna che derivano dalla visione di Dio per coloro che lo vedono.
Come coloro che vedono la luce sono nella luce, e partecipano al
suo splendore e ne colgono la chiarezza, così coloro che vedono
Dio, sono in Dio e ricevono il suo splendore. Lo splendore di Dio
dona la vita: la ricevono coloro che vedono Dio»115.
Cari fedeli, tutto il cristianesimo è in uno sguardo: lo sguardo
che contempla la rivelazione della gloria di Dio. La fede è vedere il
mistero che si manifesta nella storia, sotto i nostri occhi. Per questo S. Teresa d’Avila esorta: «Il tuo desiderio sia di vedere Dio, il
tuo timore di perderlo, il tuo dolore di non goderlo e la tua gioia
ciò che potrà condurti alla vita eterna: solo così vivrai in una gran
pace».
Il cristianesimo è soprattutto contemplazione: cioè visione di
Dio nell’umanità di Gesù e nel volto di ogni uomo. Non dobbiamo
fare molti sforzi, non dobbiamo cercarlo lontano da noi. Dio è qui,
accanto ad ogni uomo, vicino ad ogni situazione, presente in ogni
avvenimento. Occorre solo aprire gli occhi e vedere il volto umanissimo del Dio invisibile e inaccessibile.
«Il Verbo si è fatto carne e noi abbiamo contemplato la sua gloria», proclama San Giovanni (Gv 1,14). Nella contemplazione del
115
IRENEO, Contro le eresie, Lib 4, 20, 4-5.
495
Verbo incarnato è tutta la nostra gioia e la nostra felicità, come poeticamente canta Dante nell’ultimo canto del Paradiso:
«Oh abbondante grazia ond'io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!
Nel suo profondo vidi che s'interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l'universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi confiati insieme, per tal modo
che ciò ch’i' dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch’i' vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’godo
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faccasi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossìbil che mai si consenta;
però che ‘l ben, ch’è del volere obietto,
tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto»116.
Tutto questo non soltanto è oggetto di speculazione astratta,
ma esprime la verità della nostra vita. Siamo stati creati da Dio per
Dio. Il fine della nostra vita – per usare la terminologia del Catechismo di S. Pio X – è conoscere Dio, amarlo e servirlo in questa vita,
per goderlo nell’altra.
116
D. ALIGHIERI, La Divina Commedia. Paradiso, XXXIII, 82-107.
496
La visione di Dio è la nostra beatitudine. “Visu sim beatus tuae
gloriae” 117, canta la Chiesa con le parole dell’Adoro te devote.
Vedremo la gloria di Dio nell’eternità. Ma già ora possiamo contemplarla. Nella fede ha il suo inizio, nella vita terrena il suo compimento.
Il Natale è il tempo della contemplazione e dell’estasi, e il preludio alla visione beatifica.
117
TOMMASO D’AQUINO, Adoro te devote, 28.
497
A SERVIZIO DELL’ALTARE DEL SIGNORE118
Caro Andrea,
questa solenne liturgia eucaristica durante la quale riceverai il
ministero dell’accolitato si svolge in un clima spirituale ormai proteso verso la celebrazione del Natale del Signore.
La liturgia di questa IV domenica di Avvento segna il passaggio
dall’attesa al compimento, dal desiderio dell’incontro con Dio alla
sua venuta nella storia dell’umanità e nel cuore dell’uomo. Nello
stesso tempo, essa esprime il senso più vero del ministero che ti
verrà conferito perché anche in te si compie il passaggio dal tempo
della preparazione al ministero al momento del ricevimento del
dono, dal periodo del discernimento vocazionale a quello del servizio pastorale.
In questo contesto, intensamente liturgico e profondamente
umano, mi piace sottolineare che il conferimento del ministero avviene nella Chiesa Cattedrale. E questo ha un duplice significato.
Da una parte, mette in evidenza che sei inserito nel grembo
della Chiesa ugentina di cui la Cattedrale è il simbolo più luminoso.
Dall’altra, richiama il fatto che proprio la Chiesa Madre della diocesi ha segnato la tua vita. In questa comunità hai ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, hai fatto una ricca esperienza
ecclesiale, hai maturato il tuo cammino di fede, hai accresciuto il
desiderio di consacrarti interamente al Signore.
118
Omelia per il conferimento del ministero dell’Accolitato ad Andrea Romano,
Ugento, Cattedrale, 18 dicembre 2011.
498
Sì, caro Andrea, questo luogo ti è caro per il suo valore ecclesiale e per il suo significato umano. Quanti ricordi del passato ritornano alla tua mente. Momenti che si riferiscono all’infanzia, alla
adolescenza e alla giovinezza, vissuti sotto la guida esperta di sacerdoti ed educatori che hanno segnato il tuo cammino di fede. Tra
di essi, un posto particolare riveste don Francesco Cordella: sacerdote che ti ha voluto bene come fratello, amico e padre; un amore
che tu hai ricambiato e che, nella memoria della fede, continui ancora a conservare con immutata intensità.
Considerando questi avvenimenti anche tu, insieme con l’apostolo Paolo, puoi esclamare: «Dio solo è sapiente» (Rm 16,27). Anche per la tua vicenda vocazionale, come per l’intera storia
dell’umanità, quanto è avvenuto non è il caotico avvicendarsi di
fatti senza senso e senza finalità. Ciò che è accaduto nella tua vita
non sta sotto il segno della fatalità o della casualità, ma rivela un
disegno sapiente di Dio. Certo, vi sono momenti nei quali è difficile
interpretare l’agire di Dio e vedere, nelle vicende del tempo,
l’opera della sua paterna misericordia. Tutto appare confuso e, forse, anche un po’ oscuro. Ma non tarda l’ora nella quale finalmente
il disegno di Dio si mostra nel suo luminoso dispiegarsi.
E quando ciò avviene, come è accaduto alla Vergine Maria, nasce un sentimento di trepidazione e di meraviglia. Sì, Dio ti ha scelto e ti ha indicato una meta straordinaria ed entusiasmante. La sua
irruzione è misteriosa, intima, imperscrutabile. Ma è anche fonte di
meraviglia e di gioia perché supera le nostre attese e, nello stesso
tempo, le compie in modo mirabile, al di là di ogni nostra previsione e desiderio. Sembra un sogno, ma è la realtà.
In questa liturgia eucaristica riceverai un dono dal forte spessore spirituale e un compito dal profondo valore pastorale. Qual è,
499
dunque, il significato del ministero che ti sarà conferito e dovrai
esercitare?
Sinteticamente si può dire che sei chiamato a mettere la tua vita a «servizio dell’altare del Signore». In tal modo, si renderà ancora più matura la tua decisione di seguire Cristo e si chiarirà il
ministero che sei invitato ad offrire alla Chiesa.
Il termine accolito deriva dal verbo greco akolouthéō che significa “seguire” o anche “servire”. Per questo, nella Chiesa di Roma,
gli accoliti venivano chiamati “sequentes” o anche “ceroferarii”. A
seguito della riforma liturgica del Vaticano II, le funzioni dell’accolito sono state fissate nei seguenti termini: «L’accolito è costituito per aiutare il diacono e servire il sacerdote. Pertanto è suo
compito curare il servizio dell’altare, aiutare il diacono e il sacerdote nelle azioni liturgiche, specialmente nella celebrazione della
Messa […]. Potrà anche provvedere all’istruzione degli altri fedeli
che, per incarico temporaneo, aiutano il diacono e il sacerdote nelle azioni liturgiche» (Ministeria Quaedam VI). Insieme a questi
compiti, il documento sui ministeri emanato dai vescovi italiani, richiama l’accolito a «farsi strumento dell’amore di Cristo e della
Chiesa» soprattutto nei confronti dei deboli e degli infermi (CEI, I
ministeri nella Chiesa, 8).
L’accolitato, pertanto, è il ministero affidato a coloro che nella
Chiesa sono chiamati a seguire i pastori, collaborando con loro nel
servizio all’altare, ma anche animando l’opera della carità che
dall’altare deriva e prende forma. L’accolito è il promotore della vita liturgica, il formatore e il pedagogo di coloro che svolgono compiti liturgici (ministranti, cantori, lettori..), l’animatore del servizio
della carità verso i poveri, i sofferenti, i malati, gli emarginati.
Il servizio al quale sei pubblicamente e autorevolmente abilitato indica un modo nuovo di essere e di interpretare la tua esistenza
500
personale. D’ora in poi, il centro della tua vita è l’altare. Non appartieni più a te stesso, ma al Signore che sull’altare viene immolato,
offerto e ricevuto.
L’altare richiama il luogo del sacrificio, dell’immolazione, dell’offerta e del dono di sé. Sei chiamato a fare della tua vita un servizio a lui, a Cristo, morto e risorto per tutti. Tutta la tua esistenza
assume una forma eucaristica: i pensieri, i sentimenti, le scelte, le
decisioni. Alla tua persona e al tuo ministero, si addice in modo
particolare quanto sant’Ireneo, con una celebre espressione, affermava di tutti i cristiani: «Il nostro modo di pensare è conforme
all’Eucaristia, e l’Eucaristia, a sua volta, si accorda con il nostro
modo di pensare»119.
Pensare eucaristicamente, sentire in modo eucaristico, agire secondo la regola dell’Eucaristia. È questo il percorso spirituale che si
spalanca davanti a te. Seguendo questa via non solo eserciterai in
modo efficace il ministero dell’accolitato, ma ti preparerai degnamente al dono del presbiterato.
Interpretando il sentimento dei tuoi genitori, di questa comunità e dell’intera Chiesa locale, ti rivolgo una triplice esortazione.
Innanzitutto ti esorto a non temere, perché anche tu, come
Maria, sei amato da Dio. Fidati del Signore e, come Maria, affidati
interamente a lui.
In secondo luogo, ti invito a considerare l’Eucaristia come
l’unico tuo bene. È il Concilio Vaticano II a sottolineare che «nella
santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua, lui il pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito e vivificante dà vita agli
119
IRENEO DI LIONE, Adversus hareses, IV, 18, 5.
501
uomini i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire assieme a
lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create»120.
Cristo eucaristico sia il tuo unico e vero amore. Sia lui, per te, il
desiderio di un’appagata felicità, l’aspirazione a una vita interamente donata nella lode al Signore e nella ricerca del bene dei fratelli.
Infine, con le parole dell’apostolo Paolo, ti raccomando di “fare
in ogni cosa eucaristia” (1Ts 5,18). Trasforma, dunque, la tua vita in
una grande celebrazione eucaristica e unisci alla preghiera liturgica
il dono di tutta la tua persona, senza risparmio e senza mezze misure. Un dono totale a Cristo, alla Chiesa, al mondo intero.
D’ora in poi, per te, l’Eucaristia sia tutto e ogni cosa diventi Eucaristia.
120
CONCILIO VATICANO II, Presbyterorum ordinis, 5.
502
SERVO PER AMORE121
Caro Pierluigi,
la tua trepidazione è anche la mia. La tua è soffusa di stupore e
di meraviglia per la grandezza del dono del diaconato che ti viene
conferito; la mia è intrisa di una gioia sottile e familiare perché mi
sento strumento di una grazia che non mi appartiene, ma che Dio ti
offre attraverso la mia persona.
La mia è la trepidazione di un padre che, nella forza dello Spirito Santo, consacra la tua persona a Cristo perché, come lui, tu sia
servo di tutti. La tua è la trepidazione del discepolo che, attraverso
il ministero del Vescovo, riceve da Cristo una particolare conformazione a lui. Con il diaconato, infatti, Cristo ti configura a sé, servo
povero, obbediente e casto; virtù di cui vuoi adornare la tua vita,
secondo quanto tu stesso hai sottolineato nella lettera personale
che mi hai consegnato.
Il racconto del martirio del protomartire Stefano rispecchia il
modello cristologico del diaconato e offre un paradigma concreto
del tuo ministero che tu devi ammirare e imitare.
Richiama, innanzitutto, il primato della contemplazione del mistero di Cristo. Anche tu, come santo Stefano, devi fissare il tuo
sguardo su Gesù crocifisso, risorto e glorioso (cfr. At 7,56) e fare di
lui la stella di orientamento della tua vita. Il principale servizio che
sei chiamato a rendere alla Chiesa e la vera carità di cui tutti gli
uomini hanno un urgente bisogno non si riferiscono a un bene ma121
Omelia nella Messa di ordinazione diaconale di Pierluigi Nicolardi, Ugento,
Cattedrale, 26 dicembre 2011.
503
teriale, ma riguardano il valore della vita. Questa risplende solo se
è illuminata da Cristo. Dovrai, pertanto, fasciarti del suo splendore
e risplendere della sua luce se vuoi essere per gli altri un luminoso
riflesso della sua gloria.
Dovrai, in altri termini, illuminare l’intelligenza e riscaldare i
cuori dei tuoi fratelli nella fede, saperli istruire e accompagnare
nella conoscenza del mistero ineffabile di Dio (cfr. At 6,10) con una
dottrina profonda e sicura, proposta con la sapienza del cuore.
Certo, nell’esercizio del ministero, non mancheranno momenti di
prova e situazioni difficili da affrontare. Dovrai allora ricordarti della
testimonianza di santo Stefano e, nell’ora della tribolazione e delle
avversità, dovrai imitare la sua fortezza e la sua pazienza (cfr. At
7,58). Per questo avrai bisogno dell’aiuto del Signore che attingerai
quotidianamente con la perseveranza nella preghiera (cfr. At 7,59).
Queste virtù delineano la forma ideale del tuo diaconato e il
modello del tuo servizio. Esse servono soprattutto a richiamare la
tua nuova dignità: essere servo di Cristo. L’apostolo Paolo utilizza
diversi termini: doulos (Rm 1,1; Ef 6,6), diakonos (1Cor 3,5), sunergon (1Cor 3,9), yperetes (1Cor 4,1). Ognuno di essi indica una particolare sfumatura. Nell’insieme, sottolineano che il primato va dato
al rapporto con Cristo.
L’Ordine del diaconato non abilita a una prestazione d’opera,
ma una relazione interpersonale. La qualifica di servo riguarda la
tua identità, il tuo modo di essere; solo in seguito, specifica il tuo
modo di agire e di comportarti. Il criterio di valutazione non è dato
solo dalla prontezza e dalla fedeltà nell’assolvere il compito assegnato, ma soprattutto dall’intensità della relazione con il Signore.
Ciò che conta non è ciò che compirai, ma ciò che sarai.
Questo rito di ordinazione ti costituisce servo scelto da Cristo.
504
Per usare le stesse parole di san Paolo, si potrebbe dire che sei «stabilito, unto e sigillato da Dio in Cristo, a cui è stato dato lo Spirito
Santo come garanzia dei beni futuri» (2Cor 1,21; cfr. Ef 1,13-14). È la
voce di Cristo a realizzare in te la forma di servo, non il tuo disegno
o la tua aspirazione; è il suo sguardo di predilezione a modellare la
tua vita, non il tuo progetto o il tuo desiderio di autorealizzazione;
è la sua chiamata a plasmare il servizio che devi offrire; la tua risposta è solo la logica conseguenza del suo amore preveniente.
L’imposizione delle mani ti richiama che sei servo perché afferrato da Cristo (Fil 3,12). Egli ti ha inseguito e catturato come si afferra una preda. La tua sequela prima di essere un atto di
obbedienza è una forma di seduzione, un’irresistibile attrazione
della grazia.
Rimarrai per sempre servo se sarai sempre prigioniero di Cristo
(Fm 1,1). Non c’è più scampo, non c’è più nessuna via d’uscita, non
hai nessuna possibilità di sottrarti al fascino del suo amore. Lui ti ha
rapito e incatenato a sé. Ti ha legato con vincoli d’amore inestricabili. Lui solo conosce bene il tuo cuore e all’infuori di lui nessun altra persona può abitarlo.
Ricorda, però, caro Pierluigi, che servire è nascondersi.
Il vero servo ama vivere nel nascondimento, compie con diligenza il suo servizio e poi si dilegua. Non occupa il primo posto sulla scena. Rimane volentieri in disparte, pronto a rispondere non
appena viene chiamato. È felice del suo compito e non smette di
gioire anche quando non riceve le attenzioni del suo padrone. Non
cerca nulla per sé. Si contenta di abitare presso il suo Signore, anzi
presso la soglia della sua casa. Ciò gli basta. Anzi, lo considera un
dono immeritato.
Non dimenticare, inoltre, che servire è vegliare e rimanere in
attesa del padrone.
505
Ciò che conta è lui, il Signore. Per lui devi vivere, con lui devi
impegnare le tue energie, in lui devi fissare il tuo sguardo e trovare
la gioia della tua vita. Senza di lui, tutto si scolora e ogni cosa perde
vigore. Anche quando potrà sembrarti lontano, l’affetto non deve
diminuire, né il cuore deve assopirsi. Al contrario, il desiderio deve
cercarlo ancora e, nell’attesa, deve intensificarsi. Sarà la tua brama
d’amore ad accorciare i tempi e ad annullare la distanza.
Per questo, quasi come un dono speciale, insieme con i tuoi genitori e parenti, con i carissimi don Gigi Ciardo e don Francesco
Cazzato e con tutti i tuoi educatori, ti consegno le parole di san Colombano perché diventino la tua costante preghiera. In un impeto
di amore a Cristo, esclama insieme con lui: «Quanto sono beati,
quanto sono felici “quei servi che il Signore, al suo ritorno, troverà
ancora svegli”! (Lc 12,37). Veglia veramente beata quella in cui si è
in attesa di Dio, creatore dell'universo, che tutto riempie e tutto
trascende! Volesse il cielo che il Signore si degni di scuotere anche
me, meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità e accendermi talmente della sua divina carità da farmi divampare del suo
amore sin sopra le stelle, sicché arda dal desiderio di amarlo sempre più, né mai più in me questo fuoco si estingua! […].
Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna, perché
al suo splendore mi si apra il santuario celeste, il santo dei santi,
che sotto le sue volte maestose accoglie te, sacerdote eterno del
sacrificio perenne. Fa’ che io guardi, contempli e desideri solo te;
solo te ami e solo te attenda nel più ardente desiderio. Nella visione dell’amore il mio desiderio si spenga in te e al tuo cospetto la
mia lucerna continuamente brilli ed arda.
Dégnati, amato mio Salvatore, di mostrarti a me che busso,
perché, conoscendoti, ami solo te, te solo desideri, a te solo pensi
continuamente, e mediti giorno e notte le tue parole. Dégnati di
506
infondermi un amore così grande, quale si conviene a te che sei Dio
e quale meriti che ti sia reso, perché il tuo amore pervada tutto il
mio essere interiore e mi faccia completamente tuo»122.
Questo io cerco, questo solo desidero. La tua grazia prenda dimora in me, umile tuo servo, compia il tuo disegno d’amore e lo
porti fino alla perfezione.
122
SAN COLOMBANO, Istituzioni. Istr. sulla compunzione, 12, 2.
507
LETTERE
LETTERA AGLI OPERAI E ALLE LORO FAMIGLIE
Cari lavoratori dell’Adelchi e del comparto del tessile-abbigliamento e calzaturiero, rivolgo a voi e alle vostre famiglie un cordiale e affettuoso saluto.
Come Pastore della Chiesa di Ugento - S. Maria di Leuca sono
particolarmente preoccupato per la situazione di grave crisi occupazionale che sta interessando le vostre persone e le vostre famiglie; una preoccupazione condivisa da tutta la Chiesa diocesana per
la prospettiva che si apre davanti a voi di dovere convivere, dopo il
lungo periodo di Cassa Integrazione, con un’incombente disoccupazione senza apparenti vie di uscita.
La vostra è una vicenda che si collega ad altre ed è un segno dei
tempi nuovi, attraversati dal fenomeno della globalizzazione.
La Chiesa non può non rendersi vicina alle vostre persone perché, come insegna il Concilio Vaticano II, “le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e
di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (Gaudium et Spes 1).
Per questo sento il dovere di esprimere a voi e alle vostre famiglie la vicinanza e solidarietà mia e di tutta la comunità diocesana,
nella consapevolezza che la gravissima crisi nazionale ed internazionale apre prospettive molto problematiche e non presenta facili
vie di uscita.
In questa situazione, occorre ribadire che al centro dell’attenzione bisogna collocare la persona e non il profitto e che il
bene comune deve essere la regola suprema da seguire. La Chiesa
511
è convinta che bisogna ridare senso e dignità al lavoro, sapendo
che «qualunque lavoro non ha una dignità o un valore in se stesso
in modo assoluto, ma è sempre relativo, cioè in relazione a ciò che
ne è l’unità di misura, l’uomo» (prolusione del card. Angelo Bagnasco Convegno CEI, Educare a un lavoro dignitoso. 40 anni di pastorale sociale in Italia, Rimini, 25 ottobre 2011).
Nel nostro tempo si richiede un forte slancio verso una nuova
economia, un nuovo modo di concepire la produzione, un nuovo
modo di fare impresa, rimettendo gli uomini e le donne al centro
delle politiche del lavoro. Nell’enciclica Caritas in Veritate, Benedetto XVI richiama la “responsabilità sociale” dell’impresa e sottolinea «il fatto che si va sempre più diffondendo il convincimento in
base al quale la gestione dell’impresa non può tenere conto degli
interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di
produzione, la comunità di riferimento» (n. 40).
Auspico, pertanto, un supplemento di comune responsabilità,
che coinvolga la proprietà dell’impresa, le organizzazioni datoriali,
le istituzioni locali e nazionali, le organizzazioni sindacali, per evitare che quanto annunciato si realizzi in termini così perentori. Occorre che ciascuno, secondo le proprie competenze, tempestivamente e immediatamente, metta in campo ogni azione utile per
ridare speranza ai lavoratori.
La Chiesa di Ugento - S. Maria di Leuca, per quanti vogliono intraprendere un percorso imprenditoriale attraverso l’accompagnamento del Centro Servizi Diocesano del Progetto Policoro, mette a
disposizione il “Progetto Tobia”, che prevede un prestito a tasso
agevolato sul Fondo di garanzia della Fondazione “Mons. Vito De
Grisantis”, ed il “Prestito della Speranza” promosso dalla Conferen512
za Episcopale Italiana. Si tratta solo di un modesto segno che non
risolve il problema occupazionale, ma diventa un invito a mobilitarsi per dare concretezza al desiderio di solidarietà.
Invito, infine, tutte le comunità cristiane a pregare e a impegnarsi per venire incontro alle diverse situazioni di precarietà, con
l’auspicio che un impegno più deciso di tutte le parti interessate
possa produrre risultati positivi.
Ugento, Palazzo Vescovile
Giornata del Ringraziamento, 13 novembre 2011.
† Vito Angiuli
Vescovo di Ugento - S. Maria di Leuca
513
MESSAGGI
TORNARE A SCUOLA: PERCHÉ?123
Cari giovani,
le vacanze sono finite. Si torna a scuola!
Mi sembra quasi di vedere i vostri volti, certamente non stupiti
di questa mia affermazione, perché quando leggerete questo messaggio avrete già ripreso a frequentare le lezioni.
La questione, però, è un’altra. Riguarda il motivo per cui siete
tornati in un ambiente che “occupa” gran parte del vostro tempo e
delle vostre energie intellettuali. Si può, infatti, andare a scuola
perché è un obbligo (lo impone la legge), una necessità (non si può
fare altrimenti), un costume e una prassi (lo fanno tutti). Per questo, probabilmente, la parola “scuola” non suscita grandi entusiasmi in voi che la frequentate.
Forse quello che sto per dirvi vi sorprenderà.
Chi di voi ha dimestichezza con il mondo classico saprà che il
termine scuola deriva dal greco skolè, che i latini traducevano con
otium, e significa: “dedicarsi a un’attività alla quale non si è costretti”. Skolè, otium non è il dolce non far niente, ma il colmo
dell’attività. Si tratta, infatti, di un’attività non “occupata”, libera,
piacevole perché è il “lavoro” degli uomini liberi. Per la cultura
classica, la scuola è come lo sport, un’attività in cui ci si confronta,
ci si impegna, si gareggia, si concorre. Sì, la scuola è una forma nobile di competizione!
123
Messaggio agli studenti all’inizio del nuovo anno scolastico (2011-2012).
517
Ma attenzione! Anche questa parola ha bisogno di qualche
spiegazione.
Competizione (cum-petere) vuol dire puntare con decisione a
un fine, tendere insieme verso una meta, correre più velocemente
possibile per raggiungere per primi il traguardo comune. E, per
questo, la competizione è il superamento di ogni forma di violenza.
Competizione vuol dire considerare l’altro come un con-corrente
(ossia come colui che compete con me); violenza, invece, significa
ritenere l’altro un avversario che mi impedisce di raggiungere
quanto desidero e, per questo, rappresenta un ostacolo da annullare e, possibilmente, rimuovere anche con la forza.
Skolè, otium, scuola, invece, sono parole che richiamano l’attività sportiva. Andare a scuola è come partecipare a una gara:
esprime cioè il desiderio di misurarsi con gli altri per cercare di arrivare alla meta desiderata da tutti. E come non c’è sport senza divertimento, così non c’è vera attività intellettuale senza gusto,
interesse e gioia. Il divertimento, però, è tale perché è anche concorrenza, competizione. Giocare da soli intristisce. Giocare con altri
è fonte di gioia!
Di quale gioco si tratta? Qual è la meta da raggiungere? Verso
dove bisogna correre? Qual è il fine comune che la scuola deve insegnare a riconoscere e a desiderare?
Il fine è riconoscere la verità!
È questa l’attività che rende liberi, perchè l’incontro con la verità è sempre un atto di libertà. La giovinezza è il tempo più propizio
per allenarsi a compiere questo esercizio. Lo suggeriva ai suoi discepoli anche Platone, il grande filosofo greco: «Cerca la verità
mentre sei giovane, perché se non lo farai, poi ti sfuggirà dalle
mani».
518
Certo, cari giovani, questa affermazione, oggi, non è più di moda. Molti pensano che la ricerca della verità sia una strada impercorribile, oltre che impervia. Altri ritengono addirittura che sia una
meta impossibile da raggiungere. Nel nostro tempo, sono molti i
seguaci di Nietzsche il quale affermava: «Non è lecito interpretare
il carattere generale dell’esistenza né con il concetto di “fine”, né
con il concetto di “unità”, né con il concetto di “verità”». Insomma,
secondo il filosofo tedesco, le parole “fine”, “unità”, “verità” sono
termini vuoti di significato e, per questo, non vale la pena perdere
il proprio tempo andando dietro a favole inconsistenti. Meglio godere l’attimo fuggente!
Non è questo, oggi, il pensiero dominante? Per questo molti si
chiedono: se non c’è un “fine” da raggiungere, una “unità” da custodire, una “verità” da cercare, vale la pena di impegnarsi in qualcosa?
Non è meglio vivere alla giornata e prendere ciò che la vita offre?
In questo modo, però, perde il suo mordente non solo la scuola,
ma anche la vita! Se Nietzsche ha ragione, allora bisogna concludere che non solo non vale la pena di studiare e di impegnarsi, ma
(ciò che è più grave) non vale la pena di vivere!
E, invece, cari giovani, è proprio la vita che chiede di cercare il
senso nascosto dell’esistenza. Vivere è già una grande grazia. Imparare a vivere è il compito affidato a tutti. La scuola è uno dei luoghi
in cui si impara a vivere, si impara cioè a cercare il senso nascosto
delle cose.
La scuola è una palestra dove si impara ad amare la vita e la verità! E, come ogni palestra, anche la scuola chiede che ci si alleni, si
imparino le regole del gioco, si ripetano più volte gli esercizi fondamentali!
«Il vero obiettivo e l’interesse pressoché unico degli studi – scri519
ve Simone Weil – è quello di formare la facoltà dell’attenzione, anche se oggi pare lo si ignori. La maggior parte degli esercizi scolastici
hanno anche un certo interesse intrinseco, ma è un interesse secondario. Tutti gli esercizi che esigono davvero il potere d’attenzione
sono interessanti a pari titolo e in misura quasi uguale (...).
Il fatto di non possedere né il dono né l’inclinazione naturale
per la geometria non impedisce che la ricerca della soluzione di un
problema o lo studio di una dimostrazione sviluppi l’attenzione.
Anzi, è quasi il contrario. È quasi una circostanza favorevole. E poco
importa che si trovi la soluzione o si afferri la dimostrazione, purché ci si sforzi davvero per riuscirvi. Infatti mai, in nessun modo, un
autentico sforzo di attenzione viene disperso. Sul piano spirituale è
sempre pienamente efficace, e di conseguenza lo è anche, per di
più, sul piano inferiore dell’intelligenza, giacché la luce spirituale
rischiara sempre l’intelligenza.
Se con vera attenzione si cerca di risolvere un problema di geometria e in capo a un’ora si è al punto di partenza, in ogni minuto
di quell’ora si è comunque compiuto un progresso in un’altra dimensione più misteriosa. Senza che lo si avverta o lo si sappia,
quello sforzo in apparenza sterile e infruttuoso ha portato più luce
nell’anima. Un giorno se ne ritroverà il frutto (...) in un qualsiasi
ambito dell’intelligenza, magari del tutto estraneo alla matematica.
Colui che così si è applicato riuscirà forse, proprio grazie al suo
sforzo inefficace, a cogliere in modo più diretto la bellezza di un
verso di Racine (...).
Gli spropositi in una versione, le assurdità nella risoluzione di
un problema di geometria, le goffaggini stilistiche e la mancanza di
coerenza logica nei compiti di francese, tutto questo deriva dalla
fretta con cui il pensiero si è precipitato su qualcosa: ed essendosi
così colmato prematuramente, non è stato più disponibile per la
520
verità. La causa risiede sempre nel voler essere attivi, nella volontà
di cercare. Per verificarlo basta andare sempre alla radice di ogni
errore. Non c’è esercizio migliore di questa verifica. Perché è una di
quelle verità cui si può credere soltanto dopo cento, mille conferme. Accade così per tutte le verità essenziali.
I beni più preziosi non devono essere cercati, bensì attesi. Giacché l’uomo non può trovarli con le proprie forze, e se li cerca troverà al loro posto quei falsi beni di cui non saprà discernere la falsità.
(...). Per ogni esercizio scolastico c’è una maniera specifica di attendere la verità con desiderio e senza permettersi di cercarla. Una
maniera di prestare attenzione ai dati di un problema geometrico
senza cercarne la soluzione, alle parole di un testo latino o greco
senza cercarne il senso; una maniera di attendere, quando si scrive,
che la parola giusta venga a porsi da sé sotto la penna scartando
semplicemente le parole inadeguate»124.
Cari giovani, se queste parole di Simone Weil vi convinceranno
imparerete a scoprire l’utilità della scuola che, certo, richiede impegno, sforzo, sacrificio, ma proprio per questo vi dona qualcosa di
più grande: la gioia di vivere e di imparare a riconoscere la verità;
e, forse, di scoprire che è Gesù Cristo la verità che dona bellezza e
rende gustosa la vita.
Con affetto.
Ugento, 14 settembre 2011,
festa della Esaltazione della Croce.
Il vostro Vescovo
† Vito
124
S. WEIL, Riflessione sul buon uso degli studi scolastici…, in Attesa di Dio,
Adelphi, Milano 2008, pp. 191-201.
521
Preghiera dello studente
Ineffabile Creatore, che dai tesori della tua sapienza
hai scelto le tre gerarchie degli Angeli,
le collocasti nel cielo con ordine mirabile,
e con somma armonia disponesti le parti dell’universo.
Tu che sei la vera sorgente della luce e della sapienza
e il principio dal quale tutto dipende;
degnati di infondere nella mia oscura intelligenza
un raggio del tuo splendore che allontani da me
le tenebre del peccato e dell'ignoranza.
Tu che rendi eloquenti le lingue dei bambini,
istruisci la mia parola
e versa sulle mie labbra la grazia della tua benedizione.
Dammi acutezza nel comprendere, capacità di ritenere,
metodo e facilità nell’imparare,
sottigliezza nell’interpretare, grazia nel parlare.
Dammi forza per incominciare bene il mio studio;
guidami lungo il corso della mia fatica;
dammi felice compimento.
Tu che sei vero Dio e vero uomo,
Gesù mio Salvatore,
che vivi e regni per sempre. Amen
(San Tommaso d’Aquino)
522
LO EDUCÒ E NE EBBE CURA125
Cari genitori, dirigenti e docenti,
all’inizio del nuovo anno scolastico intendo rivolgere una parola
di incoraggiamento a ciascuno di voi per l’importanza che la vostra
opera educativa riveste nel cammino di crescita integrale e di maturazione personale delle nuove generazioni.
Conosco la vostra fatica e il vostro travaglio. Ascoltando le preoccupazioni che affliggono il vostro cuore, talvolta, si ha
l’impressione che l’educazione sia diventata così difficile da indurre
quasi alla rassegnazione e alla dismissione educativa. Serpeggia nel
mondo contemporaneo la convinzione che sia diventato impossibile esercitare la nobile arte dell’educazione perché i cambiamenti
socio-culturali sono stati così repentini da creare una profonda
frattura con la mentalità giovanile.
Si moltiplicano i dibattiti, le tavole rotonde, le inchieste. Ma la
soluzione tarda a venire. E tutti coloro che sono a diretto contatto
con i giovani sperimentano, giorno per giorno, la difficoltà di affrontare le nuove emergenze educative: il bullismo, la precocità
delle esperienze sessuali, talvolta perpetrate con violenza, la mancanza di disciplina, la difficoltà a perseverare nello studio,
l’abbandono della scuola.
A ben vedere, l’emergenza educativa non è se non il sintomo di
una delle più profonde e radicali svolte che l’umanità sta attraversando. Anche in ambito laico, cresce la consapevolezza del caratte125
Messaggio ai genitori, dirigenti e docenti all’inizio del nuovo anno scolastico
(2011-2012).
523
re ultimativo e decisivo di questa fase storica. Il sociologo americano Jeremy Rifkin, ad esempio, arriva a dire che «la crisi globale che
sta cominciando a colpire la nostra civiltà ci costringe a domandarci
se non abbiamo raggiunto il punto di svolta nella storia dell’umanità, perlomeno come è stata definita fin dall’avvento delle
grandi civiltà agricolo-idrauliche che hanno segnato la nascita della
coscienza storica»126. In questa prospettiva, Benedetto XVI, nel suo
ultimo libro-intervista, insiste sull’urgenza di «vedere attraverso il
momento attuale la necessità di una svolta, annunciarla, annunciare che essa non può avvenire senza una conversione interiore»127.
Di fronte a questo nuovo mondo che sta nascendo, occorre sviluppare una nuova pedagogia adeguata all’immagine di uomo che
si va configurando. Le considerazioni che seguono possono essere
considerate come semplici appunti per consentire un dialogo e un
confronto tra gli educatori. Ho utilizzato la forma del “decalogo”,
disponendo nella prima tavola le condizioni fondamentali dell’educazione e richiamando, nella seconda, il significato e il contenuto del compito educativo.
La prima tavola: le disposizioni e le convinzioni fondamentali
Per educare occorre creare un clima adatto al delicato compito
che si è chiamati a svolgere. L’educazione, infatti, è certamente
un’arte, una strategia, una competenza tecnica. Ma soprattutto è
una disposizione dell’anima. Si fonda cioè su una serie di convinzioni profondamente radicate nel cuore dell’educatore, pre-condizioni
indispensabili perché l’opera educativa sia compiuta in modo efficace. Raggruppo questi pre-requisiti nelle seguenti affermazioni:
126
127
J. RIFKIN, La civiltà dell’empatia, Mondadori, Milano 2010, p. 566.
BENEDETTO XVI, Luce del mondo, LEV, Città del Vaticano 2010, p. 96.
524
Educare è un’arte divina!
L’educazione è un compito così importante che coinvolge anche
Dio. Sì, anche Dio educa! La Sacra Scrittura lo afferma in modo
chiaro nel libro del Deuteronomio: «Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine piena d’urli e di desolazione. Egli lo circondò,
ne prese cura, lo custodì come la pupilla dell’occhio suo. Come
un’aquila che veglia la sua nidiata, si libra a volo sopra i suoi nati,
spiega le sue ali, li prende e li solleva sulle sue ali. L’Eterno, lui solo
l’ha condotto, e nessun dio straniero era con lui» (Dt 32,10-12).
Non c’è bisogno di una lunga spiegazione per evidenziare la bellezza di questo testo biblico. I primi due verbi (circondare e allevare)
esprimono rispettivamente l’affetto che si realizza nell’abbraccio e
la cura che si deve avere perché la vita cresca sana e nel migliore
dei modi. L’immagine successiva serve a far risaltare il coinvolgimento amorevole di Dio, per il quale il suo popolo è come la pupilla dell’occhio. Infine, l’aquila che volteggia sopra la sua nidiata e
insegna ai suoi piccoli a volare rispecchia la tenerezza materna e
paterna di Dio e la sua premura a rendere possibile la libertà
dell’uomo. In definitiva, questo breve richiamo biblico sottolinea
che l’educazione, prima di essere un compito, è un dono che si riceve da Dio e che è inscritto nelle fibre stesse della natura. Anche
gli animali si prendono cura dei loro piccoli! Figurarsi cosa deve fare l’uomo se vuole realmente esercitare la sua umanità. Dio è il
modello esemplare dell’educatore!
Educare è possibile!
L’educazione è sempre possibile. Essa, infatti, è sinonimo di
umanizzazione. La preferenza del termine “educazione” rispetto ad
altri ugualmente utili, come “istruzione” e “formazione” è data dal
fatto che vi è implicita un’idea di sviluppo globale della persona.
525
Considerando l’etimologia del termine “educazione” (dal latino educere, tirar fuori), il senso dell’educare è rappresentato proprio
da una sorta di “tirar fuori l’anima dal corpo”, ossia trovare
all’interno del soggetto (o della sua anima) il principio e il fine del
proprio percorso di sviluppo. In questa definizione, vi è una valorizzazione estrema del soggetto-persona, in quanto l’obiettivo del
processo educativo è diventare uomo nella sua globalità e interezza. L’educazione, pertanto, va intesa come un processo di umanizzazione, di “maieutica della persona”, nel senso che la persona va
“suscitata” e non addestrata o riempita di contenuti.
Educare è arte sublime, delicata, gioiosa!
In quanto “arte divina”, l’educazione esige che si esercitino le
stesse virtù messe in campo da Dio: la pazienza, la perseveranza
nel tempo e soprattutto la gioia. A tal proposito il Card. Martini afferma: «L’educazione è un’arte gioiosa; non può essere un lavoro
forzato. Nemmeno può essere motivata in se stessa da un fine di
lucro, ma soltanto dalla creazione armoniosa e felice il più possibile
di una persona umana. La soddisfazione e l’appagamento primo e
sommo sono dati a un vero artista dal capolavoro uscito dalle sue
mani. L’educazione, come ogni vera arte, non tollera ricette, formule, cliché. Esige nell’educatore originalità e individualità: chiede
che si educhi con gioia. Insieme esige un grande rispetto dell'individualità e originalità della persona da educare in un’atmosfera di
autenticità e di serenità».
Educare è frutto di una passione infinita!
L’educazione, soleva dire San Giovanni Bosco, è “cosa del cuore”, di un cuore appassionato. Due parabole lucane illustrano in
modo incomparabile il modo con cui Dio vive la sua “passione” per
526
l’uomo. Nella parabola del figliol prodigo, il versetto 20 del capitolo
15, attraverso cinque verbi, illustra le diverse fasi in cui si manifesta la compassione di Dio: accorgersi della presenza del bisognoso,
avvertire nel profondo del cuore una tenerezza materna, correre
verso l’indigente, abbracciarlo e stringerlo al collo, baciarlo come
segno di unione dell’anima e del corpo. Questo paradigma divino
trova un ulteriore riscontro nella parabola del Samaritano. Anche
in questo caso, i verbi sono indicativi della passione che abita in
Dio: «Passandogli accanto lo vide ne ebbe compassione. Gli si fece
vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui»
(Lc 10,33-34).
Educare è avere fiducia nella vita!
Educare non è un insegnamento da offrire, ma un esempio da
mostrare; un esempio di tipo esistenziale, e non solo di tipo morale. Non si tratta soltanto di comportarsi bene. Si tratta soprattutto
di dimostrare con i fatti di avere fiducia nella vita, di coltivare cioè
un sentimento di immensa gratitudine e apprezzamento del proprio essere, degli altri, del mondo, eliminando qualsiasi pensiero di
critica e di giudizio e assumendo la responsabilità di costruire una
società ispirata ai valori di giustizia e di pace. Fiducia significa eliminare ogni forma di paura e di turbamento e guardare il futuro
come un’alba e un’aurora che avanza.
La seconda tavola: il valore, il significato e il contenuto
dell’educazione
La seconda tavola del “decalogo educativo” intende indicare il
valore, il significato e il contenuto dell’educazione. Essa presenta
una numerosa serie di aspetti che vanno dalla consapevolezza
527
dell’inalienabilità del compito educativo (educatori si nasce!), al
suo concreto esercizio (educatori si diventa!) fino all’acquisizione
delle necessarie competenze per svolgere nel modo migliore questo delicato compito (si impara ad essere educatori!). Riassumo gli
obiettivi principali dell’educazione nelle seguenti espressioni:
Educare è aiutare a scoprire il senso della vita!
Lo smarrimento del senso della vita è la radice di ogni problema
esistenziale. Il documento della CEI sottolinea che, oggi, «le persone fanno sempre più fatica a dare un senso profondo all’esistenza.
Ne sono sintomi il disorientamento, il ripiegamento su se stessi e il
narcisismo, il desiderio insaziabile di possesso e di consumo, la ricerca del sesso slegato dall’affettività e dall’impegno di vita, l’ansia
e la paura, l’incapacità di sperare, il diffondersi dell’infelicità e della
depressione»128. Bisogna ripartire dal considerare l’uomo come mistero e metter in atto un processo educativo che consenta ad ogni
persona di riappropriarsi della sua dimensione misterica. Nell’uomo c’è qualcosa che lo trascende e lo riporta al mistero della sua
origine e della sua destinazione eterna. Benedetto XVI scrive che
«sarebbe una ben povera educazione quella che si limitasse a dare
delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande
domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può
essere di guida alla vita». Compito precipuo dell’educazione è di
aiutare a scoprire la verità sul senso della vita, su Dio, sull’uomo; la
verità dell’amore, della sofferenza, della passione per la vita.
Educare è coltivare e infondere una speranza affidabile!
Di solito si dice: finché c’è vita c’è speranza. Si tratta in una affermazione vera. Ma è ancor più vero dire: finché c’è speranza c’è
128
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 9.
528
vita! Si potrebbe cioè sovrapporre i due termini e affermare: vivere
è sperare, sperare è vivere! La speranza è fiducia nella vita, capacità
di guardare l’orizzonte per intravedere i segni del mondo nuovo
che avanza. «Anima dell’educazione, come dell’intera vita, afferma
Benedetto XVI, può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare
anche noi, come gli antichi pagani, uomini “senza speranza e senza
Dio in questo mondo”, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di
Efeso (Ef 2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda
per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione
c’è infatti una crisi di fiducia nella vita. Non posso dunque terminare questa lettera senza un caldo invito a porre in Dio la nostra speranza (…). La speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo
per me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci
rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla
verità e all'amore»129.
Educare vuol dire promuovere una formazione integrale della persona!
Alla frantumazione dell’io bisogna contrapporre una prassi educativa che valorizzi ogni dimensione della persona: intelligenza, volontà, sentimenti, emozioni. Maritain, filosofo francese, esponente
di rilievo della pedagogia personalista del Novecento, nella sua
opera Per una filosofia dell’educazione, parla di umanesimo integrale e integralità dell’uomo e indica la necessità di un approccio
multidisciplinare per la comprensione dell’uomo “totale” (fisico/biologico, razionale e spirituale).
129
BENEDETTO XVI, Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma, 21 gennaio 2008.
529
Educare è liberare il desiderio di libertà!
La vita è desiderio. Se si spegne il desiderio anche la vita si dilegua. Tra tutti i desideri, oggi, emerge l’anelito alla libertà. Con un
aforisma, si potrebbe dire che “la libertà è il presupposto dell’educazione. E l’obiettivo più importante dell’educazione è la libertà stessa”. Il concetto di “libertà” ha una natura intrinsecamente
pedagogica, in quanto fondamento, fine e mezzo dell’educazione
stessa e condizione metodologica del processo d’apprendimento e
di realizzazione personale e sociale. La libertà esprime il dinamismo
più autenticamente umano. Su questo tema cruciale si sofferma
anche Benedetto XVI nella sua Lettera alla Diocesi e alla Città di
Roma. In essa egli scrive: «A differenza di quanto avviene in campo
tecnico o economico, ove i progressi di oggi possono sommarsi a
quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna
persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni… Il rapporto educativo è anzitutto l’incontro
di due libertà, e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso
della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della
libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e
scelte sbagliate».
Educare è scoprire nel tempo semi di eternità!
Il tempo non è chiuso in se stesso, ma si apre all’orizzonte
dell’eterno. Allargare lo sguardo, fissare gli occhi della mente verso
ciò che è oltre il mondo sensibile è indice di un cuore sapiente. Maria, sorella di Santa Teresa del Bambin Gesù, soleva dire: «Mio padre e mia madre avevano una fede profonda e sentendoli parlare
530
insieme dell’eternità ci sentivamo disposte, sebbene fossimo giovani, a considerare le cose del mondo come pura vanità». Da parte
sua, il Santo Curato d’Ars riporta una preghiera che sua mamma
aveva impresso nel suo cuore: «Dio sia benedetto! Coraggio, anima
mia, - il tempo passa e l’eternità si avvicina - Viviamo come se dovessimo morire».
Cari genitori e docenti, la gravità dell’emergenza educativa esige una risposta corale, una grande alleanza tra tutti coloro che
hanno a cuore il bene delle nuove generazioni e il destino della società. Non bisogna arrendersi e demordere. Per Platone l’educazione è «l’arte di dare ai corpi e all’anima la bellezza e la
perfezione di cui sono capaci». Il compito è certamente arduo, ma
vale la pena di impegnare la propria vita per raggiungere un fine
così nobile.
Con riconoscenza per il vostro impegno educativo.
Ugento, 14 settembre 2011,
festa della Esaltazione della Croce.
Il vostro Vescovo
† Vito
I consigli di Sant’Ambrogio
«L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti a una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che
si amano abbastanza da non mendicare altrove l’affetto necessario.
Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate
per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e
531
guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna. Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro: siate fieri piuttosto che
vadano incontro al domani con slancio, anche quando sembrerà
che si dimentichino di voi. Non incoraggiate ingenue fantasie di
grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande non
siate voi la zavorra che impedisce loro di volare.
Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma
aiutateli a capire che decidere bisogna e non si spaventino se ciò
che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente. Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e che voi avete di loro; più di mille
raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in
casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio della passione, il gusto
per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere.
E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato,
e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di
quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo
ingiustamente accusato.
I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene
che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene»130.
130
Tratto da: Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano, Centro Ambrosiano, 1996.
532
I FUTURI SACERDOTI
SONO ANCHE IL FUTURO DELLA CHIESA131
Carissimi sacerdoti, consacrati e fedeli,
è quanto mai suggestivo legare la giornata di preghiera e di sostegno per il nostro Seminario vescovile alla solennità della Vergine
Immacolata.
In Maria, Tota Pulchra, ammiriamo con stupore il riflesso della
bellezza di Dio. In lei, riconosciamo anche la nostra vocazione di
donne e uomini chiamati ad essere «santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,4).
Contemplando la santità dell’Immacolata ci chiediamo: Non è
forse vero che, fatte le dovute differenze, Dio Padre opera un simile prodigio anche nei giovani chiamandoli a servizio del suo Regno?
E il Seminario, non è forse il luogo in cui Dio stesso, attraverso il discernimento del Vescovo e dei suoi collaboratori, predispone il
cuore di ragazzi e giovani perché possano dire con generosità e fiducia il loro sì alla chiamata del Signore?
Carissimi, noi lo sappiamo bene: laddove ci sono i futuri sacerdoti, c’è anche il futuro della Chiesa! Per questo il Seminario deve
essere necessariamente posto al centro delle attenzioni formative,
degli sforzi economici e dell’incessante preghiera di tutta la Chiesa
diocesana. Non dimentichiamo il monito di Gesù: «Pregate il padrone della messe, perché mandi nuovi operai per la sua messe»
(Mt 9,28).
131
Messaggio per la Giornata del Seminario Diocesano, Solennità dell’Immacolata, Ugento, 8 dicembre 2011.
533
Benedico di cuore gli educatori e i nostri seminaristi che vengono formati nei Seminari di Ugento, Molfetta e Roma. Nello stesso
tempo, penso ai ragazzi e ai giovani che frequentano le nostre parrocchie e i nostri oratori, molti dei quali dovrebbero essere aiutati
a discernere e riconoscere la voce del Signore. Per farlo, però, hanno bisogno di avere accanto laici, consacrati e sacerdoti appassionati della propria vocazione, dediti nell’insegnare a costruire
progetti di vita con Dio, capaci di cogliere i segni di vocazione presenti nelle nuove generazioni, senza mai trascurare, rimandare o
demandare ad altri questo compito, il più importante dell’azione
pastorale.
Guardando insieme a Maria, la Panaghia (“Tutta Santa”), esortiamoci a vivere la comune vocazione alla santità. Nuove e sante
vocazioni sorgono in una Chiesa che riscopre e si impegna a “educare alla vita buona del Vangelo” perché se è vero che preti santi
fanno un popolo santo, è altrettanto vero che un popolo santo genera vocazioni autentiche, motivate e generose.
Vi benedico di cuore!
534
ARTICOLI
IN UN ALBERO SENZA RADICI I FRUTTI NON MATURANO132
Prima del mio ingresso nella diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, sapevo, per sentito dire, che la tomba di don Tonino era diventata una meta obbligata per credenti e non credenti alla ricerca di
un moderno testimone della speranza. Non potevo, però, immaginare che si trattava di un flusso quasi ininterrotto di gente che in
tutti i mesi dell’anno si reca ad Alessano per sostare presso la sua
tomba e richiamare alla memoria un suo gesto o una sua parola
per la capacità che essi hanno ancora di meravigliare e attirare persone di diversa estrazione sociale, culturale e religiosa.
In questi primi mesi del mio ministero episcopale, ho partecipato a diversi incontri di giovani venuti ad Alessano per venerare la
sua tomba. E così ho potuto personalmente constatare il “via vai”
che si crea al cimitero. Uno strano paradosso: un luogo di silenzio e
di morte che risuona di voci e di vita!
Sono rimasto, così, meravigliato nel constatare il modo con il
quale, in modo particolare, i giovani vivono questo momento. Si può
vedere uno che, seduto sui gradini di pietra, è assorto nei suoi pensieri; un altro che, in segno di affetto e di ammirazione, depone un
fiore; un altro che lega ai rami d’ulivo un piccolo foglio dove ha scritto poche frasi; un altro ancora che recita una preghiera. Di solito, tra
il silenzio del vento che muove le foglie degli alberi, vengono letti alcuni passi degli scritti di don Tonino o si intonano canti ispirati ai
suoi messaggi. E a cantare non è solo la voce, ma anche il cuore.
132
Articolo pubblicato su “Il Grembiule”, Notiziario della Fondazione Don Tonino
Bello, dicembre 2011, n. 32, p. 2-3.
537
Si tratta, certo, di gesti semplici, di richiami a espressioni di don
Tonino divenute ormai famose e ricorrenti sulla bocca dei più. Ma
bastano quei pochi cenni per far sentire la sua presenza che continua a infondere in tutti sentimenti di speranza e di fiducia.
Ho assistito molte volte a scene come quelle richiamate sopra.
Non si è mai trattato di una monotona ripetizione. Il ripresentarsi
quasi identico dei gesti ha avuto sempre il sapore della novità. Dopo questi incontri, però, risuona nella mia mente sempre la stessa
domanda: Che cosa cercano coloro che vengono a far visita alla
tomba di don Tonino e che cosa portano via?
Naturalmente, a questo interrogativo, non è possibile dare una
risposta univoca. Diverse sono le situazioni personali e differenti i
bisogni e le attese. Forse c’è chi, deluso dalla società o dalla Chiesa,
cerca di aggrapparsi con tutte le forze alla testimonianza di vita di
don Tonino perché avverte che essa è un sostegno e uno stimolo
per riprendere con rinnovato vigore il cammino; forse c’è chi, pensando alla sua vita, desidera come lui rafforzare il suo generoso
impegno in favore dei poveri e dei più bisognosi; forse c’è chi vuole
amare il mondo con il suo stesso ardore e con la sua stessa passione. Tutti cercano qualcosa e sono sicuro che trovano, almeno in
parte, quanto desiderano.
Da parte mia, formulo l’auspicio che il contatto con l’ambiente
vitale nel quale don Tonino è vissuto e dove ha voluto essere sepolto dopo la sua morte aiuti a comprendere meglio la sua persona
e il suo messaggio. Non basta, infatti, leggere i suoi scritti o richiamare alla memoria i gesti che egli ha compiuto. È necessario fare
“un bagno” nei luoghi che l’hanno visto crescere, maturare e rafforzare le sue idee e i suoi più profondi convincimenti. Occorre
immergersi nella stessa atmosfera che egli ha respirato, in quell’ambiente vitale che è stato per lui l’humus da cui ha attinto le
538
immagini e le tonalità che poi ha travasato nelle parole e nelle espressioni più accattivanti dei suoi scritti.
Man mano che passa il tempo è necessario che si rinsaldino i
legami con la realtà storica e con il mondo reale in cui la personalità di don Tonino si è formata. È necessario cioè scoprire le radici
della sua santità! In caso contrario, si corre il rischio di trasformare
la sua proposta di vita in un discorso ideologico ed è possibile cadere proprio in quel pericolo da cui egli ha voluto mettere in guardia; è possibile cioè trasformare il cristianesimo in una ritualità
vuota, vivere la fede solo come una forma estetica, esteriore e fatua, assopirsi sulla ripetizione dell’identico.
E così, forse anche involontariamente, si cade in una nuova e
più moderna forma di retorica che non ha alcuna corrispondenza
con la vita. Contro la deviazione, alla quale non è facile sottrarsi, di
ridurre tutto a discorso e a parole senza la passione per la vita, nella bellissima preghiera a Maria, donna senza retorica, egli ha scritto
che nel linguaggio retorico «la parola si sfarina in un turbine di
suoni senza costrutto. Si sfalda in mille squame di accenti disperati.
Si fa voce, ma senza farsi carne. Ci riempie la bocca, ma lascia vuoto il grembo. Ci dà l’illusione della comunione, ma non raggiunge
neppure la dignità del soliloquio. E anche dopo che ne abbiamo
pronunziato tante, perfino con eleganza e a getto continuo, ci lascia nella pena di una indicibile aridità. (Santa Maria) proteggi le
nostre labbra dai gonfiori inutili. Fa’ che le nostre voci, ridotte
all’essenziale, partano sempre dai recinti del mistero e rechino il
profumo del silenzio»133.
Non parole, ma fatti. Non idee astratte, ma persone concrete.
Non vie facili e scontate, ma scelte coraggiose e controcorrente.
133
A. BELLO, Maria, donna senza retorica, in ID., Scritti mariani, cit., pp. 17-18.
539
Don Tonino, infatti, ha testimoniato la necessità di incamminarsi su
sentieri inesplorati, di avventurarsi su strade poco battute, di vincere la comodità del pensare ripetitivo e accomodante, di entrare
nelle “vene della storia”.
Insomma, diciamolo apertamente, don Tonino non vuole ammiratori entusiasti e, per usare il suo stesso linguaggio, “provoluti
ai suoi piedi”, ma seguaci coraggiosi e stimolanti; non desidera ripetitori stanchi di parole che suscitano solo un’emozione superficiale senza trapassare e ferire il cuore per farlo sanguinare di
amore e di compassione; non si accontenta di ritualità che placano
il desiderio di autenticità lasciando nell’anima una pace accomodante e senza lotta; non vuole essere trasformato in un “personaggio buono per tutte le stagioni” del quale tutti parlano con
entusiasmo e stima, ma che non inquieta più i cuori e non fa più
vibrare gli animi regalando loro “notti insonni”, non “sonni tranquilli”.
Sì, don Tonino pretende qualcosa di più!
E lo pretende soprattutto da coloro che desiderano essergli più
vicini e lo ricordano con venerazione e rimpianto. Insomma, lo esige da tutti coloro che vengono da lontano e, soprattutto, da noi, i
vicini, i custodi della sua tomba. Egli desidera che ciò che ha trasformato la sua esistenza, trasformi anche le nostre persone; che la
sua tomba sia sorgente di vita, non un semplice simulacro; e che
andando in profondità, quasi legando la nostra vita alle radici più
profonde del suo mistero, compiamo anche noi opere come quelle
che ammiriamo in lui.
Per questo occorre scoprire le radici del suo pensiero e il segreto della sua testimonianza, cercando di penetrare dentro il suo mistero per attingere alla sorgente e per diventare, noi, una nuova
sorgente di vita.
540
«Le radici della cultura sono amare, ma i frutti sono dolci» soleva dire Aristotele.
Ciò che vale a livello generale, vale anche a livello personale.
Solo chi è disposto ad assaggiare l’amarezza delle radici può produrre frutti saporosi. Senza radici, infatti, i frutti non maturano.
541
INTERVISTE
VIVO IL MINISTERO EPISCOPALE IN LAUDEM GLORIAE134
1. Eccellenza, a quasi otto mesi dall’insediamento in Diocesi
qual è l’aspetto che l’ha colpita di più in positivo e quale, invece,
in negativo?
Sento, innanzitutto, il bisogno di ringraziare ancora una volta il
Signore per il dono che mi ha fatto chiamandomi al ministero episcopale. Man mano che il tempo passa, per me diventa sempre più
evidente che, affidandomi questa comunità diocesana, il Signore
ha manifestato il suo amore per la mia persona. Certo, non è facile
dire a parole la gioia che porto nel cuore, sento però di poter dire
con Bernanos “tutto è grazia”!
Nella Diocesi di Ugento - S. Maria di Leuca vi sono molti aspetti
positivi. Ne richiamo due in modo particolare: la calorosa accoglienza da parte del popolo di Dio e la possibilità di instaurare rapporti non solo istituzionali, ma anche relazionali con i fedeli. Fin
dall’inizio sono stato colpito dal modo come sono stato accolto. Ho
potuto scorgere nella benevolenza della gente quella fede popolare che sa intravedere nei segni sacri e nei ministri ordinati la presenza di Cristo e della Chiesa. Il fatto, poi, che la Diocesi non sia
molto estesa e sia costituita da comunità non molto grandi facilita
la possibilità di conoscere le persone e di stabilire rapporti di familiarità e di reciproca stima. Non mancano aspetti problematici. In
primo luogo la necessità che si debba tener maggiormente conto
del bene comune e non solo di ciò che costituisce un vantaggio a
134
Intervista di Antonio Sanfrancesco, pubblicata in “Presenza Taurisanese”
XXIX, n. 9, settembre 2011, pp. 1-2.
545
livello personale. In secondo luogo, la difficoltà in campo sociale
per la precarietà e la mancanza di lavoro.
2. Nell’omelia iniziale lei ha sottolineato la dimensione popolare della fede di questa terra: «una fede», l’ha definita, «incarnata e colma di umanità». Non avverte però il pericolo che il
folclore, le feste popolari, la devozione ai Santi, con tutto il dispendio di soldi ed energie che spesso comportano, alla fine rischiano di allontanare gli uomini dalla fede autentica, come
ricorda il terribile ammonimento di Gesù nel Vangelo di Marco:
«Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano
da me»?
Per rispondere alla sua domanda è necessario stabilire la prospettiva dalla quale si considera il fenomeno della pietà popolare.
Negli anni ’70, una certa sociologia religiosa ha insistito sull’idea
che la pietà popolare fosse un residuo devozionale del passato e
una “deriva pietistica e folcloristica” della vera professione di fede.
In seguito, il giudizio è stato mitigato e le forme di religiosità popolare sono state riconosciute come autentiche modalità in cui si esprime la fede del popolo di Dio. Giovanni Paolo II ha definito la
pietà popolare un “vero tesoro del popolo di Dio”.
Occorre, infatti, considerare che il popolo di Dio è un soggetto
ecclesiale che, con il suo “sensus fidei” – come ha sottolineato il
Concilio Vaticano II – ha una capacità di cogliere adeguatamente i
misteri della fede e di tradurli in forme consone alla cultura della
gente comune. La fede non è solo per i dotti e i sapienti, lo è soprattutto per gli umili e i semplici. D’altra parte, bisognerebbe considerare il “valore sociale” della religiosità popolare. In un mondo,
come il nostro, attraversato dai fenomeni della disgregazione
dell’io e della frantumazione sociale la possibilità che le singole
persone e l’intera comunità ritrovi nella ricorrenza del santo patro546
no un’opportunità per fare festa insieme Le sembra un valore di
poco conto? Certo, occorre anche vigilare e orientare il sentimento
religioso perché riconosca gli autentici valori del Vangelo e non
scada in forme spurie di religiosità.
3. Il castello che campeggia nel suo stemma episcopale è in
oro, il metallo più nobile, che è simbolo della prima virtù teologale, la fede. Qualche anno fa Benedetto XVI l’ha definita come «una fiamma che rischia di spegnersi perché non trova più
nutrimento». La Chiesa, soprattutto in Occidente, oggi, si trova di
fronte a una sfida decisiva nei confronti di chi fatica a credere. Lei
è ottimista o pessimista?
Si può considerare la Chiesa nella sua dimensione sociale, come
un popolo che vive nel tempo ed è da esso segnato. In questo senso io mi dichiaro un “realista”, mi attengo cioè ai fatti. Questi attestano che, da una parte, è innegabile che la nostra società e la
Chiesa che in essa vive stanno attraversando una “profonda crisi”,
dall’altra è anche vero che la Chiesa e la comunità degli uomini
mostrano segni di vitalità e di ripresa. Il desiderio di giustizia, di pace, di solidarietà sono “indizi” di un mondo nuovo che avanza. In
questo mondo, la fede ha ancora il suo posto se i cristiani sapranno
dare ascolto alla voce che sale dal mondo e al suo bisogno di testimoni autentici del Vangelo. Una fede purificata non teme la “crisi”,
ma è destinata a brillare!
Si deve, poi, considerare che i fenomeni sociali non seguono regole deterministiche. Negli anni ’70 sembrava che il comunismo
dovesse trionfare. È bastato solo un decennio per decretarne la sua
sconfitta. Negli stessi anni, molti sociologi avevano preconizzato la
morte della religione. Solo pochi anni dopo, gli stessi studiosi hanno scritto saggi sul “ritorno di Dio” e sul proliferare del bisogno del
sacro proprio nelle società più secolarizzate. Si deve, pertanto, es547
sere cauti nell’analizzare i fenomeni sociali, soprattutto quando
questi fanno riferimento a realtà che non sono solo eventi umani.
La fede, infatti, è una “virtù teologale” cioè viene da Dio. La
Chiesa è una realtà “teandrica” perché è fatta da uomini, ma anche
da Dio. In questo senso, io mi dichiaro “ottimista” perché bisogna
tener presente l’imprevedibilità di Dio e la libertà del suo Spirito
che muovono la storia, ma sono liberi dai condizionamenti storici.
Lei crede che Dio agisce nella storia? E se è Dio ad agire, non ritiene che la fede abbia qualche chance in più per non morire? Non
per essere trionfalista, ma per amore alla verità mi sembra opportuno citare una frase della Scrittura che dice: «Fides victoria nostra»!
4. La pedofilia nel clero ha sfregiato il volto della Chiesa allontanando dalla fede tanti uomini. Non ritiene forse che prima del
pontificato di Benedetto XVI questo fenomeno non sia stato affrontato con il giusto rigore e severità e, in certi casi, addirittura
sistematicamente occultato?
Il giudizio su questo tema è stato già ampiamente illustrato dai
numerosi interventi del Magistero nei quali sono state riconosciute
le inadempienze, ma si è anche sottolineato il desiderio e la volontà di fare verità. A me sembra che il criterio più idoneo sia quello
richiamato dal versetto 11 del salmo 85: «Misericordia e verità si
incontreranno, giustizia e pace si baceranno». Nella circostanza da
lei richiamata, come in molti altri casi, è necessario che si agisca
tenendo insieme misericordia e verità, giustizia e pace.
5. Sempre più spesso oggi nel dibattito pubblico i cattolici
vengono sbeffeggiati da un ateismo che non ha nulla purtroppo di
quello tragico e fecondo di pensieri e di dubbi di un Baudelaire,
Nietzsche, Montale, Oscar Wilde – giusto per citare solo alcuni.
Come reagire, secondo lei?
548
Non crede che anche certi preti abbiano precise responsabilità, visto che spesso parlano di tutto ma tacciono sull’essenziale e
hanno abbandonato quella che un tempo si chiamava apologetica, ossia la difesa della razionalità e della ragionevolezza della fede contro gli atei da talk show tanto in voga di questi tempi?
È certamente vero che l’apologetica è andata un po’ in disuso
dopo il Concilio Vaticano II. L’insistenza sulla necessità del dialogo
ha messo in secondo piano l’importanza del confronto critico con
la cultura contemporanea. Si è posto l’accento sui punti di convergenza, piuttosto che su quelli di divergenza. In questi ultimi tempi,
però, si va facendo strada l’idea della necessità di una “nuova forma di apologetica” che faccia leva sul binomio verità-carità. È il
binomio continuamente ribadito da Benedetto XVI. L’enciclica Caritas in veritate ne è una magistrale illustrazione. È necessario cioè
illuminare l’intelligenza, ma anche far risplende l’amore. All’uomo
contemporaneo, occorre mostrare la verità dell’amore e l’amore
per la verità.
6. Dei giovani, spesso, anche in un certo mondo ecclesiastico,
se ne parla con una retorica che appare fredda e distante, se non
proprio cinica. Eppure la spiritualità e il “senso religioso”, per usare un’espressione cara a don Giussani, è un desiderio molto vivo e
diffuso anche nel loro mondo che spesso viene etichettato come
distratto o troppo trasgressivo. D’altra parte, i grandi concerti
rock non sono forse un modo per sentirsi comunità e famiglia attorno a una figura carismatica? Cosa deve fare la Chiesa perché
dalla spiritualità vaga e generica, allergica a ogni impegno in
campo morale, si passi a una religiosità meno fai da te e più consapevole?
Mi sembra che la Chiesa sia già incamminata nella direzione da
Lei indicata. Se pensiamo all’opera compiuta da Giovanni Paolo II e
549
a quanto propone Benedetto XVI con la sua insistenza sulla necessità di coniugare la fede con la ragione e la preghiera con la testimonianza della vita, allora non dovremmo avere dubbi sulla
validità della via sulla quale la Chiesa intende promuovere la sua
missione. Non vi è dubbio che occorre far leva anche sul “bisogno
di sacro” presente nel mondo contemporaneo, ma è anche necessario annunciare con la parola e mostrare con la vita che solo in
Cristo è possibile incontrare e riconoscere il vero volto di Dio. Per
uscire dal vago e dal generico è necessario presentare la dimensione
storica e concreta della fede cristiana. In altri termini, bisogna sottolineare la centralità di Cristo nella vita della Chiesa e nella società
umana. È lui, Gesù Cristo, uomo-Dio, l’unico che può parlare in modo autentico di Dio all’uomo e consentire all’uomo di incontrare Dio.
7. Sullo smarrimento dell’uomo contemporaneo lei ha citato
di recente un’espressione del poeta Gibran: «Viviamo solo per
scoprire nuova bellezza. Tutto il resto è una forma d’attesa».
Non crede che la Chiesa spesso più che annunciare la bellezza
cerchi di gravare l’uomo di una serie di regole e divieti riducendo
di fatto il Vangelo a mero sistema morale?
Condivido con Lei che, talvolta, il Vangelo è stato presentato
come un sistema morale più che come una “buona notizia”. Oggi,
però, si sottolinea molto di più che il cristianesimo non è altro che
l’incontro con la persona di Gesù. Benedetto XVI nella sua prima
enciclica, Deus caritas est, ha scritto una frase che ormai è diventata uno slogan continuamente ripetuto: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì
l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita
un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Occorre che
questa prospettiva sia continuamente richiamata, senza però dimenticare il valore della legge morale e dei comandamenti. Certo,
550
nella cultura contemporanea parlare di doveri e di obblighi sembra
quasi un attentato alla libertà personale. Nella visione biblica, invece, la Legge non è una forma restrittiva della libertà, ma un suo
potenziamento e i comandamenti non sono un carcere per imprigionare la creatività e lo spontaneità, ma direzioni che indicano la
via giusta da percorrere, anzi ali che consentono di spiccare il volo.
8. Le cronache estive sono piene di casi di giovani che muoiono nei “paradisi dello sballo”, da Ibiza a Mykonos a Formentera. I
media li definiscono trasgressivi. Ma non sono forse questi giovani straordinariamente obbedienti all’educazione che viene loro
impartita dagli adulti a base di slogan come sessualità libera e ricreativa, il divieto di negare qualcosa, il principio d’autorità fatto
a pezzi…
Indubbiamente, nella nostra società mediatica fanno più notizia
i casi di giovani “trasgressivi”. Ed è anche vero che vi è una sorta di
“schizofrenia sociale”: da una parte si proclama la necessità di vivere secondo una “libertà senza freni”, dall’altra ci si scandalizza
quando accadono casi come quelli che Lei ha richiamato. Occorre
riportare tutto a un “principio di ragione”, oltre che di fede. Perché
è proprio nell’affidamento a un sano esercizio della ragione che si
potrà trovare il parametro giusto per la pratica della libertà e per la
delineazione di criteri condivisi e di regole comuni che orientino la
vita dei singoli e della società.
9. Dove sta Dio nella società contemporanea?
Nella nostra società secolarizzata e globalizzata è ancora molto
forte il “desiderio di Dio”, anche se le vie per incontraLo sono disparate e non sempre adeguate allo scopo. A me sembra che le vie
più consone alla mentalità contemporanea siano le seguenti: la via
dell’amore, della bellezza e della libertà.
551
Dio lo si può incontrare nel comune bisogno di solidarietà. Dopo la cosiddetta “bolla finanziaria”, appare sempre più evidente
che se l’economia non tiene conto di regole morali rischia di autodistruggersi. In un mondo globalizzato, o ci si salva insieme o si corre il rischio di soccombere tutti. Per questo l’attenzione alla
povertà e alle necessità materiali di gran parte del mondo non è
solo un dovere etico, ma una necessità pratica.
Dio lo si può incontrare nel diffuso desidero di bellezza. Si deve,
però, ricordare che la bellezza non coincide solo con un parametro
estetico, ma anche con un criterio etico. Come dicevano i greci, il
bello va sempre coniugato con il buono.
Infine, Dio lo si può incontrare nell’anelito alla libertà. Non
sembra anche a Lei un fatto curioso che gran parte dei partiti politici italiani (di destra e di sinistra) evochino nei loro nomi e nei loro
programmi la parola libertà? Evidentemente, già a livello politico la
libertà è ritenuta una categoria imprescindibile per dialogare con la
gente. Altra cosa è, poi, determinare il senso esatto e il significato
specifico di questa parola. Questa questione richiederebbe una
lunga riflessione che non è possibile fare in questa sede. Vale solo
la pena ricordare, come già sottolineava Hegel, che la libertà è entrata nel vocabolario mondiale con l’avvento del cristianesimo. Le
sembra un merito di poco conto?
10. Qual è l’ultimo pensiero che fa la sera prima di andare a
dormire?
Quando non sono stanco, mi piace ricordare o recitare una poesia. Sempre ritengo doveroso ringraziare il Signore. La vita è troppo bella per non stupirsi e non render lode a Dio. Il mio motto
episcopale, infatti, è: in laudem gloriae (a gloria di Dio)!
552
PRESENTAZIONI
“INSIEME”: TITOLO DI UN GIORNALINO
E PROGRAMMA PASTORALE135
Le tre parrocchie di Ugento, sotto la guida dei rispettivi parroci,
hanno deciso di realizzare un giornalino interparrocchiale al quale,
significativamente, hanno dato il titolo: Insieme. Plaudo all’iniziativa e al titolo che è stato scelto perché esprime la volontà di camminare su uno stesso sentiero raccordando le energie e le forze
disponibili e proporre a tutti un comune percorso pastorale.
“Insieme” è una parola molto espressiva già nel suo contenuto
semantico. Riferito a persone, indica associazione, compartecipazione, condivisione, compagnia. Se si considera il termine nel suo
senso più stretto designa la comunione di vita e una certa intimità.
In un’accezione simbolica esprime l’armonia, l’accordo tra le parti.
Preceduto dall’aggettivo “tutti” richiama la completezza di un
gruppo, la totalità. Riferito a cosa, indica unione, coesione, integrazione o denota anche accostamento armonioso di elementi (di
forme, colori, simboli). In senso traslato, esprime la capacità di
formulare un pensiero attraverso l’accostamento di concetti e parole, la coesistenza e la contemporaneità di fatti distinti e, talvolta,
anche contrastanti, fino a indicare un complemento di compagnia
e di unione, un raccordo tra le parti, una visione unitaria che abbraccia e sintetizza tutti gli aspetti di una questione. Nella matematica, il termine viene utilizzato come un concetto fondamentale
legato alla possibilità di considerare oggetti distinti che costituiscono un tutto unico: la famosa teoria degli insiemi.
135
Presentazione del Giornale interparrocchiale “ Insieme”, Ugento, Dicembre
2011, pp. 2-5.
555
Da queste sintetiche considerazioni di tipo linguistico si evince
l’importanza della parola “insieme” e, conseguentemente, del concetto che essa esprime. Questo molteplice uso del termine richiama la necessità che la vita sia regolata dal desiderio di creare
relazioni, favorire convergenze, facilitare assonanze, instaurare collegamenti, procedere a una sintesi. Al fondo, c’è la convinzione che
la dimensione organica della vita debba ritrovarsi anche nei rapporti tra le persone, nella loro capacità di costruire un “organismo
sociale”, un ambiente vitale nel quale molti possano ritrovarsi e
sentirsi a casa propria.
Il valore che tutto questo esprime sul piano umano e sociale si
rafforza ancora di più se si coniuga il termine anche sul piano religioso. Per il credente l’avverbio “insieme” risulta ancora più decisivo perché è la stessa Sacra Scrittura a consacrare l’importanza del
suo significato. La Parola di Dio, infatti, contiene l’invito a riunirsi e
a stare insieme per lodare congiuntamente il Signore. Il Sal 34,4
così recita: «Esaltiamo insieme il nome del Signore». La preghiera
comune dà forza all’invocazione, crea armonia tra le persone, richiama il valore dell’unanimità, sottolinea la necessità di superare
ogni forma di individualismo e di divisione, moltiplica i frutti. Ogni
forma di frazionamento, al contrario, rende debole la supplica fino
a trasformarla in una realtà inautentica. È un controsenso rivolgere
la propria invocazione all’unico Dio e non ritrovarsi, poi, a vivere
forme di comunione con i propri fratelli.
Non basta, infatti, pregare insieme, occorre anche vivere insieme. È quanto auspica il Sal 133,1: «Quanto è buono che i fratelli vivano insieme». L’espressione non richiama soltanto la strutturale
forma sociale della vita umana né indica semplicemente il legame
essenziale che unisce l’uomo al suo simile, ma evidenzia anche la
bontà-bellezza di riconoscersi fratelli accomunati da un medesimo
556
modo di sentire e da uno stesso legame affettivo. Il vincolo parentale e familiare dà un fascino particolare alla vita, ne esalta la sua
magnificenza, la rende più attraente, ne evidenzia la gradevolezza.
In altri termini, ognuno sperimenta di non essere un numero, una
cosa tra le altre inserito in un ambiente freddo e anonimo, ma sa di
essere una “persona”, un volto alla ricerca di altri volti, una identità
desiderosa di scoprire e di confrontarsi con altre identità, un “bene
relativo” bisognoso di relazionarsi con un altro “bene relativo” per
elevarsi insieme verso il “Bene assoluto”.
Questi due riferimenti anticotestamentari, da soli, sono sufficienti a dare il giusto valore al termine “insieme”. Esprimono, infatti, una visione della vita che superando ogni forma di individualismo e di egoismo, mette al primo posto la relazione, il
riconoscimento di se stessi nell’indispensabile rapporto con gli altri. Il Nuovo Testamento si pone in piena sintonia con questa visione e, in un certo senso, la radicalizza ancora di più. Parafrasando la
famosa espressione che soleva dire il monaco cistercense Thomas
Merton “Nessun uomo è un’isola”, si può dire che “Nessun cristiano è un navigatore solitario”. Fin dall’inizio, il cristiano comprende
che la sua fede ha un’ineliminabile dimensione comunitaria.
Si è cristiani, innanzitutto, perché ci si riconosce “salvati da Cristo”, il quale con la sua opera redentiva ha inserito tutti gli uomini
in Lui. «Cristo – afferma l’apostolo Paolo – è morto perché noi viviamo insieme con lui» (1Ts 5,10). Qui sta la radice dell’unità tra i
credenti. Non si tratta principalmente di un rapporto orizzontale,
ma di un rapporto verticale: possiamo vivere uniti tra noi perché
tutti uniti in Cristo. Ed è ancora San Paolo a sottolineare che si tratta non solo di una unità morale ed etica o solo di tipo esemplare,
ma di una relazione essenziale. I cristiani – sottolinea l’apostolo –
sono «radicati e fondati in Cristo» (Col 2,7). Le due immagini, quel557
la della radice di una pianta e quella delle fondamenta di una casa,
sono abbastanza eloquenti per indicare la natura dell’unità tra Cristo e i cristiani e tra i cristiani tra di loro. Si tratta di una unità essenziale e non solo morale.
Questa unità prende il nome di “Chiesa”. Vale la pena, a tal
proposito, ricordare che la parola “Chiesa” significa convocazione,
chiamata di tutti i discepoli a vivere nell’unità e a formare un “cuore solo e un’anima sola”. Dopo la risurrezione, infatti, gli apostoli si
stringono attorno a Gesù (cfr. At 1,6) e vivono insieme la preghiera,
l’esperienza di fede, la vita della comunità, il possesso dei beni e
delle risorse materiali, la celebrazione eucaristica, l’annuncio e la
missione alle genti (cfr. At 2,1; 2,44; 4,24; 5,12). Il modello ecclesiale incarnato dalla primitiva comunità cristiana diventa il punto di
riferimento costante nella storia della Chiesa e rappresenta il paradigma della vera vita comunitaria. A quel modello si sono ispirati
tutti i fondatori di nuovi Ordini e Congregazioni religiose per ridare
nuovo vigore, incisività e smalto a una vita cristiana vissuta secondo l’ideale evangelico. Sono nate così le molteplici famiglie religiose: diverse nelle forme, ma accomunate dallo stesso ideale di vita
apostolica.
A questa annotazione, si può aggiungere un’altra di carattere
storico-salvifica. La Chiesa non guarda solo a se stessa, non ha una
dimensione autoreferenziale, ma è aperta a tutto il mondo e
all’umanità intera. Essa – sottolinea il Concilio Vaticano II – è chiamata, in Cristo, ad essere «come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere
umano» (Lumen gentium, 1). Vi è, dunque, una responsabilità planetaria. La comunità cristiana, dovunque si trova e qualunque sia la
sua consistenza numerica, acquista il valore di un simbolo che supera se stessa e si allarga a rappresentare l’intera umanità. Essa,
558
infatti, è il segno e, nello stesso tempo, è lo strumento di cui Dio si
serve per condurre all’unità tutto il genere umano.
Infine, è giusto richiamare un altro aspetto e, cioè, la natura escatologica dell’unità. L’aspirazione a ritrovarsi insieme non si riferisce solo alla condizione storica della vita dell’uomo, ma contiene
anche l’anelito a cui l’umanità tende nel regno futuro. La terza Preghiera Eucaristica così recita: «Concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria». In questa prospettiva,
l’unità raggiunta sulla terra è solo di tipo incoativo. Si tratta di un
inizio che si perfezionerà alla fine quando tutto sarà nella gloria di
Dio. Allora, l’unità raggiungerà la sua perfezione e sarà proprio
l’unione con Dio e con i fratelli il motivo della gioia senza fine.
In conclusione, il termine “insieme” è una piccola parola con
una grande prospettiva che ha valore nel tempo e nell’eternità. Per
questo, esprimo il mio più vivo compiacimento per l’iniziativa intrapresa dalle tre parrocchie di Ugento e auguro che il titolo del
giornalino diventi un programma di azione pastorale.
559
PREGHIERE
PREGHIERA ALLA VERGINE IMMACOLATA
Vergine Immacolata,
luminoso riflesso della santità divina,
tu che dall’eternità sei stata amata dal Padre,
venerata come Madre dal Figlio,
circondata di luce dallo Spirito,
fa’ che riconosciamo la nostra dignità
di cristiani, rigenerati nel battesimo,
segnati con il sigillo dello Spirito,
predestinati dall’eternità, come figli nel Figlio,
ad essere santi e immacolati nell’amore
a lode e gloria di Dio Padre.
Vergine bella, «vestita di sole,
con la luna sotto i tuoi piedi
e sul capo una corona di dodici stelle» (Ap 12,1),
fa’ che, redenti dal peso dei nostri peccati,
liberati da ogni turbamento e paura,
deposto ogni inganno e ipocrisia,
diventiamo «pietre vive di un edificio spirituale,
per un sacerdozio santo che offra
sacrifici spirituali, graditi a Dio,
per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore» (1Pt 2,5).
O Tutta Santa,
specchio della divina bellezza,
difendici dagli assalti del Maligno,
563
rendici irreprensibili e luminosi
nello splendore della verità,
fa’ che, «radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede» (Col 2,7),
«lieti nella speranza, pazienti nelle avversità,
perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12),
ci amiamo gli uni gli altri con cuore puro
e amiamo tutti gli uomini con carità ardente.
564
NOTIFICAZIONI, DECRETI E NOMINE VESCOVILI
MINISTERI
DECRETI VESCOVILI
CANCELLERIA
s. e. mons. Vescovo con Decreto:
n. 9/2011
del 29 settembre 2011
ha promulgato lo Statuto e il Regolamento del Museo Diocesano.
n. 13/2011
del 1° novembre 2011
ha eretto canonicamente l’Archivio Diocesano, con
sede in Ugento, piazza San Vincenzo n.1, approvando e promulgando il relativo Regolamento.
UFFICIO AMMINISTRATIVO
s. e. mons. Vescovo con Decreto:
n. 9/2011
n. 10/2011
del 1° luglio 2011
ha autorizzato il legale rappresentante della parrocchia “S. Michele Arcangelo” in Castrignano del Capo
ad accettare la donazione dell’immobile della sig.na
Ada Storella
del 29 settembre 2011
ha autorizzato il legale rappresentante della Confraternità del “Santo Rosario” in Salve ad accettare la
donazione del sig. Vincenzo De Donatis
567
n. 11/2011
del 10 ottobre 2011
ha autorizzato il legale rappresentante della parrocchia “Sant’Antonio di Padova” in Depressa ad accettare la donazione della sig.ra Rizzo Mirella
n. 12/2011
dell’8 novembre 2011
ha autorizzato il legale rappresentante dell’I.D.S.C.
della Diocesi di Ugento-S. M. di Leuca ad alienare il
terreno agricolo ai sigg. Ferraro Carmela, Agosto
Biagio, Nuccio Maria, Longo Francesco, Licchetta Cosima, Riso Pasqualina, Russo Giuseppe, Russo Fernando
n. 13/2011
dell’8 novembre 2011
ha autorizzato il legale rappresentante della Diocesi
di Ugento-S. M. di Leuca a sottoscrivere idoneo atto
per l’acquisto dell’immobile sito in Tricase alla via
Galvani da adibire a “Casa di accoglienza” per i parenti dei malati dell’Ospedale di Tricase
n. 14/2011
del 15 dicembre 2011
ha autorizzato il legale rappresentante della parrocchia “Santi Pietro e Paolo” in Taurisano ad alienare il
terreno edificabile al sig. Rocco Di Seclì.
568
NOMINE VESCOVILI
s. e. mons. Vescovo ha nominato:
in data 15.08.2011 mons. Giuseppe Martella, Amministratore
Parrocchiale della Comunità Parrocchiale “S.
Lorenzo martire” in Barbarano del Capo
don Antonio Caccetta, Amministratore parrocchiale della Comunità Parrocchiale “S. Giovanni Elemosiniere” in Morciano di Leuca
don Salvatore Chiarello, vice-Rettore del Seminario Vescovile “mons. F. Bruni” di Ugento
don Ippazio Nuccio, Vicario Parrocchiale della
Comunità Parrocchiale “Trasfigurazione di
N.S.G.C.” in Taurisano
don Oronzo Cosi, Parroco della Comunità Parrocchiale “S. Michele Arcangelo” in Supersano
don Luca De Santis, Parroco della Comunità
Parrocchiale “S. Andrea Apostolo” in Salignano
don Flavio Ferraro, Parroco della Comunità
Parrocchiale “Natività B.V.M.” in Tricase
don Andrea Carbone, Parroco della Comunità
Parrocchiale “S. Antonio da Padova” in Depressa
don Quintino Pecoraro, Parroco della Comunità Parrocchiale “Maria SS. Immacolata” in
Montesano Salentino
569
don Francesco Cazzato, Parroco della Comunità Parrocchiale “S. Andrea Apostolo” in Presicce
don Pasquale Carletta, Parroco della Comunità
Parrocchiale “S. Giovanni Crisostomo” in Giuliano di Lecce
don Antonio De Giorgi, Parroco della Comunità Parrocchiale “Presentazione B.V.M.” in
Specchia
don Vincenzo Paolo Zecca, Parroco della Comunità Parrocchiale “Madonna dell’Aiuto” in
Torre San Giovanni
don Stefano Ancora, Parroco della Comunità
Parrocchiale “San Giovanni Bosco” in Ugento
don William Del Vecchio, Parroco della Comunità Parrocchiale “S. Andrea Apostolo” in Tricase
don Mario Ciullo, Parroco della Comunità Parrocchiale “Maria SS. Immacolata” in Torrepaduli
don Antonio Turi, Parroco della Comunità Parrocchiale “S. Cuore di Gesù” in Ugento
don Pietro Carluccio, Parroco della Comunità
Parrocchiale “Presentazione B.V.M.” in Montesardo
don Rocco Zocco, Parroco della Comunità
Parrocchiale “Maria SS. Assunta in Cielo” in
Ugento
in data 01.09.2011 mons. Salvatore Palese, Vicario Episcopale per
la cultura
570
in data 04.10.2011 don Rocco Maglie, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia “S. Francesco d’Assisi” in
Ruffano
in data 01.11.2011 don Giuseppe Indino, Direttore del Museo
Diocesano
in data 29.11.2011 il sig. Cino Luigi Commissario della Confraternita “SS. Rosario” in Gemini
in data 08.12.2011 mons. Giuseppe Stendardo, Parroco della
Comunità Parrocchiale “San Lorenzo Martire”
in Barbarano del Capo
in data 27.12.2011 mons. Gerardo Antonazzo, Parroco e Rettore
del Santuario “S. Maria de Finibus Terrae” in
Leuca.
571
MINISTERI
in data 11.12.2011 il seminarista Biagio Orlando della Parrocchia
“S. Sofia” in Corsano ha ricevuto il Ministero
dell’Accolitato nella Cappella del Seminario
Regionale di Molfetta
i seminaristi Biagio Errico della Parrocchia “S.
Sofia” in Corsano e Andrea Malagnino della
Parrocchia “SS. Apostoli Pietro e Paolo” in Taurisano, hanno ricevuto il Ministero del Lettorato nella Cappella del Seminario Regionale di
Molfetta
in data 18.12.2011 il seminarista Andrea Romano della Parrocchia
Cattedrale di Ugento ha ricevuto il Ministero
dell’Accolitato nella stessa Chiesa Cattedrale
in data 26.12.2011 l’accolito Pierluigi Nicolardi della Parrocchia
“SS. Salvatore” in Alessano ha ricevuto il sacro
Ordine del Diaconato nella Chiesa Cattedrale
di Ugento.
572
ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI
AGGIORNAMENTO RESIDENZIALE DEL CLERO
PRESSO LA DIOCESI DI NOTO
DALL’ASCOLTO DI “RELAZIONI” AL VISSUTO DELLA RELAZIONE
L’aggiornamento del clero è caratterizzato, di solito, da un insieme di relazioni da ascoltare con più o meno interesse, secondo
la disposizione interiore di ciascuno, per approfondire alcuni temi
di carattere teologico o pastorale. Negli ultimi anni, grazie a una felice intuizione di Mons. De Grisantis, ha anche assunto una forma
comunitaria residenziale, fuori dai luoghi soliti del ministero ordinario, permettendo ai sacerdoti di vivere per alcuni giorni, accanto
all’impegno intellettuale, anche una certa forma di fraternità talvolta non facilitata dal quotidiano lavoro nelle parrocchie. Tutti abbiamo apprezzato e favorito questo stile, sebbene richiedesse un
supplemento di lavoro per i sacerdoti rimasti in diocesi, intenti a
sostituire i confratelli che, alternandosi in due turni, partecipavano
a questa esperienza di crescita personale e comunitaria. Pur mantenendo questo stile comunitario, il nostro nuovo Pastore, Mons.
Angiuli, ha voluto dare a questa esperienza una spinta nuova, caratterizzandola come una visita di una Chiesa ad una Chiesa sorella,
favorendo una reciproca conoscenza ed uno stimolo alla comunione.
Con questi intenti dal 14 al 18 novembre 2011 abbiamo visitato
la Chiesa di Noto (Sr).
Eravamo ventuno sacerdoti, accompagnati dal nostro Vescovo,
e siamo partiti in pullman, prima dell’alba, diretti in Sicilia. Il mezzo
di trasporto ha anche favorito e manifestato da subito il desiderio
di stare insieme e di condividere questa esperienza, ricolmando il
575
tempo del viaggio di preghiera, di canti e di non poche storielle curiose.
A Noto abbiamo sperimentato subito una fraterna quanto calorosa accoglienza, sia nelle chiese in cui abbiamo celebrato l’Eucaristia (prima fra tutte la bellissima e famosa cattedrale), sia
nell’accoglienza del Vicario Generale e del Sindaco, sia nelle diverse
comunità che abbiamo visitato.
A mio parere, tutti i momenti vissuti sono stati occasioni di
nuove conoscenze e di crescita, ma alcuni in particolare hanno dato spessore ai nostri giorni vissuti in una terra ricca di storia, di arte, di cultura e di fede. Anzitutto l’incontro con il Vescovo di Noto,
Mons. Antonio Staglianò, il quale, oltre a presentarci la vita e la situazione della Diocesi e il lavoro per avviare le comunità di parrocchie, ci ha stimolati a riflettere sul senso profondo del nostro
essere presbiterio, in una Chiesa locale, in un determinato momento storico. Alle parole del Vescovo Antonio hanno fatto eco, in un
dispiegarsi quotidiano di celebrazioni, le parole del nostro Vescovo
Vito, che nelle omelie ha tracciato il percorso per poter realizzare
la profezia conciliare di una Chiesa che vive la comunione come
tratto essenziale della sua identità, della sua esistenza e della sua
missione. I temi che il nostro Vescovo ha approfondito hanno preso spunto sia dalla Parola proclamata nella liturgia, sia dai luoghi
visitati e dalle persone incontrate, spaziando dalla necessità del
martirio e della contemplazione (Santuario di S. Corrado), allo
sguardo grato e compassionevole sul mondo, fino al dono delle lacrime (Santuario Madonna delle lacrime di Siracusa), e toccando
temi quali la continua conversione e purificazione della Chiesa e il
suo impegno di rinnovamento nella recezione del Concilio. Tutto
ciò ci ha offerto una sorta di chiave di lettura dell’esperienza vissuta nella dimensione della communio ecclesiarum.
576
Cuore della visita è stato l’incontro a Modica con il Direttore
della Caritas diocesana, Dott. Maurilio Assenza, che ci ha accolti insieme al Vicario Episcopale per il Clero Don Corrado Lorefice. Il
Dott. Assenza, nel presentare l’impegno della Caritas diocesana, ci
ha esortati a valorizzare lo stile pedagogico della Caritas per la
formazione degli animatori della carità in vista dell’attenzione alle
concrete necessità dei poveri, e ci ha introdotti nella conoscenza di
luoghi significativi nati per dare risposte ai bisogni del territorio.
Con lui abbiamo conosciuto la “Casa don Puglisi” per l’accoglienza
di donne e minori, il Cantiere educativo “Crisci ranni” per i ragazzi,
e il Centro “Piccoli fratelli” che lavora con gli anziani e i disabili, tutti operanti nella città di Modica. Accanto a queste magnifiche realtà abbiamo visitato anche due comunità, nel territorio della
Diocesi, nate dall’attività della Caritas: il Centro Diurno “Agape” di
Pachino, che accoglie quotidianamente giovani diversamente abili,
e una casa-famiglia di Portopalo che dà sostegno alla difficile maternità di donne con figli minori.
Non secondario è stato l’aspetto della conoscenza del territorio
nei suoi aspetti storici, culturali, artistici e religiosi. In ciò siamo stati guidati con competenza e accuratezza organizzativa da due giovani, Salvatore Celeste e Corrado Crispino, operatori della
Cooperativa Etica “Oqdany”, nata grazie al Progetto Policoro, che
organizzano campus didattici e itinerari turistici per la conoscenza,
la valorizzazione e la promozione del territorio. Come due angeli
custodi, con preparazione e passione, Salvatore e Corrado ci hanno
guidato in sapienti escursioni che ci hanno premesso di esplorare e
di assaporare, sia pur per pochi giorni, la bellezza di un territorio
ricco di vicende storiche e di testimonianze di fede.
Non è mancato, infine, un momento di confronto tra noi partecipanti, durante il viaggio di ritorno, per condividere opinioni, im577
pressioni, sensazioni, in un’ideale sintesi dell’esperienza vissuta.
Tutti hanno sottolineato la positività dell’iniziativa, ciascuno mettendo in luce particolari aspetti che hanno colpito la personale
sensibilità e dando suggerimenti per il futuro, così come non è
mancato il desiderio di conoscere l’esperienza vissuta nel mese di
giugno dai nostri confratelli che hanno visitato la Chiesa di Chieti.
Osservando i volti piacevolmente colpiti nel vedere un Vescovo e
ventuno preti che “se ne andavano in giro” per le strade e le chiese
di un’altra Diocesi, siamo ritornati convinti che oltre ad aver ricevuto tanto, abbiamo anche dato la nostra testimonianza di una Chiesa che cammina con lo sguardo rivolto, oltre che al Signore, anche
alle Chiese sorelle con le quali desidera una comunione effettiva
(oltre che affettiva) cominciando a viverla al proprio interno.
don Giuseppe Indino
578
UFFICIO CATECHISTICO
Ai Catechisti ed Educatori AC
ai Lettori istituiti
ai Ministri straordinari della Comunione
Carissimi,
in questi ultimi mesi il nostro Vescovo ci ha esortato a iniziative
comuni per accrescere la conoscenza e la condivisione del cammino
spirituale delle diverse componenti pastorali che operano in Diocesi,
per evitare dispersione di energie e moltiplicazione di incontri.
Consapevoli che molti svolgono più di un ministero, quest’anno
gli incontri di spiritualità coinvolgeranno unitariamente tutti: Catechisti, Educatori Ac, Lettori istituiti e Ministri straordinari della Comunione.
Ci sembra opportuno iniziare l’anno pastorale con un momento
di preghiera e di riflessione da vivere insieme, per fondare nel Signore Gesù il ministero che siamo chiamati a svolgere nelle parrocchie.
Ci ritroveremo, pertanto, domenica 9 ottobre alle ore 16,00 nel
salone della Basilica di S. Maria di Leuca, dove mons. Gerardo Antonazzo guiderà i momenti di meditazione di questo primo incontro.
Il ritiro si concluderà con la Celebrazione Eucaristica alle ore
19,00 presso la Chiesa di Cristo Re nella Marina di Leuca.
Vi salutiamo con affetto in attesa di incontrarci a Leuca.
Ugento, 30 settembre 2011.
don Quintino Pecoraro
don Giuseppe Indino
579
UFFICIO LITURGICO
Ai Rev.mi PARROCI
e p.c. a S.E. Mons. VESCOVO
Prot. N° 5/2011
Carissimi,
l’Ufficio liturgico nazionale comunica che, in occasione del convegno organizzato dal Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione sul tema Nuovi evangelizzatori per la Nuova Evangelizzazione, che si concluderà il 16 ottobre p.v. con la Celebrazione
eucaristica in San Pietro presieduta dal Santo Padre Benedetto XVI
alle ore 9,30, sarebbe opportuno inserire una speciale intenzione
nella Preghiera Universale durante le Messe che si celebreranno in
quella domenica.
In calce alla presente vi trasmetto lo specimen fornito dal Pontificio Consiglio, che potrete utilizzare, eventualmente adattandolo,
durante la Celebrazione eucaristica di domenica 16 ottobre, sensibilizzando i fedeli circa l’ambito della Nuova Evangelizzazione per
cui opera il Pontificio Consiglio, espressamente creato dal Papa.
Nell’augurarvi una felice ripresa del lavoro pastorale, vi saluto
con viva cordialità.
Ugento, 4 ottobre 2011.
don Giuseppe Indino
Direttore
580
Proposta di intenzione per la preghiera dei fedeli delle SS. Messe
del 16 ottobre 2011
Perché tutta la Chiesa sia animata da un rinnovato spirito missionario che la faccia progredire sulle strade delle Nuova Evangelizzazione e per i “Nuovi evangelizzatori” riuniti oggi a Roma con il
Papa, perché, inviati e fortificati dall’incontro, siano fedeli testimoni di Cristo e del Vangelo nel mondo contemporaneo, noi ti
preghiamo.
581
STATUTI E REGOLAMENTI
DIOCESI DI UGENTO - S. M. DI LEUCA
MUSEO DIOCESANO DI ARTE SACRA
STATUTO
La Diocesi di Ugento durante l’episcopato di mons. Vito De Grisantis, si è munita di un Museo Diocesano con Decreto 3/2005 del
10 aprile 2005.
Il Museo Diocesano ha sede adeguata e sicura negli ambienti
sottostanti la Cattedrale, con accesso da via dei Cesari.
Per il Museo, che dal 2005 svolge la sua attività in detta sede, il
Vescovo di Ugento, in data odierna definisce il presente statuto.
1. Le finalità dei Museo Diocesano Ugentino vengono così formulate:
a) il Museo è il luogo naturale di custodia del Tesoro della Cattedrale, comprendente gli arazzi, l’oreficeria, i manoscritti più insigni, suppellettili e paramenti preziosi, provenienti dagli enti
ecclesiastici del territorio di tutta la diocesi
b) il Museo è destinato a ricevere in deposito quegli oggetti appartenenti alle Chiese e ad altri Enti ecclesiastici della Diocesi di
Ugento, che hanno interesse storico, artistico, religioso e non possono venire conservati nel loro sito naturale per cessata funzionalità viva, per logoramento irrimediabile, oppure per grave pericolo
di furto o di deterioramento; gli oggetti depositati permangono di
proprietà dei rispettivi enti ecclesiastici e conservano il loro carattere di beni culturali e religiosi, che documentano la vita della comunità ecclesiale e fungono da strumenti della didattica religiosa
585
c) il Museo è abilitato a ricevere donativi o depositi da parte di
enti o di privati ed anche ad acquistare oggetti di interesse storico,
artistico, religioso
d) il Museo ha il compito di promuovere e diffondere la conoscenza scientifica, la valorizzazione culturale e religiosa, la potenzialità educativa degli oggetti da esso custoditi
e) rientra nelle finalità istituzionali del Museo anche un fattivo
interessamento per il restauro e il recupero di beni culturali sacri
degli enti ecclesiastici della Diocesi e un compito di consulenza in
questo settore, a prescindere dalla materiale collocazione degli oggetti stessi
f) promuove raccolte museali sacre in altri luoghi del territorio
diocesano, che dovranno articolarsi come sezioni dipendenti dal
Museo diocesano Ugentino, al quale spetta il carattere di Museo
Diocesano Centrale.
2. L’Autorità Diocesana assicura al Museo Diocesano l’uso dei
locali dell’Ente Cattedrale formanti la sede del Museo. Gli ambienti
citati rimangono proprietà dell’Ente a cui sono intestati; il Museo
ne assume l’onere di custodia e di manutenzione ordinaria.
3. La proprietà delle strutture del Museo e degli altri oggetti da
esso acquisiti, per donazione o per altro titolo, spetta alla Diocesi
di Ugento.
La gestione tecnica e amministrativa del Museo stesso è interamente affidata dall’Ordinario Diocesano al Direttore del Museo.
Il Direttore è di nomina vescovile, dura 5 anni e rappresenta, a
tutti gli effetti, il Museo Diocesano anche nei rapporti con l’autorità civile.
586
4. Eventuali modifiche al presente Statuto saranno elaborate
dall’ufficio beni culturali della diocesi e sottoposte all’approvazione
dell’Ordinario Diocesano.
Ugento, 1 agosto 2011.
587
REGOLAMENTO
Capitolo I
1. Il Museo d’Arte Sacra della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, istituito in data 10 aprile 2005 con Decreto Vescovile 3/2005 di
s. e. mons. Vito De Grisantis, ha sede nel fabbricato sottostante la
Cattedrale di Ugento, posto alla via dei Cesari, di proprietà dell’Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto “Chiesa Cattedrale Maria SS. Assunta” in Ugento.
2. Il Museo Diocesano accoglie dipinti su tela e legno, sculture
lignee e lapidee, incisioni e stampe, oggetti sacri, parati liturgici,
manoscritti, libri corali provenienti dal Tesoro della Cattedrale e da
altri enti ecclesiastici del territorio diocesano.
3. Il Museo è costituito da sale espositive aperte al pubblico ed
è dotato di strutture atte al superamento delle barriere architettoniche.
Capitolo II
Al mantenimento e al funzionamento del Museo provvede l’Autorità diocesana con mezzi propri e offerte di privati, con il contributo da parte dello Stato, di Enti civili ed ecclesiastici.
Per quanto riguarda l’edificio, gli impianti termici, elettrici, idraulici e di sicurezza, nonché i relativi collaudi e controlli, il Museo diocesano dovrà osservare le disposizioni di legge vigenti in materia.
Capitolo III
Le finalità del Museo Diocesano sono le seguenti:
588
a) valorizzare e divulgare la storia della relîgiosità con particolare riferimento al territorio
b) ricevere gli oggetti appartenenti alle chiese e ad altri enti ecclesiastici della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca che hanno interesse storico, artistico, religioso, e che non possono venir conservati nel loro sito naturale per cessata funzionalità viva, per
logoramento irrimediabile, oppure per pericolo di furto o deterioramento. Gli oggetti depositati permangono di proprietà dei rispettivi enti ecclesiastici
c) stimolare gli enti ecclesiastici a tutelare e a valorizzare il patrimonio di loro pertinenza; rientra nelle finalità istituzionali del
Museo anche un fattivo interessamento per il restauro e il recupero di beni culturali sacri degli enti ecclesiastici della Diocesi e un
compito di consulenza in questo settore, a prescindere dalla materiale collocazione degli oggetti stessi
d) ricevere donativi o depositi da parte di enti e di privati; è anche abilitato ad acquisire oggetti di interesse storico, artistico, religioso che gli vengono offerti.
Capitolo IV
I depositi di materiale artistico nel Museo Diocesano vengono
concordati con l’Ordinario diocesano e con gli Uffici provinciali
competenti o con le rispettive Soprintendenze, curando l’osservanza delle disposizioni legali relative alle rimozioni. I depositi di materiale artistico nel Museo Diocesano, secondo le norme della
Pontificia Commissione Centrale dell’Arte Sacra in Italia, sono obbligatori da parte delle chiese parrocchiali e non parrocchiali della
Diocesi, quando si tratta di oggetti (sculture, quadri, dipinti, documenti di valore storico, suppellettile sacra, ecc.) che non hanno
più, ai fini del culto e della vita parrocchiale e religiosa, una propria
funzionalità e corrono invece il pericolo di essere manomessi e la589
sciati in abbandono (cfr. Disposizioni della S. Congregazione del
Concilio per la custodia e la conservazione degli oggetti di storia e
arte sacra in Italia, Acta Apostolicae Sedis, 1939, p. 266; Schema di
Regolamento per i Musei Diocesani emanato dalla Pontificia Commissione d’Arte Sacra, edito in “Tutela e conservazione del patrimonio storico e artistico della Chiesa in Italia” Roma 1974, p. 227).
Capitolo V
Ogni opera e oggetto che entra temporaneamente o definitivamente nel Museo per deposito, per acquisizione, per dono, per
legato, o per qualsiasi altra causa, deve essere immediatamente
registrato con il numero di inventario attribuitogli e i principali dati
di riconoscimento (materia, dimensione, tecnica, epoca e, se possibile, autore e provenienza) nel registro generale di entrata. Di ciascun oggetto sarà in seguito redatta, a cura dell’Ufficio beni
culturali della Diocesi, una scheda inventariale provvista di adeguata documentazione fotografica.
Tutte le opere e gli oggetti in esposizione devono essere corredati, o singolarmente o per gruppi, di cartelli esplicativi con i dati di
autore, soggetto e datazione.
Capitolo VI
La direzione del Museo è affidata a un esperto di particolare
competenza e dedizione nel settore, nominato dal Vescovo, che
rimane in carica per un quinquennio ed è coadiuvato dall’Ufficio
Beni culturali della Diocesi.
All’atto della nomina il Direttore riceve in consegna, con regolari verbali, la sede, le raccolte, i materiali, le attrezzature del Museo
ed i relativi inventari; viene così ad assumere la piena responsabilità nei confronti dell’Autorità diocesana e civile, sia per il funziona590
mento e l’attività del Museo, sia per quel che riguarda la cura e la
conservazione delle raccolte.
Il Direttore rappresenta il Museo Diocesano di Ugento a tutti gli
effetti, tiene i registri di carico e scarico dei materiali e quelli di entrata e uscita dei fondi di cui dispone; custodisce gli inventari, i
verbali delle adunanze e ogni altra cosa pertinente all’organizzazione del Museo.
Rientrano pertanto nei compiti del Direttore la gestione tecnico-amministrativa del Museo, la sistemazione dei locali, la cura,
l’ordinamento e, secondo le norme del Regolamento, l’incremento
delle raccolte, la costituzione e l’aggiornamento degli inventari, il
disbrigo della corrispondenza, la compilazione di guide e cataloghi
illustrativi del Museo, il controllo e la sorveglianza del personale
dipendente, la disciplina delle visite del pubblico e della consultazione dei materiali da parte degli studiosi.
Per quel che riguarda la conservazione delle raccolte, il Direttore ha l’obbligo di segnalare agli Uffici provinciali competenti o alle
rispettive Soprintendenze opere e oggetti bisognosi di cure e di interventi e di riferirsi a essi per ogni restauro.
Il Direttore è anche tenuto a fornire agli Uffici provinciali competenti la documentazione e le informazioni richieste.
Il Direttore del Museo, con l’assenso dell’Autorità diocesana,
provvederà, se necessario, alla stipula di convenzioni con associazioni di volontariato per assicurare solo ed esclusivamente l’apertura del Museo ai visitatori.
Capitolo VII
L’organizzazione amministrativa ed economica del Museo è affidata all’Economo diocesano e al Direttore del Museo nominato
dal Vescovo con il compito di curare gli aspetti gestionali sia amministrativi sia economici.
591
Capitolo VIII
Il bilancio del Museo è annuale e corrisponde all’anno solare.
Capitolo IX
È fatto obbligo al Direttore del Museo di comunicare agli Uffici
provinciali competenti, alle Soprintendenze interessate, come pure
agli Enti turistici locali, l’orario di apertura al pubblico per le visite,
il prezzo del biglietto d’ingresso e ogni altra utile informazione riguardante la vita del Museo.
Capitolo X
Circa la concessione in prestito per mostre e manifestazioni sia
in Italia che all’estero, di opere e oggetti che fanno parte delle raccolte del Museo, l’Autorità diocesana può concedere, con i dovuti
consensi delle rispettive sovrintendenze e degli uffici competenti e
limitatamente a Musei ed Enti di riconosciuto nome e per manifestazioni di carattere scientifico, il prestito di oggetti e di opere.
I beni concessi in prestito debbono essere assicurati a cura e a
carico degli Enti richiedenti per il valore e confermato dagli uffici
competenti nella formula più ampia da chiodo a chiodo; la spedizione potrà aver luogo dopo la consegna al Direttore del Museo
della relativa polizza di assicurazione bancaria.
Capitolo XI
Nei locali del Museo è proibito qualunque tipo di riproduzione
audio e video senza autorizzazione. Tale autorizzazione deve essere richiesta, specificandone la finalità, almeno una settimana prima
e approvata dalla direzione del Museo. Qualora venga accettata, il
soggetto richiedente ha l’obbligo dì consegnare alla direzione una
copia delle riprese o delle fotoriproduzioni ad alta risoluzione. In
592
caso di pubblicazioni, il soggetto ha l’obbligo dì consegnare alla
struttura un minimo di tre copie delle pubblicazioni.
Capitolo XII
I locali del Museo sono dotati di antifurto.
Nelle stanze del museo è vietato introdurre zaini o borse troppo ingombranti, cibi e bevande, ombrelli o qualunque oggetto che
possa essere considerato dannoso per le opere e per le persone.
Capitolo XIII
Il complesso museale occupa una superficie di circa 236 mq, distribuito su un unico livello con sei sale espositive e un atrio d’ingresso.
Le sale possono essere messe a disposizione di Associazioni Culturali, Movimenti Ecclesiali e non, per incontri di studio e iniziative
simili, il cui tema sia conforme all’ambiente prescelto. Tutte le iniziative devono essere comunicate almeno un mese prima con richiesta scritta alla direzione, che avrà facoltà di autorizzare o meno
la richiesta.
Qualora venga accolta la richiesta per l’uso della sala, il soggetto promotore dell’evento dovrà rispettare le seguenti condizioni:
a) indicare all’Ufficio Beni Culturali, tramite richiesta scritta almeno un mese prima, l’ora e il giorno o i giorni nei quali si intende
svolgere l’iniziativa e chiedere conferma della disponibilità
b) versare una quota, da concordare in base alla finalità e alla
durata dell’evento, nella quale sono comprese le spese di consumo
elettrico, climatizzazione e pulizie; il versamento deve essere effettuato direttamente presso l’Ufficio Economato della diocesi o tramite c/c bancario intestato alla Diocesi, il mancato pagamento
593
della quota, almeno entro cinque giorni dalla data prevista per
l’iniziativa, comporta l’annullamento della prenotazione
c) visto il tipo di struttura, il soggetto promotore si impegna a
rispettare e a far rispettare il luogo che ospita l’iniziativa, prodigandosi a non danneggiare gli ambienti, le opere d’arte e il mobilio; qualora si verificassero danni a cose e opere il soggetto
promotore si fa carico di ulteriori rimborsi
d) rispettare la puntualità e l’orario di apertura
e) fare riferimento esclusivamente agli incaricati
f) eventuali manifesti, locandine, totem di promozione dell’iniziativa saranno a carico del soggetto promotore, che avrà premura
di affiggerli per proprio conto nei luoghi stabiliti dalla direzione
stessa.
Il mancato rispetto dei punti su elencati da parte del richiedente comporterà l’impossibilità di usufruire nuovamente da parte
dello stesso dell’uso della sala.
I comportamenti non consoni all’ambiente e alle persone comporteranno il rifiuto di ulteriori richieste.
Capitolo XIV
Il Museo di Ugento è aperto al pubblico per 16 ore settimanali.
Il Museo rimane chiuso nelle festività civili stabilite dalle Autorità competenti.
Su prenotazione, il Museo può essere visitabile in giorni e orari
diversi da quelli stabiliti.
I visitatori debbono tenere un contegno conforme alle regole
della civile educazione. È rigorosamente vietato toccare i materiali
esposti, fumare, portare borse, macchine fotografiche con cavalletti, compiere qualsiasi atto che possa arrecare danno agli oggetti
esposti e disturbare gli altri visitatori.
594
È a disposizione dei visitatori un registro dove essi possono
formulare richieste e stendere eventuali reclami.
Sotto ogni richiesta o reclamo il visitatore dovrà apporre la
propria firma e l’indirizzo.
Ugento, 01 agosto 2011.
595
DIOCESI DI UGENTO-S. M. DI LEUCA
ARCHIVIO DIOCESANO
REGOLAMENTO
PROEMIO
La natura e la missione della Chiesa, di essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano”1
e al tempo stesso parte integrante della società, si riflette necessariamente sull’Archivio ecclesiastico che custodisce testimonianze
eloquenti del suo essere e del suo operare.
In esso è documentato il compito specifico della Chiesa di edificare il Regno di Dio2 e anche il suo impegno per costruire, assieme
agli uomini di buona volontà, una società più rispettosa dell’uomo
e dei suoi valori. In tal senso Paolo VI ricordava che attraverso la
Chiesa “è il Cristo che opera nel tempo e che scrive, proprio lui, la
sua storia, sì che i nostri brani di carta sono echi e vestigia di questo passaggio del Signore Gesù nel mondo” 3.
TITOLO I
PRINCIPI GENERALI
Art. 1
L’Archivio Ecclesiastico Diocesano è la raccolta ordinata e sistematica di atti e di documenti prodotti e ricevuti da enti pubblici
ecclesiastici eretti nell’ordinamento canonico4 o da persone esercitanti nella Chiesa una funzione pubblica.
Art. 2
L’archivio è a servizio della persona e di tutta la diocesi.
1
Lumen gentium, 1.
Gaudium et spes, 40.
3
Discorso del 26 settembre 1963.
4
Cfr. can. 486, par. 2; 491, par.2; 535; parr. 4-5; 173, par. 4; 1283, 3°; 1284, par.
2, 9°; 1306, par. 2.
2
596
L’archivio storico5, in quanto bene culturale, è accessibile agli
studiosi secondo le norme del titolo III.
Art. 3
Il presente regolamento si prefigge di integrare le norme contenute nel Codice di diritto canonico e quelle emanate dalle competenti autorità in materia di archivi ecclesiastici, nel rispetto delle
norme concordatarie.
Art. 4
Esso ha come oggetto specifico l’archivio pubblico dipendente
dall’autorità del vescovo.
Quando un ufficio ecclesiastico si rende vacante, si distinguano
opportunamente le carte personali del titolare dai documenti
d’ufficio e si usi ogni cautela perchè si garantisca la confluenza almeno di questi ultimi nel relativo archivio ecclesiastico diocesano.
TITOLO II
ORDINAMENTO INTERNO DELL’ARCHIVIO
CAPITOLO I
ACQUISIZIONE DEI DOCUMENTI
Art. 5
Nella gestione archivistica di un atto si distinguono le seguenti
fasi: archivio corrente, archivio di deposito temporaneo, archivio
storico.
Archivio corrente e archivio di deposito temporaneo possono
essere unificati, creando due sezioni distinte.
Art. 6
Nella fase iniziale, gli atti sono prodotti dai singoli organi o uffici, con criteri e metodi dettati dalle rispettive esigenze ad normam
juris e collocati nell’archivio corrente.
5
Cfr. can. 491, par. 2.
597
In vista di una maggiore funzionalità ed economia, è opportuno
stabilire una collaborazione fra l’archivista e i responsabili dei singoli organi o uffici per uniformare la redazione degli atti e l’impiego
del materiale.
Art. 7
L’archivio di deposito temporaneo, destinato a contenere le
pratiche ormai chiuse, può essere unico per tutti gli organi o uffici.
Art. 8
Il deposito nell’archivio storico costituisce la fase finale della vita di un atto. In linea di principio, un atto entra a far parte
dell’archivio storico quando ha esaurito la sua funzione specifica e
ha superato il limite convenzionale alla consultabilità (70 anni).
Quando non è possibile avere un archivio di deposito temporaneo idoneo, gli atti possono essere versati nell’archivio storico anche prima del limite stabilito, ma devono restare riservati.
Art. 9
Il passaggio dei documenti dall’archivio corrente a quello di
deposito temporaneo e a quello storico sia registrato in apposito
libro, nel quale si descriva l’elenco dei fondi e sia indicato il periodo
storico riguardante la documentazione consegnata dai vari uffici.
CAPITOLO II
CONFLUENZA DI ARCHIVI DIVERSI
Art. 10
Secondo il principio generale dell’ordinamento canonico, proprietario e responsabile dell’archivio è l’ente ecclesiastico che lo ha
prodotto6.
Art. 11
È possibile collocare in deposito temporaneo o permanente,
presso l’archivio diocesano, l’archivio di altri enti ecclesiastici nel
6
Cf. PONTIFICIA COMMISSIONE ARCHIVI ECCLESIASTICI D’ITALIA, Istruzione, 5 dicembre
1960, n. 3
598
caso in cui l’autorità ecclesiastica competente lo ritenga necessario
per motivi di sicurezza o per facilitare la consultazione degli studiosi7. In tali casi, si rediga un verbale di consegna, avente in allegato
un dettagliato inventario del materiale consegnato, e in cui risulti
che proprietario dell’archivio resta sempre l’ente che lo ha prodotto.
Si raccomanda vivamente alle associazioni, ai gruppi informali,
ai movimenti e ai fedeli che svolgono particolari mansioni nella
Chiesa di non disperdere i loro archivi , ma di disporre che confluiscano nell’archivio diocesano.
Art. 12
Gli archivi degli enti di cui per qualunque motivo vengono a
cessare le attività, quando non esistano disposizioni in contrario,
passano in custodia e in amministrazione dell’ente superiore, che
ne avrà cura come del proprio8.
Art. 13
Gli archivi in deposito devono conservare sempre la loro individualità e integrità. Le loro serie non dovranno essere mescolate a
quelle dell’archivio ricevente, né tanto meno a quelle di altri archivi in deposito.
CAPITOLO III
IL PERSONALE DEll’ ARCHIVIO
Art. 14
L’archivio diocesano viene affidato a persona qualificata, che si
serve di collaboratori per la custodia, la vigilanza e le altre mansioni a livello esecutivo9.
Là dove si ritiene opportuno e se ne riconosce una qualificata
preparazione, è possibile usufruire della collaborazione di personale volontario.
7
Cf. Istruzione, cit., n. 3.
Cf. Istruzione, cit., n. 5.
9
Cf. Istruzione, cit., n. 6.
8
599
Art. 15
È opportuno provvedere ad un delegato episcopale per
l’archivio, con il compito di vigilare perchè l’ingente patrimonio
culturale custodito negli archivi soggetti alla giurisdizione del Vescovo non si disperda e venga opportunamente valorizzato.
Il delegato, per svolgere il suo compito, visiti periodicamente
l’archivio (specialmente in occasione della visita pastorale), verificando lo stato di conservazione dei documenti e l’eventuale necessità di restauro o di trasferimento.
CAPITOLO IV
CLASSIFICAZIONE E ORDINAMENTO
Art. 16
I documenti conservati nell’archivio siano ordinati secondo
un’opportuna classificazione, che rispetti la natura dei fondi e la
progressione dei documenti nel tempo.
A tal fine è necessario adottare un titolario, in base al quale ordinare la documentazione esistente10.
Art. 17
Il titolario deve essere predisposto d’intesa fra l’archivista e i
responsabili degli uffici, secondo le regole dell’archivistica e nel rispetto della natura dell’ente, del suo ordinamento interno, delle
sue attività, secondo quanto stabilito all’art. 6 del presente regolamento.
Lo stesso titolario sia adoperato in tutte le fasi della gestione
archivistica, in modo da facilitare il trasferimento dei documenti e
le ricerche11.
Art. 18
Il presente regolamento annulla i precedenti.
Se in un archivio storico si trovano tracce di un precedente or10
11
Cfr. can. 486, parr. 2-3; can. 491, par. 2.
Cfr. Istruzione, cit., n. 8.
600
dinamento, si evitino dannosi stravolgimenti, limitandosi ad opportune integrazioni. Il titolario, una volta predisposto, deve avere una
certa stabilità onde evitare continui cambiamenti, che si rifletterebbero negativamente sulla classificazione e la ricerca.
Art. 19
Particolare importanza nel lavoro di ordinamento e conservazione del materiale archivistico sia attribuita dall’archivista al restauro dei documenti che lo richiedano.
Effettuato il restauro, i documenti siano conservati in condizioni ambientali adatte.
CAPITOLO V
STRUMENTI DI LAVORO E RICERCA
Art. 20
In base al titolario, l’archivista avrà cura, completando la classificazione dei documenti, di compilare l’inventario o catalogo per
agevolare la ricerca12.
Art. 21
Copia degli inventari o cataloghi di tutti gli archivi soggetti alla
giurisdizione del Vescovo deve essere conservata nell’archivio diocesano13.
Art. 23
Con ogni possibile cura ci si adoperi perché siano distinti nei locali dell’archivio la sala di studio, le sale di deposito, la direzione e i
laboratori per il personale e le riproduzioni. Si eviti di adibire la sala
di studio anche come sala di deposito, soprattutto se la documentazione è sistemata in scaffali aperti ed accessibili al pubblico.
12
13
Can. 486, par. 3.
Cfr. can. 486, par. 3.
601
Art. 24
Nell’archivio principale non dovrà mancare una piccola biblioteca, contenente un repertorio essenziale di fonti, dizionari, enciclopedie, storia della Chiesa, volumi di storia locale e quant’altro
può essere utile sia al personale dell’archivio sia alle ricerche degli
studiosi.
Art. 25
Agli inventari o cataloghi di cui all’art. 20, nonché agli indici, repertori ed altri strumenti di cui all’art. 22 e alla biblioteca, abbiano
libero accesso i ricercatori.
Art. 26
L’archivista prenda in seria considerazione il ricorso agli strumenti di classificazione e di ricerca offerti dall’informatica. A tal fine, è opportuno prendere accordi con gli altri uffici dell’ente per la
scelta dei computer e dei programmi e consultarsi con altri archivi
che hanno compiuto tale scelta.
CAPITOLO VI
RIPRODUZIONE
Art. 27
Si crei un archivio di microfilms o di dischi ottici per integrare la
documentazione esistente con fonti di altri archivi che riguardano i
luoghi, gli enti e le persone alle quali l’archivio stesso è interessato.
In questa sezione possono essere raccolti anche i microfilms o i
dischi ottici relativi ai fondi principali dell’archivio, che potranno
essere utilizzati per evitare che il continuo uso dei documenti porti
al loro deterioramento, per la loro ricostruzione in caso di distruzione degli originali e per facilitare la ricerca e la riproduzione.
CAPITOLO VII
SERVIZI
Art. 28
Onde proteggere la preziosa documentazione conservata, non
manchino nell’archivio: sistemi di allarme e di antincendio, l’im602
pianto elettrico di sicurezza e, là dove si rendono necessari, deumidificatori con regolatori di temperatura.
Art. 29
Al fine di preservare il materiale più prezioso, si installi una cassaforte oppure armadi di sicurezza.
Art. 30
Periodicamente si curi di operare la disinfestazione degli ambienti dell’archivio e della stessa documentazione, servendosi di
ditte specializzate.
CAPITOLO VIII
SCARTO
Art. 31
Nessuno, qualunque sia la mansione che svolge nella Chiesa, si
permetta di distruggere, vendere o disperdere documenti relativi
alla vita del proprio ufficio, dell’ente affidato alla propria cura o
conservati nell’archivio14.
Art. 32
Come regola generale, si conservi nell’archivio storico tutta la
documentazione che dall’archivio corrente o da quello di deposito
temporaneo viene versata nell’archivio storico.
È consentito agli organi che li hanno prodotti di conservare in
copia gli atti che si ritenessero più utili o necessari per l’attività
corrente.
Art. 33
Nei casi in cui si ritiene opportuno procedere allo scarto archivistico, è necessario tenere presenti le seguenti norme, onde evitare la perdita irrimediabile di documentazione:
a) l’archivista, d’accordo con i responsabili dei singoli uffici, compia una preventiva valutazione e una scelta da sottomettere
14
Cfr. Istruzione, cit., n. 4.
603
all’approvazione dell’Ordinario diocesano; di norma, sono esclusi dallo scarto i documenti di data anteriore ai cento anni15
b) l’eliminazione immediata riguarda tutti i documenti relativi al
foro interno. I documenti riguardanti le cause criminali in materia di costumi, “se i rei sono morti oppure se tali cause si sono
concluse da un decennio con una sentenza di condanna, siano
eliminati ogni anno, conservando un breve sommario del fatto
con il testo della sentenza definitiva” 16
c) criteri particolari stabiliti tra l’archivista e i titolari degli uffici
diano ulteriori precisazioni sulla singola categoria di documenti
da scartare
d) ogni qual volta si procede allo scarto di documenti non riguardanti il foro interno, se ne faccia annotazione nel registro di cui
all’art. 9.
TITOLO III
CONSULTAZIONE
Art. 34
La consultazione dell’archivio a scopo di studio sia concessa con
ampia libertà, pur adottando le necessarie cautele, sia nell’ammissione degli studiosi, sia nella consegna dei documenti17.
Art. 35
L’apertura al pubblico dell’archivio storico negli orari in cui la
Curia è aperta al pubblico18.
Art. 36
Lo studioso può essere ammesso alla consultazione dell’archivio dopo aver presentato una regolare domanda su modulo
prestampato, nel quale siano indicati i fondi che intende consultare, i motivi della ricerca ed esplicitamente sia dichiarato il suo im15
Cfr. Istruzione, cit., n. 9.
Can. 489, par. 2.
17
Cfr. Istruzione, cit., n. 12.
18
Cfr. can. 491, par. 3.
16
604
pegno a far pervenire all’archivio un esemplare della pubblicazione
effettuata utilizzando la ricerca nell’archivio.
Nell’atto di ammissione, lo studioso sia informato del regolamento e degli obblighi a lui derivanti sin dall’inizio della sua frequentazione dell’archivio.
Lo studioso è tenuto ad apporre giornalmente la firma ed altre
eventuali indicazioni (indirizzo, nazionalità, ecc.) in un apposito registro di presenza.
Art. 37
L’ammissione degli studiosi alla consultazione, che dovrà essere
in ogni modo facilitata, è comunque riservata al responsabile
dell’archivio, il quale valuterà le richieste sulla base dei requisiti del
richiedente.
La consultazione può essere negata, quando vi siano pericoli
per la conservazione dei documenti19.
Art. 38
Possono essere consultati solo i documenti anteriori agli ultimi
70 anni.
La consultazione di documenti definiti come riservati o relativi a
situazioni private di persone, può concedersi solo su previa ed esplicita autorizzazione da parte dell’Ordinario, apposta sulla domanda presentata dal richiedente.
La consultazione di altri documenti può concedersi anche prima
della scadenza dei termini suindicati alle condizioni di cui al paragrafo precedente.
Art. 39
Gli studenti di scuola media superiore e universitari possono
essere ammessi alla consultazione solo se presentati dal professore
che guida la ricerca.
19
Cfr. Istruzione, cit., n. 12.
605
Art. 41
Durante la consultazione, sia sempre presente l’archivista o
persona di sua fiducia, in modo che i ricercatori non vengano lasciati soli con i documenti.
Art. 42
Non è consentita agli studiosi né l’accesso alle sale di deposito
dell’archivio, né il prelievo diretto dei documenti dalla loro collocazione.
Art. 43
Ai frequentatori dell’archivio potrà essere revocato l’accesso
nel caso in cui avessero dimostrato di non tenere in sufficiente cura i documenti loro dati in consultazione.
Art. 44
Per nessun motivo è permesso portare i documenti fuori dalla
sede dell’archivio. Solo l’autorità competente può autorizzare la
concessione di documenti dell’archivio per mostre e simili, con le
opportune cautele di natura giuridica ed assicurativa20.
Art. 45
La riproduzione fotostatica o fotografica e la microfilmatura
dovranno essere autorizzate dall’archivista su apposita richiesta e
dopo essersi assicurato dello stato di conservazione dei documenti.
La riproduzione avvenga esclusivamente nella sede dell’archivio,
fatto salvo il rimborso delle spese e, se del caso, il risarcimento dei
danni a carico di chi ha richiesto la riproduzione.
Art. 46
Nonostante il principio generale di facilitare l’accesso alla documentazione per mezzo di microfilms, fotocopie o fotografie, non
è consentito riprodurre interi fondi dell’archivio21.
20
21
Cfr. can. 488.
Cfr. Istruzione, cit., n. 13.
606
TITOLO IV
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 47
Pur conservando la loro autonomia, gli archivisti ecclesiastici
abbiano cura di instaurare con le Soprintendenze e gli Archivi di
Stato un cordiale rapporto di collaborazione.
Dal Palazzo Vescovile, 01 novembre 2011.
† Vito Angiuli
Vescovo
Il Cancelliere Vescovile
Sac. Agostino Bagnato
607
PER LA STORIA
DELLA CHIESA DI UGENTO - S. M. DI LEUCA
LA VISITA PASTORALE DI MONS. DE ROSSI
ALL’ANTICA DIOCESI DI UGENTO NEL 1711
Ricorrono i trecento anni della visita pastorale che il vicario capitolare Tommaso De Rossi compì all’antica diocesi di Ugento nel
1711. Il fatto merita notizia in quanto i verbali redatti nella ispezione delle parrocchie dei vari paesi, costituiscono la fonte fondamentale per la loro conoscenza in età moderna, vale a dire nei secoli
seguenti il concilio di Trento (1545-1563).
La disciplina da esso progettata venne accettata nei vari regni
cattolici di Europa, sia pure in diversi modi e tempi, e nuove generazioni di vescovi ne fecero un punto di riferimento importante.
Dalle sue direttive, i vescovi, sostenuti dai papi dell’epoca, nonché
dagli stessi monarchi, diedero il volto cattolico alle popolazioni cristiane. I vescovi si trasformarono da signori di chiese e divennero
residenti nelle diocesi, come pastori ad immagine di Gesù buon pastore, per un dovere morale e giuridico, e furono in quei secoli,
“vescovi visitatori e legiferanti” delle popolazioni e soprattutto del
clero. Era loro dovere organizzare annualmente il sinodo diocesano
con il quale orientavano la vita e l’attività del clero al ministero pastorale e, almeno ogni tre anni, visitare le popolazioni cristiane dei
paesi della loro diocesi per promuoverne la vita cristiana e correggerla, eventualmente, dagli abusi e dai vizi. In particolare, con la
visita “personale, patrimoniale e locale” controllavano il clero e ne
promuovevano l’attività finalizzata alla santificazione dei fedeli.
Questi vescovi “visitatori e legiferanti” controllavano le istituzioni
ecclesiastiche, i loro beni e gli obblighi connessi, la organizzazione
dell’assistenza pastorale e le sue modalità, la condizione delle chie611
se che conservavano le espressioni devozionali e artistiche, prodotte nel corso dei secoli. Se le disposizioni del concilio di Trento promossero il miglioramento del governo delle diocesi, ancor più
benefico ed efficace fu l’esempio di tanti santi vescovi, come Carlo
Borromeo (+ 1584) canonizzato nel 1610, o Francesco di Sales
(+ 1622) canonizzato nel 1665 ed altri1. Da tutto questo deriva
l’importanza dei verbali delle visite vescovili e delle legislazioni dei
sinodi per la storia delle diocesi e delle parrocchie, ma pure della
società contestuale.
La visita del 1711 di mons. Tommaso De Rossi si inserisce nella
tradizione sinodale e visitoriale ugentina2; essa poi si arricchì dopo
il 1818 quando, soppressa la diocesi di Alessano, il suo territorio, i
suoi abitanti e le sue parrocchie, passarono a far parte dell’odierna
diocesi; la tradizione ottocentesca continuò con la visita di mons.
Camillo Alleva del 1819 ed è proseguita fino a quella recentissima
di mons. Vito De Grisantis degli anni 2005-2006. Pertanto i verbali
del 1711 hanno una importanza particolare perché sono gli unici
pervenuti che riguardano l’ età moderna e pari a quelli della visita
1
Cfr. M. MARCOCCHI, La riforma cattolica. Documenti e testimonianze. Figure e
testimonianze dal secolo XV alla metà del secolo XVIII, II, Morcelliana, Brescia
1970;il mio Le diocesi del basso Salento nel 1600. Aspetti pastorali e attività
religiosa, in “Società, congiunture demografiche e religiosità in Terra d’Otranto
nel XVII secolo”, a cura di Bruno Pellegrino e Mario Spedicato (= Saggi e ricerche
del Dipartimento di Studi Storici dal Medievo all’Età contemporanea), Ed.
Congedo, Galatina 1990, pp. 201-227; Ricerche sul culto e sugli influssi di S. Carlo
Borromeo in Terra d’Otranto, in “Archivio Storico Pugliese” 38, 1985, pp. 143163; Introduzione alla “Storia delle Chiese di Puglia”, a cura di Salvatore Palese e
Luigi Michele De Palma (= Pubblicazioni della Facoltà Teologica Pugliese, 1),
Ecumenica ed., Bari 2008, pp. 31-37.
2
Cfr. S. PALESE, Sinodi diocesani e visite pastorali delle diocesi di Alessano e di
Ugento dal concilio di Trento al concordato del 1818, in “Archivio Storico
Pugliese” 27, 1974, pp. 453-499.
612
apostolica del vescovo venosino Andrea Perbenedetti, compiuta
nel 1628 e ormai nota per l’edizione fatta da André Jacob3.
La visita del De Rossi fu segnalata dapprima da mons. Giuseppe
Ruotolo negli anni ’50 del secolo scorso4, ma ne era stata fatta una
trascrizione, in buona parte, da mons. Antonio De Vitis5. Nei decenni seguenti iniziò la loro valorizzazione con il mio saggio degli
inizi degli anni ’70 e vari studiosi locali li hanno ripresi ed editi in
parte, fornendo copiosa informazione sulla vicenda religiosa e sociale dei vari paesi dell’antica diocesi ugentina6.
Tommaso De Rossi, era un canonico della cattedrale di Nardò e
ne era “cantore”, una dignità di quel Capitolo, che il vescovo francescano Pietro Lazzaro y Terrer (1705-1709), aveva chiamato accanto a sé con i compiti di vicario generale7. Quando il 24 aprile
3
Dapprima A. JACOB, La visita episcopale della diocesi di Alessano nel 1628. Parte
prima: La descrizione delle chiese, in Il basso Salento. Ricerche di storia sociale e
religiosa, a cura di Salvatore Palese (= Società e religione, 1), Congedo ed.,
Galatina 1982, pp. 231-290. E poi per intero in Luoghi, chiese e chierici del
Salento meridionale in età moderna. La visita apostolica della città e della diocesi
di Alessano nel 1628, a cura di André Jacob e Antonio Caloro (= Società e
religione, 18), Congedo ed., Galatina 1999.
4
Cfr. G. RUOTOLO, Ugento - Leuca - Alessano. Cenni storici e attualità, ed.
Cantagalli, Siena 1952.
5
Si può essere certi dall’esame della grafia, nella parte manoscritta, perché una
seconda parte è dattiloscritta. La trascrizione è stata ricordata, di recente, da
Francesco Cazzato in Mons. Antonio De Vitis. Una vita per gli altri. Scritti,
testimonianze, ricordi, a cura di Giuseppe Gragnianiello, Ed. Insieme, Terlizzi 2011.
6
S. PALESE, Per la storia religiosa della diocesi di Ugento sugli inizi del Settecento,
in “Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli” a cura di Michele
Paone, IV, ed. Congedo, Galatina 1976, pp. 275-334.
7
Alessio Tommaso De Rossi era nato a Nardò, il 29 gennaio 1674, da Donato
Maria De Rossi, chierico coniugato e da Anna Zuccaro. Ricevette gli ordini minori
nel 1693, il suddiaconato il 26 febbraio 1695, il diaconato il 17 marzo 1696 e il
presbiterato il 15 marzo 1697. Frattanto aveva compiuto degli studi a Napoli e
613
1709 il vescovo morì, tre giorni dopo il Capitolo della cattedrale di
Ugento lo elesse vicario capitolare, un quasi vescovo che rimase a
dirigere la diocesi fino alla venuta del vescovo Nicola Spinelli, eletto il 30 agosto 1713. Legato devotamente alla memoria del vescovo defunto, il De Rossi ne seguì l’esempio pastorale, anche se non
riuscì a sostenere il seminario da poco aperto, non potendosi opporre alle rivendicazioni dei canonici circa le rendite vescovili che
erano state destinate a sovvenzionare le spese occorrenti per
quell’istituto dei chierici8.
Una prima visita all’intera diocesi il De Rossi la compì nel 1709
ed una seconda nell’anno seguente ed infine nel 1711 di cui sono
rimasti i resoconti: controllare e correggere l’amministrazione dei
beni ecclesiastici, sostenere le varie iniziative assistenziali, sollecitare i preti al ministero pastorale con l’insegnamento della dottrina
cristiana al popolo, sembrano gli obiettivi speciali che il De Rossi si
era proposti per il bene della diocesi.
La visita del 1711, indetta nel maggio, fu compiuta in due tempi,
successivamente si addottorò in utroque jure alla Sapienza di Roma, il 3
dicembre 1706. Dal 1697 faceva parte del Capitolo della cattedrale di Nardò cui
divenne “cantore” e frequentò diligentemente tutte le riunioni capitolari fino al
1710; ricomparve per alcuni mesi nel 1714, per poi dimettersi da cantore nel
1718. Dal dicembre 1696 fu esaminatore sinodale e quindi nella diocesi di
Ugento. Poi fu altrove, quindi approdò a Roma “Cappellanus intimus” del papa e
infine fu nominato vescovo della diocesi di Teramo il 9 aprile 1731. Dal 1747
cominciò a risiedere a Roma dove morì il 6 gennaio 1749. Cfr. Hierarchia
Catholica medii et recentioris aevi, VI, 1730-1799, curanti bus R. RITZLER - P.
SEFRIN, Patavii 1958, p. 91, nonché la documentazione conservata nell’ ARCHIVIO
STORICO DIOCESANO DI NARDÒ, Bollari vol. 9, fasc. 5; Sacre Ordinazioni - Nardò dal
1691 al 1699, fasc. 16. Per queste ultime ringrazio mons. Giuliano Santantonio.
8
Cfr. S. PALESE, La fondazione del Seminario diocesano di Ugento (1752), in “La
Zagaglia” 17, 1975, pp. 35-65.
614
nel giugno e poi ripresa e completata nel novembre. Eccone il calendario e l’itinerario, con i relativi riferimenti al codice degli atti:
14 giugno a Taurisano (ff. 1r - 29v)
17-18 giugno a Ruffano (ff. 30r - 70r)
21 giugno a Torrepaduli (ff. 82v - 102r)
22 giugno a Supersano (ff. 70v - 82r)
4-5 novembre ad Acquarica (ff. 103r - 121v)
6-10 novembre a Presicce (ff. 123r - 168r)
11-13 novembre a Salve (ff. 169r - 218v)
14-18 novembre a Morciano (ff. 220r - 262r)
19 novembre a Barbarano (ff. 263r - 279v)
20 novembre a Ruggiano (ff. 280r - 284v)
21 novembre a Specchia (ff. 285r - 320r)
25 novembre a Lucugnano (ff. 321r - 338v)
25 novembre a Miggiano (ff. 339r - 360v)
28 novembre a Montesano (ff. 361r - 366v)
Come si vede, mancano i verbali della visita a Ugento e a Gemini, perché probabilmente mons. De Rossi non la fece.
Il visitatore ispezionò tutto con diligenza e annotò con cura:
dall’altare maggiore al fonte battesimale della chiesa parrocchiale
e poi gli altari e la suppellettile più diversa e altrettanto fece nelle
chiese fuori dell’abitato; controllò i benefici ecclesiastici e i legati
pii e ne descrisse il patrimonio e gli obblighi connessi delle celebrazioni delle sante Messe; registrò le confraternite e annotò le principali norme che le regolavano9 nonché le varie opere assistenziali
come ospizi per i pellegrini, monti di pietà, maritaggi e monti frumentari. Sono pure interessanti le notizie di tante tradizioni devo9
Cfr. S. PALESE, Le confraternite laicali della diocesi di Ugento nell’epoca
moderna, in “Archivio Storico Pugliese” 28, 1975, pp. 125-174.
615
te, la cui conoscenza è legata a questi verbali della visita di mons. De
Rossi. Da uomo colto, come appare, egli infine raccolse notizie sul
territorio circostante, dati epigrafici e documentari riguardanti le vicende religiose e sociali dei vari paesi visitati.
Ci sembra di aver detto il pregio di questi verbali della visita pastorale di mons. Tommaso De Rossi, il cui ricordo non può non essere in benedizione per la cultura storica di questa parte del basso
Salento.
Certamente critico fu il giudizio del suo governo che fece il vescovo che venne nel 1713, Nicola Spinelli; addirittura fu aperto un
processo sul suo operato, forse debole apparve nei confronti dei
canonici ugentini e delle regie magistrature e delle locali autorità.
Ma tutto ciò non intralciò il futuro della carriera né ostacolò la sua
nomina a vescovo nel 1713. Erano tempi di puntigliosi contrasti dei
vescovi nei loro confronti: si pensi al caso di Lecce dove, per anni,
durò l’interdetto che il vescovo Pignatelli lanciò sulla città e sulla
diocesi nel 1710. Il De Rossi doveva essere di altro indirizzo: si sa
che ad Acquarica, il 4 novembre 1711, egli aveva cantato il solenne
Te Deum per la incoronazione imperiale di Carlo VI di Austria che
era pure re di Napoli. Il regime di “cristianità” di quei secoli non era
affatto tranquillo, come si potrebbe pensare, in questa provincia
estrema del Regno di Napoli, agli inizi del Settecento10.
mons. Salvatore Palese
10
Cfr. S. ANDRETTA, Clemente XI, in “Enciclopedia dei Papi” dell’Istituto della
Enciclopedia Treccani, Roma 2000, pp. 405-420; G. GALASSO, Storia del Regno di
Napoli. III. Il Mezzogiorno spagnolo e austriaco (1622-1734), UTET, Torino 2006,
pp. 824-1029. Per l’interdetto di Lecce, cfr. Cronache di Lecce, a cura di
Alessandro Laporta, Ed. Del Grifo, Lecce 1991, pp. 76-96. Sul contesto pugliese,
cfr. Storia delle Chiese di Puglia, cit.
616
MONS. VITO DE GRISANTIS
VESCOVO NEL SALENTO
ALL’AVVIO DEL TERZO MILLENNIO CRISTIANO
Mons. Vito De Grisantis fu vescovo di Ugento - S. Maria di Leuca dalla calda serata del 29 luglio 2000 all’alba del primo aprile
2010, giovedì santo. Egli era stato ordinato vescovo nella piazza del
Duomo di Lecce dal Card. Salvatore De Giorgi, il 26 giugno, dopo la
nomina che Giovanni Paolo II aveva firmato il 13 maggio 2000.
Nato a Lecce il 20 agosto 1941, dopo gli studi ginnasiali e liceali
nel liceo classico “G. Palmieri” della città, frequentò il Pontificio
Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” di Molfetta, per prepararsi al
sacerdozio e compiere gli studi teologici, dall’autunno 1961. A conclusione, ricevette l’ordinazione presbiterale, il 27 giugno 1965, dal
vescovo leccese mons. Francesco Minerva.
Questi lo volle nel seminario vescovile della diocesi ad insegnare italiano e latino (1965-66) e a dirigere spiritualmente i seminaristi (1966-68), e poi segretario dell’Ufficio Amministrativo diocesano (1965-72) e vice assistente della Gioventù Italiana dell’Azione
Cattolica (1966-70) e pure vicario cooperante nella nativa parrocchia di S. Rosa, nel moderno quartiere omonimo, a nord della città,
accanto al primo parroco don Salvatore De Giorgi (1968-74).
Quando questi fu nominato vescovo ausiliare per la diocesi di Oria,
don Vito vi rimase come vicario economo dal 1974 e dal 1 ottobre
1975 come parroco di S. Maria delle Grazie fino al 13 maggio 2000.
Tra le altre associazioni laicali che egli coltivò, introdusse il movimento dei neocatecumenali. Per alcuni mesi si allontanò dalla par617
rocchia, dal 1 novembre 1985 al 1 agosto 1986, per una esperienza
di vita comunitaria presso il monastero di S. Maria della Scala, a
Noci.
Frattanto insegnò religione cattolica nel liceo scientifico “C. De
Giorgi” di Lecce e, al tempo stesso, frequentò il corso biennale della Facoltà di Scienze dell’educazione presso la Pontificia Università
Salesiana di Roma, con indirizzo in sociologia dell’educazione e
conseguì il dottorato in teologia con specializzazione in teologia del
matrimonio e della famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della
Pontificia Università Lateranense di Roma, con la tesi La donna nella Chiesa. Il problema e la storia della interpretazione di 1 Timoteo
2, 11-15, pubblicata poi con l’ed. Mursia nel 2000. Fu docente di
teologia pastorale del matrimonio e della famiglia nell’Istituto superiore di scienze religiose di Lecce. Durante gli episcopati di Michele Mincuzzi (1981-88) e di Cosmo Francesco Ruppi (1989-2008)
fu vicario episcopale nella città di Lecce (1984-87) nonché direttore
dell’Ufficio diocesano per la pastorale familiare dal 1989 e delegato
arcivescovile per il consultorio cittadino “La Famiglia” e suo consulente etico, e poi, di nuovo, vicario episcopale per la città di Lecce
dal 1993 e per il laicato dal 1996. Il 25 luglio 1993 fu nominato
cappellano di Sua Santità.
Con questa ricca e significativa esperienza parrocchiale e diocesana, egli intraprese il suo ministero episcopale nell’estate del
2000, succedendo a mons. Domenico Caliandro, trasferito alla confinante diocesi di Nardò-Gallipoli dopo appena sei anni di servizio a
Ugento. E ben presto, per il suo stile espresso nello zelo pastorale e
nelle molteplici proposte operative, si capì che il parroco divenuto
vescovo si muoveva nella diocesi come in una parrocchia allargata,
nonostante i numerosi piccoli centri del territorio.
I dieci anni di intensa azione pastorale furono scanditi da due
618
piani pastorali diocesani quinquennali per il 2000-2005 (L’adulto
riscopre l’iniziazione cristiana per una identità comunitaria e missionaria della fede) e per il 2007-2011 (I fedeli laici oggi, a quarant’anni dal Concilio Vaticano II) e da due visite pastorali (20012005, 2006).
I piani quinquennali che compongono il progetto complessivo
dello sviluppo pastorale della diocesi, vennero ripensati nelle articolazioni tematiche durante le quaresimali settimane teologiche e
riformulati operativamente nei convegni pastorali con le annuali
indicazioni nel giugno, all’inizio di ogni estate.
L’acquisizione delle concrete esigenze e delle reali condizioni
delle comunità parrocchiali mons. De Grisantis la compì nel corso
dell’attenta prima visita pastorale, indetta il 22 settembre 2001 e
iniziata il 29 settembre 2002, a partire dal centro più popoloso, Tricase e la sua forania, e terminata nel dicembre 2004 e ufficialmente chiusa il 14 maggio 2005. Egli si convinse ed aiutò alla presa di
conoscenza che nella diocesi e nelle parrocchie era necessaria una
maggiore comunione a tutti i livelli; che era ancora lungo il cammino verso una fede adulta e pensata, e il risveglio degli adulti con
itinerari per la recezione dei sacramenti, in particolare per i ragazzi,
con il rilancio di associazioni e movimenti; che la messa domenicale doveva esprimere a livello alto la vita religiosa della comunità;
che in ogni parrocchia doveva essere la caritas cristiana per testimoniare, appunto, la carità cristiana nel territorio. Insomma, bisognava puntare sugli adulti e sui giovani.
La seconda visita pastorale, compiuta subito dopo, sia pure
senza una formale indizione, servì a lui per verificare, sostenere e
promuovere gli organismi parrocchiali di partecipazione, consigli
pastorali e consigli per gli affari economici, ecc.
A tale scopo fornì a questi organismi gli strumenti per la loro
619
migliore attività. Il 19 marzo 2005 promulgò statuti e regolamenti
per il Consiglio Pastorale Diocesano che poi finalmente riunì, e similmente fece per la Consulta diocesana delle aggregazioni ecclesiali che convocò il 21 ottobre 2005; quindi diede le norme per i
Consigli pastorali parrocchiali e quelle per i Consigli degli affari economici; fissò le norme per i Comitati per le feste religiose e il 26
maggio 2007 quelle per le processioni.
Egli fu fermamente convinto della sollecitudine per la evangelizzazione dei giovani e perciò promosse una pastorale organica a
loro favore, rilanciando, ad esempio, la scuola diocesana di preghiera e portando egli stesso dei gruppi alle giornate mondiali della
gioventù a Roma (19-20 agosto 2000) e in Australia (16-22 agosto
2005); approvando e raccomandando il Progetto integrato di educazione sessuale per le parrocchie e per le scuole. Dalla primavera
del 2002 cominciò ad incontrare i giovani universitari della diocesi,
a Lecce; inventò in diocesi la “festa dei fidanzati del 14 febbraio”,
nel contesto dell’attenzione alla loro preparazione al matrimonio: il
loro avvenire – egli diceva – sarà una buona famiglia cristiana. Pertanto per la loro preparazione al sacramento del matrimonio, sostenne la preparazione e la pubblicazione di un “sussidio diocesano” Come Cristo ha amato la Chiesa.
Questo ambito fu da lui particolarmente privilegiato, perché,
come è stato detto “era nel suo cuore”: la famiglia era ritenuta da
lui “scuola di santità”. Pertanto volle che gli animatori di comunità
fossero specificamente sensibili ed introdusse un corso adeguato
nella loro Scuola diocesana. In verità egli aveva trovato in diocesi
numerosi gruppi parrocchiali di coppie, come le END. Per loro,
nell’estate 2000, vale a dire subito dopo l’inizio della sua attività
episcopale, volle guidare i loro esercizi spirituali e poi le loro giornate di spiritualità in avvento e in quaresima, negli anni seguenti. Si
620
può dire che egli valorizzò al meglio persone e associazioni dedite a
questo settore pastorale, che egli trovò al lavoro nella diocesi ugentina. Dal suo sostegno entusiasta la Commissione famiglia e il
Centro Famiglia furono trasformate in Consultorio familiare diocesano, aiutato in ogni modo, per ampliare la varietà dei servizi e inserirlo nella rete nazionale dei consultori di ispirazione cristiana.
Questo suo amore particolare fino alla fine, fu dimostrato nella nota pastorale del gennaio 2010 Per una pastorale di accoglienza dei
divorziati risposati civilmente.
Nei mutati contesti del laicato cattolico e nella fioritura del suo
associazionismo, l’attenzione all’Azione Cattolica fu particolare.
Egli ne sostenne la collocazione organica all’interno delle comunità
parrocchiali, alla ricerca più precisa della sua operosità pastorale.
La potenzialità spirituale della diocesi ugentina, egli ebbe modo
di scoprirla, visitando le varie opere originate dalla generosità dei
fedeli in Rwanda, dall’11 al 26 novembre 2000. L’impegno entusiasta e concreto di singole persone e di gruppi, animati con cura costante dall’Ufficio missionario di lunga e nobile tradizione, era
culminata nel 1991 con la presenza in quel paese di don Tito Oggioni Macagnino, già rettore del seminario vescovile (1958-62), assistente diocesano di Azione Cattolica e infine parroco di Acquarica
del Capo (1962-91). È doveroso ricordare pure le adozioni di seminaristi nei seminari maggiori del Rwanda, Tanzania, Burundi e altrove, che ascesero ad oltre 500 nel 2003; come pure il progetto
“acqua e vita” in Rwanda avviato nel 2005; infine l’orizzonte operativo che in quell’anno si allargò alla Tanzania.
La società salentina non fu estranea alle attenzioni di mons. De
Grisantis. Egli ebbe modo di dirle negli incontri con gli amministratori pubblici dei vari paesi, nel corso della visita pastorale e con sollecitudine dichiarò più volte di condividere le preoccupazioni per le
621
condizioni economiche dei diciotto comuni del territorio diocesano. “Testimoni di speranza nel mondo del lavoro e nella Città degli
uomini”, fu il tema del suo progetto pastorale per l’anno 2009-10.
La realizzazione della scuola di formazione socio-politica rappresentò la intima convinzione che la Chiesa diocesana può contribuire agli sviluppi del territorio. Fu questo il senso della pastorale
sociale e del lavoro che egli espresse, con la visita agli emigrati in
Svizzera (23-29 novembre 2001), con l’Ufficio specifico che volle
dal 2002, con l’adesione della diocesi al “Progetto Policoro”, la
consulta diocesana, infine, quasi in crescendo, la casa di accoglienza “Maior caritas” di Tricase, prima sostenuta dal 2006 e poi fatta
propria dalla diocesi il 13 gennaio 2010, per accogliere i familiari
forestieri degli ammalati degenti nell’ospedale “G. Panico” e, da ultimo, il “Progetto Tobia” con l’attivazione, il 19 febbraio 2010, di
un fondo di garanzia, finalizzato alla concessione di prestiti, con
l’obiettivo di aiutare giovani e adulti ad avviare una piccola impresa, in forma individuale o cooperativistica.
Con concretezza ammirabile valorizzò la generosità dei cittadini
italiani e con le somme dell’otto per mille attribuiti alla diocesi
ugentina, oltre le finalità educative ed assistenziali, realizzò desideri per decenni insoddisfatti, come il restauro di varie chiese, la sistemazione della residenza vescovile e degli uffici della curia,
l’abbellimento – sia pur discutibile – della cattedrale, il restauro di
storici abiti liturgici, la organizzazione del museo diocesano. Mons.
De Grisantis aveva sensibilità artistica e durante la visita pastorale
promosse impegno restaurativo in varie chiese parrocchiali, come
a Specchia, ad Alessano e a Tricase, e consacrò la nuova chiesa parrocchiale di San Francesco a Ruffano (20 dicembre 2008). Infine sostenne il recupero di stabili per l’attività educativa delle parrocchie.
In questo orizzonte seguì la costruzione dell’oratorio a Montesano
Salentino che inaugurò il 29 giugno 2009 e volle la costruzione del
622
grandioso Centro Pastorale Diocesano “Giovanni Paolo II”, ad Alessano, che seguì personalmente e inaugurò negli ultimi mesi della
sua vita, nel 2010.
Di significativa importanza storica fu la visita di papa Benedetto
XVI al santuario di S. Maria “De Finibus Terrae”, a Leuca. Annunciata il 24 dicembre 2007, il vescovo De Grisantis originò un grande
movimento organizzativo e culturale, in cui egli manifestò le sue
capacità di suscitare il senso religioso delle popolazioni salentine,
con la “peregrinatio Mariae” nei paesi della diocesi. Con cura egli lo
coltivò ad esprimersi con autenticità, nell’incontro con il vicario di
Pietro, primo testimone della fede in Cristo, Figlio di Dio. Quello del
14 giugno 2008 fu e rimane un avvenimento storico per la diocesi
ugentina, le cui ricadute di ogni genere sono ancora in sviluppo.
Altrettanto significativa per la storia religiosa della diocesi fu
l’avvio che egli decise, del processo di canonizzazione della giovane
serva di Dio, Antonia Mirella Solidoro (1964-99) di Taurisano, il 17
marzo 2009: nella vicenda storica della diocesi era la prima volta
che accadeva un avvenimento del genere, oltre quello riguardante
l’indimenticabile don Tonino Bello (+ 1993) di Alessano che fu vescovo di Molfetta per oltre un decennio. Infine, momento di rilievo
per la nostra memoria ecclesiale, fu la traslazione dal cimitero di Leverano, nel santuario della Madonna di Leuca, della salma di mons.
Mario Miglietta che guidò la nostra diocesi negli anni 1981-92.
Come ebbe a dire del vescovo De Grisantis, il pro-vicario generale, ad un anno dal suo ingresso in diocesi, il 29 luglio 2001: “un
vulcano di iniziative e noi abbiamo il fiato grosso, facciamo fatica a
stargli dietro”. Lo pensavano e lo dicevano i preti che furono la
prima sua preoccupazione pastorale, perché ritenuti, stimati ed
amati come i suoi primi e principali collaboratori. Per la sua cordiale giovialità gli fu facile stabilire rapporti cordiali e diretti. Ed inven623
tò la notte di San Silvestro, i pranzi ai ritiri mensili, la cena di Pasqua dopo la messa crismale del mercoledì santo. Fu vicino a quelli
ammalati ed anziani, portando con sé i giovani seminaristi. Sostenne le iniziative del predecessore mons. Caliandro per far vivere insieme i preti delle parrocchie vicine e inventò quegli aggiornamenti
residenziali di fine giugno, a partire dal 2001, a Viggiano, e poi altrove e nel 2005 in Terra Santa, infine a Castelgandolfo (2006), a
Napoli (2007), alla Abbazia di Casamari (2008), a Roma (2009). I
giovani preti non potranno dimenticare le riunioni mensili a loro
dedicate e il suo affetto paterno, come tutti gli altri preti, gli aggiornamenti di ogni mese. Certamente il clero ricevette la lezione
di amare e servire la gente cristiana; conobbe le sue gioie e le sue
delusioni, ma soprattutto la fortezza adamantina nelle ripetute
stazioni della sua via crucis decennale, i suoi ripetuti ricoveri in ospedale e poi la sua lunga corsa finale.
Mons. Vito De Grisantis morì all’alba del 1 aprile, nell’ospedale
“G. Panico” di Tricase. L’intera dioceesi, commossa e grata, si inchinò alla sua memoria ed elevò accorata preghiera per lui che aveva donato la sua vita per la santificazione di tutti i suoi figli. Nel
corso del Novecento non era mai accaduto, dopo la morte di mons.
Luigi Pugliese (17 giugno 1923), che un vescovo concludesse in diocesi la sua permanenza terrena. Le solenni esequie nella piazza della cattedrale, il 3 aprile, sabato santo, furono presiedute dal
presidente della Conferenza Episcopale Pugliese, mons. Francesco
Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, con la partecipazione di altri
vescovi, tra i quali il metropolita leccese mons. Domenico
D’Ambrosio che gli era stato molto vicino negli ultimi mesi. Alla
preghiera dei vescovi si unirono tutto il clero diocesano e regolare,
le rappresentanze di tutte le parrocchie della diocesi, nonché autorità civili di ogni livello. La sua salma, portata a Lecce, fu deposta
nella tomba familiare del cimitero cittadino.
624
La sua memoria rimane in benedizione. Il messaggio che perdura, è quello indicato nel suo stemma episcopale maior caritas: la
carità è il maggior dono per i cristiani e non avrà mai fine. Quella
dell’episcopato di mons. De Grisantis nella diocesi di Ugento, sembra l’esperienza significativa di un vescovo del Salento all’avvio del
terzo millennio cristiano.
mons. Salvatore Palese
* Nella stesura di questo testo mi sono avvalso delle informazioni date dalla
curia arcivescovile di Lecce, di quelle tratte dal “Bollettino ufficiale della diocesi
di Ugento - S. Maria di Leuca”, nonché dal numero speciale del notiziario della
diocesi “Il faro”, del maggio 2010 e in particolare di quelle date da mons. Gerardo Antonazzo, Gigi Lecci, Luigi Russo, Michele Rosafio, Giulia Macrì, Claudio
Morciano.
625
AGENDA PASTORALE
Luglio 2011
1V
2S
19,00
10,30
19,00
21,00
3D
4L
5 Ma
19,00
09,30
6 Me
7G
8V
9S
10 D
11 L
12 Ma
13 Me
14 G
15 V
Non ci sono udienze
Incontro con i ragazzi del GREST diocesano – Oratorio “S.
Giovanni Bosco” – Taurisano
Non ci sono Udienze
19,00
14,00
19,00
20,00
19,30
19,30
19,00
17,30
19,00
16 S
17 D
18 L
19 Ma
20 Me
21 G
22 V
23 S
Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù
Giornata universale per la santificazione del clero.
Il Vescovo predica il ritiro al clero di Oppido MamertinoPalmi.
Inizia il Seminario estivo – Tricase Porto
S. Messa per la festa della Madonna del Canneto – Giuliano
S. Messa per il 50° di sacerdozio di Mons. G. Stendardo –
Leuca Basilica
Incontro dei giovani della Pastorale Giovanile Regionale
con s. e. mons. Fragnelli – Leuca Basilica
Cresime Parrocchia “S. Elia Profeta” – Ruggiano
S. Messa al Camping Riva di Ugento
Conclusione del Seminario Estivo
S. Messa per il 10° di morte di Mons. A. De Vitis – Supersano
S. Messa a Torre Mozza
UDIENZE
Novena alla Confraternita del Carmine – Miggiano
Novena alla Confraternita del Carmine – Presicce
UDIENZE
Novena alla Confraternita del Carmine – Ruffano
S. Messa con mons. Casile e i Seminaristi della Pastorale
Sociale Nazionale – Alessano
Convegno sulla sofferenza – PP. Trinitari – Gagliano
Festa della Madonna del Carmine – Sannicandro
Non ci sono udienze
Non ci sono udienze
19,00
S. Messa alla Basilica della Madonna dei Martiri – Molfetta
629
24 D
25 L
09,00
19,30
18,00
21,00
26 Ma
18,00
27 Me
19,00
28 G
29 V
30 S
31 D
19,00
630
S. Messa al Villaggio Robinson
S. Messa per la Fidas – Corsano
Incontro degli insegnanti di religione con Fratel E. Biemmi – Auditorium – Alessano
S. Messa con i “Genitori dei figli in Paradiso” – Centro
sociale di Corsano
UDIENZE
Incontro degli insegnanti di religione con Fratel E.
Biemmi – Auditorium – Alessano
S. Messa con i giovani della “Via Leucadensis” – Leuca
Basilica
Non ci sono udienze
Cresime Parrocchia “S. Nicola” – Tricase Porto
Agosto 2011
1L
2 Ma
18,30
19,30
3 Me
4G
5V
6S
7D
8L
9 Ma
10 Me
11 G
19,00
10,00
19,00
21,00
18,30
19,00
08,00
19,30
12 V
19,30
13 S
07,00
18,00
14 D
18,30
21,00
15 L
17,00
16 Ma
11,00
Non ci sono udienze
Benedizione monumento “Ala di riserva” – Cimitero di
Alessano
S. Messa per il “Perdono d’Assisi” – S. Maria degli Angeli
Presicce
Non ci sono udienze
Memoria di S. Giovanni M. Vianney, Protettore dei Parroci
Cresime Parrocchia “Trasfigurazione N.S.G.C.” – Taurisano
S. Messa per la festa Patronale di S. Donato – Montesano
Cresime Parrocchia “M. SS. Immacolata” – Torrepaduli
Santuario
Processione di S. Donato – Montesano
Cresime Parrocchia “SS. Salvatore” – Alessano
UDIENZE
S. Messa e Processione per la festa Patronale di S. Vito –
Tricase
S. Messa per la Solennità di S. Chiara – Monastero Clarisse – Alessano
UDIENZE
S. Messa per la festa della Madonna del Mare – Torre
Vado
Novena al Santuario di S. Rocco e inaugurazione opere
d’arte – Torrepaduli
S. Messa a conclusione del pellegrinaggio a piedi – Leuca
Basilica
S. Messa e Processione a mare per la festa di S. Nicola –
Tricase Porto
S. Messa per la Solennità dell’Assunta – Santuario Marina Serra
S. Messa per la festa della Madonna dell’Aiuto – Torre S.
Giovanni
Solennità dell’Assunzione di Maria
S. Messa e Processione a mare festa della Madonna –
Marina di Leuca
Memoria di S. Rocco – Patrono secondario della Diocesi
S. Messa per la festa di S. Rocco – Torrepaduli
631
17 Me
18 G
19 V
20 S
21 D
22 L
23 Ma
24 Me
25 G
26 V
27 S
28 D
18,30
21,00
20,00
Esercizi spirituali con l’“U.A.C.”
Non ci sono udienze
Non ci sono udienze
19,00
21,00
29 L
30 Ma
31 Me
632
S. Messa Villaggio “Poseidone” – Marina di Ugento
S. Messa alla Confraternita “S. Rocco e S. Lucia” – Tricase
S. Messa a “Mare verde” – Marina di Ugento
GMG – Madrid
Non ci sono udienze
19,00
19,00
19,00
Ingresso del nuovo Parroco don Giuseppe Indino – Marina di Leuca
“Notte degli Angeli” a cura della Pastorale del Turismo e
in collaborazione con il Coordinamento Sagre e Banco
delle Opere di Carità – Ruffano
Ingresso nuovo Parroco don Oronzo Cosi – Supersano
Ingresso nuovo Parroco don Luca De Santis – Salignano
Ingresso nuovo Parroco don Flavio Ferraro – Tricase Matrice
Settembre 2011
1G
2V
3S
4D
5L
6 Ma
19,00
19,00
09,30
11,00
19,00
19,00
09,30
18,30
7 Me
8G
18,30
9V
10 S
11 D
12 L
13 Ma
14 Me
15 G
16 V
17 S
18 D
19 L
UDIENZE
Ingresso nuovo Parroco don Andrea Carbone – Depressa
S. Messa di saluto a don Pompilio Cazzato – Montesano
Ingresso nuovo Parroco don Quintino Pecoraro – Montesano
Cresime Parrocchia “S. Antonio da Padova” – Depressa
Ingresso nuovo Parroco don Francesco Cazzato – Presicce
Ingresso nuovo Parroco don Pasquale Carletta – Giuliano
Riunione degli Uffici di Curia – Episcopio
Non ci sono udienze
50° di sacerdozio di s. e. mons. Rocco Talucci – Brindisi
Non ci sono udienze
Ingresso Amministratore Parrocchiale mons. Giuseppe
Martella – Barbarano
Non ci sono udienze
Non ci sono udienze
18,30
19,00
18,30
20 Ma
18,30
21 Me
18,30
22 G
23 V
24 S
25 D
26 L
18,30
18,30
27 Ma
09,00
Ingresso nuovo Parroco don Antonio De Giorgi – Specchia
Nomina a Parroco di don Enzo Zecca – Torre S. Giovanni
Ingresso Amministratore Parrocchiale P. Antonio Caccetta
– Morciano
UDIENZE
Novena e inaugurazione statua S. Michele Arcangelo – Castrignano
Ingresso nuovo Parroco don Stefano Ancora – “S. Giovanni
Bosco” – Ugento
UDIENZE
Incontro con l’UCIIM – Tricase
Commissione Catechetica Regionale
Processione e Pontificale per la festa dei SS. Medici – Ugento
Non ci sono udienze – la Curia è chiusa
Pontificale Santuario SS. Medici – Ugento
633
28 Me
18,30
S. Messa e Processione per la festa dei SS. Medici – Depressa
18,30
Convegno regionale per l’apertura dell’Anno Vincenziano –
Specchia
29 G
18,00
30 V
634
UDIENZE
S. Messa e Processione per la festa Patronale di S. Michele
– Castrignano
Ottobre 2011
1S
2D
18,30
10,30
18,30
3L
17,30
4 Ma
10,30
5 Me
18,30
18,30
6G
7 Ve
8S
9D
10 L
11 Ma
12 Me
13 G
14 Ve
11,00
09,30
18,30
15 S
18,30
16 D
17 L
18 Ma
19 Me
20 G
11,00
S. Messa chiesa “S. Domenico” – Bari
Esercizi spirituali C.E.P.
Non ci sono udienze
Non ci sono udienze
Ritiro del clero – Leuca Basilica
S. Messa e incontro con la Forania “SS. Apostoli” – Taurisano Matrice
Ingresso nuovo Parroco don Pietro Carluccio – Montesardo
Ingresso nuovo Parroco don Rocco Zocco – Ugento
Non ci sono udienze
10,30
18,30
21 Ve
Nomina a Parroco di don William Del Vecchio – Caprarica
Ingresso nuovo Parroco don Mario Ciullo – Torrepaduli
Ingresso nuovo Parroco don Antonio Turi – Ugento – S.
Cuore
S. Messa e Processione per la festa Patronale di S. Francesco – Gemini
Festa di S. Francesco d’Assisi Patrono d’Italia
Non ci sono udienze
Celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia – Cappuccini
Alessano
S. Messa Parrocchia “S. Francesco” – Ruffano
S. Messa e incontro con la Forania “S. Antonio ” – Tricase “S. Domenico”
Commissione Catechetica Regionale
Non ci sono udienze
09,30
17,00
18,30
Inaugurazione Anno Accademico Facoltà Teologica Pugliese – Bari
Veglia Missionaria Diocesana e inizio Anno Pastorale –
Cattedrale
Incontro sacerdoti giovani – Episcopio
Incontro Presidenti e Zelatrici A.dP. – Parrocchia S. Cuore – Ugento
S. Messa e incontro con la Forania “S. M. di Leuca” –
Leuca Basilica
635
22 S
23 D
24 L
25 Ma
26 Me
27 G
28 Ve
10,30
18,30
29 S
18,00
30 D
31 L
10,00
10,30
636
UDIENZE
S. Messa per la “Fratres” – Lucugnano
Esercizi Spirituali per “Vivere in”
Non ci sono udienze
Non ci sono udienze
S. Messa e incontro con la Forania “S. Vincenzo” – Cattedrale
Riapertura al culto della Cappella restaurata della Madonna di Pompei – Ugento
Cresime Parrocchia “S. Sofia” – Corsano
S. Messa per la festa Patronale di S. Quintino – Alliste
Novembre 2011
1 Ma
11,30
16,00
2 Me
15,00
3G
4V
5S
6D
7L
8 Ma
9 Me
10 G
11 V
12 S
13 D
17,00
S. Messa per festa Patronale di S. Carlo – Acquarica
09,30
UDIENZE
09,30
09,30
16,00
09,30
15,00
17,30
UDIENZE
Ritiro del clero – Leuca Basilica
Scuola di Preghiera Ragazzi – Seminario
Ritiro con l’U.S.M.I
Festa Diocesana dell’Accoglienza A.C. – Supersano
S. Messa per il 40° della Parrocchia “S. Antonio da Padova” – Tricase
Aggiornamento del Clero – Noto
Non ci sono udienze
14 L
15 Ma
16 Me
17 G
18 V
19 S
17,00
20 D
11,00
Non ci sono udienze
17,30
21 L
22 Ma
23 Me
24 G
S. Messa per la Professione Perpetua di Fra Matteo Di
Seclì e
di Fra Gabriele Bitonti – Parrocchia “Maria SS. Ausiliatrice” – Taurisano
S. Messa e rinnovo voti Oblate di Cristo Re – Cappuccini
– Alessano
S. Messa “Parrocchia Cristo Re” – Leuca Marina
UDIENZE
18,30
25 V
26 S
Solennità di tutti i Santi
Pontificale - Cattedrale
S. Messa e Pellegrinaggio al Cimitero – Tiggiano
Commemorazione dei Fedeli Defunti
Pellegrinaggio cittadino al Cimitero e S. Messa – Ugento
Non ci sono udienze
Memoria di S. Carlo, Patrono dei Seminari
09,30
18,00
UDIENZE
Relazione Fondazione “Don Tonino Bello” - Auditorium Alessano
Incontro preti giovani – Episcopio (segue pranzo)
S. Messa e Stellario dell’Immacolata “Confraternita Immacolata” – Corsano
637
27 D
11,30
28 L
18,00
17,30
29 Ma
06,00
17,30
30 Me
638
16,00
S. Messa di ringraziamento con la “Coldiretti Provinciale” – Cattedrale
Convegno sul “Testamento Biologico” – Acquarica
S. Messa e Stellario dell’Immacolata “Confraternita Immacolata” – Tutino
Novena dell’Immacolata – Cappuccini Alessano
UDIENZE
S. Messa e Processione per la festa Patronale di S. Andrea – Presicce
Processione e S. Messa per la festa patronale di S. Andrea –Salignano
Dicembre 2011
1G
17,30
2V
3S
18,00
11,00
18,30
Novena all’Immacolata – Confraternita “Immacolata” –
Supersano
1° Anniversario di Ordinazione Episcopale di Mons. Vescovo
Giornata di spiritualità con le coppie – Basilica Leuca
Novena all’Immacolata – Confraternita “Immacolata” –
S. Eufemia
Incontro con i ragazzi dell’Istituto Alberghiero – Ugento
Stellario all’Immacolata Confraternita “Immacolata” –
Tutino
UDIENZE
Processione e S. Messa per la festa patronale di S. Nicola Magno - Salve
Novena all’Immacolata – “Cappuccini” – Alessano
Incontro con i ragazzi dell’Istituto Magistrale – Tricase
Novena all’Immacolata – Ass.ne “Figlie di Maria” – Miggiano
Concerto per l’Immacolata – “Confraternita Immacolata” – S. Eufemia
Solennità dell’Immacolata Concezione
S. Messa Parrocchia “S. Vincenzo” – Miggiano
S. Messa Matrice – Ruffano
Ritiro del clero – Leuca Basilica
Incontro con i ragazzi dell’Istituto Alberghiero – Ugento
Incontro con i ragazzi dell’Istituto Professionale – Taurisano
Conferenza su S. Chiara e S. Messa – Monastero Clarisse
– Alessano
Ritiro con l’U.S.M.I. – Oasi Marcelline – Tricase
C.E.P. – Molfetta
UDIENZE
S. Messa Santuario “SS. Medici e S. Lucia” – Ugento
S. Messa Confraternita “S. Lucia – S. Rocco” – Tricase
19,00
UDIENZE
Incontro con i catechisti della Forania di Leuca – Salignano
4D
10,00
18,00
5L
08,30
17,30
6 Ma
16,00
7 Me
06,00
08,30
17,30
20,00
8G
9V
10 S
11,00
16,00
09,30
09,00
11,00
16,30
11 D
12 L
13 Ma
UDIENZE
Novena all’Immacolata – Arciconfraternita “Immacolata” – Gagliano
09,30
14 Me
15 G
639
16 V
17,30
17 S
19,00
17,00
18 D
19 L
20 Ma
10,00
17,00
19,00
17,30
18,00
21 Me
17,00
22 G
23 V
17,00
11,30
17,00
24 S
16,30
23,00
25 D
26 L
11,30
17,30
27 Ma
28 Me
29 G
30 V
31 S
17,00
17,30
640
Novena del S. Natale con le Clarisse Cappuccine – Alessano
Scuola di preghiera con i giovani – Monastero Alessano
Novena del S. Natale e accoglienza Fiaccola della Pace –
Tricase Matrice
Accolitato del Seminarista Andrea Romano – Cattedrale
S. Messa Parrocchia “S. Lorenzo” – Barbarano
Concerto natalizio interparrocchiale Ugento – Cattedrale
Novena del S. Natale Parrocchia “S. Elia” – Ruggiano
UDIENZE
Novena del S. Natale Parrocchia “S. Francesco d’Assisi”
– Ruffano
Novena del S. Natale con gli ospiti del centro di riabilitazione dei PP. Trinitari – Gagliano
UDIENZE
Novena del S. Natale Parrocchia “S. Michele” – Patù
Novena del S. Natale all’Ospedale “Card. Panico” e visita
agli ammalati – Tricase
S. Messa con le famiglie dei Seminaristi della Diocesi –
Seminario Vescovile
Ritiro con i Teologi e visita all’Hospice di Tricase
Veglia e S. Messa della Notte – Cattedrale
Solennità del S. Natale
Solenne Pontificale “In Nativitate Domini” – Cattedrale
Ordinazione Diaconale dell’Accolito Pierluigi Nicolardi –
Cattedrale
Non ci sono udienze
Non ci sono udienze
Ingresso Parroco Mons. Giuseppe Stendardo – Barbarano
Vespro solenne e canto del Te Deum – Cattedrale
EDIZIONI VIVEREIN
C.da Piangevino, 224/A - Monopoli (Bari)
E-mail: [email protected] - www.edizioniviverein.it
Fotocomposizione e stampa
febbraio 2013
EVI s.r.l. Arti Grafiche
E-mail: [email protected]