Mons. Domenico Sigalini: "Unità pastorali nella

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Mons. Domenico Sigalini: "Unità pastorali nella
Mons.
Domenico
Sigalini:
"Unità
pastorali
nella
pastorale integrata"
Prima
di
parlare
di
unità
pastorali
e….
presbiteri,
associazioni, organizzazione, ministeri, religiosi e
religiose, consacrati ecc .(che in seguito occorre sicuramente
affrontare perché tutti entrino in questa nuova progettualità)
vogliamo rimettere al centro la parrocchia, e particolarmente
la trasformazione strutturale che si deve dare se ha
intenzione di darsi quel nuovo assetto che chiamiamo Unità
Pastorale. Le diocesi italiane hanno dato molti nomi a questa
trasformazione. Significa che sono vari i punti di vista
pastorali, come sono varie le situazioni del territorio. Non
ci preoccupa il nome formale, ma la sostanza.
A che punto sono le Unità Pastorali
Ho iniziato a seguire le esperienze di UP fin dal 1993 nel
COP, con il primo seminario di Assisi, cui sono seguiti altri
seminari e dossier o articoli della rivista Orientamenti
Pastorali. Il COP ha dato il suo contributo perché tale
esperienza uscisse dalle secche di una mera concentrazione di
servizi ecclesiastici e oggi si possono sottolineare alcuni
ulteriori passi avanti.
Un vera ridefinizione della espressione di base della comunità
cristiana: la parrocchia.
Il numero di Chiese Diocesane coinvolte nella progettazione
delle UP e l’impegno profuso da queste ci permette di dire che
non si tratta più di interventi tampone su urgenze locali, ma
di un nuovo modo progettuale di ripensare la figura concreta
di comunità parrocchiale, nella sua caratteristica di
struttura primaria di comunione e di missione evangelizzatrice
della Chiesa.
La percezione condivisa è che non siamo solo in presenza di un
problema da risolvere, quale è quello della carenza di clero,
per cui occorre accorpare e razionalizzare per garantire
servizi di culto, ma nella necessità di offrire al Vangelo una
struttura comunitaria di base rinnovata, ridefinita, non solo
aggiornata.
Il riferimento territoriale, snodo determinante.
Il fatto che costringe a questo indilazionabile cambiamento è
la trasformazione della realtà territoriale in cui vive una
comunità di cristiani. L’impianto con cui la Chiesa fino ad
oggi si è fatta casa di comunione, laboratorio della Fede,
scuola di Santità, quale è la parrocchia non regge a tale
trasformazione. La realtà territoriale come dato sociologico,
antropologico e culturale è il nodo che oggi dobbiamo mettere
maggiormente a fuoco nell’offrire nuove forme di
strutturazione alla Comunità Cristiana. Il termine territorio
è troppo povero per esprimere il nuovo mondo di relazioni, le
reti di interazione tra le persone e le istituzioni, i nuovi
comportamenti della gente, dei ragazzi, dei giovani, degli
adulti, gli spostamenti di persone e cose, i tessuti
comunicativi, le sfide economiche che caratterizzano uno
spazio geografico, umano e spirituale. Non si tratta solo di
spazi geografici, ma di modi di vita, di mentalità. Le nostre
parrocchie così come sono distribuite e organizzate nei nostri
territori non sono più in grado di rispondere al bisogno di
Vangelo che c’è tra la gente e non riescono più ad essere quel
segno levato tra le genti. Le domande degli uomini sono tante
e molto articolate, così che non è possibile rispondere a
tutte e bene se non in una nuova comunione comunitaria. Le UP
non saranno altro dalla parrocchia, ma una vita parrocchiale
rinnovata, che non distrugge le piccole appartenenze, le
comunità più piccole di cui è formata, ma le mette in una
comunione evangelizzatrice. Questa operazione non è di tipo
organizzativo, ma un vero ripensamento dell’essere comunità
cristiana.
Di conseguenza siamo chiamati ha ricentrare il compito della
Comunità Cristiana e in particolare della vita nella sua
comunità di base, che è la Parrocchia, sull’essenziale, cioè
sulla Evangelizzazione che si fa accoglienza della Comunione e
Missione.
Il coinvolgimento del Popolo di Dio e la responsabilità
diocesana.
Quasi tutte le esperienze di UP sono state proposte non prima
di un lavoro paziente di ascolto dei presbiteri, dei consigli
pastorali sia parrocchiali che diocesani e presbiterali, degli
operatori pastorali. Il segreto della tenuta e della riuscita
è stato quello di far crescere un consenso del popolo di Dio,
di operare un vero discernimento pastorale e di confermarlo
ufficialmente con una decisione del vescovo. Le
sperimentazioni fatte per affinità di carattere tra presbiteri
o per contingenze favorevoli sono spesso franate alle prime
difficoltà. Prima di giungere a codificazioni anche giuridiche
occorrono esperienze ben monitorate e seguite sia da
pastoralisti che da teologi. Le UP sono frutto di un vero modo
di fare chiesa e della collaborazione – corresponsabilità di
tutta la comunità credente.
Il laicato, soggetto del cambiamento
Se il soggetto della istituzione di UP è la Comunità
Cristiana, se il compito è principalmente l’evangelizzazione
(Vangelo accolto e proclamato), se il destinatario è il
territorio, nell’accezione sopra specificata, ne deriva che il
laicato, che per statuto e corresponsabile di tutta la
missione della Chiesa, ancor prima di dividersi i compiti
in ex Fide e Fidei, quasi che i primi siano dei preti e i
secondi dei laici, è soggetto assieme a tutto il popolo di
Dio, del cambiamento e quindi della ridefinizione di questi
nuovi assetti della vita e struttura parrocchiale.
Assieme, presbiteri e laici, occorre essere comunità cristiane
autentiche che vivendo in un territorio trasformato rendono
possibile oggi a tutti incontrare il Vangelo, accogliere la
salvezza che è Gesù e vivere in comunione.
Laici dedicati
I laici, proprio perché la missione è nuova vita di relazioni
quotidiane, in cui risuona il primo annuncio, in cui la Parola
si fa cultura quotidiana, diventano testimoni naturali e
quindi consapevoli dei compiti della comunità cristiana al
cospetto del mondo. Sono loro che devono ricostruire una
comunità cristiana estroversa, non ripiegata di nuovo su se
stessa. A questa molteplice responsabilità dei laici si è dato
spesso il nome di ministerialità laicale. Qui si colloca in
tutta la sua importanza l’esperienza laicale che non è
soprattutto prestazione d’opera ma risposta ad una chiamata,
all’urgenza del Vangelo.
I laici associati o laici single?
Un’operazione così delicata di rifondazione della Comunità
Cristiana nella sua struttura di base deve contare solo su
laici coinvolti ad uno ad uno, scelti con cura, competenti,
spiritualmente preparati, oppure si realizzerebbe meglio se
questi laici fossero associati, abituati a vivere in
comunione, formati su una progettualità ecclesiale ben
definita, capaci di offrire a tutti una esemplarità formativa?
Esiste un’esperienza di laici dedicati alla missione della
Chiesa che fanno consistere in loro aggregarsi nel prepararsi
a misurarsi con l’incredulità, con l’indifferenza, con la
ricerca di molti che non si riconoscono esplicitamente o
consapevolmente in un prospettiva cristiana?
Occorre qualcuno che sa vivere il Vangelo con le parole
semplici della vita quotidiana per imparare a parlare al cuore
di ogni uomo. Questo non lo si improvvisa, ma è frutto di un
tirocinio associativo. Prima ancora di pensare ai laici come a
degli operatori pastorali con incarichi ad intra occorre
garantirsi un laicato operatore della relazione quotidiana
evangelizzatrice negli spazi della vita, nella famiglia e
nella scuola, nel lavoro e nel tempo delle relazioni gratuite.
Mi permettete di spendere alcune parole che oggi non sono
proprio di parte. Che cosa è l’Azione Cattolica se non una
associazione che garantisce queste caratteristiche al laicato?
Operatori Pastorali
Una questione importante da approfondire con serietà è quella
dei laici che si affiancano ai presbiteri con incarichi di
conduzione e/o animazione della vita delle UP. Nelle diocesi
sono chiamati o genericamente operatori pastorali o gruppo
ministeriale laicale o gruppo di animazione laicale. Per essi
occorrerà anche avere il coraggio di affrontare problemi di
durata dell’incarico, di ruoli diversificati e interagenti, di
collocazione giuridico-ecclesiale, di volontariato e di
remunerazione, di collaborazione stabile con i presbiteri. La
paura di clericalizzare da una parte o di strumentalizzare
dall’altra è molto presente.
Nelle UP abbiamo “bisogno di operatori pastorali ma
preferiamo dei Questo non significa che la parrocchia
non debba avere i suoi catechisti, o i suoi animatori
della liturgia, o i suoi educatori… ma è ben diverso che
queste figure siano dentro una logica che cerca di non
essere sguarnita di persone che possono assolvere a
tutte le funzioni di cui la parrocchia ha bisogno e
diverso è che queste persone si sentono corresponsabili
della vita della propria comunità come si fa in
famiglia. In questo secondo caso, la provocazione a
verificare di continuo la qualità della propria
esperienza di fede è forte, perché ci si preoccupa della
vita
della
famiglia,
non
dell’efficienza
nell’assolvimento delle sue funzioni”.
Nelle UP abbiamo “bisogno di operatori pastorali ma
preferiamo dei laici maturi nella loro vocazione e nella
consapevolezza di essa; laici capaci di spendere la
maturità delle loro fede nei loro normali ambienti di
vita e dunque voce della loro comunità dove la comunità
con le sue strutture non può giungere. Una parrocchia
che affida il suo essere missionaria alla maturità di
fede dei suoi laici è una comunità che allarga
indefinitamente le proprie potenzialità missionarie: è
un comunità che può raggiungere le famiglie; gli
ambienti di lavoro; gli spazi della cultura, della vita
amministrativa, della scuola. Che cosa dà consistenza ad
un comunità così? Il credere che il suo tesoro è la fede
dei suoi figli molto più e prima delle proprie
iniziative; il costruire dei momenti di unità in cui sia
possibile raccontare la bellezza e la fatica di questa
testimonianza solitaria e dispersa nel mondo (anche i
discepoli, dopo essere stati inviati, tornano e
raccontano a Gesù che cosa hanno fatto, che cosa è
accaduto, com’è andata la missione…); il ritrovarsi
attorno all’Eucaristia domenicale come attorno al cuore
del proprio essere Chiesa. E questo ovviamente chiede di
verificare la qualità delle celebrazioni della domenica.
E’ una UP che “fa la scelta preferenziale degli adulti.
Non può che fare così, non per ragioni strategiche, come
talvolta si sente dire: perché se gli adulti sono
convinti e coinvolti, a loro volta coinvolgono i figli…
ma perché è degli adulti quella maturità di fede che
permette loro di stare in piedi da soli nei luoghi
ordinari della vita.”
Se gli operatori pastorali diventano dei tecnici
dell’organizzazione e se le UP fanno consistere la
corresponsabilità dei laici soprattutto in incarichi o
ministeri di persone perde la bellezza di essere un popolo che
celebra e che annuncia, che vive la carità e la offre. Si
ripropone lo stesso problema che ha fatto iniziare troppo
tardi, a mio avviso, le unità pastorali. La mia impressione è
che se si preme molto il tasto del ministero, pure con una
veste liturgica, in un ambiente ancora troppo clericale, per
come è percepito dalla gente, non come è in realtà,
perpetuiamo quella figura di clero, che attualmente è molto
scarsa e una delle preoccupazioni delle unità pastorali verrà
lentamente a ripresentarsi sotto altro tormento; per esempio
la carenza di catechisti, di operatori pastorali, di
responsabili.
Abbiamo più bisogno di catechisti che a 8 anni, ora anche a
10-12, iniziano a insegnare il segno della croce e a far
provare alcune emozioni religiose o di una mamma e di un papà
che al suo bambino ancora quando non sa parlare, davanti a una
immagine sacra suggerisce in maniera naturale un bacetto, un
saluto, una preghierina? Il sacramento del matrimonio è con il
sacramento dell’ordine responsabile della costruzione e della
vita della comunità cristiana, che sicuramente avviene nella
risposta alla chiamata di Dio, ma ad una chiamata specifica.
La famiglia non è soprattutto oggetto di evangelizzazione, ma
soggetto di evangelizzazione, destinatario di una vocazione
specifica. La sua corresponsabilità non è facoltativa, fa
parte della sua vocazione di famiglia cristiana. Il prete non
è soprattutto oggetto di evangelizzazione, ma soggetto di
evangelizzazione, destinatario di una vocazione specifica.
Occorre mantenere nella Chiesa e nelle UP strati popolari di
vita credente attiva e responsabile, spazi di missione
quotidiana, vivaio di adulti che stanno in piedi da soli come
credenti nei luoghi ordinari della vita. Si deve dare vita, se
non c’è, a una esperienza che tiene continuamente il laico
progettualmente dentro la vita, senza lasciarsi fagocitare
nelle cose di Chiesa.
Gli operatori pastorali non hanno bisogno solo di scuole, ma
di una esperienza continuativa di riflessione e di
partecipazione, hanno da sperimentare la disciplina di un
confronto comunitario, devono essere attivati a guardare alla
realtà dall’angolatura di ideali ispiratori. Se questi ideali
sono gli stessi della comunità cristiana, della progettualità
diocesana, del tipo di missione che lì si vuol vivere, le UP
possono contare su una comunione vera.
Non aggiustamenti, ma una vera riforma della parrocchia
L’impressione che si ricava dai vari progetti e definizione di
questi nuovi assetti (Cf. Piacenza, Torino, Milano per le UP
giovanili, Vicenza…) dà l’idea che il cambiamento non è un
aggiustamento, ma una riforma. Per essa di conseguenza occorre
attrezzarsi in alcune direzioni importanti.
La formazione dei presbiteri
Non poche diocesi hanno richiamato la necessità di ripensare
in questa ottica la formazione dei presbiteri nella linea di
una conversione culturale, pastorale e spirituale. Si tratta
di ripensarsi nel ruolo di preti che lavorano necessariamente
in collaborazione, che stabiliscono momenti di vita comune,
che sanno progettare assieme, oltre la logica esageratamente
poggiata sulla propria individualità nella costruzione della
propria spiritualità o anche figura pastorale che ha
caratterizzato l’educazione dei seminari negli anni passati
La formazione dei laici
Lo stesso aggiornamento va fatto nel confronto nel mondo
laicale. Supponiamo che si punti sull’AC, dove esiste, in
essa occorre far crescere un laicato dedicato “stabilmente”
alla comunità credente cioè un nuovo modello di laici
culturalmente, pastoralmente e spiritualmente. L’A.C. ha
quindi bisogno di rinnovarsi e di servire questi cambiamenti
come ha servito il cambiamento post-conciliare.
La sperimentazione progettata
Si intende con questo che le esperienze non sono fatte al
buio, ma sono progettate con grande attenzione dagli organismi
di comunione e definite nei piani pastorali del vescovo,
perché siano vere esperienze di chiesa e vere espressioni del
popolo di Dio. Questo garantisce oltre che serietà, anche
autorevolezza e continuità. La felice compresenza di passione
evangelizzatrice della base e illuminato discernimento
dell’autorità ha permesso alle UP di essere una vera
esperienza di chiesa e di candidarsi a rappresentare il futuro
della esperienza parrocchiale, dove non si creano
concentrazioni di servizi, o agglomerati neutri di cristiani,
ma vere reti di comunità rispettate nelle loro particolarità
di tradizione di popolo cristiano e convergenti nella
comunione di una unica comunità più ampia per una missione
responsabile.
Linee operative
Lettura
più
approfondita
dei
cambiamenti
e
delle
provocazioni della realtà territoriale e dell’impatto
che su di essa deve avere la comunione ecclesiale e la
sua missione.
Dare vita a sperimentazioni coraggiose di vita comune
tra presbiteri, tra laici e tra presbiteri e laici al
servizio di questa nuova forma di comunità parrocchiale.
Rispetto massimo delle piccole comunità. Se la famiglia
è una chiesa domestica, a maggior ragione è un insieme
di famiglie che abitano una piccola parrocchia. Sono ese
e non un incaricato i soggetti che fanno vivere questa
comunità cristiana
L’AC nel suo rinnovamento non può non dedicarsi a
ripensarsi entro queste sfide e nuove forme di
parrocchia. Se fa suo il progetto della diocesi, e la
strutturazione delle UP è sempre un vero progetto
diocesano, l’AC deve assolutamente spendere in esso
tutta la sua carica di servizio alla Chiesa, altrimenti
non è l’AC che la diocesi sogna.
Il rapporto tra operatori pastorali e A.C., o altre
associazioni laicali ecclesiali. non deve impantanarsi
nelle secche in cui ci si è bloccati quando sono nati i
consigli pastorali. Allora l’AC si è quasi trovata
scavalcata da questa realtà e ha creduto di aver
terminato il suo compito. Oggi può capitare che di
fronte alla strutturazione di gruppi ministeriali di
laici animatori delle UP succeda la stessa cosa, mentre
abbiamo ben dimostrato che il ruolo delle associazioni o
movimenti resta ancora e di più indispensabile.