Gravity di Alfonso Cuaron del 2013
Transcript
Gravity di Alfonso Cuaron del 2013
Gravity Un impatto visivo innegabilmente straordinario. La sala, piena di nerds appena usciti da “The Big Bang Theory”, echeggia di “Oohhh…” e “Aahhh…” di meraviglia e stupore. “Ma come hanno fatto ?” - sussurra sbalordito Leonard a Sheldon seduto accanto a lui – “sarà tutta computer grafica, oppure hanno veramente girato nello spazio ?” Peccato che, dopo i primi dieci minuti, inevitabilmente si verifica il classico “effetto Jurassic Park”. Vi ricordate “Jurassic Park “ ? Belli i dinosauri: realistici e magnifici. Ma, superato lo stupore iniziale, alla fin fine non c’è che qualcosa di grosso con i denti che insegue i protagonisti per farci colazione… già visto (e più avvincente) ne “lo squalo”. Anche qui, superato lo stupore iniziale, ci si rende conto che la dinamica nello spazio vuoto era altrettanto maestosa già quarant’anni fa in “2001 Odissea nello spazio” (e c’era pure la colonna sonora di Strauss), mentre la computer grafica e il 3D erano altrettanto realistici in “Avatar”, dove però c’era una trama e succedeva almeno qualcosa. La vicenda (?) inizia sul telescopio spaziale Hubble. Intorno alla struttura metallica, le facce di Sandra Bullock e George Clooney fanno capolino dalla visiera trasparente di due scafandri bianchi, impeccabilmente animati da un software di rendering 3D. Sullo sfondo, la visione della Terra è magnifica, ma siccome ce la propongono ad ogni minuto dispari, viene quasi subito a noia. Con il primo dialogo ci spiegano che Bullock è un medico (la chiamano “Doc”) e che, prima di essere mandata in missione in orbita, lavorava in un ospedale. Inspiegabilmente però la vediamo armeggiare con i pannelli del telescopio Hubble, che forse manifesterà qualche riga di febbre. In realtà si tratta di un pretesto per giustificare il fatto che la Bullock risulta un’astronauta “imbranata ma non troppo”. Invece Clooney, che si presume sia il comandante della missione, svolazza in giro con il suo jet pack, divertendosi un mondo e prendendo per il culo i colleghi che lavorano (atteggiamento assolutamente realistico, essendo lui il capo). Tra l’altro, il personaggio interpretato da Clooney si chiama “Kowalski”. Ad Hollywood per anni hanno affibbiato questo cognome alle comparse destinate a morire quasi subito. Immaginate il classico episodio di “Star Trek”. Kirk a Scott: “Preparate il teletrasporto per scendere sul pianeta inesplorato. La squadra sarà composta da me, il dr. Spock e il sergente Kowalski”. Era evidente che Kowalski sarebbe morto nei primi 10 minuti dell’episodio. Qualche fan di TOS scrive: “a volte per far prima lo teletrasportavano già morto sul pianeta”. Con “Stargate”, Hollywood ci ripensa, e chiama Kowalski un personaggio che arriva vivo fino alla fine. Anche in “Madagascar” uno dei pinguini si chiama “Kowalski”. A questo punto, Hollywood capisce che lo spettatore è confuso, e non sa più cosa aspettarsi da un personaggio con questo cognome. Pertanto cerca di rimediare e fare un prodotto più rassicurante. Questo è un Kowalski che muore: tranquilli! Ad ogni modo: c’è giusto il tempo per una stupefacente inquadratura del pianeta, un “oohhh..” dalla sala, e ci avvisano che c’è una tempesta di detriti in arrivo. Come tutti gli spettatori sanno, le orbite di “parcheggio” terrestri sono piene di rottami e residui di ogni tipo. Lo smaltimento di tutta questa spazzatura è un grosso problema, anche perché la trattativa con i casalesi per “intombare” il tutto nelle campagne casertane è ad un punto morto. In cerca di soluzioni alternative, sembra che i russi ci abbiano tirato un missile. L’esplosione ha disintegrato i satelliti e sparato i rottami come pallini da caccia in tutte le direzioni. Non solo ci viene detto che i detriti viaggiano a decine di migliaia di km all’ora, ma addirittura Clooney imposta un timer a 90 minuti perché questo è il tempo che lo sciame dei rottami impiegherà per fare il giro completo dell’orbita e incrociare di nuovo l’Hubble. In sala si sentono i nerd che tirano fuori la calcolatrice – “raggio terrestre per due pi greco… E’ vero Sheldon ! Viaggeranno almeno a 30.000 km all’ora !” Ora, non è che quando mi sparano addosso con una mitragliatrice io riesca a vedere i proiettili che mi vengono incontro, a meno che il mio nome sia Neo e io mi trovi dentro “Matrix”. Qui invece si vedono perfettamente i rottami metallici che si avvicinano sfrecciando e che riducono un colabrodo sia lo shuttle che tutti gli astronauti, tranne i due protagonisti… Ci dobbiamo stare. Questo film è costruito intorno all’impatto visivo come certe automobili sono costruite intorno all’autoradio: il resto è solo un accessorio. La Bullock schizza via e va alla deriva, avvitandosi su se stessa con un rispetto impeccabile delle leggi della dinamica in caduta libera e in assenza di attrito. E’ giustamente in preda al panico ed ansima come un mantice. I conati di nausea colpiscono anche alcuni spettatori che devono togliersi in fretta gli occhialini 3D A dispetto di tutti i “Nespresso” bevuti, invece Clooney è gelido e rilassato, come se non avesse mai fatto altro in vita sua. Aziona il jet pack, recupera la collega, se la lega al guinzaglio come un cagnolino, e ritorna allo shuttle, il tutto chiacchierando amabilmente in tono pacato. Un vero professionista, “what else?”. Lo shuttle però è ormai disintegrato: in mezzo ai rottami galleggiano i corpi senza vita degli astronauti e un pupazzo di Marvin il marziano dei Looney Toons (è vero!). Tra l’altro i detriti hanno distrutto anche tutti i sistemi di comunicazione, e non c’è modo di contattare la base sulla Terra. Non c’è che una strada per salvare la pelle, dice Clooney a Bullock: raggiungere la stazione spaziale internazionale (detta SSI), che si vede ad occhio nudo e dista solo 900 metri. Che culo! – risponde Bullock. – Lo spazio è immenso. L’Hubble e la SSI viaggiano a velocità diverse su orbite diverse, potevano essere dalla parte opposta dell’orbita, e invece, guarda caso, proprio adesso che ci serve sono ad un tiro di schioppo l’uno dall’altra ! - Risparmia il fiato, Bullock. Tu hai pochi secondi di ossigeno, ed io ho consumato quasi tutto il carburante del jet pack svolazzando come un cretino. Mi resta giusto l’ultima carica per portare te in salvo e morire da vero eroe. Detto ciò, Clooney aziona per l’ultima volta il jet pack e schizza verso la SSI, sempre con la collega al guinzaglio. Ancora dinamica impeccabile (purtroppo si tratta dell’ultima volta): senza carburante non possono frenare ed impattano in modo traumatico contro le strutture esterne della stazione, spezzando anche il “guinzaglio”. Dopo un po’ di rimbalzi, Bullock riesce ad arrestare la sua deriva grazie ad un cavo impigliato alla caviglia. Clooney arriva al volo e la donna lo ferma afferrando il guinzaglio con le mani. La situazione si cristallizza: sembra la classica “scena madre” dei film in alta montagna, dove uno scalatore ne trattiene un secondo sospeso sopra il precipizio. Il secondo scalatore che grida: “Devi lasciarmi andare, altrimenti morirai anche tu! Il cavo non può reggerci entrambi, lo sai !” Qui però siamo in caduta libera. Non dovrebbe esserci nulla a “strappare” Clooney via dalle mani di Bullock. Anche se la donna applicasse al guinzaglio una forza piccolissima, tirandolo verso di sé, F=MA, il corpo di Clooney dovrebbe venirgli incontro senza alcun problema. Invece no ! Bullock si ricorda che il suo collega si chiama Kowalski e quindi deve morire. Molla il cavo e quello (non si capisce perché) si allontana, destinato ad una agonia inevitabile. Il condannato, conscio di quello che lo aspetta, decide di dedicare i suoi ultimi istanti alla contemplazione del meraviglioso panorama sotto di lui: “Che spettacolo il sorgere del sole sul Gange… il crepuscolo sul deserto del Gobi… i fari delle automobili bloccate sulla Tiburtina…” Bullock (senza più ossigeno nella tuta) apre un portello ed entra nella stazione. Come prima cosa si leva il casco (e la possiamo capire) ma poi si sfila anche lo scafandro, restando in pantaloncini neri e canotta, nonostante la temperatura nella SSI sia di diversi gradi sotto lo zero. La produzione ritiene forse conveniente mostrare bene le forme dell’attrice ? In tal caso avrebbero potuto scegliere un’attrice dotata di tette. I nerd accomodati in sala sono d’accordo: Leonard suggerisce Demi Moore, Howard propone Scarlett Johansson, Sheldon si lamenta per il costo del biglietto (che per le proiezioni 3D ha effettivamente raggiunto cifre improponibili) e invita tutti a fare invece una bella partita ad Halo 4. Tra l’altro Sandra Bullock porta i capelli corti, ma non abbastanza. Dentro la SSI le scene devono simulare l’assenza di gravità senza troppa computer graphic (l’attrice non indossa lo scafandro) e i capelli non le si sollevano affatto. Trattasi di poco realismo, o di gel extra-forte. La Stazione Spaziale Internazionale (completamente vuota) dispone di una Soyuz per gli spostamenti. Purtroppo il veivolo è danneggiato e non reggerebbe all’attraversamento dell’atmosfera. Che fare ? Come sulla Salerno – Reggio Calabria, evidentemente anche all’ingresso delle stazioni di servizio spaziali c’è il cartello “prossima stazione a 87 km”. Bullock decide quindi di prendere la Soyuz e recarsi alla prossima stazione, che è cinese e dista 180 km. Non c’è il tempo di chiedersi nuovamente come sia possibile che oggetti che percorrono orbite diverse a velocità diverse siano così incredibilmente vicini, perché la SSI va subito a fuoco. La protagonista acchiappa un estintore e si infila dentro la Soyuz. Il pannello di comando contiene un centinaio di tasti in cirillico, ma evidentemente non è un problema, perché la navicella si stacca e inizia a manovrare, solo che il paracadute è aperto e tutto aggrovigliato al resto della stazione. Bullock deve indossare un nuovo scafandro (il suo l’aveva abbandonato, quindi deve utilizzarne uno russo, che però le va a pennello), uscire all’esterno e darsi da fare con la chiave inglese per sganciare il paracadute. Naturalmente mentre è all’esterno scadono i 90 minuti ed arrivano nuovamente i detriti (ancora una volta li vediamo chiaramente avvicinarsi), che in pochi secondi disintegrano anche la SSI. Dopo essersi fatta un mazzo incredibile per liberare la Soyuz ed evitare i detriti, Bullock rientra nella navicella, solo per scoprire che il serbatoio dei motori è completamente a secco. Come è comprensibile, la donna si incazza, e comincia a tirare giù tre quarti del paradiso. Ma “nello spazio nessuno può sentirti smoccolare”, così saggiamente il regista sposta l’inquadratura fuori dall’oblò. Le vediamo muovere le labbra, ma fortunatamente il suono non arriva. A corto di idee, Bullock decide di arrendersi. Chiude la circolazione dell’aria e si lascia morire. Con poco ossigeno nel cervello, la donna ha le visioni. Le compare Clooney che la sprona a non darsi per vinta e a reagire. Si risveglia cazzutissima come Sigurney Weaver in Alien 1, 2 e 3. Sgancia il motore inutilizzabile della Soyuz e riesce ad attivare i razzi frenanti della capsula di atterraggio. La capsula stessa schizza via in direzione della stazione cinese. Dopo pochi secondi (?) avviene il rendez-vous: i due veivoli si incrociano a velocità pazzesca. Sembrerebbe una impresa difficile anche per Spiderman, ma Bullock è stata ormai “caricata” a mille dal fantasma di Clooney, così si getta fuori dalla Soyuz con l’estintore in braccio, uno spruzzo per rallentare e uno per dirigersi alla stazione. Nulla la può fermare: se non avesse l’estintore utilizzerebbe anche le scorregge per muoversi (anche questa scena avrebbe un impatto visivo notevole: peccato il regista non ci abbia pensato). Pure la stazione cinese è deserta, forse è bassa stagione. Tra gli oggetti che galleggiano, una racchetta da ping-pong (sport che in assenza di gravità deve essere una figata pazzesca). Non c’è il tempo per rifiatare perché la stazione sta precipitando, e non appena entrerà nell’atmosfera prenderà fuoco. Bullock si infila perciò nella solita navicella di salvataggio. Questa volta il pannello di controllo ha i tasti con gli ideogrammi stampati sopra e non si capisce una mazza, così la donna decide di utilizzare il metodo scientificamente più adatto, e si mette a recitare “ambarabbaciccicoccò” (giuro: fa proprio così!). Schiaccia quindi un tasto il cui ideogramma significa probabilmente “non ci pensare più, da qui in poi faccio tutto io”. La navicella cinese si stacca dalla stazione, sgancia i pezzi che non servono e si predispone da sola in posizione di rientro in atmosfera mentre tutto il resto della stazione va in fiamme. Meraviglia… come mai se compro un qualsiasi oggetto (tecnologico o meno) in un negozio cinese, non faccio in tempo ad utilizzarlo una volta che si rompe subito ? Negli ultimi minuti della pellicola vediamo la navicella cinese ammarare in un laghetto (con tanto di rane e canneto) straordinariamente simile a Bolsena, e la Bullock uscirne fuori a nuoto, di nuovo in pantaloncini neri e canotta. Con due bracciate raggiunge la riva. E’ a piedi nudi e, nonostante si sia schiantata violentemente più volte contro vari oggetti metallici, non ha un solo livido o escoriazione. Se al posto suo ci fosse stato Bruce Willis, a questo punto della vicenda sarebbe ridotto ad uno straccetto insanguinato. Il film si chiude con la protagonista che, soddisfatta per aver salvato la pellaccia, si allontana dalla riva. Manca solo la scena in cui, sempre a piedi nudi, raggiunge la Cassia e viene immediatamente travolta da un TIR di Scania, guidata dal pinguino Kowalski, che la “spalma” sull’asfalto. Kowalski rules ! (by Paolo)