La Colombia risarcisce le vittime della guerra civile

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La Colombia risarcisce le vittime della guerra civile
Mondo
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DOMENICA
12 GIUGNO 2011
La Colombia
risarcisce le vittime
della guerra civile
BOGOTÀ. Il presidente Santos ha firmato una legge per indennizzare chi ha subito dei lutti negli
ultimi decenni. Verranno restituiti anche sette
milioni di ettari di terre confiscate dalle Farc o dai
paramilitari. Una mossa inattesa, che allontana
la nuova guida del Paese dal suo mentore Uribe.
DI
GIULIA DE LUCA
! La legge sul risarcimento alle
vittime della guerriglia colombiana è realtà. Dopo otto mesi di
dibattito, ieri il presidente Juan
Manuel Santos ha firmato la
“Ley de Victimas” alla presenza
del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon.
Il progetto sulla compensazione alle vittime del lungo conflitto interno era stato definito
dallo stesso capo di Stato, nel
giorno del suo insediamento, come il passo principale per «mettere le basi per una vera riconciliazione tra i colombiani». E ieri,
durante il suo discorso, Santos ha
ricordato le dichiarazioni fatte lo
scorso settembre, quando pre-
sentò personalmente il progetto
di legge al parlamento: «Se questa normativa – aveva affermato
in quell’occasione - verrà approvata, sarà valsa la pena essere arrivato alla presidenza della Repubblica».
La legge sarà in vigore per
dieci anni e prevede la restituzione di 7 milioni di ettari di terra abbandonati o ceduti forzatamente
negli ultimi 25 anni da 400mila
famiglie di agricoltori, per sfuggire alla continue aggressioni della guerriglia o dei gruppi paramilitari. Ma soprattutto prevede il
pagamento di risarcimenti alle
vittime e alle loro famiglie per un
totale che ammonta a 20 miliardi di dollari (le vittime saranno risarcite a partire dal 1985, mentre
le restituzioni della terra dal
1991). Il punto più controverso
dell’annuncio riguarda l’effettiva
disponibilità economica della
Colombia. Il segretario generale
Ban Ki-Moon ha offerto l’aiuto
delle Nazioni Unite che, però, potrebbe non bastare.
La nuova normativa affronta
il cuore del problema sotto due
aspetti. Da un lato evidenzia la
sofferenza causata dalla guerra –
riconoscendo implicitamente l’esistenza del conflitto – e dall’altro
pone la terra come bene fondamentale necessario per il risarcimento. Che significa riconoscere
che è proprio la terra il tema cen-
trale della guerra, perché i due
milioni di ettari usurpati non solo
si sono convertiti in bottino, ma
soprattutto sono stati fonte di potere politico a livello locale, mentre i quattro milioni di ettari abbandonati non hanno fatto altro
che aumentare la povertà, costituendo di fatto il principale ostacolo alla modernizzazione del
Paese.
Dopo quasi 50 anni di conflitto interno, la Colombia – che
per questa ragione ha avuto un
grosso problema di flussi migratori interni con milioni di persone
che ogni anno si ritrovavano senza casa – deve far fronte a 3,5 mi-
lioni di sfollati, che si aggiungono alle altre centinaia di migliaia
di persone che hanno subito continue violazioni dei diritti fondamentali.
Secondo la prestigiosa rivista
colombiana La Semana, questa
mossa di Santos lo farà passare
alla storia solo per il fatto di aver
provato a scuotere il Paese da una
situazione di violenza che si protrae da troppo tempo. L’ex-presidente Alvaro Uribe si era dimostrato più volte contrario a una
legge simile, e la presa di posizione del suo successore e delfino – ministro della Difesa durante il secondo governo Uribe e artefice delle operazioni che portarono alla morte del numero due
delle Farc, Raul Reyes, e alla liberazione di Ingrid Betancourt –
segna un allontanamento dalla linea politica non solo dell’ex capo
di Stato ma dello stesso Santos,
che ha sorpreso l’intero Paese
convertendo le vittime della
guerriglia nel cuore del suo progetto politico.
Il presidente colombiano proviene dall’alta borghesia di Bogotà e le vittime sono, per la maggior parte, contadini poveri spo-
gliati delle loro terre in zone periferiche della Colombia. Inoltre
Santos non aveva mai sposato
apertamente questa causa e negli
ultimi anni della sua carriera politica si era allineato alla destra
conservatrice capeggiata da Uribe, da sempre rappresentante degli interessi dei settori latifondisti
e sostenitore della politica del pugno di ferro contro i gruppi guerriglieri e paramilitari.
«Questa legge non è un punto d’arrivo – ha dichiarato Santos
– ma solo il punto di partenza.
Adesso è il momento in cui si
metterà alla prova la volontà e la
capacità non solo dello Stato ma
di tutta la società colombiana per
risarcire le vittime».
Giocandosi tutto su questa
legge, Santos – che nel 2002 aveva lasciato il partito liberale per
l’attuale Partito sociale di unità
nazionale - riprende le fila di
quell’agenda liberale che la Colombia ha visto sfumare tante
volte, rinforza il centro politico e,
soprattutto, si allontana ideologicamente sempre di più dall’ex
presidente (e mentore) Alvaro
Uribe, incassando l’approvazione di gran parte del Paese.
Più Stato e meno mercato
nel Perù di Ollanta Humala
LIMA. La Borsa ha accolto la vittoria dell’ex militare con un crollo del 12,4%.
La sua elezione segna una cesura con l’epoca Fujimori, improntata a un netto liberismo. Il vincitore è stato spinto dagli elettori rurali e dalle comunità
indigene. Ma il risultato - in bilico fino all’ultimo - lo costringerà al dialogo.
DI
MARIO MAGARÒ
! Lima. Al secondo tentativo Ollanta Humala ce l’ha
fatta. Sconfitto da Alan García nel 2006, l’ex capitano dell’esercito ha superato Keiko Fujimori nel ballottaggio di domenica scorsa, consacrandosi presidente del Perù. Un trionfo sofferto, con i sondaggi che evidenziavano l’equilibrio tra i due candidati. Alla fine Ollanta l’ha spuntata per soli cinquecentomila voti.
Si tratta di un successo storico, che tinge di rosso, per la prima volta, un governo alla guida del Perù.
I durissimi mesi di campagna elettorale avevano presentato la figura di Ollanta come ultimo baluardo
contro l’autoritarismo fujimorista, vedendo in Keiko
una riedizione del governo paterno. Lo scrittore Mario Vargas Llosa è stato il principale fautore di questa
visionee, commentando il risultato finale con un laconico «la democrazia è in salvo». Dal voto è emerso comunque un dato chiaro: quello di un Paese spaccato politicamente in due, con una netta divisione tra
le zone urbane e quelle rurali.
A Lima si respira grande tensione: da queste parti la vittoria di Ollanta Humala ha assunto connotati
catastrofici. Tra i fans di Keiko Fujimori in attesa dei
primi exit pool, domenica sera, si aggirava lo spettro di Hugo Chávez. «Non vogliamo che il Perù diventi un nuovo Venezuela, per colpa di Ollanta perderemo ciò che abbiamo conquistato in questi anni»
dice Carlos Martinez, un ingegnere meccanico.
Tutt’intorno a lui, uno sventolio di bandiere e striscioni raffiguranti l’ex presidente Alberto Fujimori,
a conferma della simbiosi politica con la figlia nell’immaginario collettivo.
La maggioranza dei limeños gli è grata per il modello economico che ha consentito al Perù la vertiginosa crescita degli ultimi dieci anni. Un esempio
perfetto di liberismo, con lo Stato relegato a un ruolo marginale e le imprese private, principalmente
straniere, a contendersi le risorse minerarie, la vera
ricchezza nazionale.
I mercati statunitense e cinese rappresentano i
partner principali, ma le aziende che stanno investendo provengono anche da molti altri Paesi, attratte dalle favorevoli condizioni economiche. Lo stesso modello, però, ha generato forti disuguaglianze,
con le comunità indigene dell’interno a raccogliere
le briciole dell’attività mineraria e costrette a subire
la devastazione dei loro territori.
Una situazione di forte disagio sociale, che si è
convertita in un terreno fertile per la campagna di Ollanta Humala e il suo programma di governo. Nella
piazza Dos de Mayo, al centro di Lima, i sostenitori dell’ex militare si sono dati appuntamento per festeggiare. «Fujimori è una corrotta, Humala si prenderà cura di noi» sentenzia Mario Quiroga, un ex minatore. Nell’elettorato popolare hanno fatto breccia i
programmi di assistenza sociale come “Pension 65”
e le mense comunitarie, ma sopratutto la promessa di
nuovi aiuti all’agricoltura, la principale fonte di guadagno per gli abitanti dell’entroterra.
Le prime ore da presidente del Perù - l’investitura ufficiale avverrà il 28 luglio - non sono state facili per l’ex militare: la borsa di Lima ha registrato una
caduta del 12,45%, con le azioni minerarie a picco.
Un chiaro segnale di timore verso Humala, con la
Sociedad Nacional de Mineria, Petroleo e Industrias
- che rappresenta tutte le imprese del settore presenti nel Paese - a chiedere garanzie sulla continuità del
modello economico. Un’occasione che il neo presidente e il suo entourage, tra cui l’economista Kurt
Burneo, hanno sfruttato per ribadire la linea politica adottata durante la campagna elettorale: «Oltre alle affinità ideologiche, le relazioni internazionali si
basano sull’interesse nazionale» ha detto Ollanta Humala, sancendo le distanze da quel modello chávista che tanto spaventa gli investitori.
In sostanza la nuova politica economica punterà
ad accrescere il ruolo dello Stato nel mercato, senza
però procedere a espropriazioni o revisioni delle concessioni, e non solo in ambito minerario. Il primo
problema che il governo dovrà affrontare sono gli
enormi conflitti sociali che, parallelamente allo sviluppo economico, stanno affliggendo il Paese; più
della metà, dicono i dati della Defensoria del Pueblo,
sono legati all’industria mineraria.
Le comunità indigene protestano per i danni
all’ambiente, decisivo per la loro sopravvivenza.
Al governo uscente di Alan García viene mossa
l’accusa di non aver mai consultato gli indigeni in
merito allo sfruttamento dei loro territori, di fatto violando un diritto riconosciuto dall’Onu. L’ultima protesta, con violenze diffuse, sta paralizzando il confine con la Bolivia.
Il successo di Ollanta ha avuto inevitabili riflessi politici, sia in ambito locale che a livello internazionale. L’alleanza con Alejandro Toledo, primo presidente dell’era post Fujimori, è stata decisiva per racimolare i voti necessari alla vittoria; un risultato che
sarà compensato con l’assegnazione di importanti
cariche agli uomini dell’ex mandatario.
Sul fronte internazionale, invece, il blocco socialista capeggiato dal Venezuela ha festeggiato
compatto il voto peruviano, col presidente della Bolivia, Evo Morales, a sottolineare come le sinistre siano dominanti in Sud America. Da parte sua Ollanta
Humala ha ribadito di voler essere un buon «vicino»
per tutti i suoi omologhi continentali, sottolineando,
al tempo stesso, l’importanza della relazione con gli
Usa: non solo come partner commerciale, ma anche
nella lotta al narcotraffico. Il Perù, infatti, è diventato il primo produttore di cocaina al mondo, rimpiazzando la Colombia.