Come salvare un figlio_33L:33L Exodus - Avamposti

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Antonio Mazzi
COME SALVARE UN FIGLIO
DOPO AVERLO ROVINATO
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© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2010
Piazza Soncino, 5 – 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
www.edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.
Corso Regina Margherita, 2 – 10153 Torino
ISBN 978-88-215-6921-0
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Prologo
Non potevo lasciarvi con «un figlio rovinato in dieci mosse». Dovevo, da educatore e da prete, darvi una mano per
uscire dalle batoste. È vero che il testo del volumetto era
molto meno drammatico del titolo. Ma è anche vero quanto dice il proverbio: «Batti fin che il ferro è caldo».
Riprendo, quindi, il filo dei discorsi e recupero altri decaloghi.
Non aspettatevi miracoli. Il miracolo più grosso scatterebbe se voi, una volta la settimana, dopo cena, con la
famiglia attorno al tavolo, leggeste un diverso capitoletto
e lo “masticaste” insieme.
I libri sono come il pane. Vanno sbocconcellati, mangiati e digeriti.
Vedrete che nel libretto non c’è niente di compiuto. Sono tutti spunti, riflessioni, decaloghi, filastrocche, provocazioni (come l’altro).
Io ve li propongo. Già mi conoscete. Sono le mamme
con i bambini piccoli che assaggiano e masticano prima il
cibo. Ma le stesse mamme, quando i bambini si fanno grandicelli, preparano la cena e dicono: «Mangia: l’ha preparato la mamma!».
Io non sono madre, ma faccio parte di quei rari padri
che non disdegnano di preparare la tavola con i cibi
“espressi”.
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Introduzione
Mi faccio alcune domande sulle quali vorrei che voi genitori e noi educatori riflettessimo.
La prima riflessione: se vogliamo parlare di prevenzione
dobbiamo cominciare a tessere una strategia che coinvolga, almeno, gli adolescenti normali, cioè quei quattordicenni che vanno a scuola, che hanno famiglie normali, ma
che per un motivo inspiegabile un sabato sera, oppure un
giorno qualsiasi dell’anno, combinano pasticci ingiustificabili, impensabili.
Fino al giorno prima erano bravi ragazzi, quasi ottimi,
il giorno dopo divengono dramma, branco, problema, disagio.
Come affrontare questa “finta” normalità? Soprattutto, quali progetti inventare?
Dentro questa mia domanda c’è anche una lettura strabica dell’adolescente moderno: con uno sviluppo fisico
precocissimo, con un impianto psicologico “ritardato”
(causa l’enorme iperprotezione materna) e con una presa
di coscienza sui fatti, annullata dalla “virtualità” di buona parte del suo mondo.
I tre strati, dentro la storia degli adolescenti 2000, non
crescono armonicamente; sedimentano, creando ulteriore
dis-identità.
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La seconda riflessione: questa società è una società che
crea aggressività in tutte le sue parti. Negli adulti, nei giovani, nella scuola, negli stadi, nelle strade...
È un’aggressività di nuovo tipo, non criminale ma dirompente, medio borghese e insieme borgatara, introversa ma dilatata, generalizzata e miniaturizzata.
Nel contempo questa società non permette che questa
aggressività si scarichi per vie normali, in modi dignitosi.
Per cui i nostri ragazzi, che potenzialmente hanno un motore “Ferrari”, sono obbligati a fare le Smart.
Impianto fisico sconfinato, motore da circuito di Monza, con pochi freni, con pochissima capacità di autocontrollo e con la voglia di solcare l’universo.
È cattiveria raffinata mettere al mondo figli, che da adolescenti vorrebbero rifare il mondo, per poi offrire loro la
pizzeria, la discoteca e il computer.
Ho parlato provocatoriamente di aggressività, per obbligare ciascuno di noi a chiamare le cose con il loro nome. Dobbiamo pensare a un periodo adolescenziale che
possa permettere ai nostri figli di sviluppare un’aggressività positiva, per il bene loro e degli altri.
Se non provvediamo in fretta, credo che il bullismo,
il satanismo e la violenza si moltiplicheranno velocemente.
Vorrei che lo sport diventasse una possibile pista per
riuscire a scaricare e riequilibrare l’aggressività attraverso la fatica, il dolore, lo sforzo, la pazienza, l’autocontrollo, l’urlo, il pianto.
Lo sport mai come oggi può essere un elemento riqualificante ed educativo.
Allora, quali tipi di sport consigliare perché i ragazzi e
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le ragazze adolescenti possano scaricare la dinamite che
portano dentro?
A questa domanda che mi faccio non saprei dare risposta. Capisco solo che se non riusciamo ad aiutare i nostri ragazzi a capire come armonizzare fisico, psiche e volontà, saremo degli sconfitti, soprattutto nel mondo dei
normali.
Da tempo, penso e trovo alcuni sport rischiosi, estremi.
La scalata di pareti, il parapendio, buttarsi con l’elastico,
motocross, il completo di equitazione, fino a ieri mi spaventavano. Oggi li vedo bene e ho portato a casa dei risultati.
Chi viene dall’oratorio fa dello sport una delle strategie educative prioritarie.
Debbo però aggiungere che, se fino a ieri l’importante
era partecipare, credo che oggi bisogna anche dire ai nostri ragazzi che quando entrano in campo devono non solo partecipare, ma vincere.
È un modo per permettere loro di scaricare le loro aggressività, alla ricerca di una vittoria sportiva.
Quindi non come atto di prepotenza, non come beffa
verso gli avversari, oppure come maleducazione, ma come forte obiettivo da perseguire. Non ci dobbiamo mai
rassegnare alla sconfitta.
Le piccole vittorie sul campo ci aiutano a cercare le grandi vittorie nella vita. Un momento: è chiaro che dentro a
questo progetto c’è anche la sconfitta, la fatica, la vittoria,
il collettivo, il protagonismo individuale. C’è tutto!
Però una cosa è andare in campo e dire: quello che viene
viene, un’altra è che un ragazzo di quattordici anni (non parlo del bambino di otto che deve giocare, nemmeno dell’adulto
di venti) voglia essere un vincitore, costi quel che costi.
Il grande educatore sa quando, come e dove aiutare i
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suoi giovani a scaricarsi. Dobbiamo avere il coraggio di
lasciarci guidare dalle nuove situazioni che si sono create
attorno al mondo giovanile. I vecchi presupposti e i vecchi sistemi, che, magari, facevano parte della gioventù di
ieri, sono saltati tutti.
***
La terza riflessione: durante la nostra vita, vi sono periodi nei quali ci sentiamo persi.
Montagne di cose si abbattono su di noi, quasi per dispetto. Il tempo fugge, il disordine regna in testa e nel cuore. Temiamo di perdere il meglio, nel frattempo ci lasciamo alle spalle il meglio e il peggio.
Quand’è così qualcuno si rifugia nel passato e altri corrono nel futuro.
È duro accettare il presente.
Non ha significato, non offre stimoli, deprime, ci annebbia.
Ricordo un distinto signore, che, descrivendomi una situazione simile, si godeva a riepilogarmi un simpatico metodo fai da te, che gli permetteva di venirne fuori, con pochi danni.
Andava a frugare nello scatolone dei giocattoli, che teneva in soffitta. Si sedeva per terra, accendeva una candela (perché allora in soffitta c’era una flebile luce), rovesciava lo scatolone e partiva... con i ricordi.
L’automobilina arrugginita proprio nel fondo, un secchiello di plastica rotto, un bambolotto ripieno di cotone
fatto dalla nonna, un paio di pecorine dell’allora presepio.
Attorno a questi giocattoli poveri, ritornava sulla spiaggia a far castelli aiutato dal secchiello, rivedeva il primo
presepio nell’angolo della cucina, e via così.
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Dopo qualche ora, il signore di cui sopra scendeva dalla soffitta sano, salvo e pronto per affrontare la battaglia
quotidiana.
Anche un altro uomo impegnato, stufo di fare l’impegnato, un giorno decretò: «Tenetevi il mondo, io scelgo la
fantasia della mia bambina, che, di tanto in tanto, va a parlare del suo moroso alla scopa, nel ripostiglio».
La memoria è interessante, mai infantile. Non è rifugio,
ma ancoraggio.
Le nostre radici stanno lì dentro ed è opportuno non
dimenticarle. La maturità significa venire a patti con gli
altri pezzi di noi stessi.
Ieri e domani sono le braccia del nostro oggi. Ricordare e sognare sono i verbi delle contemplazioni.
Fare e scegliere sono i verbi dell’azione. Una strada senza mete disperde. Una meta senza strade fa di noi angeli
con le ali tarpate.
Vivere più in fretta non vuole dire vivere meglio. Nel
ritmo non è rinchiusa la felicità e nemmeno il futuro. Ci
sono cose molto più importanti da fare, oltre la corsa. Potrebbe essere, talvolta, più proficuo guardarci attorno, o
guardare in alto, che sfrecciare spudoratamente davanti a
tutti.
Fare gli ultimi ogni tanto può far bene alla salute.
Dalle file in fondo alla sala si ha una visione d’insieme
molto migliore che dalle prime.
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Perché un’introduzione così erudita?
Ho solo buttato giù, come si dice, alcune segnalazioni
“stradali”. Le digeriremo cammin facendo.
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Caro don Antonio
Prima di cominciare vi propongo alcune e-mail tra le
tantissime che mi arrivano.
Il libro vorrebbe proporsi come sussidio e aiuto fraterno. Con l’augurio ai laici di “in bocca al lupo” e ai credenti
che «il Signore sia con voi...».
Sono tutte donne!? Perché non vi domandate perché?
***
La ringrazio perché mi ha aperto gli occhi, finalmente
ho capito l’importanza di avere DUE SPONDE (le due sponde sono padre e madre). Non mi riferisco a me come madre, ma a me come figlia. Purtroppo ho avuto un’infanzia
e un’adolescenza molto difficili e dolorose, ma oggi cerco
di proteggere i miei figli da tutta la solitudine e il dolore
che ho provato io; provo davvero a fare meno errori possibili, e ho di fianco a me mio marito che è una persona
speciale, ma non è di questo che volevo parlarle.
Mi sento un po’ egoista a rubarle tempo, ma ieri ho avuto proprio la forte esigenza di raccontarle di me. Quando
sono tornata a casa, non sono riuscita a dormire, pensavo
intensamente a quello che ha detto sull’importanza di avere due sponde, per tutta la vita mi sono sempre sentita reCaro don Antonio
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sponsabile degli errori che ho fatto da ragazza, è da poco
tempo che sto lavorando su quello che mi è successo e capisco di non avere poi tutte queste colpe. È difficile togliersi di dosso il senso di colpa.
Mio padre è morto che avevo sei anni, mia madre in
pochi mesi ha trovato un nuovo compagno al quale mi sono affezionata tantissimo.
Dopo pochi anni, io ero alle medie, mia madre ha conosciuto un ragazzo molto giovane e se ne è innamorata,
questo ragazzo era più vicino a me di età che a lei. Nel giro di poco tempo la signora ha portato quest’uomo nella
nostra vita, chiaramente io e i miei fratelli abbiamo sofferto per l’ennesima perdita, ma piano piano ci siamo affezionati anche a lui. Era giovane, allegro e si è fatto volere bene, ma non è durato tanto. Dopo aver vissuto circa
un anno insieme, quest’uomo è stato arrestato con l’accusa di omicidio. Mia madre era all’oscuro di tutto, e anzi
per parecchi anni abbiamo creduto intensamente che fosse innocente e che stessimo vivendo un’ingiustizia. L’abbiamo seguito in tutti i carceri d’Italia. Mia madre viveva
per preparare i pacchi da portargli nel giorno di visita.
Io avevo quattordici anni ed ero in IV ginnasio, quell’anno sono stata bocciata, ho smesso di mangiare e di dormire.
Mia madre non esisteva più, viveva solo per lui e nel
suo dolore, noi siamo stati seguiti dalla nostra tata che ha
fatto tutto il possibile per noi. Nel giro di pochi anni ho
incominciato a frequentare sempre gente diversa e a fare
uso di ogni tipo di droga.
Sono diventata tossicodipendente, facevo uso di eroina, me ne sono andata di casa e non sto a raccontarle più
di tanto, penso che lei sappia esattamente cosa succede.
Quando mia mamma se ne è accorta, mi ha mandata in
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una comunità, da lì sono scappata e sono tornata alla vita di prima, anzi peggio. Nell’89 mia madre mi ha costretto
a entrarci nuovamente.
Dopo qualche anno di comunità e varie fughe sono uscita e non ho mai più toccato una droga di qualsiasi genere.
Oggi sono molto cambiata; quando racconto la mia storia mi sembra di guardare un film, ma tutto questo è dentro di me e piano piano lo sto elaborando, forse è per questo che oggi ho così forte l’esigenza di parlarne.
***
Dopo un’infanzia felicissima, a sedici anni ho dovuto
affrontare la separazione e il successivo divorzio dei miei
genitori, in seguito al quale mia sorella e io siamo state affidate alla mamma. Una donna forte, che ha sempre affrontato tutte le difficoltà con determinazione, supportata da una fede immensa.
Dopo un periodo di dolore abbiamo avuto degli anni
sereni, durante i quali sono riuscita anche a ricostruire un
rapporto sereno con mio padre e a perdonarlo di tutta la
sofferenza che ci ha causato. In seguito mia sorella si è sposata e ha avuto due splendidi ragazzi di cui uno affetto da
autismo.
Ho sempre cercato di stare vicino sia a lei che ai ragazzi: sono stata una zia molto presente nella loro vita e cerco di esserlo ancora. Dopo diverse relazioni che si sono
concluse sempre senza nessun frutto ho finalmente conosciuto un uomo fantastico con il quale stiamo costruendo
una vera famiglia. Condividiamo momenti felici e ci
confortiamo nei momenti difficili. Ci amiamo profondamente e a luglio ci sposeremo. Tutto bene, dirà lei, ma c’è
un particolare che mi addolora.
Caro don Antonio
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Il mio futuro marito è divorziato due volte, per cui non
potremo avere un matrimonio religioso e io non posso accostarmi ai sacramenti. Seguire la messa, ma non poter accostarmi ai sacramenti mi fa sentire una cristiana “a metà”,
non degna di essere ascoltata da Dio.
Ora, non riesco a capire che male ci sia ad amare una
persona e cercare di costruire una famiglia. Premetto che
quando l’ho conosciuto era già separato da sette anni ed
era da solo: non sono io la causa del termine del suo matrimonio.
Ho affrontato questo argomento con diversi sacerdoti
e francescani da cui ho avuto spiegazioni diverse e anche
indicazioni diverse su come comportarmi. Uno mi ha consigliato di omettere durante la confessione che convivo
con una persona divorziata, un altro di fare la comunione
saltuariamente e lontano dalla mia parrocchia, un altro di
decidere secondo coscienza. Per la legge ecclesiastica non
posso ricevere l’assoluzione e non posso accostarmi all’eucaristia. Vorrei avere un suo parere in merito, vista la
sua saggezza e competenza in materia.
***
Ciò che mi spinge a scriverle queste righe è la necessità
quasi impellente di mostrarle la mia vicinanza a quanto
da lei dichiarato in una intervista che è andata in onda durante le feste di Natale. Chi la intervistava era Pippo Baudo e lei ha espresso cose molto importanti che mi hanno
fatto saltellare il cuore.
«Meglio qualche messa in meno e qualche opera di misericordia in più». Chi le scrive non è nemmeno cattolica,
perché appartengo all’area delle chiese “figlie della riforma”. Ma le capita mai, don Antonio (a me capita, eccome se
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mi capita), quando si trova in chiesa, di aver voglia di buttar giù le mura e fare tutto (messa, catechesi, incontri per
giovani e famiglie) in mezzo alla strada?
Da anni, insieme a mio marito e ad altre persone, non
vediamo l’ora di “scappare dalla chiesa” (intesa come edificio) per andare in carcere a parlare con i detenuti, e lo
facciamo ogni volta che possiamo.
Non mi sono mai sentita così viva come da quando “li
frequento”, come da quando li ascolto, come da quando
stiamo costruendo relazioni e progetti di vita nuova che
iniziano da dentro il carcere, senza aspettare quando si
esce.
Abbiamo incontrato i detenuti e le loro famiglie e ci siamo «sporcati le mani» con situazioni strane e difficili, perché non riusciamo a pensare di essere cristiani – come dice lei? – ”ragionieri del Padreterno”. Non si può... quando l’amore di Dio ti ha rapito il cuore.
E poi mi ha colpito la sua risposta alla domanda: «Qual
è la tentazione di don Mazzi, le donne, forse?». E lei rispose che le donne non sono certo una tentazione, ma la
cosa più difficile è l’obbedienza a coloro che stanno sopra
di noi.
Come la capisco! In tutte le chiese, di ogni genere di denominazione e congregazione, abbiamo questo problema.
Io ho questo problema. All’amore per la legge io preferisco la legge dell’amore.
Riceva la mia vicinanza, alla faccia delle differenze teologiche che separano il mondo cattolico da quello riformato, perché un giorno, non so quando, ma un giorno avverrà quando LUI tornerà, dovremo stare tutti assieme e
io voglio rivederla.
Caro don Antonio
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È per me un onore scriverle, perché l’ammiro e stimo
con sincerità. Sposata e madre di due maschietti di dodici e otto anni, chiedo un consiglio e un aiuto, anche se la
mia storia con la droga non centra nulla.
Ho visto genitori disperarsi per la perdita dei loro amati figli. Li ho visti cadere nella solitudine e nell’incomprensione della vita. La fede è un dono meraviglioso, ci
aiuta ad affrontare la vita, ci aiuta a dare un senso alla nostra esistenza.
Caro padre, io ho un papà stupendo. È cattolico, praticante, è nel volontariato. Lui si occupa dei viveri della Caritas, aiuta i poveri, aiuta “gli ultimi”, gli umili, e io sono
orgogliosa di questo.
Ho anche dei fratelli, più giovani di me, ma bravi. Qual
è il problema?
Purtroppo io non li ho mai conosciuti. Io sono nata dalla donna sbagliata. Erano ultramaggiorenni e benestanti,
ma dopo cinque giorni dalla mia nascita sono stata sbattuta in un orfanotrofio e ci sono rimasta per un anno; dopodiché sono stata adottata, grazie a una raccomandazione.
Padre, ho ritrovato mia madre, sola, povera. Ho ritrovato mio padre, amato e stimato da tutti. Non mi hanno
voluto nemmeno parlare. Io, che sono sposata e mamma
di due bellissimi bimbi, che sono cattolica, e amo Dio. Io
che non voglio odiare, o provare rancore, ma capire, comprendere e perdonare.
Non mi dica di lasciar perdere, perché non riesco. Come si fa a definirsi cattolici e sbattere la porta a chi è una
parte di te? Ad accogliere gli ultimi, ma rifiutare una figlia, dei nipoti che solo amore potranno offrire? Non dovrei perdonare un gesto così meschino?
Mi perdoni per questo sfogo. Cosa posso fare? Grazie.
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Ho seguito con attenzione il racconto della tua vita e
mi sono ritrovata e interrogata su alcune cose nello stesso tempo.
Hai detto di aver perso il padre molto giovane, beh! Io
non ho quasi mai potuto contare sulla figura di mio padre; concedimi una domanda, cos’è peggio: non avere la
possibilità di crescere col proprio padre o avere un padre
assente e, se presente, poco educativo?
Quando con la tua biografia sei arrivato a parlare delle persone che giudicano gli altri attribuendo loro nomi
che li segneranno tutta la vita, beh!, a quel punto avrei voluto essere presente in trasmissione per confermarti a gran
voce quanto siano vere quelle parole.
Purtroppo a causa dell’ignoranza culturale dei miei sono cresciuta piena di paure e quindi con ben poche certezze, tanto che questo ha pregiudicato quello che sono
ora, una persona insoddisfatta del suo passato.
Adesso che abito per conto mio, mi sono concessa una
psicoterapeuta che mi sta facendo affrontare e abbandonare gli errori degli altri e la mia stupidità nel non aver saputo reagire prima.
Purtroppo, faccio fatica a “dimenticare” il passato e tutte le limitazioni alle quali sono stata soggetta, mi sforzo –
a volte con fatica – a credere che ci possa essere un futuro
sereno anche per me!
Solo per aiutarti a capire cosa intendo dire: avrei voluto fare la scout da piccola ma, secondo mia mamma, ero
troppo “vivace”; avrei voluto fare le medie con i compagni delle elementari, ma lei ha ritenuto più giusto farmi
fare quelle seguite da mia sorella; avrei voluto che mi facesse fare le superiori in uno psicopedagogico piuttosto
Caro don Antonio
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che ascoltare i professori che le dicevano che io avrei potuto fare solo una scuola da estetista (ho fatto una professionale); avrei voluto fare l’università prendendo un indirizzo sanitario (ai tempi delle superiori passavo i venerdì pomeriggio in una casa di cura gestita da suore a far
compagnia agli ospiti e lavarli), ma dato che i miei non
hanno mai creduto in me sono dovuta andare a lavorare...
E ora sono a casa in cassa integrazione in attesa che un
giudice si pronunci in merito alla chiusura della ceramica presso cui lavoravo.
Purtroppo faccio fatica a fare delle scelte perché ho legato addosso il cartellino della mancata autostima e non
riesco a staccarlo!!! Se la televisione passasse più messaggi come quelli che hai lasciato tu in quell’occasione, il mondo andrebbe un po’ meglio o forse solo chi, per diverse ragioni, fosse in un momento di “debolezza” non si sentirebbe così solo.
Purtroppo non è sempre facile trovare conforto o aiuto nel clero e la preghiera a volte diventa un mezzo troppo difficile a cui affidarsi. Conoscendomi potrei scrivere
un rogito in merito, ma preferisco evitare di essere prolissa e congedarmi.
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Le donne
Ho deciso, mea sponte e per folle velleità, di titolare i
prossimi anni alle “donne” (il plurale è significativo).
Le organizzazioni mondiali che contano hanno sprecato e sprecano titoloni olimpionici per aprire congressi,
eventi, annate nel nome dell’“handicap, della terza età,
della droga, dei bambini ecc.”.
Non penso male se dico che il fumo è molto più abbondante dell’arrosto. È stato solo questo il motivo per il
quale, violentato dai misfatti che montano quotidianamente, non volendo scomodare le istituzioni venerande,
ho buttato sul mercato questo tema. Gli amici, chi mi conosce, i ragazzi di Exodus, quelli che mi chiamano a testimoniare, non sfuggiranno al mio pallino: le donne.
La violenza, le balordaggini generalizzate, le vite stupidamente immolate, la maleducazione, i bullismi insulsi che giorno dopo giorno ci cascano in testa, secondo me
partono dal vuoto mai colmato di intensa nostalgia di femminilità rigenerative.
Voi, donne, non dovete assolutamente scimmiottare noi
uomini.
Il tramonto malinconico del maschilismo autoritario,
cipiglioso, arrogante rigetta qualsiasi innesto terapeutico.
Gli abeti inariditi non sono più capaci di gemmazioni.
Le donne
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Serpeggia una depressione dello spirito che dissecca
ogni linfa di tipo maschile.
I leader sono artificiali, gli adulti incartati nelle veline,
i mediatori di rapporti frastornati dai dogmi freudiani sempre meno coniugabili con la società “liquefatta”.
Il futuro è solo vostro! Nessuno vi obbliga a ritornare
nell’angolo in cui per secoli la civiltà contadina e bigotta
vi ha rintanate.
L’ipocrisia insieme al senso di colpa vi ha onorato di
un titolo degno del Pantheon: “Angeli del focolare”. Cosa dovrebbe essere se non l’occasione per una caustica vignetta di Altan? Eppure, ancora oggi, c’è chi si batte per
un ritorno al focolare delle donne. Risolverebbero molte
situazioni! (Dicono!).
Andate al lavoro, entrate in politica, dirigete scuole,
ospedali, giornali, aziende, università, teatri, ma fatelo da
donne.
Sbloccate la fase che vi ha ingrippato nel paradiso terrestre. Lasciate che i serpenti si ingannino tra loro. Siate
colombe! Perché la parolaccia, l’aggressività gratuita, la
difesa ingiustificata e preconcetta dei vostri cicciobelli, l’esibizionismo da adolescenti, la mascolinità mal copiata
hanno sostituito la signorilità, la pacatezza, il sorriso, la
determinazione sapiente, la certosina metodicità per recuperare rapporti e sedare dissensi, propri della vostra
storia?
È una supplica! Un poeta dice che Dio poteva tornare
sulla terra attraverso cento sentieri. Ha scelto la pancia di
una ragazza, perché anche Lui si è sentito orfano delle carezze, delle coccole di una madre (per questo la Madonna è assunta in cielo anche con il corpo?).
Una donna ha partorito il Redentore; una donna ha riportato a Roma, da Avignone, Gregorio XI (Caterina da
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Siena); una donna ha commosso e affascinato Giovanni
Paolo II (Madre Teresa); una donna ha elargito un di più
di serafico a Francesco (Chiara); una donna ha riempito il
mondo di canti e di spiritualità (Chiara Lubich). Siamo orfani di queste donne.
Da decenni, sotto la spinta ideologica della “parità”, cavalcano le istituzioni donnette generose solo nelle chiacchiere e nelle scollature. Non hanno niente a che fare con
la forza dirompente della femminilità genuina. Ne subiamo le disastrose conseguenze.
Voi, ancora incorrotte e autentiche, uscite allo scoperto.
Provocateci, generateci per la seconda volta. Non aspettate che i vecchi abeti rifioriscano e non permettete alle
quattro caricature di donnette che si riassettino sugli scranni con gli alti schienali.
Soprattutto rigenerate i giovani, svigoriti dalle iperprotezioni e affascinati dai teatrini di cartapesta. Non imbrattate, per amore di Dio, con venature maschiliste, il miracolo femminile che è in voi.
Invoco questa alluvione di femminilità. Non solo perché credo nelle donne, ma anche per farmi perdonare da
mia madre. L’ho sempre fatta piangere, da piccolo, da grande, da prete.
Rimasta vedova giovanissima (a 24 anni, mio papà è
morto a 30 anni per una banale bronchite, mio fratello è
nato sei mesi dopo la sua morte e io avevo 15 mesi), l’ho
vista lavorare giorno e notte, sulla Pfaff e sulla Singer.
Si è ridotta mezza cieca, mesta, santa, eternamente triste, secondo me più santa che madre. Solo dopo la sua
morte ho capito quanto fosse stata anche madre. Il Signore me l’ha fatta morire alle cinque del mattino, pochi minuti prima del mio arrivo.
Mi ero messo in macchina, appena mio fratello mi ha
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telefonato... «La mamma è gravissima». Ho guidato con
gli occhi che mi bruciavano dal sonno. Mi sono fermato
mezz’ora all’autogrill dopo due sbandate sulla FirenzeBologna.
Sempre maledirò quella fermata. Sono arrivato alle cinque e qualche minuto del mattino. Mio fratello mi è venuto incontro: «È appena morta...». Non vi dico quanto ho
pianto in quel momento: rabbia, rimorso, disperazione,
stanchezza...
Tutto per niente! Per vederla morta! Ha sempre pensato e pregato per me, l’ho sempre fatta preoccupare. Le sue
ultime parole, biascicate a mio fratello che le teneva la mano, sono state: «Te lo racomando, dighe ch’el fassa pulito!».
A lei non andava bene il mio modo di fare il prete. Tutti oggi la venerano per il bene che ha fatto a tutti..., dimenticando se stessa. Perché mia mamma era una donna.
Era una donna!!!
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La passione
Il genitore deve essere un appassionato. La parola passione proviene dal latino passio, a sua volta derivato dal
verbo pati che significa sopportare, patire.
In realtà, nel latino classico passio voleva dire solo turbamento nell’anima. Il significato di sofferenza, patimento, è nato traducendo il greco dei vangeli, nei quali con
pathos si indicava appunto il martirio di Gesù.
Proprio perché è una delle parole chiave della predicazione cristiana, passione è usata fin dagli inizi della
nostra letteratura, da autori come Dante e Jacopone da
Todi.
Nella cultura medievale il significato principale di passione è quello di sofferenza del corpo, tormento fisico, legato inizialmente alla narrazione evangelica e poi esteso
a qualsiasi dolore.
Nei trattati di medicina antica si parla di passione del
fegato, passione dei denti, invece che di mal di fegato o
mal di denti.
Un altro significato antico, poi caduto in disuso, è quello della filosofia medievale, nella quale la passione era la
caratteristica dell’essere positivo, condizione di un oggetto quando viene sottoposto a una certa azione.
In questo senso la passione era contrapposta all’azioLa passione
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ne: questa contrapposizione rispecchiava quella grammaticale tra verbo attivo e verbo passivo.
Accanto al significato di sofferenza fisica si trova quello di sofferenza morale, per cui la passione è un’emozione tanto violenta da dominare la volontà di chi la prova.
Questo significato è giunto fino a noi, con diverse sfumature.
Chiamiamo infatti passioni i sentimenti incontrollabili come l’amore, l’odio, la gelosia, che spingono chi li prova ad azioni definitive, senza ritorno.
In particolare, passione può significare l’amore sensuale, anche violento, e indicare la persona che è oggetto
di quell’amore. È passione il trasporto totale per un’idea
visto sia in positivo, come impegno appunto appassionato, sia in negativo, come mancanza di quel distacco critico che permette di avere una visione chiara dei problemi
e delle opinioni altrui. Sentimenti a parte, chiamiamo passione anche l’interesse: la passione per i viaggi, la passione per la ricerca, per le esplorazioni. La passione può essere così forte da diventare quasi un vizio: la passione del
gioco, del vino; il calcio è la sua passione...
Via via che si indebolisce l’idea dell’incontrollabilità e
della sofferenza, la passione prende un significato positivo: fare qualcosa per passione significa farla spontaneamente e senza motivi economici: chi studia, si allena, lavora con passione e lo fa dedicandosi completamente a
queste attività.
Le parole collegate con passione ne sviluppano soprattutto significati positivi, il senso di curiosità, interesse e scoperta, talvolta una vera vocazione che ci spinge verso qualcosa. Appassionarsi equivale a provare molto interesse, sviluppare una passione per qualcosa: ci si appassiona a uno
sport, a un hobby, all’opera di uno scrittore.
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Al contrario, quando si chiede a un amico un’opinione
spassionata su una questione significa che si vuole un’opinione spregiudicata, obiettiva e non influenzata dall’amicizia.
Una persona passionale non sa o non vuole nascondere le proprie passioni, soprattutto quelle che riguardano
l’amore.
Viene dallo spagnolo, infine, la parola pasionaria, che si
usa, anche scherzosamente, per le donne che sostengono
posizioni politiche di estrema sinistra: la Pasionaria era il
nome di battaglia di Dolores Ibarruri, una famosa comunista spagnola. Eroina della guerra civile.
Tutti i genitori devono essere degli “appassionati”, mettersi dentro totalmente il figlio loro o di altri, vibrare, creare relazioni forti, credere che nessuno è irrecuperabile.
Soprattutto convincersi che ogni persona è più figlia di
Abele che di Caino.
La passione
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I desideri
I disagi più grandi si muovono attorno a due “verità”.
Prima: la mancanza di progetti di vita. Urge aiutare i giovani a darsi progetti per il futuro, a sognare, a pensare anche in termini immateriali.
Finalmente qualcuno ha il coraggio di “inserire” questa misteriosa e affascinante avventura: la scoperta dell’interiorità, della spiritualità, della mistica. Vittorino Andreoli dice: «Educare ai grandi respiri».
L’altra verità è interessante e altrettanto nuova: gli adolescenti moderni non sanno cos’è la morte. La palpano
istintivamente come si palpano le cose primitive. Non sono stati aiutati a contestualizzarla culturalmente. La immaginano spettacolare, un videogioco, una grande finzione immateriale, scevra da rischi.
Quando penso ai nostri figli adolescenti, li avvicino,
con immensa simpatia, ai vagabondi, ai menestrelli medievali. Si alzano il mattino e non sanno perché, vanno a
scuola e non sanno perché, bighellonano con la ragazza
per passare il tempo, cantano con Eros Ramazzotti parole che non condividono, strimpellano la chitarra con l’occhio stralunato: «Sono una pallina che non si ferma mai...
Un giorno vorrei fermarmi ad ammirare un po’ il panorama».
I desideri
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Lo psichiatra Andreoli ne approfitta per elaborarne la
stupenda terapia del desiderio. Hanno ancora desideri i
nostri figli? Me lo chiedo con angoscia, perché temo che i
loro desideri siano stati espropriati dal telefonino, dal motorino, dalle Adidas, dal computer, dagli Sting...
Uccidere i desideri nel cuore dei giovani equivale a uccidere le tenerezze, le speranze, le amicizie. Senza un desiderio orientato dentro un futuro stimolante e colorato
non si persegue nulla e si è disposti a fare tutto ciò che il
gruppo e le circostanze suggeriscono.
Spariti i desideri, si riempie la fame e la sete di vita vera con i detriti della vita falsa. Si uccide, ci si uccide, si violenta come fosse un gioco al massacro, logico solo perché
riempie i vuoti, le solitudini, i sogni, l’accidia.
La terapia che ci suggerisce Andreoli è disarmante nella sua semplicità e verità. «Occorre che la fonte dei desideri e la fantasia che ne rappresenta il luogo dell’elaborazione divengano realtà in cui entrare abitualmente».
Basta rischiare con i cervelli aridi dei ricercatori, ma
ascoltiamo gli adolescenti con la saggezza degli adulti, attenti a non abdicare alle responsabilità educative e insieme desiderosi di spalancare le finestre, per ossigenare quei
capolavori di Dio, che si chiamano “figli”.
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Dare “senso” alla vita
La fortuna, o meglio la Provvidenza, vuole che alcune
cose necessarie per vivere, le possiamo ricevere in dotazione tutti, già dalla nascita.
La mentalità corrente, invece, fa l’impossibile per farci
dimenticare le suddette cose necessarie e favorire la sopravvalutazione delle cose superflue.
Un saggio orientale ci racconta:
«C’erano tre amici che parlavano della vita. Uno disse:
è possibile che gli uomini consumino il tempo insieme senza saperlo?
Lavorino insieme senza produrre felicità?
Volino nello spazio dimenticando l’infinito?
Esistano pochi anni ignorando l’eternità?».
Tra le cose che abbiamo in dotazione tutti senza saperlo c’è proprio il tempo. I giorni, le ore, sono i nostri alleati più forti. Sono il contenitore delle avventure umane.
Fa sorridere la gente che nasconde l’età, le rughe, le occhiaie; fa piangere la gente che butta via la vita come fosse un ferro vecchio; fa arrabbiare la gente che usa le giornate come fossero gettoni telefonici, per risposte immediate, invaghita del mito del tutto, subito.
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Nelle nostre case non si contano più le quantità di orologi appesi alle pareti o in bella vista sui comò. Nei cassetti riposano orologi di ogni tipo: piccoli, preziosi, swatch,
di marca, da antiquario, da amatore, da collezionista.
Al polso esibiamo, con l’aria annoiata del peone disoccupato, cronometri da milioni. Nelle nostre teste, invece,
come nelle teste dei tre della storiellina orientale, il tempo corre il rischio di entrare nella categoria da cassa integrazione.
Una volta di tempo si viveva, ora di tempo si muore.
Muore chi fugge dal tempo drogandosi. Muore chi fugge
dal tempo buttando la sua Kawasaki a duecentocinquanta l’ora.
Muore chi fugge dalla paternità per voglia di false liberazioni. Muore chi diventa troppo grande in fretta e chi
non lo diventa mai. Troppa gente è già morta da viva. Il
tempo esige che ciascuno di noi arricchisca di spessori
qualitativi la sua vita.
Gli uomini veri non dimenticano da dove vengono, non
hanno paura del pezzo di strada che devono percorrere,
prendono le piccole cose di ogni giorno con serietà.
Gli uomini veri sanno che non possono cambiare la direzione del vento, ma possono governare le vele; gli uomini veri sanno che il tempo può lenire, può acuire, può
far ricordare, può far dimenticare.
Gli uomini veri sanno vivere da leoni o da agnelli, da
pecore e da lupi, da serpenti e da colombe. È la trincea che
definisce il ruolo e le postazioni.
Lo stesso Cristo ha detto che era venuto a dividere i figli dai padri, le mogli dai mariti, a portare il fuoco, a denunciare i sepolcri imbiancati. Investire tempo, amore,
fantasia nei giovani è l’impegno più affascinante.
C’è una frase famosa sulla bocca dei nostri padri e non32
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ni: «Ai miei tempi...» e poi una sfilza interminabile di azioni fatte «ai loro tempi...».
Un proverbio cinese ci ricorda che se una generazione
pianta gli alberi, l’altra si gode l’ombra... Troppe volte,
però, o i nostri nonni non hanno piantato tutti gli alberi
che credevano di aver piantato, o si sono seccati gli alberi, in buona parte; oppure i giovani hanno scelto altri alberi e altre ombre.
La vita può essere compresa guardandola a ritroso, ma
deve essere vissuta guardandola avanti, soprattutto se giovani. E guardare avanti significa dare senso e significato
al tempo o, se volete, all’orologio.
***
Mi scrive un genitore:
«Ho sentito il suo intervento e alle sue osservazioni mi
sembra opportuno aggiungere che spesso i genitori trovano difficoltà oggettive nel rapporto educativo con i figli, difficoltà che provengono dal mondo esterno alla famiglia, cioè
dai rapporti che i figli hanno fuori dalla propria casa.
Cerco di spiegarmi meglio: di solito i genitori cercano
di educare al meglio i propri figli trasferendo e/o cercando di impartire loro regole e principi comportamentali di
elevato valore morale e sociale. Valori che spesso vengono anche acquisiti dai ragazzi e messi in pratica.
Poi arriva l’adolescenza, i compagni di scuola e la televisione. Per i ragazzi inizia una nuova fase di vita, un
modo diverso di rapportarsi a livello sociale e in primis
con i loro coetanei, magari, scoprono che gli insegnamenti ricevuti non sono sempre applicabili.
È in questa fase che i ragazzi rischiano di accantonare
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i valori ricevuti dalla propria famiglia prendendo a modello i compagni di scuola e la televisione che propina programmi di elevatissima immoralità in cui ormai si vede e
si ascolta di tutto!
È ovvio che simili trasmissioni influenzino i comportamenti e fanno intendere che per essere famosi e importanti bisogna essere trasgressivi e anticonformisti, che con
i sani valori non si va da nessuna parte, anzi spesso si è
derisi e presi in giro.
Il problema dell’educazione dei ragazzi è serio, ma la
famiglia non può essere colpevolizzata se la società in cui
essa è inserita non le consente di continuare con efficacia
l’iter educativo già avviato.
Qui si può azzardare, e in extremis sostenere, che la famiglia è vittima di una situazione sociale in cui tutto è divenuto lecito! Spesso la televisione esalta qualche personaggio socialmente negativo, tale soggetto è portato alla
ribalta più volte, quasi in maniera esemplare! Almeno così mi pare percepire da alcune trasmissioni.
Ed ecco che occorre avere delle regole su come proporre le notizie e gli argomenti. Lei è un sacerdote, spesso è in
televisione. Dica e proponga di portare fatti di vita sana,
esempi di ragazzi e famiglie impegnate nella società in tutti i settori. Tali persone sono le vere star da prendere a modello al fine di pubblicizzare ciò che di buono c’è ancora
nella società».
***
Cari genitori, dopo che avete sbagliato dieci volte, dovete:
1. Riallacciare le relazioni e ricominciare.
2. Riassumere le responsabilità genitoriali (e non rifuggirle).
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3. Riconoscere senza spaventarvi gli errori.
4. Ripartire dall’esempio e non dalle teorie.
5. Riscoprire il rispetto reciproco.
6. Non spaventarvi delle eventuali aggressività e autodifese ma interpretarle.
7. Vincere insieme il complesso della sconfitta e la voglia
«di fare niente» in attesa di... (la chiamano “nientite”).
8. Farvi alleati coloro che nelle avventure precedenti
pensavate nemici.
9. Scegliere un po’ più di follia e un po’ meno di timore.
10. Riscoprire il silenzio e la contemplazione.
E, sempre per recuperare le dieci mosse sbagliate, segnatevi in
agenda dieci virtù:
empatia
sollecitudine
generosità
dolcezza
costanza
pacatezza
compassione
onestà
gratitudine
clemenza
Accompagniamo queste virtù con alcune disposizioni d’animo
positive:
allegria
serenità
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ottimismo
semplicità
praticità
trasparenza
Come ricucire il rapporto con vostro figlio?
• Abbracciatelo spesso (che se lo meriti o no).
• Davanti ai doveri, non dategli alternative.
• Siate dolci, veri ma “interi”.
• Non mettetegli fretta, sappiate aspettare senza sbuffare.
• Controllatelo quel tanto che basta.
• Non siate ossessivi, ma tenete “occhi aperti”.
• Quando dovete chiedere cose difficili usate l’umorismo.
• Non sostituitevi mai ai suoi doveri.
• Non fategli pesare le “ripetizioni”.
• Non usate mai il telefono per ricordargli degli impegni.
• Guardatelo negli occhi.
• Fate insieme alcune cose (ad esempio: piantare fiori
in giardino).
Vi do una mano per capire un figlio con problemi, dai gesti.
Ecco alcuni verbi:
arrossire
impallidire
contrarre le labbra
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balbettare
aggrottare le ciglia
sudacchiare
ridacchiare
torcersi le mani
mangiarsi le unghie
controllare nervosamente l’ora
mai guardare in faccia
Questo accade quando i figli sono “alle prime armi”.
Più tardi faranno arrossire voi. Perciò fate presto... osservate... osservate... osservate... poi parlate.
Ridate fiato alla parola che di giorno è:
fortezza
stimolo
speranza
progetto
provocazione
saluto
comunicazione
E di sera è:
tenerezza
sincerità
appartenenza
dolcezza
abbraccio
affetto
delicatezza
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Indice
Prologo
Introduzione
Caro don Antonio
Le donne
La passione
I desideri
Dare “senso” alla vita
Quali adulti?
Prediche ai padri
Prediche ai figli
Predica alle mamme
Tipi di famiglia
Predica ai nonni
Cattivi pensieri
Predica alla città
Tra favole e realtà
La fede? Aiuta
Piccoli esercizi (o meglio: compiti a casa!)
Finisco
pag. 5
»
7
»
13
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
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25
29
31
39
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63
73
77
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85
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Stampa
Società San Paolo, Alba (Cuneo)
Printed in Italy
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