Tesi Michele Luppi - Osservatorio sui Balcani
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Tesi Michele Luppi - Osservatorio sui Balcani
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE I PROBLEMI DELLA GESTIONE INTERNAZIONALE DEL KOSOVO POST-BELLICO Tesi di Laurea di: Michele Luppi Matr.646568 Relatore: Prof. Alessandro Vitale Anno Accademico 2004/2005 1 INDICE TESINA Introduzione: L’emergere della questione albanese pag 3 Il Kosovo per il nazionalismo Serbo pag 4 Il Kosovo nel XX secolo pag 5 Capitolo 1: Amministrazione Internazionale del Kosovo Risoluzione 1244 pag Problemi e ambiguità della Risoluzione 1244 16 13 pag Struttura dell’Amministrazione internazionale: UNMIK e K-FOR pag 22 Processo Democratico pag 31 Le elezioni in Kosovo pag 37 Errori e problemi dell’Amministrazione Internazionale pag 42 2 Insanabilità e collasso economico pag 48 Indipendenza o Autonomia pag 57 I colloqui per il decentramento: le due partite pag 61 Bibliografia pag 67 Conclusione: Quale futuro per il Kosovo? 3 INTRODUZIONE Con il lancio dell’operazione “Allied Force”, per la prima volta nella sua storia la NATO è stata protagonista di un’azione militare offensiva, attaccando uno stato sovrano e violando la carta dell’ONU. L’intervento in Kosovo ha rappresentato per l’Alleanza Atlantica un vero punto di svolta con la sua trasformazione da “Alleanza Difensiva” a “Comunità di Sicurezza”. Come sottolineato da Michael Waller: “La decisione NATO di lanciare un attacco aereo contro la Jugoslavia, in risposta alla campagna di pulizia etnica Serba in Kosovo, è stato un momento cardine nello sviluppo dell’ordine internazionale dalla fine della guerra fredda.” 1 La fine dei bombardamenti il 10 giugno 1999 e la votazione, con la sola astensione della Cina, della Risoluzione 1244, da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, segnarono la fine della Guerra e l’inizio dell’Amministrazione Internazionale. Da quel giorno sono passati sei anni e mezzo ma la questione dello status della provincia, ancora formalmente parte della Serbia, rimane un dilemma irrisolto. Dimenticata per anni dalla Comunità Internazionale, la Regione è precipitata in un vero e proprio limbo. La questione Kosovara è stata sostituita nell’agenda politica internazionale da nuove problematiche come la lotta al Terrorismo, le Guerre in Afghanistan e Iraq, la questione Palestinese e i disastri ambientali. L’instabilità e l’incertezza politica in cui è precipitato il Kosovo, scoraggiando l’arrivo di capitali ed investitori stranieri, hanno trasformato l’inevitabile crisi economica che accompagna ogni guerra, in un vero e proprio collasso. Oggi la provincia vive una situazione estremamente difficile. Accanto al processo democratico in atto, con il passaggio dei poteri verso le nuove istituzioni Kosovare, si assiste all’incapacità di porre fine alle violenze inter-etniche che tendono periodicamente ad emergere. La provincia è divenuta il centro di attività illecite legate al contrabbando e al traffico di esseri umani, armi e droga. Questi problemi alimentano la sfiducia della 1 David Chandler: “Kosovo and the Remaking of International Relations”, The Global Review of Ethnopolitics, vol 1, n°4, Giugno 2002, 110-118 4 popolazione nei confronti dell’UNMIK. Le violenze scoppiate nel marzo 2004 da parte della popolazione albanese, che ha colpito le enclavi serbe ma anche le sedi dell’Amministrazione Civile, ne sono la dimostrazione. Questa difficile situazione è sicuramente il frutto della guerra e della delicatezza del quadro geopolitico regionale, con il desiderio di indipendenza degli albanesi da una parte e la voglia di Belgrado di mantenere la propria sovranità dall’altra, ma non solo. In questi anni gli amministratori internazionali hanno commesso dei gravi errori, a partire dall’ambiguità della Risoluzione 1244, e si sono dimostrati spesso impreparati a gestire la situazione. In questi ultimi mesi sembra che qualcosa si stia finalmente movendo per cercare di trovare una soluzione al dilemma dello status, che come sottolineano gli osservatori internazionali, deve essere il frutto del dialogo tra Belgrado e Pristina. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha incaricato, l’ex presidente Finlandese, Martti Ahtissari, di promuovere i colloqui tra le due diplomazie. Nel mese di febbraio del 2006 si terranno a Vienna i primi incontri sulla questione del decentramento. Secondo quanto dichiarato da Kofi Annan la soluzione alla questione kosovara sarà trovata entro la fine del 2006. Per risolvere i problemi della provincia è necessario avviare una vera e propria Road Map che chiarisca definitivamente quale sarà il futuro della regione, dettando i tempi di questa transizione. Un progetto di lungo periodo che porti non solo il Kosovo, ma l’intera area balcanica, verso l’Unione Europea attraverso lo sviluppo di un integrazione economica tra i paesi dell’area. Processo reso possibile solo dando stabilità all’intera regione e ridando agli albanesi e ai serbi fiducia negli amministratori internazionali. Solo così sarà possibile, con l’aiuto finanziario dei paesi Europei, avviare un processo di sviluppo economico. In questo cammino è necessario l’impegno dei leader kosovari per favorire la stabilità politica, messa duramente alla prova dopo la morte del presidente e “padre” del Kosovo, Rugova, e troppo spesso minacciata dal coinvolgimento dei politici albanesi in traffici illeciti e in episodi di corruzione. Solo in questo modo si potrà evitare che il Kosovo e il sud dei balcani ricada nella spirale della violenza, legata a odi etnici, faide interne e traffici illeciti, con il terrorismo islamico sempre alla porte. 5 L’EMERGERE DELLA QUESTIONE ALBANESE Il Kosovo nonostante le sue piccole dimensioni (i suoi 11 mila km quadrati rappresentano l’11% del territorio della Repubblica di Serbia) è da secoli al centro di un contenzioso internazionale, rivendicato contemporaneamente sia dai Serbi che dagli Albanesi. Per i primi la regione rappresenta il cuore del primo stato Serbo, fondato nel 1100, e la culla della Chiesa Ortodossa Serba. Nel 1346 infatti, proprio in Kosovo, a Pec, venne insediato il Patriarcato della Chiesa Ortodossa. Gli albanesi invece rivendicano l’area in quanto costituiscono da sempre la popolazione maggioritaria, oggi rappresentano il 90% dell’intera popolazione (circa 2 milioni di persone). Secondo alcuni studiosi, inoltre, gli albanesi sarebbero i discendenti degli Illiri, antica popolazione indoeuropea che occupò la Grecia e la penisola Balcanica a partire dal 6 secolo a.c, molti secoli prima dell’arrivo delle tribù serbe. La questione albanese si è affermata al centro del dibattito internazionale per la prima volta al Congresso di Berlino nel 1878. La conferenza diplomatica aperta il 13 giugno, era stata organizzata dal Bismark per rivedere le clausule del trattato di Santo Stefano (3 marzo 1878), con il quale l’impero ottomano, appena sconfitto, aveva fatto ampie concessioni alla Russia vittoriosa e agli Slavi nei Balcani. Proprio in quell’occasione le potenze Europee riconobbero lo status indipendente delle Serbia, decretando la completa emancipazione del Regno di Serbia dall’Impero Ottomano. In quei giorni si riunì a Prizren, città nel Kosovo meridionale al confine con l’Albania, un’assemblea di notabili albanesi per protestare contro la decisione del Congresso di cedere alla Grecia e al Montenegro, terre abitate dai loro connazionali. Nacque così, con il sostegno iniziale del governo di Istanbul, la “Lega di Prizren”, che ruppe ben presto con l’Impero Ottomano, rivendicando nel novembre successivo, l’autonomia del popolo albanese. Iniziò così una vera e propria lotta di liberazione che culminò nel 1881 con la costituzione di un governo provvisorio, soffocato nel sangue dall’intervento militare turco. “Per quanto di breve durata, la Lega di Prizren, fu il segnale di una rinascita degli Albanesi, che seppero superare le differenze di religione, di lingua e di clan, dando 6 vita ad un risorgimento culturale e nazionale che li avrebbe reinseriti con pieno diritto nella realtà europea.”2 L’idea degli albanesi era quella di opporsi all’espansionismo di uno stato nazionale emergente nei balcani. A Belgrado si stava, infatti, affermando l’idea della costituzione di una “Grande Serbia” che avrebbe dovuto includere non solo le terre abitate dai Serbi, ma anche tutte le terre in cui avevano vissuto e i luoghi significativi per la loro storia e cultura. IL KOSOVO PER IL NAZIONALISMO SERBO “Il Kosovo incuneato fra Albania, Macedonia, Serbia e Montenegro, pur sprovvisto di barriere naturali di valore storico o simbolico, con le sue memorie e i suoi santuari rappresenta nella sua interezza per i serbi un simbolo della loro individualità religiosa, culturale e politica, una specie di Gerusalemme, segnata però, al pari di essa, da un grosso neo: quello di essere abitata per lo più da una popolazione diversa, gli albanesi.”3 L’importanza della regione per il nazionalismo serbo risale al 1389, anno in cui, nella Piana dei Merli in Kosovo si tenne una battaglia in cui i Turchi travolsero le armate cristiane guidate dal principe serbo Lazar e stabilirono il proprio dominio sulla regione4. Questa data segnerà la definitiva affermazione dell’Impero Ottomano nei Balcani. Le gesta eroiche dei guerrieri serbi furono narrate in un ciclo di poesie popolari intitolato “I Canti del Kosovo”, che costituiscono uno dei fondamenti del nazionalismo serbo. Quella narrata in questo poema epico non è per i nazionalisti una semplice battaglia ma lo scontro decisivo tra Cristianità e Islam, in cui il popolo Serbo si era immolato per il bene di tutta l’Europa, come Cristo per il genere umano. Da allora nella coscienza nazionale serba questa battaglia ha acquistato una dimensione mistica a cui si collegava il destino della nazione. 2 Joze Pirjevec: “Le Guerre Yugoslave – 1991- 1999” Joze Pirjevec: “Le Guerre Yugoslave – 1991- 1999” 4 Stefano Bianchini: “La questione Jugoslava” Giunti Editore pag. 28 3 7 “I canti del Kosovo” hanno rappresentato per tutti i serbi un supporto morale e psicologico durante i secoli di dominio turco. A partire dal 1814, sotto l’influsso del romanticismo tedesco, ci fu un proliferare di altri canti epici ispirati ai canti del Kosovo, come il famoso poema “Il serto della Montagna”, che portarono alla nascita di un mito risorgimentale di grande impatto emotivo5. L’importanza del Kosovo per la cultura serba non è legata soltanto a questi avvenimenti ma anche all’ambito religioso. A partire dal medio evo questa regione ha rappresentato la culla della Chiesa Ortodossa Serba. La sacralità di questa terra è sottolineata dal nome stesso con cui ancora oggi viene chiamata nei documenti ufficiali serbi: Kosovo-Metohia, dove Metohia significa “terra monastica”. Oggi in Kosovo si possono ammirare circa 20 santuari Cristiano Ortodossi e altre chiese minori, costruiti nel medio-evo, che rappresentano ancora importanti luoghi di pellegrinaggio per la comunità serba. IL KOSOVO NEL XX° SECOLO “Il teatro di guerra del Kosovo, pur condizionato anch’esso dalla volontà di potenza dei serbi, ha caratteristiche proprie, dato che vi si confrontano due etnie non già imparentate, come quelle slave del Sud, ma profondamente diverse per lingua e religione. Fin dal loro inserimento nello Stato Serbo, dopo le guerre balcaniche 1912-13, gli albanesi, in maggioranza di religione mussulmana, furono avvertiti dai serbi come un corpo estraneo, da distruggere o espellere al più presto e con qualsiasi mezzo. A questa politica che assunse spesso nel corso dei decenni caratteri genocidi, gli albanesi opposero un’inattesa capacità di resistenza e un incremento demografico che ridusse i serbi della provincia all’ingrato ruolo di minoranza, alimentandone il nazionalismo.”6 5 6 S Stefano Bianchini: “La questione Jugoslava” Giunti Editore pag. 28 Joze Pirjevec: “Le Guerre Jugoslave – 1991- 1999” 8 Nel 1912 dopo la definitiva sconfitta dell’Impero Ottomano nei Balcani, Serbia, Montenegro, Romania e Grecia si scontrarono con la Bulgaria per dividersi i territori strappati ai Turchi. In quell’occasione il Governo Serbo riuscì ad assicurarsi una porzione della Macedonia e l’intera piana del Kosovo, sebbene in questi territori la maggioranza della popolazione fosse albanese. Nello stesso anno grazie all’aiuto dell’impero Austro-Ungarico l’Albania divenne uno stato Europeo. Nel 1921 i Kosovari, trattati dai serbi come una popolazione inferiore, fecero una petizione alla Società delle Nazioni per chiedere l’annessione all’Albania, ma la richiesta fu negata. Nel 1941 le truppe tedesche, italiane, ungheresi e bulgare attaccarono la Jugoslavia e mentre la Serbia divenne un protettorato Tedesco, il Kosovo venne ceduto all’Italia all’interno della Grande Albania. Questa situazione accolta con grande favore dagli albanesi, contribuirà a minare la convivenza futura con i Serbi. Proprio in questi anni i nazionalisti albanesi formarono i Balli Konbetar, un movimento di resistenza che mirava a favorire l’unificazione tra il Kosovo e l’Albania7. Quando dopo il 1943 la regione tornò sotto la sovranità di Belgrado questo comportamento fece sì che gli albanesi venissero considerati dei nemici e soggetti a terribili rappresaglie. Dopo l’ascesa al potere di Tito e la sua ristrutturazione federale venne creata la provincia autonoma del Kosovo. La Costituzione Jugoslava del 1946 definiva gli Albanesi una nazionalità e non una nazione. Questa particolare definizione non dava quindi agli albanesi Kosovari diritto a una repubblica propria. Nel 1968 in un momento di grande tensione tra URSS e Jugoslavia, gli albanesi di Pristina scesero in piazza per protestare contro le discriminazioni subite. Chiedevano di staccarsi dalla Serbia, ma rimanendo nell’ambito della federazione, assumendo uno status che gli avrebbe dato diritto alla secessione e all’autodeterminazione. La richiesta venne respinta perché considerata pericolosa, in quanto rendeva ancora più difficili i rapporti tra Jugoslavia e Albania, paese che dopo il 1948 si era schierato al fianco di Stalin, contro Tito. Il Governo di Belgrado decise tuttavia di soddisfare le legittime richieste della popolazione albanese concedendole, almeno, un’effettiva autonomia a livello culturale e amministrativo. Diritti ribaditi nella nuova Costituzione Jugoslava del 1974, che 7 Carole Rogel: “Kosovo: where it all began” International Journal of Politics, Culture and Society Vol 17, n° 1 2003 9 stabiliva l’impossibilità della Serbia di influire sulle scelte interne delle province autonome. Il Kosovo divenne così una delle otto unità ufficiali della federazione. La causa nazionale serba si riaffermò sulla scena balcanica nel 1980 con la morte di Tito. Nel 1981 gli albanesi tornarono a protestare contro la crisi economica rivendicando il diritto di staccarsi dalla Serbia. Nel 1986 l’Accademia delle Scienze e delle Arti di Belgrado realizzò un “Memorandum” in cui si chiedeva il ripristino della piena sovranità di Belgrado sulle province autonome del Kosovo e della Vojvodina. Il manifesto fu sostenuto da una grande mobilitazione di massa guidata da Slobodan Milosevic, che alla fine del 1987 riuscì con un golpe ad impossessarsi della guida del Partito Comunista Jugoslavo. Il 6 dicembre 1989 Milosevic venne eletto presidente dalla Serbia. Appena insediatosi al potere impose il controllo sulle due province autonome, i cui benefici costituzionali erano stati aboliti l’anno precedente. Il governo serbo emise una serie di decreti legge fortemente discriminatori nei confronti degli albanesi del Kosovo, dove venne istaurato un vero e proprio governo coloniale di stampo poliziesco che dava alle forze di sicurezza e al Movimento di Resistenza Serbo (e al suo braccio armato) poteri illimitati. In risposta il 2 luglio 1990, 114 albanesi del Parlamento di Pristina proclamarono l’indipendenza della regione, sia pure nell’ambito della federazione. Il 28 settembre Milosevic rispose dando vita ad una purga di grandi dimensioni a danno di 115 mila dipendenti statali albanesi (medici, insegnanti, giornalisti, funzionari) e sciogliendo tutte le organizzazioni politiche, culturali e sportive. Le vicende Kosovare iniziarono poi ad intricarsi con le drammatiche vicende delle altre Repubbliche della Jugoslavia, sconvolte dalla guerra. Per quattro anni, dal 27 giugno 1991 al 14 dicembre 1995, l’intera penisola balcanica è stata attraversata dalle vicende belliche. Il 22 settembre 1991, seguendo l’esempio delle due repubbliche ribelli, Slovenia e Croazia, i Kosovari organizzarono un referendum clandestino per chiedere l’Indipendenza. I votanti, circa l’87% della popolazione, si espressero a favore. Il 19 ottobre 1991 il Parlamento del Kosovo proclamò l’indipendenza, chiedendo nel dicembre il riconoscimento alla Comunità Europea come previsto dall’appello 10 rivolto nei mesi precedenti alle repubbliche ex Jugoslave. Riconoscimento che fu però negato. Dietro a questa decisione vi erano anche ragioni politiche: sollevare la questione albanese avrebbe creato problemi non solo in Serbia ma anche in Macedonia, Grecia e Montenegro. Nonostante questa sconfitta vennero organizzate elezioni clandestine, tenutesi il 24 maggio 1992, vinte con voto quasi plebiscitario dalla Lega Democratica del Kosovo (LDK) del leader Ibrahim Rugova, professore di letteratura albanese, laureato all’Università Sorbona di Parigi e convinto sostenitore di una linea pacifista. Il suo slogan era “Kosovo indipendente con mezzi pacifici e politici”. Negli anni della guerra in Croazia e Bosnia-Erzegovina, il Kosovo fu in parte dimenticato da Belgrado tanto che nella regione sorse un vero “Stato Ombra” dotato di proprie strutture politiche, sociali, mediche e d’informazione. Questa organizzazione era sostenuta da un governo in esilio a Stoccarda, istituito nell’ottobre 1991, da Bujar Bukashi e finanziato dalla numerosa comunità kosovara dell’Europa Centrale. La situazione degenerò subito dopo la conclusione degli accordi di Dayton. Nella fretta di arrivare ad una conclusione della questione Bosniaca, la diplomazia americana decise di ignorare la questione del Kosovo accettando la tesi di Milosevic che parlava di problemi interni. Dopo la firma degli accordi Milosevic non fece nulla per migliorare i rapporti con gli albanesi, guastati nel 1989 quando l’autonomia della provincia era stata abolita grazie ad alcuni emendamenti alla Costituzione. Gli albanesi erano considerati usurpatori di una terra sacra, la culla della Nazione, per questo considerati primitivi e sottosviluppati8. Nel 1996 l’UE riconobbe la Repubblica federale Jugoslava per premiarla dopo la svolta del riconoscimento della Macedonia. Intanto in Kosovo cresceva la repressione dell’etnia albanese. Nel corso del 1997 le forze di sicurezza serbe uccisero 35 persone, 16 delle quali in stato di arresto. Il 28 novembre ad un funerale di un uomo ucciso dalla polizia, trasformatosi in manifestazione di massa, comparvero per la prima volta 3 guerriglieri mascherati, che portavano sul petto la grande aquila nera su sfondo rosso, simbolo dell’Albania. 8 Joze Pirjevec: “Le Guerre Jugoslave – 1991- 1999” 11 Nasceva così il Kosovo Liberation Army (KLA, acronimo albanese UCK), che rivendicava l’indipendenza della Regione e la creazione di una Grande Albania. Il 24 settembre 1997 il Gruppo di Contatto (USA, UK, Russia, Francia, Germania), formatosi durante la guerra in Bosnia Erzegovina, con l’aggiunta dell’Italia invitarono le parti al dialogo, riportando la situazione kosovara al centro del dibattito internazionale. Gli Stati Uniti consideravano la regione un territorio chiave per la stabilità della penisola dichiarando però che “l’indipendenza non era un’opzione accettabile”. Nel frattempo si intensificavano gli attacchi del KLA. Il 31 marzo 1998 per la prima volta il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite intervenne sul conflitto in Kosovo definendolo una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Attraverso la Risoluzione 1160 il Consiglio “deplorava l’uso eccessivo della forza contro civili e dimostranti pacifici” da parte della polizia Serba e allo stesso tempo gli attacchi del KLA, decretando un embargo sulla fornitura di armi alla Repubblica Federale di Jugoslavia. Nel 1998 il KLA era riuscito a liberare il 30-40% dell’intero territorio kosovaro. Nel luglio i serbi con una controffensiva riconquistarono alcune importanti città e ripresero il controllo delle principali vie di comunicazione. Nel mese di maggio si tenne a Washington un incontro tra il leader dell’LDK, Ibrahim Rugova e il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, per cercare di risolvere la situazione. Il 23 settembre le Nazioni Unite con la Risoluzione 1199 tornarono a chiedere il cessate il fuoco e la ripresa del dialogo. La Risoluzione prevedeva la riduzione delle truppe dell’Armata Popolare Jugoslava in Kosovo, il dispiegamento sul terreno di 2 mila osservatori dell’OSCE e l’invio di una missione aerea di vigilanza della Nato. Gli accordi siglati in questa fase furono confermati dalla Risoluzione 1203 del 24 ottobre 1998. Intanto all’interno della NATO prese sempre più forza l’ipotesi di un possibile attacco aereo, sostenuta in particolare dal Segretario di Stato Americano, Madeleine Albright. Alcuni leader dell’Alleanza Atlantica erano però preoccupati perché ritenevano che se la crisi fosse stata risolta con la forza della NATO sarebbe stato difficile impedire ai kosovari di chiedere la piena indipendenza, rigettando nel caos 12 l’intera area balcanica.9 Il 6 febbraio si aprirono a Rambouillet, vicino a Parigi, i colloqui di pace a cui parteciparono la delegazione Albanese guidata da Ibrahim Rugova e Hashim Thaci (leader del KLA) e quella Jugoslava capeggiata da Milosevic. Gli accordi discussi prevedevano il ritiro delle forze serbe e l’amministrazione internazionale del Kosovo che sarebbe stato occupato dalle forze della NATO insieme ad un contingente Russo. Al momento non sarebbe stata concessa l’indipendenza al Kosovo, veniva infatti riaffermata l’Integrità territoriale della Jugoslavia. Venne stabilito inoltre che gli accordi sarebbero stati rivisti dopo 3 anni. Un secondo documento prevedeva una tregua, un’assemblea rappresentativa ed elezioni. I Serbi considerarono la conferenza come una pagliacciata e si dimostrarono subito non pronti al compromesso, mentre gli albanesi, che vedevano uno spiraglio per la loro Indipendenza, firmarono l’accordo il 18 marzo. Sulla decisione degli albanesi giocò un ruolo importante Madeleine Albright che promise ai Kosovari albanesi un referendum sull’indipendenza entro 3 anni.10 Il 23 febbraio la delegazione Serba rigettò gli accordi. Secondo alcuni storici gli Usa vollero gli accordi di Rambouillet per uno scopo preciso: provare definitivamente all’Europa l’intransigenza dei Serbi. In quei giorni l’ininterrotta offensiva serba provocò altri 20 mila profughi. Il 24 marzo i vertici NATO diedero ufficialmente il via agli attacchi aerei, lanciando l’operazione “Allied Force”. Contemporaneamente il KLA tornò all’offensiva, così come i Serbi che intensificarono la pulizia etnica. La regione precipitò nel caos. Iniziò il cosiddetto “esodo albanese” che vide flussi di profughi, fino a mille persone ogni ora, che lasciarono il Kosovo verso l’Albania, la Macedonia e il Montenegro. I bombardamenti colpirono postazioni militari e civili, come industrie, centrali energetiche, centri di potere, non solo in Kosovo ma anche in Serbia e nella stessa Belgrado. La crisi umanitaria si fece sempre più drammatica: dall’inizio della guerra i dati parlano di oltre 800 mila profughi. Il 6 maggio 1999 si tenne al Petersberg Centre di Helsinki un importante incontro dei ministri degli esteri del G-8. L’ordine del giorno prevedeva la preparazione di 9 Joze Pirjevec: “Le Guerre Jugoslave – 1991- 1999” Carole Rogel: “Kosovo: where it all began” International Journal of Politics, Culture and Society Vol 17, n° 1 2003 10 13 un documento comune per trovare una soluzione politica alla crisi Kosovara. L’obiettivo di fondo era appianare le divergenze tra le diverse diplomazie Europee, dopo i dissidi nati all’indomani dell’intervento aereo della NATO, e in particolare riuscire a trovare un accordo politico con la Russia per la gestione del Kosovo nel dopo Guerra. Nella dichiarazione presentata al termine dell’incontro si chiedeva la ritirata delle armate Serbe, la costituzione di un’amministrazione internazionale guidata dalle Nazioni Unite, ribadendo però la Sovranità di Belgrado, e il dispiegamento di una forza militare formata dalla NATO e da un contingente Russo. Nei giorni seguenti le tensioni all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU erano destinati ad aumentare. Il 7 maggio i missili della NATO colpirono l’ambasciata cinese a Belgrado creando una crisi diplomatica tra gli Usa e la Cina. Il 2 giugno una delegazione Europea si recò a Belgrado presentando l’ennesimo accordo per porre fine alle ostilità. Il 3 giugno 1999 il parlamento Jugoslavo votò il documento proposto dal G8 che includeva tutte le richieste di Rambouillet, più la libertà di movimento per le truppe NATO e l’accettazione dell’amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite. Sulla decisione di Milosevic di accettare gli accordi è stata molto influente la pressione di Mosca. Paradossalmente come scrisse Paul Rogers sulla rivista “the World Today”: “la più grande ironia della guerra è che l’Alleanza Atlantica fu salvata dalla difficile situazione in cui si era cacciata nel Kosovo dal suo nemico storico e dalla sua raison d’ètre, la Russia.” Il 9 giugno i vertici dell’Armata Popolare firmarono con la NATO gli accordi di Kumanovo, un intesa tecnico-militare che prevedeva il ritiro delle Forze Serbe entro 11 giorni e il dispiegamento sul territorio della K-FOR (formata dalla Nato e dalla Russia), in totale 50 mila uomini divisi in 5 zone sotto il comando di USA, UK, Frangia, Germania e Italia. Il 10 giugno 1999 cessarono i bombardamenti e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu votò la risoluzione 1244 che dava il via all’amministrazione internazionale del Kosovo. CAPITOLO 1 14 AMMINISTRAZIONE INTERNAZIONALE DEL KOSOVO 15 LA RISOLUZIONE 1244 Il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvava, con la sola astensione della Cina, la Risoluzione 1244 che poneva fine alla guerra in Kosovo, sospendendo la Sovranità di Belgrado sulla provincia e dando il via al dispiegamento delle forze NATO nella Regione. Il documento è stato approvato, con un travagliato consenso tuttora rintracciabile nella terminologia del testo giuridico, unico e supremo quadro normativo che autorizza il Segretario Generale a stabilire nella provincia del “Kosovo Methoja”, un’amministrazione civile transitoria guidata dalle Nazioni Unite.11 Per quanto riguarda la Cina la decisione di astenersi dal voto va ricercata nel gelo diplomatico creatosi con gli Stati Uniti dopo l’episodio, definito un incidente dagli USA, del 7 maggio 1999, quando un missile statunitense colpì l’ambasciata cinese a Belgrado. Il dibattito e le tensioni all’interno al Consiglio di Sicurezza non riguardano soltanto il caso della Cina ma anche molti altri paesi che non erano stati favorevoli all’intervento militare e non condividevano la linea di Washington. All’inizio dell’Operazione “Allied Force”durante le discussioni tenutosi all’interno del Consiglio di Sicurezza, dal 24 al 26 marzo 1999, oltre alla Repubblica Federale di Jugoslavia dichiararono illegali le azioni della NATO anche Russia, Namibia, Cina, Bielorussia, India, Ucraina e Cuba. Il testo della Risoluzione si apre con un preambolo che sottolinea come l’obiettivo della risoluzione è “risolvere la grave crisi umanitaria in Kosovo, Repubblica Federale di Jugoslavia, e provvedere al sicuro e al libero ritorno di tutti i rifugiati e gli sfollati dalle proprie case.”12 Il testo presenta un’attenzione particolare alla tragedia umanitaria in corso in Kosovo: oltre al diritto dei profughi di rientrare nelle proprie case vengono condannati tutti gli atti di violenza contro la popolazione e tutti gli atti terroristici compiuti da entrambe le parti. 11 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. Marina Catena è stata Consigliere del Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per l’UNMIK dal luglio 1999 al febbraio 2001. 12 Il testo completo della Risoluzione 1244 è scaricabile dal sito internet dell’UNMIK www.unmikonline.org 16 La risoluzione 1244 si basa su due documenti principali che sono contenuti nel testo stesso come annessi. Il primo, l’annesso 1, è la dichiarazione sottoscritta, il 6 maggio 1999, dai ministri degli esteri del G-8 alla conclusione dell’incontro di Helsinki.13 Il secondo pilastro su cui poggia il testo giuridico è costituito dai principi contenuti nei punti dall’1 al 9 del documento presentato dall’ONU e approvato dal Parlamento Jugoslavo il 3 giugno 1999.14 Oltre al richiamo alla tragedia umanitaria, all’interno del preambolo viene riaffermata la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Federale Jugoslava e degli altri stati della Regione come previsto dall’Atto finale di Helsinki. Sottolineando come la situazione continui a costituire una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale l’ONU attraverso la risoluzione chiede a Belgrado di porre immediatamente fine alle violenze e alla repressione in Kosovo. Contemporaneamente si chiede di iniziare e completare, secondo una rapida tabella, la ritirata di tutte le forze militari, paramilitari e di polizia. Dopo la completa ritirata sarà permesso a personale militare e di polizia Serbo di rientrare in Kosovo, in accordo con l’Amministrazione Internazionale. Il cuore della Risoluzione è però rappresentato dal dispiegamento in Kosovo di una presenza internazionale civile (UNMIK) e di sicurezza (K-FOR). Il compito dell’UNMIK è provvedere all’amministrazione ad Interim del Kosovo favorendo la sostanziale autonomia dei Kosovari all’interno della Repubblica Federale Jugoslava. Un amministrazione transitoria per controllare e favorire lo sviluppo di istituzioni democratiche di auto-governo, creando le condizioni di una vita pacifica e normale. Il documento prevede la nomina di un Rappresentante Speciale del Segretario Generale della Nazioni Unite come responsabile dell’UNMIK. Il Segretario Generale dell’ONU, come referente, è tenuto ad informare periodicamente il Consiglio di Sicurezza, circa la situazione nella regione e il lavoro dell’Amministrazione Internazionale. La Risoluzione definisce i compiti principali dell’UNMIK: promuovere la sostanziale autonomia e auto-governo in Kosovo, svolgere le funzioni di base dell’amministrazione civile, favorire il passaggio dei poteri verso le nuove 13 vedi pag-9 Il punto 10 degli accordi non sottoscritto da Belgrado prevedeva l’accettazione da parte della Repubblica Federale Jugoslava di un tabella per il ritiro dei soldati e affermava che gli attacchi NATO sarebbero terminati solo dopo aver verificato l’inizio del ritiro. 14 17 istituzioni locali, supportare la ricostruzione delle infrastrutture civili ed economiche, favorire il lavoro delle Organizzazioni Internazionali per risolvere la tragedia umanitaria, proteggere e promuovere i diritti umani, favorire il ritorno dei profughi. L’UNMIK deve operare collaborando con la presenza di sicurezza internazionale (K-FOR), che deve essere dispiegata sotto il comando unificato della NATO. I compiti della K-FOR riguardano prima di tutto il porre fine alle ostilità, favorendo la ritirata dell’ Armata Popolare e stabilendo un ambiente sicuro per il ritorno dei profughi e per il lavoro delle organizzazioni umanitarie. Alla K-FOR è inoltre riservato un compito molto delicato: procedere alla smilitarizzazione del KLA e degli altri gruppi armati del Kosovo, di cui si chiede la sospensione immediata di tutte le attività. Per favorire la ripresa economica della regione, le Nazioni Unite appoggiano il lavoro della UE e delle Organizzazioni Internazionali per l’implementazione di un Patto di Stabilità per il sud-est Europa. La Risoluzione stabilisce inoltre che l’embargo sulla vendita di armi alla Repubblica Federale Jugoslava, stabilito dalla Risoluzione 1160, non sarà applicata alle armi e al materiale utilizzato dalla presenza internazionale civile e di sicurezza. Per quanto riguarda, invece, il futuro del Kosovo si chiede all’UNMIK di facilitare un processo politico per determinare lo Status Futuro del Kosovo, tenendo conto degli accordi di Rambouilliet15. La presenza civile e Internazionale è stabilita per un periodo iniziale di 12 mesi, prorogabile fino a quando il Consiglio di Sicurezza lo riterrà necessario. PROBLEMI E AMBIGUITA’ DELLA RISOLUZIONE 1244 15 Vedi pag 9 18 L’intervento militare della NATO in Kosovo ha destato scalpore all’interno della Comunità Internazionale e ha acceso numerosi dibattiti tra gli studiosi. Il motivo è legato all’eccezionalità di questo conflitto. La missione “Allied Force” ha rappresentato la prima missione offensiva della NATO contro uno stato sovrano, senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e in violazione dei principi sanciti dalla Carta dell’ONU. L’art 51 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce, infatti, che esiste un solo caso in cui è consentito l’uso unilaterale della forza: l’auto-difesa.16 L’intervento in Kosovo ha fatto emergere una questione molto importante: il rapporto tra sovranità e diritti umani. Con questo intervento per la prima volta nella storia delle Relazioni Internazionali si è parlato di “Guerra Umanitaria”, ovvero un’azione militare realizzata per salvaguardare i diritti umani di una determinata popolazione. Questo conflitto ha dimostrato l’attrito tra le vecchie norme della società internazionale, basate sulla politica del bilanciamento del 1945, racchiuse nella carta delle Nazioni Unite, e “norme nuove” che vedono la presunzione di eguali diritti di sovranità come una barriera all’effettiva regolazione internazionale.17 Sulla legittimità o meno dell’intervento NATO in Kosovo si è ampiamente scritto, chiedendosi se dietro il concetto di “ingerenza umanitaria” non si celi piuttosto il tentativo di moralizzare o legittimare l’uso della forza militare; o se invece le situazioni di “emergenza umanitaria” (quando sussista una grave violazione dei diritti umani), in quanto equiparabili a situazioni di minaccia della pace, non autorizzino la Comunità Internazionale al ricorso alla forza.18 I maggiori sostenitori di questa seconda linea interventista sono stati gli USA che hanno giustificato il loro intervento definendolo un imperativo morale di fronte alla tragedia che si stava consumando in Kosovo. Secondo l’amministrazione Clinton, 16 Enrico Milano: “Security Council Action in the Balkans: Reviewing the Legalità of Kosovo’s Territorial Status” ,European Journal of International Law 2003, 14, 5, Nov, 999-1022 17 David Chandler: “Kosovo and the Remaking of International Relations”, The Global Review of Ethnopolitics, vol 1, n°4, Giugno 2002, 110-118 18 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 19 la pulizia Etnica perpetuata dalle forze militari e paramilitari serbe nei confronti degli albanesi era tale da giustificare un intervento armato che obbligasse la Jugoslavia a porre fine alle violenze. La tutela dei diritti umani degli albanesi era considerato un diritto superiore rispetto al diritto di sovranità di Belgrado. Questa interpretazione del diritto internazionale era sostenuta dalla maggior parte dei paesi Europei che ritenevano necessario un intervento per porre fine alla guerra che continuava ad infiammare i balcani. Bisognava “prevenire una catastrofe umanitaria”, sosteneva il Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder19 mentre il Primo Ministro britannico Tony Blair la definiva “una guerra combattuta non per il territorio ma per i valori”20 Fin dall’inizio della missione aerea contro la Jugoslavia, però, molti paesi si opposero a questa idea condannando l’attacco della NATO e invocando l’intervento dell’ONU. L’8-9 aprile 2000 i 114 ministri dei paesi partecipanti alla XIII Conferenza del Movimento dei Paesi Non Allineati, affermarono in un documento la loro condanna nei confronti dell’intervento militare in Kosovo. Questa linea è stata ribadita alla conclusione dell’incontro del Gruppo dei 77 paesi del Sud in cui si fece una chiara e netta distinzione tra “Assistenza Umanitaria” e “Intervento Umanitario”. Nel documento redatto in quell’occasione si legge: “Noi ribadiamo la necessità di mantenere una chiara distinzione tra assistenza umanitaria e ogni altra attività delle Nazioni Unite. Rigettiamo il così detto “diritto” di intervento umanitario, che non ha basi legali nella Carta delle Nazioni Unite o nei principi generali di diritto internazionale (….) Inoltre, riteniamo che l’assistenza umanitaria dovrebbe essere condotta nel pieno rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale, e dell’indipendenza politica di qualunque paese, e dovrebbe essere intrapresa in risposta alla richiesta o con l’approvazione di questi Stati.”21 Alcuni studiosi hanno condannato l’intervento NATO in Kosovo giudicandolo una violazione della Sovranità di Belgrado. Secondo Rogel: “in questa guerra si è 19 Peter W. Rodman: “The fallout from Kosovo”, Foreign Affairs, vol 78, n°4, luglio-agosto, pag 45-51 20 David Chandler: “Kosovo and the Remaking of International Relations”, The Global Review of Ethnopolitics, vol 1, n°4, Giugno 2002, 110-118 21 Enrico Milano: “Security Council Action in the Balkans: Reviewing the Legalità of Kosovo’s Territorial Status” , European Journal of International Law 2003, 14, 5, Nov, 999-1022 20 combattuto in favore di un gruppo, i Kosovari Albanesi, in una guerra civile all’interno di uno stato sovrano, un’entità legalmente inviolabile secondo il diritto internazionale.”22 Come in molte delle guerre contemporanee il dibattito tra le parti si riduce ad una questione di termini. Per la NATO quello in atto in Kosovo era un progetto organizzato di pulizia etnica, deciso dal Regime di Milosevic, per ridurre drasticamente, se non eliminare, la presenza albanese in quel territorio. Dall’altra parte chi si opponeva all’intervento militare parlava semplicemente di una guerra civile che vedeva l’Armata Popolare Jugoslava opposta al KLA, una forza secessionista e indipendentista all’interno di uno stato Sovrano. Tra questi due fronti estremi si collocava chi, pur riconoscendo la gravità degli avvenimenti e condannando la pulizia etnica serba, non riteneva che questa fosse una ragione sufficiente per giustificare un intervento armato, proponendo una soluzione politica del conflitto, attraverso il dialogo e l’utilizzo di sanzioni da parte delle Nazioni Unite e della Comunità Internazionale. Alla fine della guerra l’ONU si trovò a gestire una situazione di grave crisi dovendo dare un quadro normativo e una legittimità ad un’Amministrazione Internazionale frutto di una guerra, non solamente non avvalorata, ma anche contraria ai suoi stessi principi. Enrico Milano arriva, però, a mettere in dubbio non solo la legittimità dell’intervento militare in Kosovo ma la legittimità stessa della Risoluzione 1244. Secondo la Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati, infatti, gli accordi di Kumanovo che segnarono la fine della guerra con l’accettazione da parte di Belgrado del piano per la ritirata delle forze serbe dal Kosovo, sarebbero nulli. L’art 52 della Convenzione stabilisce che un trattato è nullo se la sua conclusione è siglata attraverso la minaccia o l’uso della forza in violazione dei principi del diritto internazionale inclusi nella Carta della Nazioni Unite. Gli accordi di Kumanovo sarebbero quindi nulli perché firmati quando i bombardamenti NATO sulla Jugoslavia erano ancora in corso. 23 22 Carole Rogel: “Kosovo: Where It All Began”, International Journal of Politics, Culture and Society, vol 17, 2003 23 Enrico Milano: “Security Council Action in the Balkans: Reviewing the Legalità of Kosovo’s Territorial Status”, European Journal of International Law 2003, 14, 5, Nov, 999-1022 21 I problemi relativi alla legittimità dell’intervento, i conseguenti scontri e le tensioni createsi tra le varie diplomazie nelle sedi internazionali (ONU, G-8, UE, NATO ecc.) sono pienamente riscontrabili all’interno del testo della Risoluzione 1244. L’urgenza con cui si voleva porre fine alla guerra del Kosovo ha portato all’approvazione di un testo fortemente contraddittorio. Un capolavoro di scaltrezza diplomatica che può essere interpretato da entrambe le parti in causa, albanesi e serbi, a proprio vantaggio. L’urgenza con cui si voleva porre fine alla crisi kosovara era legata non solo alle violenze in atto ma al pericolo di estensione del conflitto a tutta l’area balcanica. Il flusso ininterrotto di profughi verso Macedonia, Albania e Montenegro rischiava di avere effetti destabilizzanti anche in questi paesi, riportando l’intera regione nel caos. Un altro modo di interpretare l’uso della forza da parte della NATO all’interno della legalità dell’ONU è quello di concepire l’intervento come un modo di assicurare l’affermazione del diritto di autodeterminazione dei Kosovari Albanesi (nessun paese dell’Alleanza Atlantica ha però giustificato l’intervento su queste basi). 24 Come sottolinea Enrico Milano è però chiaro che il Kosovo non appartiene ai paesi che l’art.73 della Carta dell’ONU definisce non-autogovernati ovvero quelli sotto amministrazione coloniale, a cui le Nazioni Unite attribuiscono il diritto all’autodeterminazione. Questo approccio porta a formulare una domanda precisa che costituisce il dilemma alla base di tutte le discussioni sul futuro della regione: Gli albanesi del Kosovo hanno diritto di autodeterminazione all’interno dei confini della Repubblica Federale Jugoslava? Belgrado e Pristina vedono la questione in modo diametralmente opposto: i primi considerano gli albanesi del Kosovo semplicemente come una minoranza, mentre i secondi si vedono titolari di questo diritto di autodeterminazione, invocando così l’indipendenza come già fatto dalle altre ex Repubbliche Jugoslave. La più grande ambiguità della Risoluzione 1244 è legata alla risposta a questa domanda. Una risposta a metà strada che non risolve la questione: promuovere il 24 Enrico Milano: “Security Council Action in the Balkans: Reviewing the Legalità of Kosovo’s Territorial Status”, European Journal of International Law 2003, 14, 5, Nov, 999-1022 22 diritto dei kosovari albanesi ad una “Sostanziale Autonomia” ribadendo però l’integrità territoriale e la sovranità della R.F. Jugoslava. “La questione kosovara che aveva dapprima attraversato illesa il conflitto rimane giuridicamente irrisolta nel testo della Risoluzione 1244”25. Questa irrisolutezza, frutto del travagliato consenso con cui è stato approvato il documento, rende il potenziale destabilizzante del Kosovo largamente intatto. L’idea della Comunità internazionale era congelare la situazione impedendo che il conflitto facesse infiammare il sud dei Balcani. Come sottolinea Alexandros Yannis: “La risoluzione 1244 era il prodotto di un unico e forse, momentaneo, consenso internazionale su come uscire da un confronto militare in aumento tra la NATO e la Jugoslavia.” Grazie a questa ambiguità di fondo, nonostante gli obiettivi politici dell’UNMIK, Albanesi e Serbi continuano a sostenere le loro rivendicazioni: secessione e indipendenza da una parte e mantenimento della sovranità di Belgrado dall’altra. Questa situazione fa si che ogni scelta dell’Amministrazione Internazionale venga vista in modo nettamente opposto dalle due parti, rischiando di paralizzare il lavoro stesso dell’UNMIK. Al momento del loro arrivo gli amministratori internazionale sono stati visti come liberatori dagli albanesi e come occupanti dai Serbi. Gli albanesi vedevano, infatti, la Risoluzione come l’anticipazione di una secessione formale.26 Il testo approvato dal Consiglio di Sicurezza lascia una serie di domande irrisolte che l’UNMIK dovrà cercare di tradurre in azione: Quale sarà lo status futuro del Kosovo? Cosa intendeva la Risoluzione 1244 con il termine “Autonomia Sostanziale”? Si voleva il ritorno alla Costituzione di Tito del 1974, che dotava la provincia del diritto di Veto, o piuttosto si configurava l’indipendenza dalla Serbia? Secondo quanto stabilito dall’ONU vi è la necessità di assicurare al Kosovo standard legali di governance interna prima di sollevare la questione dello Status che deve essere il frutto di un accordo tra Belgrado e Pristina. Qualsiasi altra soluzione imposta dall’alto creerebbe solo maggiori tensioni e problemi. 25 26 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 23 Ma la Risoluzione 1244 non solo non da una risposta chiara al dilemma relativo allo Status del Kosovo ma non definisce nemmeno un iter per eventuali colloqui, lasciando il Kosovo nel limbo. Il testo istituisce un Amministrazione transitoria per un primo periodo di 12 mesi rinnovabile per un periodo indefinito. Il termine dei tre anni entro cui effettuare un referendum sull’indipendenza, presente negli accordi di Rambouillet è stato omesso dalla Risoluzione 1244. Oltre alla scadenza per il referendum non viene fatto nessun riferimento al futuro della popolazione kosovara. La risoluzione si limita a dire: “l’UNMIK deve favorire un processo politico per determinare lo Status futuro del Kosovo, tenendo conto degli accordi di Rambouillet.” Una definizione molto generica che lascia aperta la strada alle opposte rivendicazione di Albanesi e Serbi. Oggi a distanza di sei anni e mezzo dall’approvazione della risoluzione, la questione Kosovara è ancora irrisolta. Dopo anni in cui il Kosovo è sembrato dimenticato dalla Comunità Internazionale negli ultimi mesi si è ritornati a parlare del suo Status Futuro avviando, sotto l’egida dell’ONU, i colloqui tra Pristina e Belgrado. In conclusione non si può però negare che l’ambiguità del testo, oltre a creare tutti questi problemi, permettendo l’approvazione della Risoluzione 1244 ha avuto l’indiscusso merito di porre fine tempestivamente alle ostilità permettendo il rapido intervento delle organizzazioni umanitaria a sostegno della popolazione civile e dando il via alla costituzione di istituzioni democratiche. STRUTTURA DELL’AMMINISTRAZIONE INTERNAZIOALE UNMIK E KFOR 24 La crescente complessità dei conflitti internazionali, sempre più spesso caratterizzati da dinamiche interetniche e transnazionali che disgregano e ricompongono le popolazioni, costringe l’ONU ad ampliare progressivamente il proprio mandato. L’eccezionalità della situazione kosovara ha spinto il Dipartimento ONU per il Mantenimento della Pace (DPKO) ha disegnare, dopo innumerevoli scambi diplomatici, la struttura di UNMIK secondo un progetto architettonico d’avanguardia nell’universo tradizionalista delle organizzazioni internazionali.27 La United Nation Mission in Kosovo (UNMIK) è costruita su 4 pilastri portanti: • AssistenzaUmanitaria, affidato all’ACNUR (terminata la fase umanitaria nel giugno del 2000, questo pilastro è stato sostituito, nel maggio 2001, dal Pilastro della Polizia e Giustizia, sotto controllo diretto dell’ONU) • Amministrazione Civile, affidata all’ONU • Democratizzazione e Costruzione delle Istituzioni, guidata dall’OSCE28 • Ricostruzione e Sviluppo Economico, affidata all’Unione Europea Al vertice di questa struttura internazionale è posto il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite (SRSG).29 La particolare struttura di UNMIK associata all’ampiezza del mandato affidatole – che sospende de facto ma non de iure, l’autorità e la sovranità della R.F. Jugoslava sulla provincia, rendendola un “protettorato” ONU – fanno della missione in Kosovo la prima di una serie di operazioni di mantenimento della pace e un modello sulla quale verranno ricalcate le successive missioni ONU, come quella a Timor Est.30 Insieme al personale ONU arrivarono in Kosovo i militari della Forza Multinazionale di Pace (KFOR) insediatasi il giorno successivo all’approvazione 27 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 28 OSCE: Organizzazione per la Sicurezza e la Pace Europea 29 In questi anni si sono alternati alla guida della missione ONU cinque SRSG: Bernard Kouchner, Hans Haekkerup, Michael Steiner, Harri Holkeri, Soren Jessen-Petersen (attualmente in carica). 30 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 25 della Risoluzione 1244, secondo quanto stabilito dagli accordi di Kumanovo, siglati tra la NATO e la R.F. Jugoslava. La missione sotto il comando della NATO era composta, al suo arrivo, da 45 mila soldati divisi in 5 brigate multinazionali capeggiate da Francia, Italia, Usa, Gran Bretagna e Germania. Il compito originario della KFOR era quello di stabilire e mantenere un ambiente sicuro, facendo rispettare gli accordi che hanno posto fine al conflitto, e fornendo assistenza all’ UNMIK. Nei giorni dell’insediamento della presenza internazionale i comandanti della KFOR avevano, inoltre, il compito di provvedere alle principali funzioni civili fino al momento in cui non fossero state trasferite all’UNMIK. Questo assetto bicefalo conferito all’operazione di mantenimento della pace, attraverso la separazione tra l’amministrazione civile e quella militare, mostra la volontà della NATO di mantenere un controllo diretto sull’elemento militare, per poter garantire una maggiore funzionalità e velocità di reazione.31 Assistenza Umanitaria (Pilastro I) Il primo compito che gli amministratori internazionali si trovarono ad affrontare era arginare e porre fine alla terribile crisi umanitaria in atto, fornendo assistenza alla popolazione. Secondo i dati dell’UNHCR (agenzia dell’ONU), frutto di un’indagine compiuta su 141 villaggi del Kosovo alla fine del conflitto, il 64% delle case, circa 120 mila, risultavano distrutte, 800 mila profughi albanesi stavano rientrando nella provincia dall’Albania e dalla Macedonia, spesso senza una posto dove ripararsi, il 40% delle fonti d’acqua erano contaminate e il 40-50% delle scuole erano state distrutte. In queste prime fase l’ACNUR, in collaborazione con le altre agenzie ONU e le oltre 450 ONG nazionali e internazionali, presenti nella provincia, si preoccuparono di dare un tetto agli sfollati, oltre 1 milione e 800 mila persone, prima dell’arrivo del gelido inverno balcanico. La situazione era resa ancora più difficile dalle condizioni in cui si trovavano le infrastrutture (strade, ponti, centrali elettriche) 31 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 26 segnate da dieci anni di disinteresse da parte di Belgrado e ulteriormente danneggiate dai “bombardamenti chirurgici” della NATO. Il 15 luglio si insedia a Pristina, Bernard Kouchner, nominato Rappresentante Speciale del Segretario Generale (SRSG) e capo dell’ UNMIK. La situazione che si trova ad affrontare era molto difficile: oltre alla crisi umanitaria, fin dalla ritirata delle forze armate serbe, si era innescata in tutto il territorio del Kosovo una escalation di violenza inter-etnica, promossa da formazioni di estremisti albanesi nei confronti dei 100 mila rappresentanti delle minoranze, che erano rimasti nella regione: serbi, ashkali, bosgnacchi, egiziani, croati, turchi, gorani e rom. Le nuove violenze, subito condannate dall’ONU, costringeranno la KFOR ad espandere il proprio mandato per garantire la sicurezza e la libertà di movimento ai rappresentanti delle minoranze. Gli scontri tra Albanesi e Serbi, particolarmente duri nel nord del Kosovo, porteranno alla separazione etnica di Mitrovica lungo il fiume Ibar, a nord la popolazione serba e a sud quella Albanese, trasformando la città nel simbolo dell’irrisolto conflitto etnico in corso.32 Nel resto della provincia questo clima di “caccia alle streghe” porterà la popolazione serba a cercare riparo vicino ai monasteri ortodossi, protetti dal personale della KFOR, oppure a radunarsi in enclavi. Il clima di tensione generatosi alla fine del conflitto è alimentato da due ferite che lacerano la popolazione kosovara: i desaparesidos e le fosse comuni. Prima di ritirarsi dal Kosovo, le milizie serbe avevano rastrellato numerosi civili albanesi portati poi in Serbia: secondo le fonti dell’ONU, cinque mila albanesi mancavano all’appello alla fine della guerra. Anche da parte serba mancavano all’appello circa 800 persone, catturate dal Kosovo Liberation Army (KLA) e detenute in carceri segrete. Il destino di queste persone fu la principale causa di attrito tra la società civile e le Nazioni Unite per oltre due anni, fino a quando, la nomina di un inviato speciale dell’ONU per le persone scomparse e la caduta di Milosevic nel 2000, riuscirono a scuotere le autorità di Belgrado sulla questione.33 Ancora oggi, però, molte persone 32 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 33 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 27 risultano disperse. Come testimoniano le parole del Primo Ministro Kosovaro, Bajram Kosumi: “Ogni giorno quando entro ed esco dal mio ufficio, oltrepassando la recinzione che circonda il palazzo del governo, sono seguito dalle fotografie dei miei concittadini, ancora considerati dispersi ad oltre sei anni dalla fine della guerra. Ad appenderle un gruppo di madri che continuano a cercare i congiunti ed alcuni attivisti umanitari che in questo modo intendono ricordare alle Istituzioni una delle eredità più dolorose della guerra che ancora oggi continua a pesare.”34 Al problema dei desaparesidos si sommava il dramma delle numerose fosse comuni rinvenute dopo l’arrivo delle forze di pace: tra il 1999 e il 2000 ne furono trovate oltre 529. Nel settembre 1999, in risposta alla situazione in cui erano costretti a vivere, i leader dei partiti serbi proposero un progetto, avvalorato da Belgrado, per la “Cantonizzazione” del Kosovo. L’idea era quella di creare nella provincia alcune enclaves etniche, dove si sarebbe concentrata la popolazione Serba, in modo da facilitare il compito della KFOR e della Polizia dell’UNMIK nel garantire la sicurezza e la libertà di movimento. Il SRSG, Bernard Kouchner, bocciò subito la proposta affermando che la separazione etnica non era la soluzione ai problemi del Kosovo e proponendo la creazione, in collaborazione con i serbi moderati, guidati dal Vescovo Artemije, dell’ “Agenzia per la Coesistenza”. La preoccupazione di Kuochner era dovuta al rischio che, una progressiva suddivisione in zone etnicamente distinte, avrebbe inevitabilmente comportato l’inasprirsi del conflitto etnico e, conseguentemente, accelerato e rinforzato la spinta indipendentista albanese. Nel tentativo di trovare soluzioni idonee per la tutela delle minoranze, il 10 dicembre 1999 si apriva a Pristina la Conferenza Internazionale sui Diritti Umani in Kosovo. Il 31 maggio del 2000 il segretario generale della NATO, Lord Robertson, avvisa i rappresentanti dei partiti kosovari che se le violenze etniche non fossero cessate, il Kosovo rischiava di perdere il supporto della Comunità Internazionale. Con il passare degli anni crescerà anche il risentimento nei confronti del personale internazionale. Il primo attacco registrato contro l’UNMIK risale al 23 giugno 2000 quando furono presi d’assalto gli uffici dell’UNMIK a Strpce. 34 Bajaram Kosumi, Primo Ministro del Kosovo: “Il Kosovo in Europa come stato indipendente” Limes, Quaderni speciali, supplemento al n°4, 2005 28 Amministrazione Civile (Pilastro II) - Democratizzazione e Costruzione delle Istituzioni (Pilastro III) La sospensione del controllo Serbo sul Kosovo aveva lasciato un grande vuoto amministrativo: il registro civile, l’anagrafe, il catasto, il pubblico registro automobilistico erano andati distrutti. La maggior parte della popolazione albanese non aveva più documenti di identità35 e la provincia continuava a essere gestita da quel sistema di strutture “parallele” create dal leader della Lega Democratica del Kosovo, Ibrahim Rugova, dopo le elezioni clandestine del 1991. Dal punto di vista amministrativo l’UNMIK appena insediatosi suddivise la provincia in 5 regioni corrispondenti a cinque capoluoghi: Pec, Pristina, Prizren, Gnjilane e Mitrovica. A capo di ognuna delle 30 municipalità presenti nel territorio veniva posto un funzionario dell’ONU, sostituito nell’ottobre del 2000 dai sindaci eletti nelle elezioni municipali organizzate dall’OSCE36, sotto l’egida dell’UNIMIK. Per accelerare il raggiungimento dell’ “autogoverno” da parte della provincia, come previsto dalla Risoluzione 1244, l’Amministrazione Internazionale istituì quelle che sarebbero diventate le due strutture cardine per la ricostruzione del sistema politicoamministrativo del Kosovo: il Kosovo Transitional Council (KTC) e il Joint Interim Administrative Structure (JIAS). Il 16 luglio, il giorno successivo all’insediamento di Kouchner si tenne il primo incontro del Kosovo Transitional Council(KTC)37, il supremo organo politicoconsultivo creato dall’UNMIK per agire da cassa di risonanza dei problemi e delle aspettative dei kosovari. Agli incontri settimanali del KTC parteciparono i leader dei principali partiti politici albanesi, rappresentanti dei serbi e delle altre minoranze, oltre ovviamente agli amministratori internazionali. Durante i primi incontri fu possibile ristabilire il dialogo tra gli albanesi moderati, legati al (LDK) di Ibrahim Rugova, e gli estremisti vicini allo storico leader del KLA, Hashim Thaci. 35 I primi documenti di viaggio dell’UNMIK sono stati distribuiti il 27 gennaio 2001. Sebbene non siano dei passaporti i documenti permettono di viaggiare e di ottenere il visto in 16 paesi. 36 Vedi paragrafo sul “Processo Democratico” 37 Consiglio di transizione 29 Nell’ottobre del 1999 sotto la leadership del Vescovo Artemije viene creato il Serb National Council (SNC) del Kosovo e Metohia che, in opposizione a quanto chiesto da Belgrado, si dichiarava favorevole ad una collaborazione con l’ UNMIK. L’intesa siglata con gli amministratori internazionali portò i delegati del SNC a partecipare dall’aprile del 2000 agli incontri del Kosovo Transitional Council, che si era ampliato fino ad arrivare a contare 36 membri, includendo rappresentanti della società civile, delle minoranze e delle comunità religiose (mussulmani, cristiani cattolici e ortodossi). L’atteggiamento della R.F. Jugoslava nei confronti di queste prime forme di autogoverno era molto duro. Belgrado chiese a più riprese ai leader dei partiti politici serbi del Kosovo di non partecipare a questi incontri accusando gli amministratori internazionali di voler favorire gli albanesi. In polemica con l’UNMIK, Belgrado organizzò in Kosovo proprie elezioni che si tennero il 24 settembre del 2000. Secondo i dati raccolti dall’UNMIK andarono a votare nei 260 seggi elettorali, creati soprattutto nel nord della provincia, circa 45 mila persone. Affinché la partecipazione dei Kosovari non fosse limitata esclusivamente ad una tribuna politica, il 15 dicembre 1999, l’UNMIK creava il Joint Interim Administrative Structure (JIAS), che sanciva il pieno coinvolgimento dei kosovari, oltre che nella fase decisionale (KTC), anche in quella della vera e propria gestione amministrativa della provincia. La particolarità del JIAS risiedeva nel mettere a capo dei 20 dipartimenti istituiti, due funzionari, uno delle Nazioni Unite e un Kosovaro.38 Nell’accordo istitutivo si stabiliva inoltre che tutte le strutture parallele esistenti, esecutive, legislative o giudiziarie39, create dagli albanesi a partire dal 1991, sarebbero state ufficialmente smantellate e dichiarate illegali al 31 gennaio 2000. Nel febbraio del 2001 un comitato di esperti internazionali e kosovari, sotto la guida del nuovo SRSG, Hans Haekkerup, ha varato il Costititional Framework for Provisional Self-Governamente40. Questo documento, concepito dall’UNMIK, 38 Le caratteristiche del JIAS saranno meglio descritte nel paragrafo riservato al processo democratico 39 governo provvisorio di Thaci, presidenza della Repubblica di Rugova e il parlamento proclamato da gli albanesi del Kosovo nel settembre del 1991 e mai riconosciuto da Belgrado 40 Struttura Costituzionale per l’Autogoverno Provvisorio 30 disegnava il sistema costituzionale che avrebbe gradatamente sostituito, a seguito delle elezioni politiche, la gestione ONU con quella Kosovara. Il testo ribadisce il concetto di un Kosovo multietnico41 e stabilisce la necessità di garantire e tutelare i diritti umani di tutte le comunità etniche presenti nella provincia.42 Queste rappresentano le prime tappe di un processo democratico che porterà i kosovari alle urne per ben quattro volte, per scegliere i sindaci e i membri dell’Assemblea del Kosovo43. Ricostruzione e sviluppo economico (Pilastro IV) Fin dai primi mesi di insediamento dell’UNMIK iniziò un rapido lavoro di ricostruzione delle abitazioni e delle infrastrutture civili ed economiche, grazie ai finanziamenti internazionali. L’8 ottobre 1999 la Banca Mondiale approvò un primo finanziamento di 25 milioni di dollari per la ricostruzione; primo contributo dei 60 milioni previsti in 18 mesi. Successivamente i partecipanti alla Seconda Conferenza dei Donatori per il Kosovo, tenutasi a Bruxelles il 17 novembre, stanziarono una cifra di un miliardo di dollari per finanziare la prima fase della ricostruzione. In quei giorni l’UNMIK aveva annunciato la creazione dell’Autorità per le Banche e i Pagamenti del Kosovo (BPK) e l’Autorità Fiscale Centrale (CFA). L’UNMIK, attraverso l’introduzione del marco tedesco44, quale moneta preferenziale di scambio nella Regione, cercò di attirare capitali e investimenti stranieri necessari per la ripresa economica. Questa decisione venne particolarmente criticata dalla Russia che la considerava l’ennesima violazione della sovranità di Belgrado.45 41 Nel testo della Risoluzione 1244 non si fa nessun riferimento alla multietnicità del Kosovo Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 42 43 Vedi paragrafo sul Processo Democratico Sostituito poi dall’Euro 45 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 44 31 All’interno del progetto di ricostruzione economica promossa dall’Unione Europea ha avuto un ruolo molto importante il coinvolgimento del Kosovo nel progetto di riqualificazione economica del Sud Est Europa. Polizia e Giustizia (sostituisce il Pilastri I nel maggio 2001) Una tappa fondamentale raggiunta da UNMIK e KFOR a distanza di soli tre mesi dall’inizio del processo di pace è rappresentata dalla demilitarizzazione del Kosovo Liberation Army, avvenuta il 21 settembre 1999. L’accordo raggiunto prevedeva lo scioglimento dell’esercito, con il ritiro delle armi e delle munizioni, e la creazione del Kosovo Protection Corps (KPC), un servizio civile di emergenza, ispirato alla Protection Civile francese, formato da un minimo di tre mila membri attivi e due mila riservisti. Nelle file del KPC, secondo gli accordi, avrebbero dovuto esserci un minimo del 10% di reclute scelte tra le minoranze. 46 Contrari all’istituzione di questa nuova forza armata, totalmente in mano agli albanesi, i serbi non parteciparono, in segno di protesta, all’incontro settimanale del Kosovo Transitional Council. Contemporaneamente alla creazione del Kosovo Protection Corps era iniziato all’interno dell’accademia di polizia di Vacitrin l’addestramento, da parte degli ufficiali della KFOR, del primo gruppo di reclute del Kosovo Police Service, il primo nucleo della futura polizia kosovara. La situazione nel paese era però ancora difficile: il 3 novembre 1999 l’UNHCR e l’OSCE evidenziarono in un documento il clima di violenza e impunità per discriminazioni e intimidazioni nei confronti dei non albanesi. Preoccupazioni evidenziate anche dai rapporti presentati dal Segretario Generale dell’ONU al Consiglio di Sicurezza. Per cercare di migliorare la situazione, l’ONU decise di rafforzare il personale di Polizia Civile Internazionale aumentandolo da 3 mila a 4718 ufficiali. Nella provincia regnava un clima di impunità, dovuto ai gravi problemi del sistema Giudiziario, che alimentava le tensioni e gli odi etnici. 46 www.unmikonline.org: regolamento UNMIK n° 1999/8 32 Molti responsabili di gravi crimini non erano ancora stati giudicati a causa della mancanza di giudici. I magistrati serbi avevano infatti lasciato il paese durante il conflitto, mentre quelli albanesi avevano paura di essere chiamati a giudicare altri albanesi, speso ex guerriglieri del KLA, macchiatisi di atti di vendetta. Per ovviare a questo problema l’UNMIK decise di rivolgersi a personale internazionale. Il 24 gennaio 2000 giuravano nella sede dell’UNMIK a Pristina 137 tra giudici, pubblici ministeri e avvocati difensori internazionali. Un’altra grande questione che si aprì con l’insediamento dell’amministrazione internazionale riguardava la legge applicabile in Kosovo. Gli albanesi, infatti, rifiutavano le leggi serbe in vigore all’inizio del conflitto. Solo dopo lunghi negoziati, l’UNMIK riuscì a superare la paralisi del sistema giudiziario con un compromesso che prevedeva l’applicabilità nella provincia della legge in vigore al 22 marzo 1989, ovvero il corpus iuris vigente prima dell’abolizione, da parte di Milosevic, dell’autonomia conferita al Kosovo dalla Costituzione Jugoslava, adottata da Tito nel 1974. Dall’aprile del 2000 iniziò ad indagare sui crimini commessi durante la guerra anche il Tribunale Penale Internazionale per la Ex Jugoslavia. IL PROCESSO DEMOCRATICO Oggi il Kosovo può contare su un complesso sistema istituzionale frutto di un lento processo avviato fin dai primi mesi di insediamento dell’UNMIK. 33 La prima importante tappa di questo percorso è stata la sostituzione delle strutture istituzionali dello “stato ombra” creato dagli albanesi fin dai primi anni novanta. Nel novembre 1999 i leader dei tre principali partiti politici albanesi 47, firmarono con l’UNMIK l’accordo che istituiva la Joint Interim Administrative Structure (JIAS)48. Questa nuova struttura aveva l’obiettivo di coinvolgere i partiti Kosovari nell’amministrazione della provincia nel periodo di transizione che avrebbe portato alle elezioni politiche fissate per la fine del 2001. La particolare struttura Istituzionale creata con la JIAS prevedeva un insieme di organismi politicoamministrativi misti in cui si trovavano a collaborare politici e membri della società civile kosovara con rappresentanti dell’Amministrazione Internazionale. Gli organismi principali della JIAS49, entrati in vigore nel febbraio del 2000, sono: L’Interim Administrative Council (IAC)50 Il Consiglio ha la funzione di assistere il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU nella sua funzione amministrativa attraverso mozioni riguardanti le leggi e i regolamenti approvati dall’UNMIK. Il Consiglio ha inoltre il compito di dettare le linee guida per gli obiettivi politici dei 20 dipartimenti amministrativi stabiliti dalla stessa JIAS. L’Interim Admistrative Council è composto da otto membri, quattro Kosovari51 e quattro rappresentanti dell’Amministrazione Internazionale. Durante gli incontri, presieduti dal SRSG, le decisioni sono prese con la maggioranza dei ¾ . In caso di mancato accordo la decisione finale viene presa dal SRSG. 47 Hashim Thaci, del Partito Democratico del Kosovo (PDK), Ibrahim Rugova della Lega Democratica del Kosovo (LDK) e Rexhep Qosja del Movimento Democratico Unito (LBD). Questi erano stati i rappresentanti della delegazione kosovara-albanese agli accordi di Rambouillet nel febbraio-marzo 1999 48 Struttura amministrativa unificata 49 Stabiliti dal Regolamento 2000/1 dell’UNMIK redatto il 14 gennaio 2000; www.unmikonline.org/1styear/jias.htm 50 Consiglio Amministrativo ad Interim 51 Rugosa, Thaci e Rexhep Qosja a cui si aggiunge in qualità di osservatore un rappresentante del Serb National Council, Rada Trajkovic. Alle riunione del Consiglio partecipavano come osservatori, anche Feride Rushiti (Rappresentante della Società Civile Kosovara) e Denis McNamara (Deputato del SRSG per le questioni Umanitarie). Gli osservatori hanno diritto di parla ma non di voto. 34 Il Kosovo Transitional Council (KTC)52 Il KTC rappresenta il primo organo consultivo creato dall’UNMIK fin dai primi mesi di insediamento53 e poi inglobato all’interno della JIAS. Riflettendo la composizione pluralistica del Kosovo, attraverso la partecipazione di rappresentanti politici, religiosi e della società civile, permetteva il collegamento tra la popolazione e gli amministratori. I 36 membri del Consiglio possono essere divisi in cinque gruppi: rappresentanti dei partiti politici, membri kosovari dello IAC, leader delle comunità religiose (mussulmani, Chiesa cattolica Romana, Chiesa Ortodossa Serba), rappresentanti delle comunità nazionali, della società civile ed indipendenti. All’interno del KTC era, inoltre, presente un sistema di quattro commissioni: il gruppo per la Tolleranza e la Protezione delle Comunità locali; il gruppo per le persone scomparse; il gruppo per gli affari economici; il gruppo di lavoro per l’educazione. I Dipartimenti Amministrativi La JIAS stabiliva la creazione di 20 dipartimenti amministrativi co-diretti da un politico Kosovaro e da un rappresentante dell’UNMIK. I vari dipartimenti sono stati divisi tra i principali partiti politici: Lega Democratica del Kosovo (LDK): Central Fiscal Autority, Giustizia, Servizi Pubblici Generali, Poste e Telecomunicazioni. Partito Democratico del Kosovo (PDK): Amministrazioni Locali, Commercio e Industria, Sanità e Sicurezza Sociale, Protezione Civile. Movimento Democratico Unito (LBD): Educazione e Ricerca, Ricostruzione, Servizi Sociali, non-resident affairs. Indipendenti: Cultura, Giovani, Sport. Ministeri Riservati alle Minoranze: Lavoro e Occupazione, Trasporti e Infrastrutture, Agricoltura, Ambiente. L’Ultimo livello della JIAS è rappresentato dalla creazione di Consigli Amministrativi all’interno delle 30 Municipalità presenti nella provincia, responsabili dell’Amministrazione Locale. I consigli sono stati guidati nella fase 52 53 Consiglio di Transizione del Kosovo vedi paragrafo precedente pag. 25-26 35 iniziale, prima delle elezioni municipali dell’ottobre 2000, da personale dell’UNMIK, sostituito poi dai membri eletti. La JIAS restò in vigore fino al gennaio del 2002, quando venne sostituita dalla Structure of the Provisional Institutions of Self-Government (PISG)54, stabilita dal regolamento 2001/9 firmato dal SRSG, Hans Haekkerup, il 15 maggio 2001. Il documento descrive le Istituzioni che sono state messe nelle mani dei leader del Kosovo dopo le elezioni generali del 17 Novembre 2001. “Il successo della sua implementazione - scrive nell’introduzione del documento il capo dell’UNMIK – assisterà fortemente il processo per determinare lo status finale del Kosovo.”55 Nel preambolo del documento si riafferma la necessità di garantire uguali diritti di tutti i membri delle varie comunità che abitano in Kosovo, sottolineando, come già fatto nella Risoluzione 1244, la necessità di provvedere al ritorno dei profughi alle loro case. Le Istituzioni previste dalla nuova Costituzione Provvisoria sono: l’Assemblea, il Presidente del Kosovo, il Governo, le Corti e una serie di altre istituzioni descritte in questa carta. Oltre alla salvaguardia dei diritti umani la Costituzione al capitolo quattro descrive i diritti riservati a tutte le comunità. Viene sancito il diritto ad utilizzare liberamente la propria lingua anche di fronte alle Corti, alle agenzie e ad ogni altro Organismo Pubblico. Le Istituzioni si impegnano a garantire il diritto di ogni cittadino ad essere informato e a ricevere un’educazione nella propria lingua. Le tutele non riguardano soltanto i diritti linguistici ma anche la preservazione delle tradizioni delle singole Comunità, del loro patrimonio artistico, storico e religioso. Il testo passa poi in rassegna le nuove Istituzioni descrivendone le competenze e le peculiarità. 54 Struttura Costituzionale per il provvisorio Auto-Governo del Kosovo: www.unmikonline.org tratto dalla sezione documenti del sito ufficiale dell’Assemblea del Kosovo www.assembly-kosova.org 55 36 L’Assemblea del Kosovo, la più alta Istituzione Provvisoria rappresentativa e legislativa, è formata da 120 membri eletti con voto segreto.56 Cento dei 120 seggi sono attribuiti ai partiti con un sistema elettorale proporzionale all’interno di un’unica circoscrizione. Gli altri 20 seggi rimanenti sono invece riservati come seggi addizionali per i rappresentanti delle Comunità non albanesi. Di questi 20 seggi, 10 sono riservati ai Serbi e sono attribuiti ai singoli partiti secondo le proporzioni dei voti ottenuti. Gli altri dieci seggi, riservati alla Comunità non albanesi, sono così divisi: quattro posti distribuiti tra la Comunità Rom, Ashkali ed Egizia; tre alla Comunità Bosgniacca, due ai Turchi e un seggio ai Gorani. Il mandato dell’Assemblea è di 3 anni anche se in ogni momento, con voto favorevole dei due terzi dei deputati, è possibile chiedere al SRSG di scioglier anticipatamente il parlamento57. All’interno dell’Assemblea viene creata una Presidenza, formata da otto membri,58 che ha il compito di dettare l’agenda politica del parlamento facendo raccomandazioni all’Assemblea e mantenendo i contatti con il SRSG. All’interno del partito che ha ottenuto più voti viene scelto il Presidente dell’Assemblea59 che ha il compito di presiedere tutte gli incontri del Parlamento. Le decisioni vengono prese a maggioranza assoluta dei membri presenti alla votazione. Perché una votazione sia valida devono sedere in parlamento almeno 1/3 degli aventi diritto. Per quanto riguarda l’approvazione delle leggi la Cosituzione provvisoria prevede un Iter complesso che permette ad ogni singola Comunità di bloccare, anche se solo temporaneamente, ogni legge che viene giudicata contraria a propri interessi vitali.60 56 Per essere eletti bisogna aver compiuto i diciotto anni di età alla data delle elezioni e bisogna dimostrare di non essere membri di altre Commissioni o Isitituzioni, compresi il Kosovo Protection Corps e il Kosovo Police Service. Non sono eleggibili tutte le persone sotto inchiesta del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia 57 La richiesta deve essere inoltrata dal Presidente del Kosovo. 58 Gli otto posti della Presidenza dell’Assemblea sono così divisi: due rappresentanti al partito che ha ottenuto più voti, due rappresentanti al partito che ha ottenuto il secondo maggior numero di voti, un membro al partito che ha ottenuto il terzo maggior numero di voti, un membro alla Comunità Serba e un rappresentante di un’altra Comunità non albanese e non serba. 59 Il presidente dell’Assemblea rappresenta per importanza la seconda carica dopo il Presidente del Kosovo. 60 I disegni di legge possono essere presentanti da uno o più membri dell’Assemblea. Dopo una prima lettura del testo, i partiti hanno la possibilità di proporre eventuali emendamenti. Dopo la seconda lettura si procede alla votazione. Perché una legge venga approvata è necessario il voto favorevole della maggioranza assoluta dei presenti al voto. Se il testo non viene approvato si procede ad una terza lettura seguita da una nuova votazione. Quando una legge viene approvata, può però ancora essere bloccata. Entro 48 ore dall’approvazione di una legge, infatti, ogni membro dell’Assemblea con l’appoggio di altri 5 membri, può inoltrare 37 Uno dei compiti più importanti dell’Assemblea è quello di eleggere il presidente del Kosovo61 che deve essere eletto con la maggioranza dei 2/3. 62 Per tutto l’arco del suo mandato, tre anni, il Presidente può essere sfiduciato dal Parlamento sempre con voto dei 2/3. Il Presidente del Kosovo rappresenta “l’unità della popolazione e la garanzia delle funzioni democratiche”.63 Se il presidente non è in grado, anche solo temporaneamente di adempiere ai suoi doveri, viene sostituito dal Presidente dell’Assemblea.64 Uno dei compiti più importanti del Presidente è proporre, dopo aver consultato i partiti politici, il Primo Ministro all’Assemblea per la sua votazione. Per essere eletto il Primo Ministro deve ottenere, insieme ai ministri da lui scelti per formare il governo, la maggioranza assoluta di voti favorevoli65. Il Governo così formato, rappresenta il più alto organo esecutivo, applicando le leggi approvate dall’Assemblea (leggi che può a sua volta proporre). Al suo interno deve avere un minimo di due ministri appartenenti alla Comunità che ha la maggioranza dei seggi al Parlamento. Almeno un ministro deve essere attribuito alla Comunità Serba e uno ad un’altra Comunità.66 Quello delineato dalla Costituzione Provvisoria è un modello di “Premierato” dove il Primo Ministro è posto in una posizione di superiorità rispetto agli altri componenti del Consiglio che possono essere sostituiti in ogni momento senza il consenso dell’Assemblea. L’Assemblea controlla però l’operato del governo potendo porre in ogni momento una mozione di sfiducia, approvata dalla una mozione, dovutamente motivata, che attesi come quella legge violi un interesse vitale della Comunità a cui appartiene. A quel punto la Presidenza chiederà a chi ha presentato la legge di replicare, davanti all’Assemblea, entro tre giorni. Entro cinque giorni dalla replica la Presidenza sottoporrà all’Assemblea una proposta d’accordo. Se l’accordo non viene raggiunto, un gruppo speciale di tre membri, tra cui una persona scelta dall’SRSG, prende in considerazione la questione proponendo degli emendamenti. La legge nuovamente emendata viene riproposta all’Assemblea. Se l’Assemblea boccia anche queste mozioni, la legge viene definitivamente approvata con il testo con cui era stata approvata dal Parlamento. 61 Il candidato alla presidenza viene scelto dal partito che ha ottenuto il maggior numero di voti. 62 Se questa maggioranza non viene raggiunta entro i primi due turni, al terzo è sufficiente la maggioranza assoluta. 63 Regolamento UNMIK 2001/9: www.unmikonline.org 64 Come avvenuto nel gennaio 2006. Alla morte del Presidente Ibrahim Rugova le sue funzioni sono state trasferite ad Interim al Presidente dell’Assemblea Daci fino all’elezione del nuovo presidente. 65 Se non viene eletto entro dieci giorni il Presidente del Kosovo ha dieci giorni per proporre un nuovo candidato. 66 Se il Governo è formato da più di 12 ministri deve essere riservato alle minoranze un terzo ministero. I membri del Governo non devono necessariamente essere scelti tra i membri dell’Assemblea. 38 maggioranza assoluta dei membri. Contemporaneamente però il parlamento deve votare la fiducia ad un nuovo Primo Ministro e al suo Governo.67 La nuova Struttura Costituzionale Provvisoria per l’autogoverno in Kosovo stabilisce anche il nuovo sistema giudiziario della provincia attraverso l’Istituzione della Corte Suprema del Kosovo, delle Corti Distrettuali e Municipali a cui si aggiungono le Corti per i Reati Minori. Quella creata dall’UNMIK rappresenta una Struttura Costituzionale unica caratterizzata dalla coesistenza di organismi elettivi con i rappresentanti dell’Aministrazione Internazionale. Una struttura politico-amministrativa complessa non rintracciabile in nessun altro sistema esistente. Il SRSG, infatti, pur devolvendo molti dei suoi poteri, in particolare le funzioni amministrative alle nuove Istituzioni Kosovare, mantiene il pieno controllo sull’intero sistema di autogoverno.68 Il capo dell’UNMIK riveste ancora un importante serie di funzioni: ha il potere di sciogliere l’Assemblea e indire nuove Elezioni, da l’approvazione finale alla legge finanziaria, nomina i giudici internazionali, esercita il controllo e l’autorità sul Kosovo Protection Corps e il Kosovo Police Service, conclude accordi internazionali, controlla le frontiere e i flussi delle merci, nomina i membri del Consiglio Economico-Fiscale, dell’Autorità per i Pagamenti e del Capo esecutivo del Servizio di Ispezione Fiscale. La nuova Struttura Costituzionale Provvisoria istituisce anche una serie di altre Istituzioni ausiliarie: la Commissione Elettorale Centrale, l’Autorità e la Banca per i Pagamenti, la Commissione per i Media Indipendenti, l’ufficio Generale per i Revisori Contabili, Consiglio per i diritti e le rivendicazioni di Proprietà, il Consiglio Giudiziario e il Consiglio per i Broadcaster pubblici. 67 68 Sistema definito di “Fiducia Costruttiva” Come previsto dalla Risoluzione 1244 39 LE ELEZIONI IN KOSOVO Fin dai primi giorni di insediamento in Kosovo l’UNMIK ha operato per favorire lo sviluppo di un processo democratico che ha avuto senza dubbio i momenti salienti nelle quattro tornate elettorali svolte in questi primi sei anni e mezzo di amministrazione internazionale. I cittadini Kosovari sono stati chiamati per due volte ad eleggere i Consigli delle trenta Municipalità della provincia e i membri dell’Assemblea del Kosovo. Il controllo dell’interno processo elettorale è stato affidato dall’UNMIK all’ OSCE69 responsabile del III Pilastro: Democratizzazione e Costruzione delle Istituzioni. La missione dell’OSCE, guidata dall’ambasciatore tedesco Werner Wnendt, ha visto diminuire in questi anni le sue funzioni passate in parte alle nuove agenzie Kosovare. A partire dall’estate del 1999, appena arrivati in Kosovo, i responsabili dell’OSCE iniziarono ad occuparsi dell’organizzazione delle elezioni Municipali previste per l’ottobre del 2000. In preparazione di questo appuntamento fu necessario aggiornare la lista dei votanti, includendovi i molti kosovari residenti all’estero, registrare i partiti politici, monitorare le campagne elettorali e preparare il materiale per allestire i seggi. L’attenzione e l’entusiasmo dei Kosovari per queste prime elezioni è sottolineato dalla grande partecipazione dell’elettorato sia attivo che passivo. Nell’ottobre del 2000 alle elezioni municipali parteciparono 49 partiti politici e la percentuale dei votanti raggiunse il 79%. Il risultato delle elezioni confermò i rapporti di forza tra i partiti presenti prima della guerra, decretando la vittoria schiacciante di Ibrahim Rugova e della sua Lega Democratica del Kosovo che si aggiudicò la maggioranza dei seggi nei Consigli delle Municipalità. I presidenti eletti dai consigli andarono a sostituire i rappresentanti internazionali posti dall’UNMIK a capo delle Municipalità nell’estate del 1999. Elezioni municipali ottobre 2000 Partiti LDK 69 Voti 58,0% Organizzazione per la Sicurezza e laPDK Cooperazione in27,3% Europa AAK 7,7% Altri 7,0% Totale 40 100% Fonti: OSCE70 e SOK ( Statistical Office of Kosovo) A distanza di due anni si tennero le elezioni per il rinnovo delle cariche in tutte le trenta municipalità. Alle elezioni parteciparono 68 partiti politici ma la risposta dell’elettorato fu minore rispetto alla precedente tornata eletorale: votò il 53,9% della popolazione. Dal punto di vista politico queste elezioni non provocarono grandi sconvolgimenti. LDK si confermò la prima forza politica della provincia anche se con una flessione consistente di voti, quasi il 14% di preferenze in meno. Questi voti vennero soltanto in parte recuperati dal grande rivale di Rugova, l’ex guerrigliero del KLA Thaci e dal suo PDK che guadagnò due punti percentuali. La maggioranza venne distribuita tra una serie di partiti minori, tra cui la Coalizione per il Ritorno (KP), forza che univa una serie di partiti serbi, che ottenne il 2% dei voti. LDK ottenne il controllo di 18 municipalità, il PDK di 6, l’AAK di 1 e i Partiti Serbi di 5. Nella città di Mitrovica vennero istituite due amministrazioni parallele. Elezioni municipali ottobre 2002 Partiti Voti LDK 44,6% PDK 29,6% KP 2,0% AAK 8,8% Altri 15,0% Totale 100% Fonti: OSCE e SOK ( Statistical Office of Kosovo) All’interno del processo per la costruzione delle nuove Istituzioni Kosovare furono più importanti le elezioni legislative, che portarono nel novembre 2001 all’elezione dei membri dell’Assemblea del Kosovo e successivamente degli organi esecutivi, 70 http://kosovoelections.org 41 amministrativi e giudiziari previsti dalla Struttura Costituzionale Provvisoria, approvata dal SRSG nel maggio 2001. Una tappa fondamentale verso l’effettivo autogoverno dei kosovari. Nel novembre 2001 si sono tenute le elezioni legislative a cui hanno partecipato 35 partiti politici. I votanti sono stati il 64,3% della popolazione. La Lega Democratica del Kosovo si è aggiudicata il 45,7% dei voti, sufficiente per avere una netta maggioranza nell’assemblea ma non la maggioranza assoluta. Il Partito democratico del Kosovo si conferma la seconda forza politica del paese aggiudicandosi 26 seggi. La grande novità politica emersa da questa tornata elettorale è rappresentata dalla Coalizione per il Ritorno (KP), rappresentante di tutti i partiti serbi, che si è aggiudica 22 seggi. Hanno ottenuto seggi in parlamento, in virtù del particolare sistema elettorale71, anche partiti in rappresentanza di tutte le altre Comunità. Questa può essere considerata una legislatura di transizione in cui si cercò di procedere cercando sempre l’accordo e il consenso del maggior numero di forze politiche. Dal 15 marzo 2002, data del primo incontro del governo, al 4 dicembre 2004 è stato infatti in carica un esecutivo di coalizione a cui parteciparono tutti i partiti parlamentari. Pochi giorni dopo il suo insediamento il parlamento ha eletto presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova, leader de LDK. Elezioni Assemblea del Kosovo, Novembre 2001 Partiti Voti Seggi72 LDK 45,7% 47 PDK 25,7% 26 KP 11,3% 22 AAK 7,8% 7 Altri 9,5% 18 100% 120 Totale Fonti: OSCE, SOK ( Statistical Office of Kosovo), Assemblea del Kosovo Nell’ottobre 2004 i cittadini del Kosovo sono stati chiamati a esprimere nuovamente la loro preferenza eleggendo i membri dell’Assemblea per la seconda legislatura. Il clima di malumore dei kosovari albanesi nei confronti degli 71 vedi pag.33 Non bisogna dimenticare che 20 seggi sono riservati alle minoranze. Le differenze tra voti e seggi ottenuti, in alcuni casi dovuti al sistema della distribuzione dei resti, sono principalmente dovuti proprio a questo fatto. 72 42 amministratori internazionali e della situazione di stallo, legata alla mancata definizione dello status del Kosovo, è riscontrabile nel calo della partecipazione al voto. Rispetto alle prime tre votazioni la percentuale di votanti ha subito un brusco calo assestandosi al 49,5%. Questo clima di crisi e malcontento non ha però influito sulla distribuzione dei seggi. La Lega Democratica del Kosovo ha riottenuto i 47 seggi parlamentari, controllati nella prima legislatura, ottenendo la maggioranza dei voti. Le novità sono invece rappresentate dalla scomparsa della Coalizione per il Ritorno e dall’ascesa di un nuovo partito, la lista civica albanese qytetare ORA, formata da attivisti della società civile e presieduta da Veton Surroi, proprietario del più importante giornale albanese del Kosovo e di un canale TV. Sull’esito delle elezioni ha influito pesantemente l’incoraggiamento di Belgrado a boicottare il voto.73 Gli unici partiti serbi che si sono presentati alle elezioni, SLKM e CLS74, hanno ottenuto soltanto i dieci seggi riservati di diritto ai Serbi. Rispetto alle precedenti elezioni i Serbi hanno ottenuto 12 seggi in meno. Elezioni Assemblea del Kosovo, Novembre 2004 Partiti Voti Seggi75 LDK 45,4% 47 PDK 28,9% 30 AAK 8,4% 9 ORA 6,2% 7 11,1% 27 100 % 120 Others Total Fonti: OSCE, SOK ( Statistical Office of Kosovo), Assemblea del Kosovo 73 Nations in Transist 2005 – Kosovo (an addendum to the Serbia-Montenegro Report)-, Rapporto Annuale di Freedom House 74 Serbian List for Kosovo and Metohija (SLKM) ha ottenuto 8 seggi Civic List of Serbia (CLS), 2 seggi 75 Non bisogna dimenticare che 20 seggi sono riservati alle minoranze. Le differenze tra voti e seggi ottenuti, in alcuni casi dovuti al sistema della distribuzione dei resti, sono principalmente dovuti proprio a questo fatto. 43 Il primo Ministro Serbo Vojislav Kostunica condizionò la partecipazione dei serbi al voto facendo approvare al parlamento serbo, il 24 aprile 2004, il piano di Belgrado per l’autonomia etnica dei Serbi Kosovari.76 Queste elezioni hanno portato alla formazione di un governo di coalizione bipartitico formato da LDK e dal AAK. Il partito di Rugova, rieletto presidente, ha avuto 6 ministri mentre l’Alleanza per il futuro del Kosovo ha ottenuto 4 ministri e il Primo Ministro Ramush Haradinaj.77 I rimanenti tre miisteri sono stati assegnati alla minoranze. L’opposizione era rappresentata principalmente dal PDK e dalla lista ORA. Per la prima volta le elezioni del 2004 hanno visto operativa la Central Election Commission (CEC), agenzia creata dall’UNMIK78, per sostituire gradualmente l’OSCE nella preparazione e nella realizzazione delle elezioni. La CEC, presieduta dal capo dell’OSCE, è formata da 12 membri, tre commissari internazionali e 9 locali.79. Nel 2005 la OSCE ha ceduto tutti i compiti operativi alla CECS (Central Election Commission Secretariat) braccio operativo della CEC che ha creato un apposito ufficio all’interno di ogni municipalità.80 Tutte le elezioni svolte fino ad oggi in Kosovo sono state giudicate libere e pacifiche dagli osservatori nazionali ed internazionali.81 76 Nations in Transist 2005 – Kosovo (an addendum to the Serbia-Montenegro Report) Rapporto Annuale di Freedom House 77 Sostituito nel 2005 da Kosumi dopo essere stato inquisito dal Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia 78 regolamento 2004/9 www.unmikonline.org 79 I nove commissari locali sono rappresentanti dei partiti politici (7 membri) e di ONG che operano per la tutela dei diritti umani (2 membri) 80 I MECs: Municipal Election Commissions 81 Nations in Transist 2005 – Kosovo (an addendum to the Serbia-Montenegro Report) Rapporto Annuale di Freedom House 44 ERRORI E PROBLEMI DELL’AMMINISTRAZIONE INTERNAZIONALE Nonostante il processo di democratizzazione in atto, con il passaggio dei poteri verso le strutture di autogoverno, la situazione in Kosovo, a quasi sette anni dall’inizio dei bombardamenti, è molto difficile. Il paese è vittima di una crisi economica che ha progressivamente paralizzato la regione portandola al collasso. Le tensioni tra le etnie, in apparenza diminuite, sono ancora vive e minacciano costantemente la tranquillità e la stabilità della provincia. In questa situazione trovano terreno fertile le organizzazioni criminali dedite al contrabbando e ai traffici illeciti. A questi problemi si è aggiunto, all’inizio del 2006, il grande dilemma politico della successione a Rugova, presidente e padre del Kosovo, morto, dopo una lunga malattia, alla vigilia della ripresa dei colloqui per la definizione dello Status della Provincia. Questa situazione è sicuramente frutto della delicatezza del quadro geopolitico regionale e dell’ambiguità della Risoluzione 1244, ma non solo. In questi anni gli amministratori internazionali hanno contribuito a creare questo clima con gravi errori, dimostrandosi, in alcuni casi, incapaci a gestire le difficoltà della transizione e intervenendo spesso in ritardo o con metodi non efficaci. Con il passare degli anni l’UNMIK ha perso la fiducia della popolazione come affermato dal leader del PDK, Hashim Thaci, in un intervista alla Reuters nel 2004: “Le Nazioni Unite in Kosovo hanno fallito in quanto la missione dell’UNMIK ha perso la fiducia del popolo del Kosovo. La maggioranza dei funzionari internazionali sono qui per dormire, guardare e poi bloccare le nostre iniziative.” Il malcontento della popolazione è esploso in una serie di attacchi e attentati contro le forze internazionali. Gli episodi più gravi sono avvenuti durante gli scontri scoppiati in tutta la provincia il 17-18 marzo 2004. In questi giorni oltre ai monasteri ortodossi sono state attaccate sedi e distrutte auto dell’Amministrazione Internazionale. Il 10 giugno 2004 a Pristina si è svolta la prima manifestazione pubblica di protesta contro la presenza dell’UNMIK. 45 Parte dei problemi e delle difficoltà della missione internazionale sono dovuti all’ampiezza del mandato affidato dal Consiglio di Sicurezza all’UNMIK Quella in Kosovo non era la prima missione in cui l’ONU assumeva funzioni amministrative all’interno di uno stato, ma era la prima volta che veniva affidata alle Nazioni Unite la responsabilità totale di amministrare un territorio. L’ONU al momento dell’intervento non era in grado di adempiere un mandato così ampio, né era in grado di svolgere interamente le funzioni che gli erano affidate alla velocità della rapida ritirata delle forze armate Jugoslave.82 I compiti affidati all’UNMIK erano enormi e le Nazioni Unite, come tutte le altre organizzazioni internazionali, avevano limitate capacità e poca esperienza in missioni di amministrazione diretta. Tali mancanze furono esposte nel rapporto della commissione ONU sulle operazioni di peacekeeping, il cosiddetto “Brahimi Report”, pubblicato nell’agosto del 2000. Le prime truppe della K-FOR arrivarono in Kosovo il 12 giugno, due giorni dopo l’approvazione della Risoluzione 1244. Ma ci vollero mesi prima che il dispiegamento degli amministratori internazionali fosse completato e l’UNMIK iniziasse a svolgere pienamente le sue funzioni amministrative. Questa fase produsse un vero e proprio vuoto di potere. Nelle rispettive aree, Serbi e Albanesi, con proprie autorità parallele occuparono il vuoto di autorità lasciato dalla ritirata delle forze Jugoslave. Il problema fu particolarmente acuto nelle zone abitate dai Kosovari albanesi, dove gruppi di potere, spesso legati al KLA o ad organizzazioni criminali, presero il controllo delle stazioni di benzina, degli alberghi, delle attività commerciali e di tutte le case abbandonate dai profughi in fuga. Queste istituzioni parallele in alcuni casi iniziarono ad imporre un vero e proprio sistema di tassazione. All’interno della Comunità Serba si instaurò un rapporto molto forte tra le nuove istituzioni parallele e il regime i Milosevic che continuava a mantenere la sua autorità sulle aree abitate dai serbi, contribuendo economicamente alla ricostruzione e all’amministrazione del territorio.83 82 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 Alexandros Yannis è stato consigliere politico di Bernard Kouchner, il primo Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite in Kosovo dal luglio 1999 al dicembre 2000. 83 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 46 Il forte legame che continua ad unire la Comunità Serba del Kosovo a Belgrado ha rappresentato e continua a rappresentare un ostacolo al processo di autogoverno dei kosovari, favorendo il coinvolgimento di Belgrado nelle questioni politiche della provincia. Emblematica è la situazione di Mitrovica dove all’interno della municipalità serba84 viene utilizzato ancora il dinaro Jugoslavo come moneta corrente, mentre in tutto il resto della provincia si utilizza l’euro. Le difficoltà nel perseguimento degli obiettivi stabiliti dalla Risoluzione 1244 è inoltre legata all’architettura stessa della missione internazionale. Il primo grande problema è dovuto al dualismo tra UNIMIK e K-FOR. Il conferimento di un assetto bicefalo alla missione era dovuto da un lato alla necessità di permettere maggiore libertà di intervento alla forza militare, non vincolandola all’interno delle regole d’ingaggio delle forze ONU, e dall’altro all’assoluta indisposizione dei paesi della NATO a mettere le proprie truppe sotto il comando dell’ONU.85 Questo dualismo86ha inevitabilmente creato una serie di divergenze sulle responsabilità all’interno della catena di comando che ha influito sulla credibilità stessa della missione nei confronti della popolazione. 87 La questione dell’attribuzione delle competenze nella prima fase dell’intervento fu ancora più grande all’interno della stessa K-FOR, in particolare tra il Comando integrato della forza militare internazionale e i contingenti nazionali. L’impossibilità dell’UNMIK di schierare un’efficace forza internazionale di polizia era un’altra fonte di limitazione ai suoi poteri. “La sua capacità di far rispettare le iniziative politiche intraprese era limitata a quello che la K-FOR era in grado di fare.”88Questo aveva come conseguenza diretta il fallimento dell’esercizio della piena autorità nelle aree a maggioranza Serba nel nord della provincia. Le difficoltà non derivavano soltanto dal dualismo tra le due strutture ma anche dall’organizzazione stessa dell’UNMIK. All’interno della missione ONU i quattro 84 La città di Mitrovica, nel nord del Kosovo, è divisa dal fiume Ibar in due differenti municipalità: a nord la municipalità serba e a sud quell’albanese. Proprio dalla città di Mitrivica, simbolo del conflitto etnico del Kosovo, sono partiti gli scontri che hanno infiammato la provincia il 17-18 marzo 2004. 85 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 In particolare i generali americani non avrebbero mai accettato che le proprie truppe fossero comandate da ufficiali non americani. 86 Già sperimentato in Bosnia-Herzegovina dopo gli accordi di Dayton. 87 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 88 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 47 pilastri89 avevano differenti strutture di controllo e diversi apparati burocratici di comando e costituzione. Si trovavano così a dover collaborare varie organizzazioni: differenti agenzie dell’ONU, Unione Europea e OSCE. Ognuna di queste aveva propri obiettivi, priorità e linee di intervento. Si trovavano così a confrontarsi diversi modi di concepire il perseguimento degli obiettivi stabiliti dal Consiglio di Sicurezza. Emblematica in questo senso è la frizione tra Unione Europea e Nazioni Unite sui diversi approcci per l’utilizzazione delle risorse finanziarie. Le Nazioni Unite hanno sempre puntato sul raggiungimento di obiettivi di breve termine, come la fornitura dei servizi pubblici essenziali, mentre l’UE puntava sul raggiungimento di obiettivi di carattere macro-economico. “Il collasso energetico che colpì il Kosovo nell’inverno del 1999 è sicuramente uno delle migliori illustrazioni dei rischi di questo apparato istituzionale con varie catene di comando e differenti aree di responsabilità.90” Un altro importante punto di frizione era rappresentato dalla competizione e dalla mancanza di cooperazione tra i vari pilastri. Nei primi mesi di intervento, l’OSCE dispiegò sul territorio, più velocemente dell’ONU, un gran numero di esperti per monitorare le violazioni dei diritti umani e la democratizzazione. Questo portò ad una situazione paradossale: durante il primo anno di missione, c’erano in Kosovo più osservatori dell’OSCE che amministratori civile delle Nazioni Unite, sebbene la priorità della missione fosse stabilire le funzioni dell’amministrazione civile e non l’attività di monitoraggio.91 Parlando delle difficoltà dell’UNMIK e degli errori commessi dagli amministratori internazionali è necessario soffermarsi sulle violenze inter-etniche scoppiate in Kosovo dopo la ritirata dell’armata popolare. I diffusi attacchi compiuti da gruppi di estremisti albanesi contro le varie minoranze in particolare Serbi e Rom, portando all’esodo di massa di molti serbi, dimostravano come nell’estate del 1999 il conflitto in Kosovo non era ancora concluso. Le violenze operate da questi gruppi, legati al KLA o ad organizzazioni criminali, colpirono anche alcuni albanesi che erano accusati di collaborazionismo. Il tentativo di arginare la violenza inter-etnica che insanguinava la provincia era reso ancoro più complesso dal clima di impunità di cui godevano i responsabili dei 89 vedi pag.21 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 91 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 90 48 crimini commessi. Approfittando di questa situazione vennero risolte molte faide interne allo stessa comunità albenese, spesso non legate alla guerra ma al mondo della criminalità locale. All’interno della galassia albanese scoppiò una vera e propria guerra tra gruppi estremisti e moderati riconducibili a due differenti formazioni politiche la LDK di Rugova da una parte e gli ex guerriglieri del KLA riuniti nel PDK di Thaci, dall’altra. Come ha osservato lo scrittore Serbo, Alesa Djilas, riferendosi alle violenze e al diffuso clima di impunità in Kosovo: “la possibilità di vendetta, accresce il desiderio”. In questa fase le forze della NATO e dell’ONU non erano preparati ad affrontare questa escalation di violenza e i loro interventi risultarono in molti casi non adeguai. L’esiguo numero di poliziotti inviati dai paesi membri delle Nazioni Unite assieme all’impossibilità per le truppe della K-FOR di garantire una protezione ravvicinata alle minoranze, resero troppo spesso gli amministratori internazionali spettatori impotenti delle aggressioni perpetuate contro le minoranze rimaste.92 Appena arrivate in Kosovo le forze della NATO si preoccuparono in particolare di facilitare la ritirata delle forze armate jugoslave e di consolidare il controllo sulle frontiere. Per molti mesi non ci fu in Kosovo un’effettiva forza internazionale di polizia e dopo un anno di amministrazione internazionale non esisteva ancora un piano specifico per proteggere i Serbi dalla vendetta albanese.93 Come commenta Alexandros Yanis: “La ritirata dell’armata popolare dal Kosovo alterò drasticamente i rapporti di potere sul territorio, trasformando improvvisamente le vittime in oppressori. Il ricordo delle sistematiche discriminazioni subite e dell’oppressione da parte dei Serbi, aggiunte al fresco ricordo di terribili atrocità, generarono un grande e spesso incontrollato spirito di vendetta tra gli albanesi.” Per alcuni osservatori internazionali , questa era la sgradevole conseguenza di anni di oppressione e della recente campagna di pulizia etnica. Per altri, il passato era un comoda scusa per generare nuove ostilità o semplicemente “una licenza ad uccidere”. La situazione della sicurezza migliorò lentamente favorita dall’incremento delle operazioni delle forze internazionali e dalla segregazione virtuale dei serbi, che continuavano a emigrare verso la Serbia o si raggruppavano 92 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 93 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 49 in enclavi all’interno del Kosovo. La paura della contro-epurazione etnica aveva inevitabilmente spinto i civili non-albanesi a rifugiarsi attorno ai monasteri sebiortodossi, ad installarsi in edifici mono-etnici al centro di Pristina o ancora a decidere di occupare la parte nord di Mitrovica. 94 Questo ha significato una limitata libertà di movimento per le comunità non albanesi ma ha permesso una migliore difesa da parte delle forze di polizia internazionale. La sicurezza che si è progressivamente stabilita nella provincia ha avuto come costo la segregazione etnica.95 Nonostante gli amministratori internazionali continuassero a parlare dell’esigenza di un Kosovo multietnico bocciando formalmente l’idea di “Cantonizzazione” proposta Belgrado, nei fatti si assistette ad una “Cantonizzazione” sostanziale della provincia. Dal conflitto del 1999 è estremamente difficile per i non albanesi, in particolare per i serbi e i rom, muoversi liberamente per il Kosovo. I serbi sono costretti ad uscire dalle enclavi solamente scortati dalle truppe NATO. Questo rende ancora oggi difficile il loro accesso ai servizi pubblici di base come l’educazione, la sanità e la giustizia oltre alle difficoltà di accesso ai luoghi di lavoro. L’impossibilità di presentarsi davanti alle corti non fa altro che alimentare il clima di impunità.96 Se complessivamente si può dire che l’ONU abbia superato con successo la sfida umanitaria non si può dire altrettanto per il difficile compito di garantire la sicurezza delle minoranze ed il rispetto dei diritti umani. INSTABILITA’ POLITICA E COLLASSO ECONOMICO 94 Maria Catena: “La Missione Onu in Kosovo: mantenere o fare la pace?” La Comunità Internazionale Fasc.4/2001. 95 Alexandros Yannis: “Kosovo Under International Administration”, Survival, Vol 43, 2001 96 vedi pag. 29 50 I problemi della gestione internazionale del kosovo, non si limitano ai ripetuti episodi di violenza inter-etnici e alla difficoltà di garantire i diritti umani delle minoranze. Il malcontento della popolazione nei confronti dell’UNMIK è alimentata dalle difficili condizioni in cui tutta la popolazione, non solo le minoranze, sono costretti a vivere. Una situazione di povertà diffusa che secondo i kosovari è dovuta all’incapacità e alla negligenza degli amministratori internazionali, accusati da parte dell’opinione pubblica di pensare soltanto ai loro stipendi.97 Al termine dei bombardamenti NATO la crisi economica che inevitabilmente accompagna ogni guerra si è lentamente trasformata in un vero e proprio collasso. Le imprese della provincia, nonostante gli ingenti contributi della Comunità Internazionale98, faticano a riprendersi e la disoccupazione è incontrollata. Secondo stime della UE in questi anni la comunità internazionale avrebbe investito più di due miliardi e mezzo di euro senza riuscire a dare un segno deciso di rilancio all’economia.99 I problemi dell’economia kosovara non iniziano però con il conflitto del 1999. Il Kosovo è sempre stato una delle province più povere della Jugoslavia, a vocazione prevalentemente agricola e pastorizia. Le imprese principali sono legate allo sfruttamento delle abbondanti risorse minerarie di piombo, zinco, argento, cromo, ferro e nichel. Fin dai primi anni novanta le industrie della regione hanno subito, come tutte le imprese della ex Federazione Jugoslava, la crisi iniziata nel 1991, con l’interruzione dei crediti concessi al governo di Belgrado dalla Banca Mondiale100. L’inflazione colpì l’intera federazione riducendo drasticamente la produzione. Il governo per far fronte alla crisi reagì con una decisa campagna di tagli che ridusse notevolmente il numero di occupati nelle fabbriche pubbliche. In questo difficile clima economico le piccole e medie imprese private, che non 97 Articolo di Olsi Sulejmani, L’ONU, unica responsabile della catastrofe economica, tratto da Radio Free Europe, scaricabile da www.notizie-est.com Negli ultimi anni alcuni giornali kosovari hanno pubblicato le cifre degli stipendi dei funzionari dell’UNMIK, somme molto elevate per la popolazione della provincia. Questo non ha fatto altro che alimentare il clima di ostilità nei confronti del personale dell’ONU. 98 I dati relativi alla Cooperazione Italiana parlano di quattro contributi all’UNMIK versati nel corso del 1999 e del 2000, per un totale di 10,5 miliardi di lire. Il totale degli ipegni finanziari che l’Italia ha stanziato a seguito delle due conferenze dei Donatoridi Bruxelles del 28 luglio e del 17 novembre 1999, ammonta a circa 28 miliardi di lire 99 L’UE continua ad essere il più grande donatore in Kosovo. Globalmente i suoi aiuti, dal 1999 al 2005, assommano a quasi 1,6 miliardi di Euro. 100 Il blocco dei finanziamenti è una delle sanzioni inflitte alla Federazione Jugoslava dopo l’inizio della guerra in Slovenia e Croazia 51 potevano più contare sui crediti per effetto della svalutazione monetaria, chiusero l’attività per mancanza di competitività, seguite successivamente dalle grandi imprese. In questi anni il tasso di sviluppo industriale in Kosovo aveva raggiunto i livelli del periodo successivo alle fine della Seconda Guerra Mondiale, quando nascevano le prime vere industrie, legate in particolare all’estrazione di minerali.101 Negli anni novanta la situazione economica della provincia, sempre più trascurata da Belgrado, si aggravò ulteriormente. Durante la guerra i missili della NATO distrussero strade, ponti, imprese e centrali elettriche. Molti campi e terreni riservati all’agricoltura o al pascolo vennero minati, rendendo ai contadini e agli allevatori problematica la ripresa delle attività nel dopo guerra. Al termine dei bombardamenti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la Risoluzione 1244102, ha attribuito all’Unione Europea il compito di attuare la ricostruzione delle infrastrutture e del sistema economico-sociale del Kosovo. L’obiettivo principale è la creazione103 di un’economia di mercato elaborando un programma per la stabilità e lo sviluppo della provincia. Un piano che si inserisce in una strategia regionale più ampia, definita nelle sue linee principali dal Patto di Stabilità per il Sud-Est Europeo, adottato su iniziativa dell’UE il 10 giugno 1999. L’obiettivo è la stabilizzazione dei balcani favorendo la stipulazione di accordi tra gli stati per la risoluzione delle questioni che possono originare tensione o conflitti. Gli stati che aderiscono al patto devono rispettare i principi democratici, garantendo il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Dal punto di vista economico viene indicato lo sviluppo del commercio come basilare per il rilancio dell’economia regionale e sottolineata l’importanza di regole trasparenti per il mercato dei capitali. All’interno del Patto di Stabilità per il Sud-Est Europeo il 27 giugno 2001, viene firmato il “memorandum of understanding of trade liberalization and facilitation”. Questo accordo è alla base della creazione di una zona di libero scambio nel SudEst Europa che include otto paesi104 e copre un territorio di 650 mila kmq con una 101 www.prodocs.org paragrafo 11 punto g della Risoluzione 1244 scaricabile da www.unmikonline.org 103 obiettivo da raggiungere con la collaborazione del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) e delle altre istituzioni competenti del sistema dell’ONU 104 Stati Uniti di Serbia e Montenegro, Bosnia-Herzegovina, Croazia, Macedonia, Albania, Bulgaria, Romania e Moldovia. A questi incotri partecipano anche rappresentanti del Istituzioni Provvisorie di Autogoverno Kosovare. 102 52 popolazione di 60 milioni di persone.105 All’interno del progetto di rilancio dell’economia kosovara proposto dall’UE ha un ruolo di primo piano il processo di privatizzazione. Con la firma da parte del SRSG delle nazioni Unite in Kosovo, Michael Steiner, del Land Use Regulation, il 9 maggio 2003, ha avuto inizio il processo di privatizzazione che inserisce in un sistema di libero mercato le imprese statali e le imprese in proprietà collettiva, procedendo contemporaneamente alla liquidazione delle aziende non più produttive.106 A capo di tutto il processo viene posta la Kosovo dall’Amministrazione Trust Agency (KTA), Internazionale107, con ente indipendente pieni costituito poteri riguardo all’amministrazione fiduciaria delle imprese.108 Il 16 dicembre 2005 la KTA ha annunciato il 12 round di privatizzazioni che ha incluso 23 nuove imprese. Questo processo ha vissuto in questi anni momenti di stallo e di difficoltà, dovuti ai contrasti tra i membri del Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia. Per alcuni mesi le privatizzazioni sono state sospese dai funzionari dell’UNMIK e il processo ha rischiato più volte di bloccarsi definitivamente, alimentando il malcontento dei kosovari. I motivi di attrito tra il governo di Pristina, Belgrado e gli amministratori Internazionali sono legati da un lato alla questione dell’immunità da eventuali azioni giuridiche di cui godono i membri del Consiglio di Amministrazione, dall’altro all’atteggiamento del Governo di Belgrado, che giudica le privatizzazioni, come una violazione alla sovranità della Serbia, dichiarandosi pronto ad intraprendere azioni giuridiche nei confronti dei contraenti del KTA. La lentezza delle privatizzazioni è stata criticata dal FMI che ha sottolineato come “la lunga pausa abbia danneggiato la prospettiva di attirare investimenti, mentre i disaccordi, fortemente politici, tra le Istituzioni Provvisorie di Autogoverno (PISG) e l’UNMIK hanno minato la fiducia degli investitori”. Gli osservatori hanno sottolineato come “l’esito del sistema di privatizzazioni è destinato ad influenzare in maniera fondamentale l’evoluzione del dialogo tra Belgrado e Pristina.” Nonostante questi interventi la situazione economica del Kosovo è disastrosa. Il FMI ha calcolato un tasso di disoccupazione del 33%. Questo valore è stato 105 Jovovic Dejan: “Activities of Serbia and Montenegro on Implementation of Free Trade Agreements in Southeast Europe”, Review of International Affairs, Ottobre-dicembre 2003 106 www.osservatoriobalcani.it 107 Il Consiglio di Amministrazione della KTA è composto da quattro membri internazionali e quattro locali, nominati dall’SRSG. 108 www.osservatiobalcani.it 53 fortemente contestato da molti analisti che portano questa cifra fino al 60%.109 Una situazione comunque catastrofica. Secondo un indagine compiuta dall’agenzia ONU, UNDP, nel 2004 la speranza di vita e l’istruzione sono migliorate rispetto al periodo del dopo guerra, ma il numero di persone che vivono in povertà estrema è aumentata. La produzione agricola su cui poggiava gran parte dell’economia e da cui dipende il sostentamento della maggioranza della popolazione fatica a riprendersi. Molti terreni sono ancora inutilizzabili e ai contadini mancano spesso i mezzi per poter ristrutturare le fattorie abbandonate allo scoppio della guerra. La produzione è orientata principalmente alla sussistenza e la provincia è costretta ad importare prodotti agricoli. L’UE nonostante il 60% della popolazione viva in zone rurali non ha incluso nelle sue attività di finanziamento l’agricoltura. Fin dalla fine dei bombardamenti la crisi economica è stata accompagnata ed alimentata da una profonda crisi energetica. Alcune delle più importanti centrali elettriche del Kosovo erano state gravemente danneggiate o distrutte dai bombardamenti e ancora oggi la quantità di elettricità a disposizione dei kosovari, in larga parte importata, non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno di energia, costringendo la popolazione a ricorrere all’utilizzo di generatori a gasolio. In questi mesi la produzione dei due impianti termoelettrico della provincia è di 550 MW mensili a fronte dei 1000 necessari nel periodo invernale. Ai primi di febbraio del 2006 la KEK, Compagnia elettrica kosovara, ha annunciato un nuovo piano di distribuzione dell’energia che lascerà la popolazione senza elettricità per molte ore al giorno. In molte città la gente ha protestato contro questa decisione occupando strade e assaltando gli uffici locali della KEK. La Compagnia si è giustificata dicendo che se nessuno paga le bollette loro non possono fornire l’elettricità. Le maggiori inadempienze si riscontrano all’interno della comunità serba. I motivi sono molteplici: l’impossibilità di muoversi liberamente e di recarsi agli uffici preposti per i pagamenti, la povertà legata alla crisi economica che colpisce ancora più profondamente le enclaves e l’atteggiamento stesso dei serbi che si rifiutano di riconoscere le istituzioni kosovare. Nell’inverno 2004 alcune città e villaggi dove vivono dei serbi sono rimaste senza elettricità per un totale 109 Ludrim Aliu, L’Unione Europea vista dal Kosovo, articolo apparso sul giornale kosovaro Koha Ditore, nel gennaio 2006 54 complessivo di 50 giorni110. In risposta a questa situazione il governo di Belgrado si è detto pronto a rifornire le enclaves con 50 milioni di KW al mese offrendo la fornitura d’energia anche agli uffici dell’amministrazione internazionale. Ma la sua offerta è stata declinata dalle istituzioni kosovare e dall’UNMIK. L’incapacità del Kosovo di uscire da questa situazione di estrema difficoltà è aggravata dall’instabilità politica della provincia, dovuta da un lato all’irrisolta questione dello status e dall’altra a problemi interni al mondo politico albanese. Nonostante gli sforzi dell’Unione Europea l’assenza di una legislazione chiara e l’assoluta mancanza di certezze sullo status futuro della regione continuano a scoraggiare gli investitori internazionali. Per questo alcuni osservatori arrivano ad accusare l’ONU di essere l’unica responsabile della catastrofe economica.111 Come affermato da Patrick Moore il legame tra la questione dello status e la situazione economica è molto stretto: “Ho paura che non ci saranno né stabilità politica né una legislatura chiara fino a quando la soluzione dello status viene rimandata e così i problemi che possono essere risolti solo con la chiarezza dello status vanno ad aggravarsi.”112La questione del futuro del Kosovo è estremamente controversa. Fin dall’implementazione dell’UNMIK il Consiglio di Sicurezza ha sempre subordinato la questione dello status al raggiungimento da parte delle Istituzioni e della società kosovara di una serie di standard critici per lo sviluppo democratico della provincia. Nel 2002 l’ONU ha riassunto questi obiettivi nella formula degli “standards before status”113, individuando 8 obiettivi da raggiungere prima di poter iniziare a parlare del futuro della Regione. I requisiti descritti nel documento sono: stato di diritto, istituzioni democratiche, libertà di movimento, ritorno dei profughi, tutela delle minoranze, dialogo tra Belgrado e il Kosovo Protection Corps, sviluppo economico e diritti di proprietà. Questa situazione ha creato una grande contraddizione: lo sviluppo economico viene posto come uno degli obiettivi da raggiungere per poter avviare i colloqui per la definizione dello status ma allo stesso tempo lo sviluppo economico è legato alla stabilità politica e alla presenza di una legislazione chiara, che possono essere raggiunte solo dopo aver risolto la questione dello status. Un 110 Sasa Stefanovic, Kosovo: A B C … Buio, articolo tratto da www.osservatoriobalcani.it Articolo di Olsi Sulejmani, L’ONU, unica responsabile della catastrofe economica, tratto da Radio Free Europe, scaricabile da www.notizie-est.com 112 Intervista di Radio Free Europe all’analista Patrick Moore del 12 giugno 2004 scaricabile da www.notizie-est.com 113 obiettivi prima dello Status 111 55 circolo vizioso da cui la società kosovara fatica ad uscire. Una possibile soluzione è stata elaborata dall’Ambasciatore del Pakistan alle Nazioni Unite che propose l’idea dello “status insieme agli standard”. Secondo il funzionario la combinazione parallela dei due processi avrebbe offerto la possibilità di uscire da questo vicolo cieco. Proposta che non fu però accolta. L’instabilità politica non è però riconducibile soltanto al problema dello status ma è alimentata dalle tensioni interne al mondo politico albanese. Il diplomatico norvegese presso la NATO, Kai Eide114, in un rapporto presentato al Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, nelle sue conclusioni definisce il crimine organizzato e la corruzione come due delle principali minacce per la stabilità delle Istituzioni. Oggi il Kosovo è al centro di attività illecite legate in particolare al traffico di armi, droga e prostituzione. Come sottolinea Alberto Andreani, consulente dello Iom (International Organization for Migration) in missione proprio in Kosovo: “la provincia è un pozzo nero in cui penetra di tutto, per poi proseguire verso gli altri Paesi dei Balcani. Non è richiesto alcun tipo di visto perché, per statuto dell’ONU, nella Regione può entrare chiunque sia in possesso di regolari documenti. Inoltre abbiamo per così dire, dei confini porosi, cioè difficili da controllare, con alcuni delinquenti che hanno la gestione di piccoli viottoli. Queste strade, spesso nascoste tra i boschi, vengono minati per non far passare nessuno, salvo sminarli quando devono far transitare i carichi illegali per conto dei gruppi della criminalità organizzata.”115 Secondo le stime dei militari della K-FOR, l’80% del PIL della provincia è frutto di attività illecite.116 La mafia kosovara-albanese viene definita dal prof. Pino Arlocchi, ex vice-segretario generale dell’ONU, “la più potente e aggressiva tra le diverse mafie europee”. Attraverso il Kosovo passa la quasi totalità dell’eroina proveniente dall’Asia, diretta verso l’Europa, e il traffico di essere umani legato alla prostituzione proveniente dai paesi dell’est Europeo. I clan che gestiscono questo business fiorente controllano ampie regioni del territorio. Spesso si assiste ad episodi di vera e propria guerra tra le varie famiglie per il controllo di questi traffici. I proventi di queste attività non vanno ad alimentare 114 Kai Eide sarà poi nominato Inviato Speciale per il Kosovo del Segretario Generale delle Nazioni Unite. 115 testo tratto da www.narcomafie.it 116 testo tratto da www.espressonline.it 56 soltanto le casse dei clan ma anche quelle di personaggi politici. La corruzione è una piaga molto sentita all’interno delle Istituzioni kosovare né sono la dimostrazione le recenti accuse di corruzione al primo ministro Bajram Kosumi. La connivenza tra politici e organizzazioni criminali fa si che la Comunità Internazionale fatichi a trovare interlocutori tra le Istituzioni. In un rapporto confidenziale dell’intelligence delle Nazioni Unite a proposito di Hashim Thaci, leader del Partito Democratico del Kosovo si legge: “Non può essere provata una sua attività criminale diretta però ha molti legami con criminali. La sua famiglia di riferimento controlla i traffici nella valle della Drenica. Sua sorella ha sposato Bajrish Sajdiu capo della mafia albanese in Macedonia e suo fratello Hamdi è una figura chiave per i traffici nell’area della Klina”. In proposito Kai Eide 117 ha dichiarato alla vigilia della riapertura dei colloqui tra Belgrado e Pristina che la Comunità Internazionale ha commesso degli sbagli durante il suo impegno in Kosovo. “Dopo i bombardamenti della NATO sono stati fatti fin troppi sforzi per costruire i rapporti con i nuovi leader Kosovari-albanesi, anche se questi non erano i migliori promotori della democrazia”. In particolare Eide accusa gli amministratori di aver avuto “una relazione troppo cordiale con Hashim Thaci”, perdendo l’occasione per mandare un chiaro messaggio ai rappresentanti politici. Le accuse sono ancora più compromettenti nei confronti di Ramush Hardinaj, primo ministro del Kosovo dal gennaio al settembre 2005, quando è stato costretto alle dimissioni dopo l’accusa per crimini di guerra da parte del Tribunale Penale Internazionale per la Ex Jugoslavia. L’ex primo ministro, uno dei capi più autorevoli del KLA insieme a Thaci, si legge nel rapporto è “il capo del clan Haradinaj, la maggior organizzazione criminale che controlla Pec, Decani e Djakovica”, una zona da qui passano le strade che collegano l’Albania al Montenegro. La pratica del contrabbando è estremamente diffusa, non solo ad opera di organizzazioni criminali. Attraverso i confini del Kosovo non transitano solo sostanze illecite ma anche ogni sorta di beni di consumo come benzina, sigarette e prodotti alimentari, rivenduti nei mercati locali La situazione politica si è complicata ulteriormente dopo la morte del presidente Ibrahim Rugova, proprio alla vigilia dei colloqui tra Belgrado e Pristina sul 117 Inviato Speciale per il Kosovo del Segretario Generale delle Nazioni Unite. 57 decentramento, aprendo all’interno della Lega Democratica del Kosovo la questione della successione. Con la scomparsa di Rugova il Kosovo non perde solo il proprio leader ma un politico moderato capace di lavorare per la pacificazione della provincia dimostrandosi un valido interlocutore per la Comunità Internazionale e l’unico leader dotato di un vasto consenso popolare. CONCLUSIONE 58 QUALE FUTURO PER IL KOSOVO? INDIPENDENZA O AUTONOMIA Il futuro della società kosovara dipende dalla definizione del status del Kosovo. Una decisione che influenzerà inevitabilmente la stabilità dell’intera penisola balcanica. L’esito di questo processo è altamente incerto così come le sue conseguenze. Da un lato potrebbe portare alla fine delle tensioni e all’inizio di una vera ripresa in tutta la Regione. Dall’altro questa decisione potrebbe rappresentare l’ennesima scintilla destinata ad infiammare il sud dei Balcani. 59 Come abbiamo visto tutti i problemi che affiggono la popolazione kosovara così come tutti gli errori e le difficoltà degli Amministratori Internazionali sono in fondo legati ad una domanda precisa: Quale sarà il futuro del Kosovo? Una domanda a cui Belgrado, Pristina e la Comunità Internazionale non hanno ancora saputo dare una risposta comune. Subito dopo l’approvazione della Risoluzione 1244 i leader politici albanesi del Kosovo e il governo di Belgrado espressero chiaramente le loro posizioni. I kosovari ribadirono ancora una volta quanto emerso dal referendum popolare clandestino, organizzato dalle Istituzioni dello “Stato ombra” nel 1991, chiedendo a gran voce l’indipendenza. Dall’altra parte Belgrado, rassicurata dalla Comunità Internazionale e dal testo stesso della Risoluzione, ribadiva la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Federale Jugoslava. Secondo il governo serbo: “la sovranità sul Kosovo non poteva essere messa in discussione.” Dal giugno del 1999 ad oggi non è stato fatto nessun passo in avanti per cercare di trovare un compromesso tra le parti, anzi le posizioni di Belgrado e Pristina si sono irrigidite. L’interesse della Comunità Internazionale è diminuito e la questione dello status è stata subordinata al raggiungimento da parte delle Istituzioni Provvisorie kosovare di standard democratici, all’interno della formula degli “standard before status”. Questa posizione è stata ribadita dai membri del Gruppo di Contatto118 radunati a Mosca il 5 settembre 2003: “il discorso dello status in Kosovo può essere discusso solo dopo il raggiungimento degli standard proposti dalla Risoluzione 1244”. La situazione nella provincia è però fortemente cambiata. Il Kosovo si è dato una moneta diversa da quella serba, ha creato un sistema penale separato, ha dato ai suoi cittadini di origine albanese propri documenti di identità e ha avviato un processo democratico che ha portato a costruire proprie istituzioni. Il presidente Rugova si è sempre comportato da presidente eletto di uno Stato, partecipando a incontri internazionali e intessendo relazioni diplomatiche con le principali diplomazie occidentali. L’indipendenza ormai più che richiesta viene pretesa dai kosovari albanesi.119 118 Formato da USA, UK, Russia, Francia, Germania e Italia. Franco Venturini: “Tempo ormai scaduto per il Kosovo”, tratto dal Corriere della Sera del 23 dicembre 2005 119 60 Allo stesso modo Belgrado ha continuato a sostenere le proprie posizioni accusando la Comunità Internazionale di voler favorire le mire indipendentiste degli albanesi. In questo senso Nebojsa Covic, primo ministero Serbo e presidente del Centro di Coordinamento per il Kosovo e Metohija, nella primavera del 2003, denunciò l’esistenza di un’ “ingegnosa” manovra politica che avrebbe evitato la violazione formale del principio di “non cambiamento di confini nei balcani” e allo stesso tempo avrebbe avvalorato la richiesta dei kosovari albanesi di indipendenza. In questo senso dichiarò come la Serbia non avrebbe accettato ricatti di alcun genere. La posizione ufficiale della Serbia sulla questione dello status del Kosovo venne chiarita ufficialmente attraverso l’adozione da parte del parlamento Serbo della “Declaration on Kosovo e Metohija”120il 27 agosto 2003. Questo documento condanna apertamente l’operato dell’ UNMIK, giudicando insoddisfacente l’implementazione della risoluzione 1244. In particolare vengono evidenziate la mancata tutela dei diritti umani e le precarie condizioni di sicurezza dei membri della comunità serba, decretando l’assoluto insuccesso del processo di ritorno dei profughi.121 Nelle conclusioni del Dichiarazione si ribadisce la Sostanziale Autonomia del Kosovo all’interno della Repubblica Federale Jugoslava. In questo senso viene dichiarato come “lo status può essere definito solo dopo l’implementazione di tutti gli standard previsti dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza”. Raggiunto questo traguardo il Parlamento Serbo garantisce il pieno contributo per abbozzare una piattaforma per definire una sostanziale autonomia del Kosovo che permetterà a tutti i cittadini di godere la sostanziale autonomia all’interno della Repubblica di Serbia come stabilito dalla stessa risoluzione. Secondo i politici serbi l’indipendenza non solo sarebbe una violazione del diritto internazionale ma avrebbe effetti destabilizzanti in tutta la Regione. In particolare Belgrado ha sempre accusato gli albanesi del Kosovo di mirare alla creazione di una Grande Albania, unendo sotto un’unica bandiera gli albanesi del Kosovo, dell’Albania e di parte della Macedonia122, gettando così l’intera regione nel caos. Oggi questo scenario, sostenuto soltanto da piccoli gruppi estremisti, sembra piuttosto improbabile e le dichiarazioni di Belgrado risultano più che altro dettate 120 “Dichiarazione sul Kosovo e Metohija” Sono rientrati in Kosovo solo il 2% dei profughi serbi. 122 In Macedonia gli albanesi sono il 22,7% della popolazione. Rappresentano però l’etnia maggioritaria nelle zone al confine con il Kosovo e l’Albania. 121 61 da esigenze politiche. “L’idea o il piano per una Grande Albania per noi non esiste”, dichiarava già nel 2001 il Premier Albanese Ilir Meta. Concetto ribadito da Remzi Lavi, direttore dell’ Albanian Media Institute: “Se mi dicessero che non ci sono persone che sognano una Grande Albania, direi che non è vero, ma questa non è un’idea popolare. Se il Consiglio di Sicurezza ci offrisse questa possibilità non la rifiuteremmo ma dall’altra parte non siamo disposti a combattere per questo.” La Comunità Internazionale da parte sua ha sempre guardato con timore al problema dello Status evitando di prendere posizioni ufficiali e spostando l’attenzione all’implementazione degli standard. Se la risposta ufficiale è stata di assoluta neutralità nella sostanza però gli amministratori internazionali promovendo l’autogoverno e la costruzioni della istituzioni, controllate dagli albanesi, e sancendo il distacco totale della provincia da Belgrado hanno inevitabilmente dato il via ad un processo che difficilmente potrà avere esiti diversi dall’indipendenza, più o meno “condizionata” dalla presenza delle forze internazionali. In questi anni gli analisti hanno provato a ipotizzare i possibili scenari per il futuro del Kosovo. Sono state formulate tante soluzioni che vanno dalla creazione di una nuova Jugoslavia, alla spartizione del kosovo in due entità una serbe e una albanese. L’ipotesi che ha però suscitato il maggior interesse all’interno della Comunità Internazionale, senza però trovare il consenso di Serbi e Albanesi, è l’idea di un’ “Indipendenza Condizionata”. Questo piano prevede la fine dell’effettiva sovranità della Rep. Fed. Jugoslava sulla provincia, ma al tempo stesso il non riconoscimento immediato della piena personalità legale internazionale e statutaria del Kosovo. Ciò significa che il nuovo stato non avrebbe per il momento un seggio all’interno degli Organismi Internazionali. Il Kosovo diventerebbe uno stato autonomo soggetto però ad alcuni vincoli stabiliti dagli Amministratori Internazionali. Tra alcuni dei vincoli ipotizzati ci sarebbero: la rinuncia definitiva al progetto di una Grande Albania, la garanzia istituzionale per i diritti umani di tutti i cittadini, la rinuncia all’uso della violenza e l’inizio di una cooperazione regionale. Nel marzo del 2005 il capo dell’UNMIK, Soren Jessen Petersen ha ricordato l’importanza del dialogo per la definizione dello status limitandosi a dire che “non ci sarà in alcun caso un ritorno alla situazione prima del 1999.” In questi anni 62 l’atteggiamento della Comunità Internazionale nei confronti di Pristina e Belgrado è profondamente cambiato. Per certi versi potremmo dire che le posizioni si sono invertite. L’atteggiamento nei confronti della Serbia è migliorato. Dopo la caduta di Milosevic a Belgrado abbiamo assistito all’ascesa dei nazionalisti moderati e all’inizio di un processo di cambiamento democratico. Il 3 aprile 2003 gli Stati Uniti di Serbia e Montenegro sono stati accettati nel Consiglio d’Europa al termine di un percorso iniziato nel 2000 che ha visto l’applicazione da parte di Belgrado degli standard imposti dall’UE. I principali paesi occidentali, tra cui gli Stati Uniti, hanno riattivato normali relazioni diplomatiche ma soprattutto economiche con Belgrado, sostenendo la ripresa economica del paese. Dall’altra parte l’atteggiamento nei confronti dei leader kosovari albanesi si è fatto più duro. La Comunità Internazionale ha più volte condannato le violenze contro le minoranze perpetuate in tutta la provincia minacciando la sospensione degli aiuti. A minare i rapporti creati tra Pristina e le diplomazie occidentali contribuiscono gli episodi di corruzione e di coinvolgimento in traffici illeciti che hanno coinvolto alcuni politici kosovari. Nonostante questo però negli ultimi anni il presidente Rugova ha saputo proporsi come principale interlocutore politico guadagnandosi il favore delle principali diplomazie, in particolare degli Stati Uniti. ufficialmente il governo americano ha sempre dichiarato che Anche se “gli USA non supportano alcuna particolare soluzione per lo status futuro del Kosovo”123, gli Stati Uniti hanno sempre seguito con particolare interesse e favore la costruzione delle Istituzioni Kosovare. Con la morte di Rugova questo sistema di rapporti viene messo in discussione e nasce per i kosovari l’esigenza di trovare presto un nuovo interlocutore che sappia guadagnarsi il favore delle cancellerie occidentali. LA RIAPERTURA DEI COLLOQUI: LE DUE PARTITE 123 Dichiarazione di Kathleen Stephen del dipartimento di Stato USA, marzo 2004 63 Negli ultimi mesi l’atteggiamento della Comunità Internazionale, in particolare dell’Unione Europea, nei confronti del Kosovo è profondamente cambiato. Importanti uomini politici di vari paesi hanno iniziato ha sostenere l’esigenza di porre fine a questa situazione di assoluta incertezza, riavviando i contatti diplomatici tra Pristina e Belgrado. Queste richieste sono state raccolte dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, e dal Consiglio di Sicurezza che, il 24 ottobre 2005, ha approvato un documento124in cui “sostiene l’intenzione del Segretario Generale di iniziare un processo politico per determinare il futuro Status del Kosovo, come previsto dalla Risoluzione 1244”. Successivamente il 1 novembre Kofi Annan ha nominato come suo Inviato Speciale per questo nuova fase negoziale, l’ex presidente Finlandese, Martti Ahtisaari. I negoziati hanno preso ufficialmente il via il 21 novembre con l’arrivo a Pristina della delegazione dell’ONU. La città Kosovara è stata la prima tappa di un viaggio che ha portato in un secondo momento il diplomatico Finlandese a Belgrado. L’obiettivo era quello di percepire le posizioni dei due soggetti principali coinvolti nelle trattative, serbi e albanesi. Durante la sua prima sosta, la delegazione kosovara ha consegnato all’inviato di Kofi Annan un documento presentato come “piattaforma per l’indipendenza”. Pochi giorni prima l’Assemblea del Kosovo aveva votato, non senza discussioni, a favore di una mozione sulla “riconferma della volontà politica del popolo per un Kosovo indipendente e Sovrano”. Nel documento si afferma come la volontà per l’indipendenza sia “non – negoziabile”. La risposta del governo serbo non si è fatta attendere. Il 21 novembre, mentre la delegazione delle Nazioni Unite arrivava a Pristina, il Parlamento Serbo adottava la Risoluzione presentata dal Premier Kostunica. Il documento ribadisce ancora una volta come la Serbia insista sui principi di sovranità e di integrità territoriale dello Stato, esprimendosi a favore dell’autonomia della provincia e giudicando l’indipendenza un pericoloso precedente. Il premier ha inoltre affermato che non si può parlare di autodeterminazione nel caso degli albanesi del Kosovo, perché non rappresentano un popolo bensì una minoranza in seno alla Serbia. Il rischio secondo Kostunica è di mettere in discussione l’intero processo di stabilizzazione dei 124 Documento S/PRST/2005/51 scaricabile dal sito www.unmikonline.org 64 Balcani. Tuttavia la risoluzione non è stata accolta all’unanimità, dimostrando l’incapacità di Belgrado di esprimere un’unica posizione ufficiale sulla questione. La proposta è stata respinta dai deputati del Partito Democratico (DS) che hanno votato contro la mozione, sostenendo la necessità di considerare la nuova proposta del presidente della Serbia Boris Tadic. Il suo piano prevede la creazione in Kosovo di due entità, una serba e una albanese. L’entità serba comprenderebbe tutti i comuni esistenti e neo formati con una composizione multietnica, ma con una netta maggioranza serba. Questi comuni non creerebbero un territorio compatto, ma con un loro collegamento funzionale rappresenterebbero un quadro istituzionale sufficiente per la vita della comunità serba. Questo, secondo Tadic, permetterebbe a questa entità di avere relazioni speciali e dirette con Belgrado, mentre le due entità lavorerebbero insieme per la creazione delle Istituzioni Kosovare. Il dibattito aperto all’interno del parlamento serbo rappresenta una prima visibile crepa all’interno della strategia diplomatica di Belgrado. Il capo gruppo parlamentare dei DS, Dusan Petrovic, ha infatti dichiarato: “ai cittadini va chiaramente detto che l’indipendenza del Kosovo è una delle opzioni reali, e che la lotta per lo status sarà lunga e difficile”. Questa dichiarazione è molto importante perché dimostra ufficialmente come all’interno del mondo politico serbo vi siano politici intenzionati ad affrontare in modo pragmatico e non demagogico la questione kosovara. L’approvazione della risoluzione ha portato ad un vero e proprio scontro tra il Presidente e il Premier. Boris Tadic, reagendo al testo della risoluzione, ha detto che tali iniziative non giovano alla Serbia, annunciando come non sia stata raggiunta alcuna piattaforma comune per i negoziati. Secondo alcuni osservatori le due risoluzioni hanno avuto più motivazioni interne che internazionali. Sottolineando come entrambi i parlamenti tendano a rapportarsi esclusivamente con il proprio popolo. Il nuovo piano presentato dal presidente Tadic non rappresenta un’assoluta novità all’interno del panorama politico serbo. L’ipotesi di una divisione del Kosovo in due entità, è apparsa in diverse varianti sin dalla metà degli anni ’90 e secondo alcuni analisti, tra cui James Lion dell’International Crisis Group, rappresenterebbe l’obiettivo nascosto di Belgrado. In questo momento, i partiti sulla scena politica serba che si impegnano pubblicamente per l’idea della divisione o della 65 riorganizzazione del Kosovo sono il G17 plus, i DS di Tadic e l’SDP di Nebojasa Covic, ex capo del Centro di Coordinamento per il Kosovo. Proprio secondo Covic “la via delle due entità è l’unica possibilità per tenere il Kosovo in Serbia. Tutte le cose diverse che sta facendo Vojislav Kostunica portano verso la perdita del Kosovo”.125 Nei giorni in cui Martti Ahtissari iniziava la sua attività diplomatica il Gruppo di Contatto ha annunciato che la soluzione sullo status del Kosovo sarà raggiunta entro la fine del 2006. Questo percorso seconda la Comunità Internazionale deve procedere parallelamente alla discussione della questione del Decentramento in Kosovo. Dal 23 al 29 gennaio 2006 si sarebbero dovuti tenere a Vienna proprio i primi colloqui tra Belgrado e Pristina sul tema del Decentramento, rinviati a causa della morte del presidente del Kosovo Rugova. Il trasferimento dell’autorità dal governo centrale di Pristina alle singole municipalità è da tempo uno dei punti centrali del dibattito politico in particolare a Belgrado. Nell’aprile del 2004 il Parlamento Serbo aveva approvato un piano sulla decentralizzazione del Kosovo che prevedeva la creazione di cinque Regioni dotate di ampia autonomia. Le singole regioni avrebbero avuto competenze su molte questioni: sicurezza, bilancio, potere giudiziario, istruzione, cultura, salute e politica sociale. A questo piano l’UNMIK e il governo Kosovaro risposero con il Quadro per l’autogestione locale. I politici kosovari che non avevano mai dimostrato molto interesse per questa questione hanno capito nelle ultime settimane come il tema del decentramento avrà un ruolo determinante all’interno dei negoziati sul futuro della provincia. Nel mese di gennaio 2006 Lufti Haziri, ministro kosovaro per l’Autogoverno, ha presentato un documento sulle proposte governative in merito alla riforma della autonomie locali. Il nodo della questione però non è solamente la scelta delle competenze da attribuire alle istituzioni locali ma soprattutto la discussione dei confini amministrativi delle municipalità: a seconda di dove si decida di tracciarli infatti si darà la maggioranza nei governi locali ad una piuttosto che ad un’altra comunità. In questo senso i sebi non accettano il rischio di creare municipalità dove sono ancora una volta minoranza. Il processo di decentramento è parte fondamentale della piattaforma presentata da Belgrado per i negoziati. Un documento che sancisce il 125 Lukac Jasmina: “Tutte le Idee serbe sulla divisione del Kosovo”, apparso sul quotidiano Danas il 30 novembre 2005. Scaricabile dal www.osservatoriobalcani.org 66 compromesso raggiunto tra le linee di Tadic e Kostunica. Il testo sostiene la necessità di creare, attraverso il decentramento, un’entità serba in Kosovo ribadendo però la sovranità di Belgrado sulla Regione. Il tavolo dei negoziati non rappresenta un campo di prova soltanto per serbi e albanesi ma per l’intera comunità internazionale. Da questo punto di vista una partita molto importante si giocherà all’interno del Gruppo di Contatto. Come abbiamo visto le ambiguità della Risoluzione così come molti errori commessi dagli Amministratori Internazionali erano legati alla mancanza di una linea comune sulla questione kosovara. In particolare Mosca ha sempre guardato con preoccupazione alla possibile indipendenza del Kosovo. In questi ultimi mesi però la decisione di riaprire i colloqui era stata accolta positivamente da tutti i paesi. In questo clima di apparente distensione è arrivata la dichiarazione del presidente russo Vladimir Putin, del 31 gennaio 2006, che ha collegato la soluzione dello status del Kosovo con i conflitti della regione caucasica, accogliendo in qualche modo la linea già lanciata da Belgrado: “la comunità internazionale deve accogliere dei principi unici e universali nella soluzione dei problemi interetnici….perché se, per esempio, il Kosovo può diventare indipendente, perché non potrebbero diventarlo anche l’Abhasia e l’Ossenzia del sud?”. La preoccupazione di Putin è legata alla possibilità, sostenuta da alcuni circoli occidentali, che la situazione in Kosovo posa diventare un “precedente”. La dichiarazione del presidente russo è stata accolta favorevolmente da Belgrado. Secondo l’attuale responsabile del Centro di Coordinamento per il Kosovo, Sanda Raskovic Ivic: “il Kosovo non può essere considerato completamente sganciato dagli altri avvenimenti, al cosiddetto effetto domino, che potrebbe verificarsi. Con la sua dichiarazione Putin, difende non solo gli interessi della Serbia e Montenegro, ma anche i principi del diritto internazionale.” Secondo il direttore dell’uffico Belgradese dell’International Crisis Group, James Lyon, la Russia in realtà appoggerebbe la posizione degli USA in merito al Kosovo, ma ha “rilasciato una dichiarazione differente per il pubblico”.126 Sull’incontro del Gruppo di Contatto e sulle dichiarazioni di Putin si è espresso anche Goran Svilanovic, funzionario del Patto di Stabilità per il Sud Est Europa. Secondo Svilanovic il processo in corso si 126 Luka Zanoni: “Dico Kosovo, penso Caucaso”, articolo tratto da www.osservatoribalcani.org 67 snoda su due binari: “uno riguarda i colloqui all’interno del Gruppo di contatto, l’altro riguarda i colloqui che si attendono tra Belgrado e Pristina. In questo momento direi che sono state raggiunte posizioni differenti tra la Russia e gli altri membri del Gruppo di Contatto. Ad ogni modo la posizione russa è più chiara di qualche settimana fa, ma è pur sempre una posizione che coinvolge altri temi, di grande interesse per Mosca. E qui il Kosovo non c’entra.” La sensazione è che la Russia alla fine appoggerà le posizioni delle cancellerie occidentali, favorevoli ad un’indipendenza condizionata del Kosovo. L’intenzione russa sarebbe però quella di rallentare la soluzione definitiva dello status dichiarandosi contraria all’introduzione di scadenze artificiali per i negoziati sul Kosovo. Questo potrebbe portare ad un allungamento dei negoziati la cui fine era fissata per la fine del 2006. In conclusione possiamo dire che non è ancora chiaro quale sarà lo status definitivo del Kosovo. Ma in questi anni la società Kosovara supportata dalla Comunità Internazionale ha portato avanti un progetto di sviluppo che difficilmente potrà riportare la Regione nell’ottica di Belgrado. Ad oggi l’opzione più credibile è quella di un Indipendenza Condizionata accompagnata da un grande decentramento dei poteri e dalla creazione di municipalità a maggioranza serba. I politici serbi sono consapevoli del vantaggio che gli albanesi hanno in questa partita ma sanno anche di essere in possesso di carte importanti da giocare come il ritorno dei profughi e la tutela delle minoranze. Da questa situazione Belgrado cercherà di guadagnare il più possibile in termini politici sia per quanto riguarda il Kosovo sia per il suo cammino verso l’Unione Europea. Indipendentemente dal loro esito i negoziati hanno portato la comunità internazionale a interessarsi nuovamente dei balcani avviando un cammino molto delicato che potrebbe portare definitivamente alla stabilità e all’ingreso di questi paesi nell’Unione Europea. In questo momento per quanto riguarda il Kosovo vi è un’unica certezza: le forze militari internazionali vi rimarranno ancora per molti anni. 68 BIBLIOGRAFIA: Assemblea del Kosovo, Resolution On riconfirmation of political will of kosova people for kosova an indipendent and sovregn state, adottata nella seduta del 17 novembre 2005. Bianchini S., La Questione Jugoslava, Giunti, Firenze, 2003. Borchert H., Hampton M., The Lessons of Kosovo: Boon or Bust for Transatlantic Security?, in Orbis: A Journal of World Affairs, vol. 46, n. 2, pag.369-389, 2002. Catena M., La missione ONU in Kosovo: mantenere o fare la pace?, in La comunità internazionale, vol. 56, n. 4, pag 579-593, 2001. 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