Ma questa è una domanda che non riceverà risposta, lo - file

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Ma questa è una domanda che non riceverà risposta, lo - file
Autore:
Alessandro Fontanini
Trama:
Nel piccolo e suggestivo paese di Gragno si verificano una serie di efferati delitti con un unico
fulcro comune: l’investigatore Dob.
Dopo una tranquilla serata tra amici Dob scoprirà di essere dentro ad un incubo con l’unica
differenza che per lui è la realtà.
Il classico investigatore privato alle prese con tradimenti ed infedeltà dovrà vedersela con un sadico
assassino intenzionato a fargli del male uccidendo tutti i suoi amici e soprattutto portandogli via la
persona a lui più cara. Senza indizi e senza un’idea del colpevole l’investigatore arriverà a dubitare
perfino di se stesso. Un viaggio in una mente malata e contorta lo aspetta.
Un’avventura, una vera e propria sfida per la vita contro la morte.
Tutto è nelle mani di Dob e il tempo, come la sabbia nella clessidra, scorre veloce e non è dalla sua
parte.
Avvincente e sconvolgente, un susseguirsi di colpi di scena travolgeranno la vita di Dob.
(Tatiana C.)
Tutti i diritti letterari di quest'opera sono di esclusiva proprietà dell'autore.
Questo libro è un'opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni
dell'autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi
analogia con fatti, luoghi e persone, è puramente casuale.
UCCIDERO' TUTTI I TUOI AMICI
1 - Gragno
(in Garfagnana)
Nel nord della Toscana c'è la mia amata terra: la Garfagnana. Una terra che non ti aspetti di trovare,
dove le gocce del passato hanno senso di cadere; dove l'uomo ha pronunciato parole di pietra, dove
la terra s'incontra con il cielo.
La chiamano "La Grande Selva" perché è scavata dal fiume Serchio e ricoperta da lussureggianti
foreste di castagni... tra antichi castelli, ponti millenari avvolti nel mistero e borghi medioevali,
questa è la Garfagnana.
Gragno è un paesino alle pendici del monte Pisanino, la vetta più elevata delle Alpi Apuane, lì
abitano i miei genitori ed i miei amici d'infanzia.
Un luogo riservato e tranquillo, in armonia con la natura, lontano dal traffico e dall'inquinamento
quotidiano dove i gatti possono passeggiare liberamente senza rischiare di essere schiacciati. E' a
Gragno che tutto ha avuto inizio ed è qui che si è svolta la storia che vi sto per raccontare. Una
Garfagnana che non ti aspetti...
2 - Gli amici e il poker
Le lancette dell'orologio affisso su una parete del salotto ricordavano che da poco erano passate le
4:00 di sabato notte. Seduti al tavolo da gioco: io, Rex, Boss, Ceppo e Scricciolo il padrone di
casa... stavamo per giocarci l'ultima mano di una partita a poker.
La casa costruita negli anni 70 era una tipico vecchio edificio di paese, piccola ed umile, non
molto diversa dai fabbricati circostanti.
L' intonaco grigio sui muri esterni in qualche punto era ceduto e necessitava di opere di
ristrutturazione.
La porta d'ingresso dava sul soggiorno in tinta salmone. I colori all'interno della casa
erano vivaci quasi a voler
ringiovanire la costruzione e l'arredamento era un misto tra lo stile antico ed il moderno.
Sulla destra si notava un mobiletto in legno su cui poggiava un televisore a schermo piatto e
vicino ad esso, una robusta cassapanca di legno massello che doveva aver fatto sudare sette
camicie a chi l'aveva portata fin lì.
Sulla sinistra c'era il caminetto rustico, composto da mattoni rossi e pietra serena, al suo interno si
stavano raffreddando le ultime braci.
Appoggiate sulla mensola sovrastante, lo schieramento di bottiglie di birra consumate durante la
serata che ricordavano un plotone di esecuzione, faceva intuire che non l'avremmo fatta franca ad
un controllo dell'alcool test.
In un angolo una vecchia sedia a dondolo ricordava in modo impressionante quelle dei films horror
di altri tempi, noi la usavamo da attaccapanni; era lì che ognuno di noi una volta entrati in casa,
gettava il proprio giacchetto.
L'altra parete andava fino a metà stanza, dove una porta celava la camera da letto e un grande arco
dava sulla cucina.
La stanza da letto era un vero e proprio tabù. Nessuno degli amici di Scricciolo, me compreso,
aveva MAI avuto l'occasione di darci una sbirciatina.
Da “buoni amici” lavorando d'immaginazione; attribuivano alla camera da letto le più svariate
storie, dalla commedia rosa alla cronaca nera.
La cucina con la penisola era di un verde intenso come il colore della mantide religiosa e divideva
la stanza in zona cottura e zona pranzo, anche le pareti erano tinteggiate di verde ma più tenue.
Nella stanza aleggiava ancora il forte odore, aspro e dolce dell'aglio usato per cucinare la
spaghettata di mezzanotte: spaghetti aglio, olio e peperoncino era un classico appuntamento per
quel tipo di serata.
L'addetto alla cucina era il Boss, cuoco di professione e grande estimatore del peperoncino, al
punto tale da farci bruciare ogni volta le labbra con la conseguenza che noi, poi civedevano
costretti a tracannare litri di birra.
Dalla zona pranzo, una porta con ornamenti di vetro soffiato dava sul bagno che era di forma
quadrata e composto da lavandino, bidét e doccia. Il particolare che dava all'occhio era la tendina
bianca della doccia in stile Psycho, poi il water con lo scopino riposto in un simpatico
contenitore a forma di gatto di porcellana... povero micio! L'odore nella stanza era gradevole, un
piacevole profumo di vaniglia ti riempiva le narici; merito del deodorante dotato di sensori di
movimento appoggiato sopra lo sciacquone che stava facendo per bene il proprio dovere.
Questa era la casa.
Eravamo seduti in soggiorno intorno al massiccio tavolo ovale come dei giovani boy scout
attorno al fuoco.
Sopra le nostre teste si era formata una maleodorante cappa di fumo grigio che riusciva quasi a
nascondere la plafoniera e sembrava il sole intrappolato tra le nuvole in una giornata che non
promette niente di buono.
D'altronde si sa che per questo gioco vale l'equazione:
poker = sigaretta
il portacenere era diventato cimitero di soldatini di carta con elmetti anneriti, schiacciati e sepolti
nella cenere e i pacchetti di sigarette fortini dei pochi superstiti.
Io facevo da mazziere e da buon croupier, avevo consegnato ad ognuno tutte e cinque le carte.
Ci piaceva giocare il poker classico; quello all'italiana. Il texas hold' em che andava per la
maggiore e si vedeva anche in televisione non ci appassionava per niente.
Le mie carte erano ancora appoggiate sul tavolo, prima di guardarle mi sarei concentrato sul
comportamento degli avversari per farmi un'idea di che mano potessero avere: gli occhi e le gesta
del corpo avrebbero potuto aiutarmi, bisogna essere molto bravi per nascondere le proprie
emozioni.
La serata fino a quel punto era andata bene, vincevo e da perfetto predatore, speravo di
aggiudicarmi anche l' ultimo piatto.
Il primo a parlare era Ceppo.
Ceppo con i suoi 25 anni, era il più piccolo del gruppo... per modo di dire, poiché per quanto
riguardava la stazza era il più massiccio: alto quasi due metri e pesante più di cento chili appariva
maestoso ed imponente come il tronco di un albero. Grande e grosso ma con occhi da cerbiatto,
dolci e sinceri: il suo punto debole, di facile lettura per l'avversario.
Il suo stile di gioco era prevedibile e scontato, non bluffava mai e puntava solo con qualcosa di
buono in mano, per noi tutti un libro aperto. Mi faceva venire in mente la barzelletta dell'uomo che
entra in un bar e vede tre uomini e un cane giocare a poker.
- Accidenti, questo dev'essere un cane davvero intelligente per poter giocare con voi a carte!!!
Uno dei giocatori commenta:
- Non tanto... ogni volta che gli capita una buona mano comincia a scodinzolare...
Aveva finito da poco le scuole superiori e stava facendo uno stage non retribuito che l'avrebbe
introdotto nel campo immobiliare. Non aveva problemi di soldi, proveniva da una buona famiglia
sicché io e gli altri suoi amici non ci facevamo problemi a depredarlo delle sue fiches.
Ceppo era un bambinone dall'aspetto curato.
Quella sera indossava un paio di jeans beige e una camicia “LaCoste” in tinta nera con le
maniche arrotolate fin sopra i gomiti.
Sotto le ascelle la camicia era chiazzata di sudore benché il termometro appeso all'esterno della
casa indicasse una temperatura al di sotto dello 0 °C.
Il ragazzo prese le carte in mano e le aprì guardandole tutte insieme come un giocatore di
briscola, senza provare la minima emozione, che è l’arma vincente nel gioco del poker, ma per
lui, a quel punto della serata, era svanita
(anche se il sudore sulla fronte e sulla blusa testimoniava il contrario).
Poche le sue fiches e l'ultima mano non prometteva niente di buono, annoiato e con sguardo
assente sibilò mestamente due parole:
«passo... cazzo!»
Persino il timbro della voce lento, grosso e cupo da autentico sfigato lo tradiva, per lui non ci
sarebbe stata gloria.
Al suo fianco c'era Rex.
Rex era un simpatico spaccone; chi non lo conosceva avrebbe potuto scambiarlo anche per un
dottore, con il suo abbigliamento impeccabile e la parlantina da saputello, dava l'impressione di
essere uno con tanti soldi mentre in realtà era un semplice operaio. Il suo compito era quello di
andare su e giù per l'Italia alla guida di un furgoncino Ducato, affiancato da 2 o 3 operai stranieri
(albanesi o marocchini) suoi sottoposti, a montare impalcature e a fare opere di ristrutturazione
per grandi magazzini. Così si guadagnava da vivere. Io non lo invidiavo, era sempre in giro per la
strada.
A lui andava bene così, perché era una persone di carattere, di quelle che non si lasciano
spaventare da niente e nessuno, di quelle che sanno districarsi al meglio in ogni situazione;
parlava e dava l'impressione di saper trattare ogni argomento, era furbo. Un vero e proprio
uomo di mondo che aveva acuito la sua intelligenza stando tra la gente e non tra i banchi di
scuola dove faceva fatica. Posso dirlo perché a scuola eravamo compagni di classe e
garantisco che non era un'aquila.
Tutti i fine settimana faceva rientro a Gragno e quando lo incrociavi per strada non lo beccavi mai in
fallo, sempre tirato a lucido, elegante e vestito con abiti firmati.
A casa di Scricciolo per una partita a poker tra amici si era presentato con in dosso un cardigan di
“Fred Perry” e dei pantaloni di “Armani”. Con l'inconfondibile ACQUA DI GIO inebriava l'aria,
profumando come una puttana... sembrava che la bottiglietta gli si fosse versata addosso.
Aveva 31 anni, la mia stessa età solo di qualche mese più giovane; lui del segno della vergine, io
dell'ariete e come detto in precedenza, avevano frequentato il primo anno delle scuole superiori
insieme, poi lui era bocciato.
Fisicamente un po' sovrappeso e di media statura. Il viso paffutello con le labbra grandi e carnose
come un indigeno che erano circondate da un pizzetto ben curato, la carnagione scura.
Aveva capelli corti e castani, brizzolati sopra le tempie, spessi e stopposi come i peli di un
cinghiale... le sopracciglia erano unite a V sopra il naso come le ali di un gabbiano librato in volo.
Giocava a poker in modo aggressivo e fumava una sigaretta dopo l'altra, era un bluffatore di razza
e alternava grandi vincite a ingenti perdite.
Apprezzavo quello stile ma purtroppo per lui ero entrato nella sua ottica di gioco, amavo
scontrarmici e spesso riuscivo ad avere la meglio.
Sfogliò le carte portandosele all'altezza del naso, le fece scorrere piano piano e le osservò una ad
una come un vero professionista... alla fine i suoi occhi marroni, leggermente cerchiati dalla
stanchezza o meglio, dall'effetto delle canne fumate durante la serata, cominciarono a luccicare
rivelando una buona mano. Distogliendo lo sguardo dalle carte bussò due volte sul tavolo che stava
ad indicare il “PASSO”.
Toccava a Scricciolo.
Scricciolo aveva 35 anni ed era il più vecchio del gruppo.
Piccolo di statura e sottile come uno stecchino. Il corpo ricoperto di tatuaggi e pallido in viso.
Portava sull'orecchio destro un cerchietto d'oro con una minuscola croce. I capelli erano rasati per
nascondere un incombente calvizie e le basette, talmente fini da sembrare disegnate gli scendevano
lungo le guance fino a formare un bel pizzetto attorno alla bocca che era minuta rispetto al naso
lungo, in contrasto con tutto il resto del corpo.
Dal modo di fare attento e preciso risultava a volte noioso e al limite del paranoico ma gli andava
riconosciuto un grande pregio, quello di riuscire a tenere unito il gruppo organizzando serate di
questo tipo ogni sabato sera (con gran disappunto della mia fidanzata).
Non so di preciso che lavoro facesse, so che spesso si assentava per motivi di salute a causa di
un'insidiosa malattia della quale faceva fatica a parlare.
Come giocatore di poker era nella media, non subiva grandi perdite e non si aggiudicava grandi
vincite, era un tipo da X in schedina.
Si concentrò sulle carte, prese una bella manciata di fiches dal suo mucchietto e le tirò nel piatto:
«Apro!»
Dava l'impressione di non avere granché tra le mani, forse una doppia coppia.
Era il turno del Boss, un bel 28enne dal fascino mediterraneo. Abbronzato, alto e robusto, atletico.
La faccia spigolosa e piena di nei. I capelli erano bruni, gli occhi castani e lo sguardo intrigante, con
un bel sorriso dalla bocca sana e pulita come se non avesse subito neanche un'otturazione.
Di carattere socievole. Simpatico e cordiale con la battuta sempre pronta e le giuste parole riusciva
a conquistarti; le ragazze del paese gli morivano dietro. Giusto per fare un po' di Gossip voglio
raccontarvi di un episodio da soap opera...
il don Giovanni si era immischiato in una tresca amorosa che lo vedeva impegnato
contemporaneamente con due ragazze
fidanzate. Roba da rischiare di mandare all'aria relazioni collaudate ormai da anni e come se
non bastasse le tipe erano anche grandi amiche! Le chiamerò “la bionda” e “la mora”.
La bionda stava vivendo un momento “no” e aveva chiesto al suo
ragazzo una pausa di riflessione.
In questi frangenti diventiamo più fragili e ci si affeziona facilmente a chi più ti dà ascolto... lei
aveva trovato conforto nell'amicizia e nella presenza costante del Boss, piano piano però questo
sentimento si era trasformato in qualcosa di più. Tutto filava liscio e la storia procedeva in segreto
ma man mano che la situazione andava avanti e aumentava di peso, la bionda sentì il bisogno di
confidarsi con la migliore amica: la mora. Le raccontò tutto togliendosi un bel peso ma non sapeva
che uno più grande stava per piombarle addosso.
La mora, stupita da tutto ciò, non riuscì a trattenere le lacrime, scoppiò a piangere e tra un
singhiozzo e l' altro le confidò che il Boss era anche il suo amante.
Il ragazzo aveva preso due piccioni con una fava!
Le due amiche inviperite e affrante dall'imbarazzante situazione si fecero coraggio e portarono alla
luce la vicenda, raccontando la storia alla loro maniera e tralasciando alcune verità (venne fuori
soltanto l'inciucio tra il mio amico e la bionda perché più accettabile dato il periodo di riflessione).
Così il Boss era passato come unico colpevole.
Il bastardo aveva approfittato del momento di debolezza della povera ragazza e in più aveva
mancato di rispetto nei confronti del fidanzato, prima suo amico. Per lui l'aria in paese era
diventata irrespirabile e pesante; molte persone gli mandavano occhiatacce, altre non gli
rivolgevano la parola. Con il passare del tempo il
tutto poi é andato ridimensionandosi e allo stato attuale sono rimaste solo le famiglie
interessate a portargli rancore.
Io non giustificavo il suo comportamento, le due ragazze erano nostre amiche e i loro fidanzati
pure. Il Boss l'aveva combinata bella ma non era l'unico responsabile, lui si era comportato da
stronzo, loro da...
Ma torniamo alla sera della partita di poker.
Il Boss indossava abiti sportivi, tuta nera con strisce trasversali
bianche e sul petto il logo “Adidas”.
Era un buon giocatore di poker: attento e intuitivo.
Una delle sue più abili capacità, era quella di farmi arrabbiare. Sistematicamente dimenticava
di mettere le fiches nel piatto, il furbone andava tenuto costantemente sotto controllo. Era mia
consuetudine riprenderlo con il cicchetto:
“SCIMMIA MANCHI!”
frase di rito nelle serate di poker.
Dopo aver guardato le carte, prese le fiches le gettò nel mucchio e disse allegramente:
«piatto ricco mi ci ficco!»
Esplodendo poi in una grassa risata mostrando i denti bianchi
come il latte, poi si accese una “Camel blue”.
Il giro di sguardi era completo, avevo osservato tutti e adesso era il mio turno.
Dob è il mio soprannome, forse vi chiederete perché e la risposta è semplice: mi piacciono i
Dobermann.
Fisicamente sono di bell'aspetto, non è per vantarmi ma faccio la mia bella figura. Sono alto 1 metro
e 83 e peso sugli 80 chili, ho i capelli neri rasati, gli occhi castani e la carnagione scura. Una cosa
di cui vado fiero, è il pizzetto a mo’ di stambecco che mi scende sul mento e lo liscio di continuo
con le dita, è il mio antistress preferito. Ho anche un paio di difetti: la bocca leggermente storta alla
Sylvester Stallone e il terrore degli aghi.
Ho un carattere forte e sono da tutti rispettato perché leale. Non ho peli sulla lingua, sono
estroverso ed autorevole.
Mi guadagno da vivere o meglio, tiro avanti lavorando come agente privato. Un lavoro inutile
per il posto in cui abito.
Presi in mano le carte che erano ancora appoggiate sul tavolo e le feci ticchettare su di esso per
pareggiarle in un perfetto rettangolo. Facendole scorrere piano piano tra pollice ed indice le portai
all'altezza del naso e con occhi attenti e impenetrabili ebbi il piacere di vedere: donna, jack, dieci,
nove di cuori e un asso di fiori. Belle carte, aperte a diverse possibilità di gioco, con un po' di
fortuna poteva entrarmi scala reale (giocata massima), altrimenti colore ma mi sarei
accontentato anche di una scala media.
Così, per dare l'impressione di non avere una mano vincente presi titubante le fiches tra le dita,
aspettai qualche secondo pensieroso e le posai nel piatto dicendo:
«E' l'ultima mano, sono mazziere... ci sto!»
Tutti tornammo con lo sguardo rivolto a Ceppo che al momento di aprire aveva passato.
Sbuffando e scrollando la testa disse:
«andate in culo, giocatevela voi!»
Si era fatto capire benissimo, avrebbe saltato l'ultima mano, aveva già contato anche la rimanenza
delle sue fiches e preparato l'equivalente in euro persi, soldi che poi avremmo diviso tra i
vincitori.
«Io faccio un salto a pisciare!» Farfugliò il Boss.
Quando stavo per rivolgermi a Rex per chiedergli quante carte avrebbe voluto cambiare, un
cellulare sopra al tavolo cominciò a vibrare.
Il suo cellulare.
«Scusa un attimo Dob leggo il messaggio... è di Iban.»
Leggeva in privato grattandosi nervosamente la testa, poi posò il telefonino in modo che tutti
potessero vederlo:
“CIAO REX, HO FATTO UNA CAZZATA STO MALE,
HO BISOGNO DI VEDERTI. SONO ALLA MESTAINA
VIENI SUBITO PERFAVORE.”
«Mi dispiace ragazzi ma devo proprio andare. Fate i conti poi ci rifacciamo.»
Disse alzandosi con aria rammaricata.
Prese la giacca, indossò il cappello e i guanti di lana e si diresse verso la porta.
«Scusatemi ancora. Alla prossima.» E uscì frettolosamente.
Cosa diavolo era successo a Iban di tanto urgente da far mollare l'ultima mano a Rex per poi
incontrarsi di notte alla mestaina? Doveva aver combinato qualcosa di grosso per aver scelto un
luogo così appartato e sinistro per parlare.
Il mio subconscio da detective era entrato in azione.
La mestaina era una piccola cappella votiva, scavata nella roccia. Distava qualche km dal paese ed
era immersa nella boscaglia. Si poteva raggiungere sia con la macchina che a piedi ed era luogo di
culto per le signore anziane del paese.
3 - Uno strano messaggio
La serata era finita prima del previsto. Tutti ci guardammo perplessi, ognuno con il proprio
cattivo pensiero in testa.
Il Boss che nel frattempo era tornato dal bagno, gettò stizzito le carte scoperte sul tavolino
urlando infuriato:
«una volta che mi dai tre assi quell'altro scemo prende e se ne va... neanche fosse la sua fidanzata,
va e corre da uno stronzo che lo chiama solo quando ha bisogno!»
Di conseguenza gli spiattellai le mie carte davanti agli occhi, sembravo un arbitro che mostra un
cartellino rosso a un giocatore che parla più del dovuto dopo la prima ammonizione.
«Cosa ti agiti scimmia?! Ti è andata bene, se si giocava poteva entrarmi scala reale... ti avrei
inculato tutte le fiches!
E il quarto asso non ti sarebbe arrivato, ce l'ho io...
in ogni caso hai ragione, è un coglione; ormai poteva finire la partita.
Dammi una cicca, ti scrocco l'ultima poi si va a nanna senza rancori, ok?»
Mi allungò il pacchetto, poi ne offrì una anche a Ceppo che se la infilò in bocca all'istante, ne
erano rimaste tre, una per uno dopodiché accartocciò il pacchetto vuoto e lo tirò nel camino.
Fumammo insieme l'ultima sigaretta della serata intanto che Scricciolo finiva di fare i conti e
Ceppo, volendosi togliere una curiosità ci domandò:
«Cos'è successo tra voi e Iban? Il mese scorso quando ha organizzato il compleanno di Rex
perché non vi ha invitato?»
In modo alterato rispose il Boss.
«Questo lo devi chiedere a lui!
Mi sta sulle palle è una persona falsa e un approfittatore. Da me non deve aspettarsi più niente,
può andarsene a fanculo.»
Io mi limitai ad annuire con la testa e poi aggiunsi:
«non so perché ce l'abbia col Boss, forse perché voleva gallare per forza sua sorella... (risata
generale) ma posso immaginare il motivo per cui ce l'ha con me.
«Qualunque fosse stato il rancore, Rex non c'entrava niente, era il suo compleanno. Iban per
correttezza, avrebbe dovuto invitare anche noi. Si è comportato da bambino. Ora andiamo a letto
che è tardi.»
Iban.
Iban era coetaneo del Boss, insieme avevano frequentato anche le scuole dalle elementari alle
medie ma tra i due non correva buon sangue per un motivo: Ramona, la sorella di Iban.
Ramona era una bella biondina, una classica "smorfiosa rizza cazzi" così l'aveva denominata il Boss
che si era messo in testa di conquistarla, martellandola fino allo sfinimento. Le aveva studiate tutte
per portarsela a letto ma senza mai riuscirci.
Premetto che Iban era gelosissimo di sua sorella e da quel momento, l'amicizia con il Boss era
declinata fino quasi a cessare.
Iban era un bel ragazzo dal viso acqua e sapone, senza una punta di barba. La classica faccia da
bravo ragazzo che ogni mamma adora.
Teneva in modo particolare ai suoi capelli al punto di esserne ossessionato, addirittura le persone
più maligne insinuavano che portasse un parrucchino.
Dopo qualche anno di università, si era ritirato per darsi all'attività del padre che era il presidente
della banca centrale (di cui non posso fare il nome) più importante della Toscana. Era entrato
talmente bene nella parte del promotore finanziario al punto da far sempre buon viso a cattivo
gioco... perfino gli amici gli vedeva come clienti. Ma…
… era l'ex della mia ragazza.
I conti erano fatti, la serata era conclusa.
Io e il Boss eravamo usciti vincitori, Scricciolo era rimasto in pari, Rex e Ceppo dovevano pagare.
Era arrivato il momento di tornare a casa. Prima di mettere il naso fuori dalla porta e inoltrarsi
nella gelida notte invernale, ci bardammo con sciarpe e cappelli di lana come bambini pronti per
una giornata sulla neve.
Salutato Scricciolo, chi con un abbraccio, chi con una pacca sulla spalla e ringraziato per
l'ospitalità, ci dirigemmo ognuno verso la propria macchina.
4 - Ritorno a casa
L'aria era pulita, buona da respirare, fredda e pungente anche se nel cielo non s'intravedeva una
stella.
L'erba ai bordi della strada impettita e lucida come il vetro.
Facendo molta attenzione a non scivolare sulla strada ghiacciata raggiunsi il mio BMW 320td nero
del 2003. Era una bella macchina: 2000 di cilindrata, 150 cavalli allo stesso tempo elegante e
sportiva. L'avevo acquistata da un privato nel 2006 per togliermi uno sfizio ed ero stato fortunato
perché il gioiellino era perfetto.
Schiacciai il pulsante di apertura sul telecomando e le quattro frecce mi strizzarono gli occhi. Il
parabrezza era completamente ghiacciato. Afferrai la maniglia tentando di aprire lo sportello ma
incontrai una resistenza: il ghiaccio. Mi venne di colpo un'idea, veloce ed efficace per porvi
rimedio, quella di tirarmi giù la cerniera dei pantaloni e di pisciare sulla maniglia. Feci a tal modo
poi, dopo averlo scrollato e rinfilato nelle mutande, frugai in tasca con la speranza di trovare un
fazzoletto in modo da poterlo appoggiare sulla portiera senza sporcarmi le mani di urina. Ebbi
fortuna:
“chi cerca trova.”
La porta si aprì di colpo permettendomi di entrare in macchina.
Il BMW andò in moto al primo tentativo di accensione.
Un inquinante fumo bianco usciva dal tubo di scappamento... non ero il solo ad avere freddo.
Avviai gli sbrinatori del parabrezza anteriore e del lunotto posteriore poi dal cruscotto presi il
raschietto per togliere il ghiaccio dai vetri laterali, così scesi di nuovo dalla macchina sbuffando
nuvolette bianche, era proprio freddo, avevo le mani intorpidite. Mi sbrigai a pulirli.
Dal naso arrossato comparve una gocciolina di acqua, come da un rubinetto che non chiude bene
scivolò fuori, fino a fermarsi sulla punta e andando a creare così una piccola stalattite.
Passando l'indice sul naso la feci scomparire all'istante poi ripulii il dito umido strofinandolo sui
pantaloni. Salii di nuovo in macchina, pronto per partire.
Prima però accesi lo stereo, dentro c'era il cd di uno dei miei gruppi preferiti: i Metallica.
La canzone che stava iniziando era: “Fade to black”, l'assolo di chitarra di Kirk Hammet nella
parte iniziale mi dava i brividi, l'adoravo.
Altro pregio della musica metal era quello di aiutarmi a tenere gli occhi aperti visto che era tardi e
la stanchezza cominciava a farsi sentire.
Non vedevo l'ora di raggiungere casa, ad aspettarmi c'erano, Morgana, la mia ragazza, e Francine
la mia bimba pelosa... ovvero il gatto.
Finalmente ero arrivato davanti al cancello automatico che aprii con il telecomando. Entrai e, una
volta parcheggiata la macchina mi diressi verso casa.
5 - Casa mia
La mia era una villetta a schiera di nuova costruzione, la prima di sette e l'unica abitata. La casa era
circondata dal giardino su tre lati, i muri esterni pitturati di giallo. L'entrata dava su un ampio
soggiorno arredato con mobili moderni, di fronte ad essa, una grande porta finestra con tende
bianche si apriva sul giardino, ai suoi lati c'erano appesi due papiri raffiguranti faraoni egizi. La
parete di destra era completamente decorata con la pietra e dava un tocco chic alla casa. Il divano
divideva in due la stanza, salotto e sala da pranzo. Le pareti frontali erano spugnate leggermente di
giallo.
Il salotto era composto da due divani in pelle nera, accostati uno all'altro in modo da formare una L,
sul pavimento c'era un tappeto in pelle di vacca marrone scuro, con sopra appoggiato un tavolino da
fumo in vetro. Il mobile del salotto era moderno, di colore bianco, spazioso e composto da vari
ripiani. Al centro conteneva il televisore, un SAMSUNG LCD da 40 pollici dotato di impianto
home theatre, nella vetrina di destra una collezione di boccali da birra che dava un bel colpo
d'occhio, dall'altra parte uno scaffale pieno di CD e DVD. I serviti di piatti e bicchieri erano riposti
negli sportelli in alto.
Sopra al mobile una pianta denominata “miseria” scendeva lungo tutto il suo lato, al centro si
notavano una coppa che avevo vinto ad una gara di pesca da bambino (alla quale ero
particolarmente legato) e la riproduzione di un oscar regalatomi per il compleanno
dal Ceppo e dal Boss. Sulla destra c'era un pallone di cuoio con indosso un cappello a cilindro a
scacchi nero-azzurri i colori della mia squadra del cuore: l'Inter.
La sala da pranzo era caratterizzata da un tavolo di vetro contornato da sei seggiole in pelle
bianca, che il gatto aveva rovinato affilandocisi le unghie.
Sulla piccola e bassa libreria vicina alla porta d'ingresso troneggiava uno splendido acquario da 60
litri, il piccolo ecosistema dava alloggio alle più svariate razze di famiglie di pesci: meraviglioso.
Al suo fianco una mensola a forma di scala ospitava al primo ripiano tre piramidi in miniatura, con
davanti quattro statuette di ebano raffiguranti divinità egizie e al secondo un narghilè un tipo di
pipa usata in Africa per fumare tabacco aromatizzato. Tutti questi souvenir venivano dall'Egitto,
gli avevo comperati durante una vacanza. Adoravo viaggiare.
Vicino alla libreria c'erano un'anfora in terracotta colma di finti fiori di girasole e il citofono
munito di telecamera. Sulla parete due mensole nere facevano da piedistallo a quattro statuette
etniche di legno e filiformi, acquistate ad una bancarella di senegalesi durante un soggiorno in
Sardegna.
Per accedere alle altre stanze si doveva passare sotto ad un archetto.
A destra le scale per andare al primo piano e il sottoscala, a
sinistra le porte del bagno e della camera degli ospiti e al centro la cucina.
Il bagno era di forma quadrata ed era composto dal box doccia in vetro trasparente, dal water, dal
bidet e dal lavandino corredato da mensole portaoggetti e da un grande specchio ovale, sul
pavimento di mattonelle che ricordavano i colori dell'oceano c'era ormeggiata la lettiera del gatto.
Le piastrelle erano bianche e blu e sopra la testa la parete era spugnata di azzurro. La finestra era
oscurata da una tenda blu notte, fermata a metà altezza, da due
calamite a forma di farfalla. Intimo e accogliente.
La porta adiacente dava nella camera degli ospiti caratterizzata dalle pareti spugnate lievemente
di rosa e dal letto a baldacchino che dava un tocco di romanticismo alla stanza. I comodini erano
color crema e al centro della parete il dipinto di un angelo custode che vegliava sulla stanza. Di
fronte al letto il mobile grande per i vestiti poi, il comò con l'immancabile televisione e lo
specchio. Sulla parete opposta una porta finestra con soffici tende bianche simili a quelle del
soggiorno dava luce alla stanza.
La cucina laccata di bianco era di quelle a blocco con forno, piano cottura, lavastoviglie e
frigorifero, ed era abitabile. Avevo acquistato un tavolino di quelli alti da bar e due sgabelli, era lì
che solitamente consumavamo i pasti io e Morgana. La parete opposta agli elettrodomestici era
spugnata di rosso, abbellita con dei piatti ornamentali appesi come quadri e con foto ingrandite e
inquadrate di noi due in vacanza. Poi c'era un piccolo televisore a parete e due lavagnette, una a
forma di mucca e l'altra a forma di gallina che usavamo per scambiarci promemoria o messaggi
affettuosi. La porta di vetro dava sul pergolato che avevo trasformato abusivamente in veranda,
facendolo chiudere con grandi pareti di vetro ed era diventata una vera e propria sala relax con
l'istallazione al suo interno della vasca idromassaggio e della sauna a raggi infrarossi.
Fuori c'era la rimessa degli attrezzi e il giardino.
Il giardino a novembre non rendeva al suo meglio, l'inverno manda in letargo anche le piante. In
primavera però era una festa
di colori e profumi, uno spettacolo vero e proprio. Era la dimora di svariate piante quali rose rosse e
gialle, lillà, ginestre, fiori d'angelo, ulivi, un ciliegio giapponese, salvia e rosmarino. Poi c'erano i
rampicanti; il glicine con le sue pigne bianche e il
gelsomino che a forza di ramificarsi aveva ricoperto con le sue foglie verdi tutta la rete di
recinzione ed era rimasta l'unica pianta insieme alla siepe a mantenere il proprio colore anche
adesso in inverno, tutte le altre si erano trasformate in stecchi.
Il sottoscala.
Il sottoscala come in tutte le case fungeva da ripostiglio: c'erano la cassetta del pronto soccorso, la
scarpiera, i detersivi, il cibo del gatto, le scorte di carta igienica e tante altre cose al suo interno.
La scala che conduceva al piano superiore era scolpita con la pietra serena. Sulla parete della
prima rampa c'erano appese delle maschere indiane che spiavano dalla finestra ad arco le persone
sedute in sala da pranzo; su quelle della seconda c'erano affissi dei quadri raffiguranti tramonti in
paesaggi esotici dai colori molto caldi.
Arrivati sul pianerottolo in cima alle scale si prospettavano davanti a noi diverse possibilità
ovvero: accesso alla terrazza, al secondo bagno o alla camera matrimoniale.
La camera matrimoniale era con il tetto a mansarda e si differenziava dal resto della casa per il
pavimento in parquet, tutte le altre stanze avevano pavimenti in gres porcellanato.
Il parquet dava un tocco di classe e calore alla stanza.
La struttura del letto matrimoniale era imbottita di pelle bianca come i comodini e il cassettone
con sopra la televisione, alla quale era collegato il PC, il materasso in lattice.
Il mobile era bianco con le ante scorrevoli e la specchiera, poi nella parte più bassa della camera
c'era un finestrone dal quale si poteva ammirare il giardino.
Il bagno era rettangolare: nell'angolo a sinistra c'era alloggiato il box doccia, in quello a destra il
water. Il bidet e il lavandino erano di color fucsia e riprendevano le mattonelle a mosaico con
quadretti di varie tonalità di viola, rosa e bianco delle pareti. Sopra il lavandino due piccoli specchi
di forma quadrata posizionati uno di fianco all'altro e lo specchio grande di forma ovale invece, per
motivi di spazio era appeso tra il box doccia e il water. Il punto luce era dato dal lucernario sul
tetto.
La terrazza era abbastanza grande e panoramica, da lì si poteva osservare un meraviglioso scorcio
di monti facenti parte della catena Toscana delle Alpi Apuane.
6 - Qualcosa d'insolito
Spensi il BMW e facendo luce con la torcia del telefonino mi avviai verso casa.
I lampioni che illuminavano il passo erano spenti perché il temporizzatore si sarebbe attivato
alle 05.30 e mancava ancora un'ora.
Mi fermai un attimo a riflettere, qualcosa non quadrava... il parcheggio era vuoto, mancava la
CITROEN C3 della mia ragazza e questa era una cosa abbastanza strana; Morgana era solita
avvertire quando aveva cambiamenti di programma o andava a dormire a casa dai suoi genitori
e sul mio telefono cellulare non c'erano né bustine gialle ad indicare messaggi da leggere né
chiamate perse.
C'era anche da dire che la mia compagnia telefonica, a casa di Scricciolo non prendeva e che
capitava spesso che prima di ricevere gli avvisi di chiamata passasse un po' di tempo... magari
Morgana mi aveva lasciato un bigliettino in casa o un messaggio sulla lavagnetta.
Ripresi a camminare fino ad arrivare alla porta d'ingresso. Sulla soglia di casa rovistai nella
borsetta che avevo a tracolla e, una volta trovato il mazzo di chiavi aprii ed entrai.
Nella casa regnava un silenzio innaturale ed era interrotto dal solo
rumore della pompa di ricircolo dell'acquario.
«Bimba dove sei? Vieni... è arrivato il babbo!»
… dissi sottovoce.
Immaginai la pallina di pelo bianco spuntare dalla porta socchiusa del sottoscala con il musetto
rivolto verso di me e gli occhi ancora semichiusi e addormentati, uno sbadiglio a mostrarmi tutti i
denti, le zampette allungate in avanti e la schiena inarcata per sgranchirsi, ma niente di tutto ciò ed
io cominciavo a preoccuparmi...
«Bimba??? Vieni!!!»
Sussurrai un po' più forte. Niente, forse stava dormendo accovacciata ai piedi del letto, non
dovevo pensare in modo negativo. Era tutto troppo strano però, ogni qualvolta facevo rientro in
casa mi veniva incontro per farmi le feste, ogni volta.
Entrai in cucina sperando di trovare un messaggio di Morgana sulla lavagnetta.
Accesi la luce, il messaggio sulla mucca c'era ma era quello della mattina precedente:
BUONGIORNO TOPINO!!!
Spensi la luce e mi avvia verso camera da letto sperando di trovare lì le mie due signorine.
La porta della camera da letto era aperta e il letto rifatto...
«Cazzo... dove cazzo siete?!»
pensavo tra me e me.
«BIMBA VIENI FUORI!»
ripetei a voce alta ma niente di niente.
Entrai in camera senza nemmeno togliermi le scarpe, com'ero solito fare per non rovinare il
parquet, ma nemmeno lì c'erano... mi misi a sedere sul letto con le mani tra i capelli... non sapevo
proprio che cosa avrei dovuto pensare di questa situazione. Nevrotico, tolsi dalla tasca il
telefonino e lo fissai per diversi minuti con la speranza che cominciasse a suonare.
Cercai di calmarmi e di ragionare in modo positivo; c'era la possibilità che fosse dovuta andare a
casa dei suoi genitori per qualche imprevisto e magari, non poteva avvertirmi perché aveva finito
il credito nel cellulare. Composi il suo numero:
IL TELEFONO DELLA PERSONA DA LEI CHIAMATA NON E' AL MOMENTO
RAGGIUNGIBILE.
«Che palle!»
Demoralizzato pensai che non mi restava altro che dormirci sopra.
Presi il pigiama dal cassetto del comodino, l'indumento era soffice tra le mani e comodo addosso,
lo infilai frettolosamente perché i termosifoni di notte erano spenti e la stanza fredda... non vedevo
l'ora di sprofondare nel letto.
Il pensiero che Morgana non fosse lì vicino a me mi turbava e per di più, all'appello mancava
anche il gatto. Girava tutto per il verso sbagliato.
Tirai giù le coperte e sopra il cuscino trovai la sorpresa... un bigliettino:
ACCENDI IL COMPUTER
E
CONTROLLA LA POSTA.
La scrittura era di Morgana... un po' di sollievo.
Senza troppo indugiare accesi il PC e dopo qualche minuto di
attesa ero connesso ad internet e collegato al mio indirizzo di posta elettronica. Sette erano le nuove
e-mail, delle quali: sei di pubblicità e una proveniente dalla casella di posta della mia fidanzata.
Da: Morgana
Oggetto: Ucciderò tutti i tuoi amici
Allegati: foto1
“Salve.
Hai notato qualcosa di insolito stasera entrando in casa?
Cerca il gatto con più attenzione:
“CHI CERCA TROVA”
questo è il mio biglietto da visita e ti farà capire che non sto scherzando.
Ho frugato un po' in casa e preso alcune cose in prestito: oggetti elettronici come la macchina
fotografica, la videocamera e il computer portatile... tutte cose che mi serviranno per comunicare
con te e adempire al mio scopo.
Ho trovato le chiavi di casa e tra le altre cose anche la tua amata Morgana che ora è qui con me.
Dai pure uno sguardo alla foto che ti ho allegato, ti tranquillizzerà poi giudica tu stesso.
Questa è la mia sfida:
io ucciderò tutti i tuoi amici e tu non mi ostacolerai altrimenti sarà
LEI a morire.
Ci sono due regole che devi rispettare:
1) Non avvertire i tuoi amici.
2) Non chiamare la polizia.
Quello che succederà rimarrà esclusivamente tra te e me e se chiederai aiuto o parlerai con
qualcuno; lei morirà. Spero di essere stato chiaro.
Ci terremo in contatto tramite e-mail o per telefono, piuttosto non azzardarti a far rintracciare il
cellulare altrimenti sai cosa succederà... niente mosse stupide detective, solo tu mi puoi fermare.
Ora riposati perché ti aspetta una lunga giornata. A presto.”
Ero agitato e allo stesso tempo arrabbiato, l'ansia mi stava divorando lo stomaco, mi
sentivo svenire.
I pensieri mi schizzavano in testa come olio bollente a contatto con l'acqua... cosa avrei trovato in
quell'allegato? Il suo contenuto mi spaventava, sudavo freddo e mi sentivo soffocare. Dovevo
farmi forza però e alla fine, con dita tremolanti cliccai due volte sopra il tasto sinistro del mouse...
quella che si svelò ai miei occhi, sullo sfondo del desktop fu qualcosa di raccapricciante e preso
dallo sconforto cominciai a piangere. La foto mostrava un primo piano del salotto di casa mia e del
divano con Morgana sdraiata sopra, lei era priva di sensi e dava l'impressione di essere morta. Le
mani e i piedi erano legati da una fascetta e un fazzoletto bianco le tamponava sia il naso che la
bocca.
Era stata poi aggiunta una nuvoletta come quella in un fumetto nella foto in prossimità della sua
testa, con scritto:
TRANQUILLO STO DORMENDO!
Caddi svenuto.
7 - Il gatto
Non so dire con precisione per quanti minuti rimasi steso sul pavimento, so che quando ripresi i
sensi, sentivo che la mia bocca era amara e piena di bile... fui costretto ad una fuga in bagno per
vomitare. Davo di stomaco e piangevo e mi chiedevo perché, perché fosse successo a me. Era uno
scherzo, uno scherzo di cattivo gusto. Questo genere di cose accadono solo nei film, non poteva
essere reale.
L'e-mail diceva che il gatto era il suo biglietto da visita per dimostrarmi che non stava
scherzando.
Sciacquai la bocca con un po' d'acqua fresca e collutorio poi mi misi alla ricerca del gatto.
Cominciai con il controllare le stanze al piano di sopra dove ancora non ero stato, ovvero nella
terrazza e nello stanzino della caldaia ma non trovai niente, così scesi le scale.
La vista del salotto mi faceva effetto, un'immagine riaffiorava chiara nella mia mente: lei legata... e
il gatto non era neanche lì. Guardai nel bagno, nella camera degli ospiti e in cucina ma senza
trovare niente così uscii fuori nella veranda e sulla porta di vetro della sauna notai che c'era
attaccato un bigliettino. Sul foglietto di carta c'era disegnata la faccina di un gatto imbronciato e
sotto l'indicazione:
SONO QUI
----->
Oh cazzo... che situazione di merda.
Non avevo il coraggio di aprire quella porta, sapevo cosa mi sarei dovuto aspettare e non avevo
proprio voglia di vedere altre brutte cose. Affacciato alla porta di vetro con le mani al bordo degli
occhi non riuscivo a vedere niente perché era troppo buio, perciò attaccai la spina della corrente
della sauna alla presa elettrica sul muro e accesi la luce.
Lei era lì... sembrava uno scoiattolo in letargo in quella posa da palla di lana aggomitolata. Il suo
cuoricino aveva smesso di battere; era ferma... immobile… senza un respiro od un rantolo,
dormiva di un sonno eterno.
Facevo fatica a credere che una persona potesse arrivare a tanto, essere così cattiva, così crudele...
le aveva infilato un cucchiaino da caffè negli occhi e aveva spinto tanto da farglieli penzolare
fuori dalle orbite, attaccati ai loro nervi ottici.
Un esserino indifeso torturato da un sadico bastardo e chissà quanto aveva dovuto soffrire prima
che il pazzo le desse il colpo di grazia strozzandola con uno spago. Gli attrezzi di morte erano
ancora lì, posati vicino al corpo inerme del gatto a ricordarmi quanto era stato bravo ed
ingegnoso: il suo biglietto da visita.
Presi in braccio Francine per l'ultima volta e per un'ultima carezza, mi sarebbe mancata ogni cosa di
lei: il suo affetto incondizionato, i suoi sbadigli e anche il suo alito da tonno. Povera bestiolina.
M'incamminai nel giardino, avevo deciso di seppellirla ai piedi del ciliegio ovvero la pianta che
preferiva per affilarsi le unghie.
Entrai nello stanzino degli attrezzi per cercare una pala e mi misi subito al lavoro. Pochi minuti
dopo la fossa era pronta.
Il compito più faticoso era quello di dovermi separare da lei, così
feci una promessa a me stesso che chi aveva fatto ciò; avrebbe dovuto pagare.
Tornai in casa. Mi sentivo come se la terra stesse tremando, come se stessi per essere risucchiato
nel vortice di un uragano.
Dopo aver fatto una doccia, quasi per pulirmi da quello che avevo appena visto, preso dalla
stanchezza crollai addormentato sul letto. Avevo bisogno di qualche ora di sonno, il sole stava per
sorgere.
Fu un sonno tormentato dagli incubi e ringraziai il momento in cui suonò la sveglia alle due del
pomeriggio. Sfregai gli occhi ancora chiusi e assonnati con le dita e con un balzo mi misi a sedere
sul letto, dovevo alzarmi subito altrimenti la tentazione di tornare a dormire avrebbe preso il
sopravvento.
La prima tappa fu in bagno per fare pipì e lavarmi la faccia poi, la seconda tornare di nuovo in
camera per vestirmi e mentre lo stavo facendo, sentii il suono di un nuovo messaggio sul cellulare.
8 - Rex
Il messaggio proveniva da un numero di telefono famigliare, quello di Morgana:
“Buongiorno. Hai apprezzato il mio biglietto da visita? Quello era solo l'inizio.
Ti do mezzora di tempo per mangiare e nel frattempo, preparo una nuova sorpresa per te!”
Cliccai sul tasto verde di chiamata, anche se non avevo idea di cosa dirgli se non per offenderlo
ma il telefonino era già spento. Quel bastardo figlio di puttana oltre ad avermi ucciso il gatto e
rapito la ragazza, si permetteva anche di gestirmi la giornata. Sapeva a che ora mi ero svegliato e
mi diceva a che ora dovevo mangiare.
Un attimo...
Come faceva a sapere che mi ero alzato ora?
O mi stava controllando, oppure conosceva le mie abitudini; era una cosa di cui avrei dovuto
tenere di conto.
Ne sarei uscito pazzo.
Presi un paio di jeans e una felpa dall'armadio poi scesi in cucina. Non avevo granché fame ma lo
stomaco brontolava, così mi misi ai fornelli. Optai per qualcosa di veloce, presi le forbici ed aprii
un cartone di latte. Versato il contenuto di una tazza in un pentolino, lo misi a scaldare sul gas; il
caffè era già pronto, l'aveva preparato Morgana il giorno prima per fare colazione... il sol pensiero
mi dava i brividi.
Spensi il gas, il latte stava cominciando a bollire. Lo rovesciai fumante nella tazza e aggiunsi il
caffè che nonostante fosse freddo manteneva ancora il suo buon aroma. Dalla credenza presi i
biscotti per inzupparli nel latte macchiato e quello fu il mio
pranzo.
Stavo finendo di lavare le scodelle quando arrivò il secondo messaggio. Presi il telefono con la
mano ancora insaponata e lo lessi:
“Hai mangiato bene, sei pronto per il dessert?
Ti ho mandato due filmati per e-mail: uno ti darà un po' di conforto, l'altro no.”
Tirai il cellulare sul tavolino di cucina e presi il canovaccio dei piatti per asciugarmi le mani poi
di corsa salii in camera. Il computer era lì davanti a me, era il momento di sedersi e controllare la
posta elettronica. Il modo in cui era impostato il messaggio che avevo appena aperto era come
quello precedente:
da: Morgana
oggetto: ucciderò tutti i tuoi amici allegati:
1) Morgana. avi
2) Rex.avi
inviato alle ore 14:30 con degli allegati in formato .avi, il che stava ad indicare che erano
filmati.
Avevo la bocca secca come se avessi corso per chilometri e il cuore mi batteva rapido come le ali
di un colibrì. Senza pensarci troppo cliccai sul file Morgana...
sentii suonare il campanello di casa. Andai ad aprire la porta e lei era lì davanti a me, splendida
come sempre con il sorriso sulle labbra e gli occhi verde smeraldo pieni d'amore. I capelli biondi
mossi dal vento e poi quel suo dolce profumo che inebriava l'aria, senza dire parole ci
abbracciammo disperatamente l'uno all'altra poi...
era partito il filmato e la mia fantasia dissolta.
La telecamera doveva essere stata posizionata su un piedistallo, l'immagine era ferma sulla figura
di Morgana. Non si scorgeva molto della stanza, solo una parte della parete dietro di lei che era di
una tinta grigio antracite, un colore familiare. Lei era seduta su di uno sgabello con la bocca
imbavagliata e le mani e i piedi legati. Gli occhi vigili e guardinghi, era viva.
Il videoclip terminato.
La visione del primo filmato mi rincuorava (come annunciatomi precedentemente dal miserabile),
ora però dovevo guardare l'altro video.
L'immagine era scura e regnava il silenzio, sembrava che la telecamera fosse appostata dentro un
cunicolo. Era notte, in lontananza si scorgeva il barlume di un lampione. Per qualche minuto non si
sentiva nessun tipo di rumore e non accadeva niente di strano ma ascoltando meglio, in lontananza
si avvertiva il sopraggiungere di una macchina avvicinarsi lentamente fino ad illuminare il cunicolo
e fermarsi. Si sentiva il rumore di uno sportello che apre e richiude, una persona era scesa. Le
parole che susseguirono furono quelle di una voce a me famigliare:
«Iban... Iban dove sei? Vieni fuori! Dai che è freddo, sono stanco e voglio andare a letto.»
Rex.
La sua ombra si avvicinava piano piano all'entrata della mestaina.
«Non avevi da dirmi qualcosa d'importante? Esci bimbetto, non è il momento di giocare a
nascondino, sono quasi le 5 del mattino!»
Di colpo e per pochi secondi si vedeva spuntare davanti alla cinepresa la faccia di Rex, poi uno
strillo acuto e l'immagine bloccata. Qualche secondo dopo ripartiva il filmato, la telecamera non
era più fissa ma impugnata da qualcuno che stava riprendendo Rex accasciato a terra da un'altra
angolazione. Il mio amico
doveva aver sbattuto la testa per terra cadendo all'indietro perché c'era molto sangue. Il corpo era
riverso per metà all'interno della cappella, per metà fuori.
Rex si dibatteva e gemeva, il sangue gli stava uscendo dalla bocca... non dalla testa, stava
vomitando sangue.
Di nuovo una pausa. La scena è ora fissa su di lui disteso in quell'orribile pozza rossa, morto
dissanguato. I suoi occhi sono vitrei e rivolti allo spettatore, fino a qualche istante prima
immagino che fossero spaventati e che imploravano pietà, una richiesta che però non era stata
accolta.
Facendolo apparire di scatto davanti all'obiettivo, l'assassino ci presentava il suo complice: un
grosso serpente a bocca aperta con le zanne in bella mostra, afferrato per la testa da una mano
inguantata.
L'immagine scompariva e in dissolvenza appariva una scritta bianca su sfondo nero:
VIPERA DI RUSSELL
Ero senza parole, avevo visto il mio amico in quello stato e non era la scena di un film. Non
riuscivo a darmi pace, stavo sudando freddo e non sapevo cosa fare. I casi che mi erano capitati e
che avevo trattato fino ad ora, riguardavano situazioni di tradimento. Ad ingaggiarmi di solito
erano mariti o mogli che sospettavano un qualche inghippo. Il mio lavoro consisteva nel pedinare
l'indiziato, scattargli qualche foto e confermare o meno la sua colpevolezza o innocenza, qui si
andava ben oltre, qui si trattava di omicidio. Chi poteva essere tanto pazzo da uccidere una
persona in quel modo, con l'aiuto di un serpente?
Iban fu il mio primo pensiero.
La sera prima aveva inviato un messaggio a Rex dicendo che l'avrebbe aspettato alla mestaina
per parlargli con urgenza di qualcosa.
Il povero Rex aveva abbandonato la partita di poker per correre tra le braccia del suo assassino.
Conoscevo il luogo e mi ero fatto un'idea sul killer.
Ora dovevo informarmi sul suo modus operandi. Feci una ricerca veloce su internet digitando su
"Google" le seguenti parole:
“vipera di Russell”
Davanti ai miei occhi scorsero diversi link, scelsi "Wikipedia" per documentarmi, che secondo me
era quello più completo ed appropriato:
“la vipera di Russell è un serpente della famiglia viperidae.
Descrizione.
Si tratta di una grossa vipera che può raggiungere i 166 cm di
lunghezza. Solitamente la sua lunghezza è intorno ai 120 cm. La testa, distinta dal collo, è di
forma triangolare. Ha una colorazione di fondo della livrea solitamente brunastra o tendente ad un
colore arancio con tre serie di macchie circolari di colore marrone scuro bordate di nero per la
lunghezza del suo corpo.
Distribuzione e habitat.
La Vipera di Russell è diffusa in gran parte del sud-est asiatico. Non è limitata a un particolare
habitat ma evita folti boschi, perciò viene scovata maggiormente in zone aperte. È possibile però
trovarla anche presso piccoli boschi e piantagioni. Essa è più comune nelle pianure costiere e in
collina. In genere non vive ad alta quota, ma è stata segnalata anche a 2300-3000 m. Evita
ambienti umidi, come paludi e foreste pluviali.
Biologia.
È un animale attivo soprattutto di notte. Durante le giornate più fredde può però modificare le sue
abitudini, diventando più attivo di giorno. La sua dieta è essenzialmente costituita da insetti,
piccoli rettili come le lucertole e topi negli esemplari giovani e da mammiferi, topi ed altri piccoli
serpenti negli esemplari adulti. I giovani possono essere cannibali.
Comportamento.
Questa specie è molto pericolosa per l'uomo, detiene infatti il triste record di massimo
avvelenatore in India, dove ogni anno circa
10.000 persone muoiono in seguito al suo morso.
Veleno.
Il veleno contiene tossine ad azione emotossica e citotossica. Il veleno produce immediatamente un
forte dolore nella zona del morso, dopo circa 20 minuti si possono avere emorragie alla bocca e alle
gengive. Nei casi più gravi si possono in seguito avere emorragie sistemiche, trombosi, blocco
renale (che si verifica in circa il 30% dei morsi non trattati) cardiaco o respiratorio. La dose
iniettata è di circa 21-268 mg a morso. In generale 40-70 mg di veleno sono sufficienti ad uccidere
un uomo. ”
Tra gli altri vari link ne avevo notato uno molto interessante:
“ Gli effetti del veleno della vipera di Russell sul sangue. Il video.”
Lo aprii cliccandoci sopra.
Nel filmato si vedeva un incantatore di serpenti che afferrava la vipera per il collo poi le faceva
mordere una provetta per prelevarne il veleno, con una siringa aspirava una goccia di quel veleno e
la iniettava in un altro piccolo flaconcino pieno per metà di sangue. La tossina entrava in azione
dopo pochi secondi ed il risultato del suo effetto era allucinante, il sangue si solidificava e
diventava un unico grosso coagulo.
Raccapricciante pensare che ciò era avvenuto nel corpo del mio amico.
Una vipera tipica del territorio asiatico. In Italia come diavolo c'era arrivata?
Mi serviva tempo, che però non avevo, per approfondire le ricerche.
Era una classica mattina d'autunno di settembre, con il cielo plumbeo e la nebbia bassa, io e Rex
eravamo nel bosco a cercare funghi. Le foglie erano impregnate di rugiada e il forte odore delle
muffe ci invadeva le narici.
Il cinguettio degli uccellini sugli alberi era un sottofondo rilassante per le nostre orecchie.
Uno scoiattolo, con in bocca una provvista per l'inverno, si affrettava ad entrare nel buco di
un imponente castagno e un picchio ticchettava incessantemente sul tronco di un albero. La
natura, artista meravigliosa, ci avvolgeva in un incantato dipinto autunnale.
Stavamo risalendo una costa tra i castagni, quando scorsi davanti a me nascosta tra il muschio e
le felci, la cappella marrone di un bel porcino. Era il primo fungo della mattinata, perciò
soddisfatto della scoperta, chiamai Rex per farglielo vedere; quando mi
chinai per raccoglierlo, a pochi passi da me udii un sibilo.
Era avvenuto tutto molto velocemente e quando realizzai quello che era successo, il pericolo
era già passato.
Nel preciso istante in cui stavo per cogliere il fungo, preso dall'entusiasmo, non mi ero accorto
che, poco distante da me tra le felci, c'era una vipera che, per difendersi, dopo svariati sibili di
avvertimento (da me non captati) mi si era avventata contro. Rex per fortuna aveva osservato la
situazione ed il susseguirsi degli eventi e usando con prontezza il suo bastone a forcella era
riuscito ad agguantarla per la testa un attimo prima che potesse riuscire a mordermi.
Trovammo diversi chili di funghi porcini quel giorno e fu una bella mattinata passata in
compagnia di un ottimo amico che con il suo pronto intervento, aveva evitato un' imminente corsa
all'ospedale permettendomi così di continuare a cercare funghi come se niente fosse. Gliene ero
grato.
La situazione di adesso era molto diversa ma per certi aspetti simile; io non ero lì ad aiutarlo...
nel momento del bisogno non c'ero e lui era morto. Non riuscivo a darmi pace e pensavo,
pensavo a quant'è bastarda la vita... lui era una persona di chiesa,devota al signore ed era stato
ucciso nei pressi di un luogo di culto, un luogo sacro: una mestaina.
C'era la statua di una Madonnina all'interno della mestaina... la Madonna che Rex aveva sempre
pregato e rispettato e a cosa gli era servito?! Non sono credente, mai stato devoto alla religione ed
ora meno che mai... ce l'avevo con Dio.
Cosa fa Dio per le persone? La gente crede e ha fede ma quando arrivano i momenti difficili e ti
riaffidi a Dio per cercare un po' di conforto, per trovare un appiglio, in realtà: quante sono le
preghiere che vengono ascoltate?
Quando un uomo è gravemente malato il più delle volte muore, sono rare le eccezioni “i
miracolati”, è brutto da dire ma è la verità e allora perché Dio? E' la natura che comanda, si nasce
per morire e non si può andare contro al corso della vita, dipende da quanto è lungo lo stoppino
della tua candela, è tutto legato al caso: se sei fortunato campi 100 anni altrimenti no.
Io che non credo in Dio non avrei perso tempo a pregare in questa situazione anzi, dovevo pensare
ed agire in fretta.
L'ipotesi principale che elaborava il mio cervello era quella di Iban colpevole.
La logica riconduceva a lui, c'era il messaggio inviato a Rex pochi attimi prima della sua morte ma
a volte non esiste alcuna logica e magari ero io a volere che fosse lui il colpevole. In realtà provavo
rancore verso di lui, lo odiavo per come si era comportato con Morgana e per il male che le aveva
fatto.
Forse Iban voleva vendicarsi di me perché mi ero fidanzato con la sua ex e in qualche modo, avevo
tradito la sua amicizia?
Poteva essere, ma era anche tanto stupido da inviare quel messaggio a Rex e poi ucciderlo?
Sarebbe stato come dichiararsi, troppo scontato ma la posta in
gioco era troppo alta: la vita dei miei amici e quella della mia fidanzata erano in pericolo,
perciò non avrei dovuto dare niente per scontato, il bastardo non scherzava.
Era tempo di muoversi e cercare prove.
9 - Il sospetto/le prove.
Il messaggio ricevuto da Rex durante la partita di poker era un punto di partenza. Iban lo
sollecitava a raggiungerlo il più presto possibile alla mestaina, perché doveva parlargli di
qualcosa di molto importante.
Nel primo pomeriggio uscii di casa con l'intento di recarmi sul luogo del delitto, per controllare se
il maniaco aveva commesso qualche errore o lasciato qualche traccia, poi avrei dedicato un po' di
tempo ad osservare le mosse di Iban.
La temperatura fuori era cambiata e burrascosi nuvoloni neri, si stavano avvicinando minacciosi
sopra la mia testa. Presto sarebbe arrivata la pioggia.
Nel preciso istante in cui girai la chiave per mettere in moto la macchina, vidi un fulmine
squarciare il cielo in due, seguito all'istante da un rimbombante tuono e poi... l'inevitabile
diluvio universale.
I tergicristalli giravano alla massima velocità, senza però riuscire nel proprio dovere e
l'incessante acqua mi rendeva cieco.
Sentivo che non era il momento di ascoltare musica perciò non accesi lo stereo come di mia
consuetudine. Era una giornata storta, perfino gli agenti atmosferici mi davano contro, se era
rimasta qualche traccia, l'acquazzone l'avrebbe lavata via... che sfiga. La tentazione di fermare la
macchina e tornare in casa era forte, ma partii ugualmente.
Quando arrivai al bivio per la mestaina, fui costretto a parcheggiare il BMW a bordo strada, il
tronco di un albero spezzato ostruiva il passaggio, altro intoppo... da lì in poi, avrei dovuto
proseguire a piedi.
La strada era un fiume e la pioggia copiosa. Invano cercai un ombrello nei sedili posteriori, niente
con cui ripararmi e indosso tuta e scarpe da ginnastica, disorganizzato al massimo. Così scesi dalla
macchina con la speranza di trovare qualcosa di utile nel bagagliaio e tra l'attrezzatura che usavo
per andare a pesca, notai
la mia cerata gialla riposta in una busta. La indossai e poi su per il “torrente”.
Le “Nike” si inzupparono d'acqua nel giro di pochi secondi, avevo i piedi gelati e la pioggia mi
grondava sul viso; benché fosse giorno, facevo fatica a vedere ad un palmo dal naso.
Camminai sul tragitto per un lasso di tempo che il terreno pesante mi fece sembrare ancor più
lungo ma la montagna, piano piano, si faceva più vicina e ai suoi piedi, cominciavo a distinguere
qualcosa: la mestaina era davanti a me.
La piccola cappella era incavata nella roccia e conteneva al suo interno un altare di pietra. Sopra
l'altare, troneggiava la statua raffigurante la Madonna.
La Madonnina era stata scolpita nel marmo bianco di Carrara. Il viso dall'espressione benevole ed
accogliente e le braccia conserte, sembravano darti il benvenuto nella sua umile dimora.
Non molto distante da lei c'era una vecchia e consumata candela, spenta ormai da tempo.
Una volta oltre a dare luce alla stanza, aveva illuminato anche le speranze di qualcuno.
Adesso serviva un accendino per far si che potesse illuminare anche la mia di speranza...
infilai una mano nella borsetta a tracolla ed ebbi un colpo di fortuna, la macchinetta mi capitò
subito tra le dita.
Accesi la vecchia candela e la visibilità migliorò e grazie alla sua fioca luce, riuscii a vedere i
segni del treppiede su cui era stata posizionata la telecamera.
Il bastardo l'aveva collocata proprio di fianco alla statuina sacra per adempire al suo gioco di
morte. Continuai ad osservare con attenzione senza pero' trovare altro e della pozza di sangue che
avevo visto nel video, non c'era più traccia, nemmeno una goccia di sangue. Forse c'era riuscito
da solo o forse con l'aiuto del temporale, fatto sta che il luogo era stato ripulito in modo
esemplare. Al di là dei segni del treppiede non avevo alcuna prova, così decisi di tornare a casa.
Una volta arrivato al BMW non mi stupii nel notare che la cerata non aveva parato un cazzo e i
vestiti che avevo indosso erano bagnati fradici, perciò prima di salire mi scrollai un po' di dosso
l'acqua vibrando, come fa un gatto quando cade in una pozzanghera.
Il temporale non dava cenni di resa, fulmini e saette echeggiavano ed illuminavano il cielo, io
accesi la radio per togliermi quel fastidioso rumore dalle orecchie.
Prima di fare rientro a casa dovevo guardare se la macchina di
Iban era ancora nel parcheggio.
La stazione era sintonizzata su "RDS" e stava passando i Guns 'n
Roses con “November rain”, la canzone giusta per quella giornata.
Arrivato a Gragno diedi uno sguardo alle auto posteggiate e il Mercedes SLK di Iban non era al
suo posto. Parcheggiai e passai a dare un saluto ai miei genitori.
La via del paese era allagata, l'acqua sgorgava copiosa dalle gratelle ostruite e formava una cascata.
A passo veloce mi diressi verso casa.
10 - A casa dei miei genitori
Suonai il campanello due volte e poco dopo, dalla porta a vetri offuscati, vidi spuntare la
sagoma bassa e tarchiata della mia nonna che con diffidenza domandò:
«Chi è?»
«Nonna sono io, apri!»
La porta si aprì all'istante e fui invaso da un intenso odore di fumo di sigarette che mi riempì le
narici.
Il sorriso di mia nonna era sincero e pieno di gioia. Spostandosi di lato mi invitò ad
entrare.
«Oh nì, sei venuto a trovarci?»
Mia nonna alternava il dialetto paesano ad un corretto italiano,
“nì” significava bimbo.
«Sì nonna! Lo sai che non posso stare troppo tempo senza vedervi.»
«Ma sei tutto zuppo, togliti quei vestiti di dosso e vatti ad asciugare. Io, nel frattempo ti
scaldo una bella tazza di latte.»
Mia nonna sapeva sempre quando era il momento giusto per una tazza di latte.
«Brava nonna, mi leggi nel pensiero. Un bel bicchiere di latte caldo è proprio quello che mi ci
vuole perché sono tutto infreddolito, ma prima vieni qua che ti do un bacio...»
la sua pelle, a differenza di quella delle vecchiette della sua età, era morbida e liscia, non rugosa
come una mela disidratata.
La baciai sulla fronte.
Mia mamma era appollaiata sul divano con una rivista di Gossip tra le mani e mio babbo invece
era seduto sulla poltrona, impegnato a guardare un programma in televisione.
Prima una e poi l'altro si alzarono dai rispettivi posti per venirmi a salutare poi prima di baciarmi,
tutti e due si tolsero dalle labbra l'immancabile sigaretta.
Mi mitragliarono con una raffica di domande
che evitai ruotando l'indice ed entrai in bagno. Prima di tutto dovevo cambiarmi, alle loro
domande avrei risposto in seguito.
«Ora mi asciugo e mi tolgo questa roba di dosso, poi parliamo. Anzi mamma fammi un favore,
vammi a prendermi dei vestiti altrimenti va a finire che mi ammalo.»
«Va bene brigante, andrò a prenderti i vestiti ma in cambio mi darai una bella abbracciata.»
Mi trattava ancora come un bambino e ad essere sinceri non mi dispiaceva, mi faceva sentire
protetto.
Mia mamma era una donna sulla cinquantina dal viso dolce e pulito, senza trucco, con il modo di
fare affabile ed educato e dai sani principi morali. Una persona da prendere come esempio.
Dopo essermi asciutto ed aver indossato i vestiti preparati da mia mamma, ero pronto per farmi
coccolare così uscii dal bagno e mi accomodai su una sedia in salotto a fissare il fuoco.
Le fiamme al di là del vetro della stufa si stavano esibendo in una strana danza tribale, che mi
incantava e rilassava.
La tazza di latte fumante era pronta e mia nonna me la mise tra le mani con gentilezza.
Cominciammo a parlare e all'unisono mi chiesero:
«Morgana dov'è, perché non è venuta?»
Senza tralasciare emozioni risposi che era immersa nello studio ed era rimasta a casa perché
doveva preparare un'esame.
I miei sapevano che le mancava più poco per laurearsi e diventare dottoressa in biologia
(motivo di gioia per noi tutti), sicché bevvero la bugia senza fare altre domande.
Il mio corpo fu percorso dai brividi al cospetto di quella menzogna così cambiai discorso
rivolgendomi a mia nonna ed implorandola di raccontarmi una delle sue storie.
Lei era una donna superstiziosa con un vasto ed entusiasmante bagaglio di racconti e leggende
tramandatele nel corso del tempo che amava narrare...
ed io, adoravo ascoltarla.
Cominciò dicendo:
« “Un vecchio indiano Cherokee era seduto di fronte al tramonto con suo nipote, quando
all'improvviso il bambino rompe l'incanto di questa contemplazione e rivolge al nonno una
domanda molto seria per la sua età.
“Nonno perché gli uomini combattono?”
Il vecchio con gli occhi rivolti al sole calante, al giorno che stava perdendo la sua battaglia con la
notte, parlò con voce calma:
“Per ogni uomo c'è sempre una battaglia che aspetta di essere combattuta, da vincere o da perdere.
Perché lo scontro più feroce è quello che avviene fra i due lupi.”
“Quali lupi nonno?”
“Quelli che ogni uomo porta dentro di sé”.
Il bambino non riusciva a capire ma attese che il nonno rompesse l'attimo di silenzio che aveva
lasciato cadere fra loro, forse per accendere la sua curiosità.
Infine il vecchio, che aveva dentro sé la saggezza del tempo, riprese con tono calmo.
“Ci sono due lupi in ognuno di noi. Uno è cattivo, vive di odio, gelosia, invidia, risentimento,
falso orgoglio, bugie, egoismo.”
Il vecchio fece di nuovo una pausa, questa volta per dargli modo di capire quello che aveva
appena detto.
“E l'altro?”
“L'altro è il lupo buono. Vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede.”
Il bambino rimase a pensare un istante quello che il nonno gli aveva appena raccontato, poi diede
voce alla sua curiosità e al suo pensiero.
“E quale lupo vince?”
Il vecchio Cherokee si girò a guardarlo e rispose con i suoi occhi puliti.
“Quello che nutri di più”.»
La guardai dritto negli occhi e l'abbracciai.
Mi aveva raccontato una storia pregna di significato, che di sicuro mi avrebbe lasciato qualcosa.
Girai la testa per guardare la reazione dei miei genitori e vidi che mia mamma per ascoltare la
storia di mia nonna, si era accesa un'altra sigaretta. Mi guardò e annui chiudendo gli occhi per
farmi capire quanto fosse intenso il racconto, mio padre invece era disinteressato e sdraiato sulla
poltrona... la testa gli cedeva ad intervalli regolari e si stava schiacciando il pomo d'Adamo con il
mento, tra breve avrebbe iniziato a russare.
La mia visita era terminata.
Presi in prestito un ombrello che avevo adocchiato dentro un'anfora vicina alla porta. Salutai tutti
con la classica scusa che era quasi ora di cena e che Morgana mi aspettava a mangiare.
11 - Di rientro
Il cellulare iniziò a suonare pochi secondi dopo il mio ingresso in macchina.
Chiusi frettolosamente l'ombrello e lo tirai dalla parte del passeggero per evitare che mi
sgocciolasse addosso.
Sul display apparivano il nome e il numero di Morgana. Trovai il coraggio di rispondere.
«Pronto.»
Dall'altra parte udii una voce metallica, alterata da un distorsore vocale farfugliare:
«brutta mossa quella di andare dai tuoi genitori. Spero vivamente che tu abbia mantenuto gli accordi
e tenuto la bocca chiusa, altrimenti sai cosa potrebbe succedere...»
«brutto bastardo, non ho detto niente.
Dimmi chi diavolo sei e che cosa vuoi da me?»
«Abbassa i toni, arrogante! Non sei tu a comandare il gioco.» Fece una pausa di riflessione poi
riprese a parlare.
«Vestirti da canarino e farti vedere nei pressi di un luogo dove è stato commesso un atroce delitto è
stato un po' ingenuo da parte tua, potresti esserti messo nei guai.
«Ah!... Troverai un'altra sorpresa una volta arrivato a casa.» TU TU TU TU TU TU TU...
aveva attaccato e interrotto la comunicazione senza darmi modo di potergli fare domande.
Chissà cosa mi sarei dovuto aspettare questa volta. Avvolto nei pensieri misi in moto il BMW e
mi diressi verso casa.
Il silenzio durante il tragitto, era rotto dal solo scrosciare della pioggia sul parabrezza della
macchina.
Cos'altro aveva potuto combinare quel figlio di puttana...
“troverai un'altra sorpresa”
cercavo di pensare e la mia mente era offuscata da una grossa macchia nera.
Il nero è un colore senza rugosità, quantitativamente perfetto, nero come l’incognita della fede. Il
fatto che la macchia fosse nera è perché doveva dar modo di pensare, visto che i corpi neri
assorbono tanta energia quanta ne emettono e quindi sono in equilibrio. Dà modo di pensare
perché non induce a scegliere, a differenza del bianco che può essere crema o latte, o il giallo che
può essere canarino per esempio.
Privo di rugosità perché intangibile come la fede che si ha o non si ha, ma non si può trascrivere o
spiegare se non con dei sofismi. Finita la riflessione ero arrivato a casa.
Gettai il giubbotto sul divano e di corsa salii in camera ad accendere il computer e guardare la
sorpresa. Lo sguardo era fisso sullo schermo, pronto per accettare la prossima atrocità.
La mail era davanti ai miei occhi, simile a quella precedente.
Da: Morgana
Oggetto: ucciderò tutti i tuoi amici
Allegato: Fuel .avi
Cliccai due volte sull'allegato ed il filmato partì.
12 - Ceppo
L'immagine era scura e non riuscivo a vedere niente... sentivo solo la pioggia ticchettare
ininterrottamente su qualcosa di ferro, forse dei bandoni.
La mia sensazione era che la scena si sarebbe svolta dentro una baracca o dentro un garage.
Intravedo un'ombra passare davanti alla telecamera, sento dei passi e deduco che il pavimento
dev'essere di cemento perché non scricchiolano foglie e non cigolano tavole.
Percepisco dei movimenti e sento qualcosa di liquido ondeggiare dentro un recipiente, poi uno
"splash" come quando si getta a terra
l'acqua sporca dal secchio per strusciare, un altro e un altro ancora, lo scrosciare del liquido si
ripete per diverse volte, poi qualcosa di metallico viene appoggiato per terra. La situazione mi è
chiara, è una tanica di benzina. Subito dopo il suono che mi arriva all'orecchio è quello di un
fiammifero che si accende e distinguo la fiammella blu che viene lanciata in aria poi, un bagliore
accecante invade l'obiettivo e parte la musica, la canzone è “Fuel” dei Metallica. Una figura
sfuocata viene incontro alla telecamera ma
non riesco a distinguerla, dopo poco l'immagine è nitida e riflette un vero e proprio incendio e
nel fuoco, qualcosa sta bruciando.
La mia curiosità viene subito ripagata con uno zoom, le fiamme stanno avvolgendo il corpo di
un uomo, un uomo dal fisico
corpulento. L'ingrandimento aumenta ancora ed il primo piano va
sul viso.
Lancio un urlo e do' un cazzotto alla scrivania, è il mio amico Ceppo che diventa un rogo umano,
sta divampando tra fiamme infernali seduto su un ciocco di legno. Il suo volto però è sereno e i
suoi occhi sono chiusi come se stesse dormendo, sembrava che il dolore non lo toccasse.
Io stavo lì a bocca aperta a guardarlo bruciare. Passarono diversi minuti, la carne era arrivata
quasi alle ossa poi, la canzone finisce...
“give me fuel give me fire give me what you're desire.”
Il video si conclude con qualcosa d' inaspettato: un oggetto viene lanciato nel fuoco, è una cerata
gialla.
Stavo male. Il cuore andava a mille e se non fossi stato seduto sarei crollato a terra, mi serviva
un bicchiere d'acqua da bere.
Scesi lentamente in cucina, aprii il rubinetto dell'acqua fredda e mi bagnai labbra e tempie.
Quello che avevo appena visto non poteva essere vero. Barcollante come uno zombie trascinai le
mie gambe in bagno e con le mani appoggiate sul lavandino guardai la mia immagine riflessa
nello specchio poi... iniziai ad interrogarmi:
“perché la cerata gialla, come diavolo faceva ad avere una cerata gialla?
Sta giocando con la tua psiche, ti vuol mandare fuori di testa! O forse sei già fuori di testa e
questo casino l'hai combinato tu stesso? Guardati, guarda come ti sei ridotto? Esci da questa
situazione!”
Preso dallo sconforto, lasciai che alcune lacrime di rabbia mi scivolassero sulle guance poi
abbassai la testa e lo sguardo, la paura e la sensazione di essere realmente impazzito stava
prendendo il sopravvento...
ma i pensieri oscuri furono interrotti dal suono del mio cellulare.i suoi occhi sono chiusi come se
stesse dormendo, sembrava che il dolore non lo toccasse.
Io stavo lì a bocca aperta a guardarlo bruciare. Passarono diversi minuti, la carne era arrivata
quasi alle ossa poi, la canzone finisce...
“give me fuel give me fire give me what you're desire.”
Il video si conclude con qualcosa d' inaspettato: un oggetto viene lanciato nel fuoco, è una cerata
gialla.
Stavo male. Il cuore andava a mille e se non fossi stato seduto sarei crollato a terra, mi serviva
un bicchiere d'acqua da bere.
Scesi lentamente in cucina, aprii il rubinetto dell'acqua fredda e mi bagnai labbra e tempie.
Quello che avevo appena visto non poteva essere vero. Barcollante come uno zombie trascinai le
mie gambe in bagno e con le mani appoggiate sul lavandino guardai la mia immagine riflessa
nello specchio poi... iniziai ad interrogarmi:
“perché la cerata gialla, come diavolo faceva ad avere una cerata gialla?
Sta giocando con la tua psiche, ti vuol mandare fuori di testa! O forse sei già fuori di testa e
questo casino l'hai combinato tu stesso? Guardati, guarda come ti sei ridotto? Esci da questa
situazione!”
Preso dallo sconforto, lasciai che alcune lacrime di rabbia mi scivolassero sulle guance poi
abbassai la testa e lo sguardo, la paura e la sensazione di essere realmente impazzito stava
prendendo il sopravvento...
ma i pensieri oscuri furono interrotti dal suono del mio cellulare.
Il display a cristalli liquidi mostrava il numero e la foto del faccione sorridente di Ceppo.
«Pronto.»
Di nuovo la voce cibernetica.
«Ciao, ti sento un po' giù e mi dispiace.
Ti chiamo per dirti che il tuo amico Ceppo, non ha sofferto... o almeno credo. Prima di dargli fuoco
l'ho drogato. Sai? Una siringa con la giusta miscela manda K.O. persone anche più grosse di lui.»
Una pausa poi proseguì...
«ero appostato a circa 500 metri dalla mestaina. In "Sagoreta" per l'esattezza, dove come anche tu
sai, c'è la baracca di Rex. Sapevo che l'istinto da detective ti avrebbe condotto fin lì per cercare
qualche traccia del mio passaggio; quindi ho osservato le tue mosse e ho aspettato pazientemente
che te ne andassi.
La tua ricerca è stata naturalmente vana perché sono un tipo attento e preciso...
a quel punto ho inviato un messaggio d'abbocco a Ceppo con il cellulare di Rex:
“Sono in Sagoreta a rollarmi una canna, vieni a farmi compagnia?”
La risposta è stata immediata:
“ARRIVO!”
Il pesce era all'amo pochi minuti dopo, nel luogo che avrebbe sancito la sua fine.
Il resto lo sai, l'ho filmato apposta per te.
L'idea di come farlo fuori è uscita spontanea, senza troppi ragionamenti:
Ceppo-fuoco
era il modo più indicato per ucciderlo, uno con quel soprannome come volevi che morisse se non
tra le fiamme?
Poi i Metallica, avevo anche la canzone adatta... era già tutto scritto.
Devi ammetterlo, sono stato bravo!?»
Questo era troppo; non riuscivo più a sopportare i vaneggiamenti di quello squilibrato e senza
pensarci troppo gli attaccai il telefono in faccia.
Pochi secondi dopo il cellulare stava squillando di nuovo, risposi e senza dargli modo di parlare gli
sputai addosso la mia angoscia.
«Perché, perché cazzo mi stai facendo questo?
Uccidi i miei amici per gioco, gli togli la vita prematuramente privandoli di ciò che sarebbero
potuti diventare e tutto questo perché ce l'hai con me e io non so nemmeno per quale motivo.
Cosa cazzo vuoi da me, che cazzo ti ho fatto?»
Rispose serenamente con quell'orribile voce alla Saw l'enigmista.
«Voglio vedere fino a dove arriva la tua intelligenza. Ho la tua ragazza in ostaggio e non le torcerò
un capello se rispetti le regole. Sei un detective e hai in mano la vita dei tuoi amici, fermami. Ho
la certezza che prima o poi arriverai a capire chi sono ma nel
frattempo, quanti ancora dovranno pagare per la tua negligenza?»
«Vaffanculo!»
«Che risposta tipica e scontata. Sei un perdente, già lo so che dovrò farli fuori tutti e la colpa
ricadrà su di te, sarà tua.
«Ho a disposizione tutte le tue cose. Piuttosto, la telecamera funziona benissimo, si vede la
cerata gialla vero? Op s... che birichino.
«Aggirandoti per Gragno vestito da canarino, hai reso le cose ancora più facili... cretino.
Ora datti da fare.» TUTUTUTUTUTU...
La chiamata era conclusa, ancora una volta mi aveva attaccato il telefono in faccia.
Ero arrivato perfino a dubitare di me stesso
prima delle sue ultime parole, trovarsi in situazioni del genere, fa cadere ogni legge morale.
Questo individuo assetato di morte aveva fatto fuori due dei miei migliori amici nel giro di poche
ore.
Mi venne un dubbio: la pistola?
Nel week end era mia abitudine posarla nella cassaforte. Questo bastardo era entrato in casa mia
e aveva saccheggiato a proprio piacimento, se aveva trovato anche quella ero nel sacco. La
cassaforte era incastonata dentro il muro dietro un quadro in camera, incrociando le dita
composi i sei numeri della combinazione per sbloccarla che conoscevo solo io: 250380
CLICK...
la mia "Beretta 92-F" era ancora al suo posto. Non era più il caso di viaggiare
senza.
Adesso non avevo più a che fare con un marito infedele ma con un feroce assassino.
Indossai la fondina ascellare e caricai la pistola, decisi che non me la sarei tolta neanche a letto.
Erano quasi le 20:00 e non avevo ancora cenato. Decisi di ordinare una pizza anche se non avevo
per niente fame.
La giornata era stata piena; intorno alle 22:00 crollai nel letto come un sasso.
13 - Il sogno
Era una ragazza semplice... semplice come l'aria e l'acqua, ma senza le quali si muore.
Una ragazza minuta e indifesa, dai morbidi capelli biondi e gli occhi verdi, delicata come un
petalo di rosa mosso dal vento.
In quella stanza buia non sentiva alcun rumore perché il cuore le martellava all'impazzata e le
orecchie le ronzavano dalla paura, le venne la pelle d'oca ed avvertì un formicolio che andava
dai mignoli ai palmi fino ai gomiti, una reazione primordiale a quello che aveva davanti a se.
Avrebbe voluto essere da un'altra parte, di
fronte ad un altra persona. Avrebbe voluto potergli parlare nell'intimità e farsi consolare come nei
momenti di sconforto ma non lo fece ed iniziò a piangere, consapevole di ciò che stava per
succederle. Le guance annerite come sporche di carbone, il trucco sciolto.
Singhiozzando e balbettando riuscì a trovare la forza per fargli la domanda e come l'avvocato di
una serie televisiva abituato a ripetere incessantemente la stessa domanda chiese:
«hai ucciso tu? hai ucciso tu i nostri amici?»
«Si!»
Fu la mia voce a risponderle. Le puntai la pistola sulla fronte e
BANG, il rumore assordante dello sparo...
Madido di sudore scattai sul letto.
Che sogno di merda, d'altronde non poteva essere che tale. Come avrei potuto uccidere la mia
dolce metà? L'amore regna su tutto, questo è il mio modo di pensare.
Non sapevo interpretare i sogni, ma avevo sentito dire che quando si sogna una persona cara che
muore, le si allunga la vita ed era proprio ciò che speravo.
Ero ossessionato da un altro pensiero però, e tale riflessione m'invadeva la mente:
"avrò una doppia personalità?"
Prima il soliloquio davanti allo specchio, ora il sogno. Forse sono io a compiere questi scempi
senza rendermene conto. Vorrebbe dire che sono gravemente malato, schizofrenico o cos'altro?
Questo è un argomento interessantissimo ma anche molto complesso da capire, io in passato
l'avevo studiato: la psicoanalisi ci ha insegnato che la nostra mente è divisibile, grosso modo, in
due parti; una cosciente, quella con cui c'identifichiamo e l'altra inconscia. Quest'ultima è
percepibile attraverso i sogni, o i lapsus, insomma in tutti quei comportamenti individuali che non
sono riconducibili alla nostra volontà. Qui il discorso si complica e bisogna dire due cose sul
funzionamento mentale. La mente di ogni persona è composta da diverse parti in continua
interazione tra di loro. La prevalenza di una di queste può modificare lo stato emotivo, la capacità o
meno di concentrazione globale, cioè può alterare un equilibrio esistente, migliorandolo o
peggiorandolo. Perciò, non sono due le personalità che ospitiamo e che interpretiamo, ma molte di
più. Questo fenomeno lo possiamo osservare nei sogni, dove vengono utilizzati come attori
principali vari personaggi. In un sogno dove viene rappresentato un tradimento verrà "utilizzata"
una persona che di recente ha tradito la moglie. Se serve rappresentare un momento d'irrefrenabile
passione entrerà nel sogno un personaggio simbolo, maschile o femminile a seconda dei casi,
travolgente. In altri casi compariamo in prima persona e diventiamo, con molto imbarazzo al
risveglio e al ricordo del sogno, traditori, vigliacchi, amanti e assassini...
ogni persona ha dentro di se tutto, sia che lo voglia o meno. Questo "tutto" è la rappresentazione
individuale di quello che sta fuori ed è necessario che le singole parti abbiano il loro spazio e la
possibilità di esprimersi. Quando una di queste parti rimane bloccata e repressa, viene a crearsi
uno squilibrio, in quanto viene perso, temporaneamente, il contatto con le parti. La parte bloccata
può manifestarsi attraverso inspiegabili scatti di rabbia, o
attraverso una serie di problemi psicosomatici a livello fisico come il mal di testa o la gastrite per
esempio. Il motivo per cui si isola una parte più o meno importante della personalità è ovviamente
legato a questioni strettamente personali, perciò variabili da individuo a individuo. Non si possono
trovare motivazioni
generali uguali per tutti.
La psicoterapia si pone come primo obiettivo quello di "rianimare" parti interne rimaste
nell'ombra, ridare a queste il loro posto. Quando lo scopo viene raggiunto si percepisce subito
quanto la
vita riacquisti dei colori, contribuendo ad aumentare l'autostima e la capacità di affrontare
situazioni difficili, per se e per gli altri. Sfortunatamente non avevo tempo di farmi guardare da
uno psichiatra, dovevo darmi una scossa e rientrare in me, in fondo era solo un sogno, perché farsi
tutte queste paranoie... l'incubo aveva preceduto di poco la sveglia che iniziò a strillare, la spensi e
mi alzai.
Presi un'aspirina per il mal di testa e la mattinata scivolò via liscia senza inconvenienti. Nel primo
pomeriggio ricevetti una
telefonata dal Boss, o almeno così diceva il nome memorizzato sul cellulare, risposi.
«Pronto.»
Era lui, con la voce triste ed affranta:
«ciao Dob. Hai sentito di Scricciolo?»
«No, cos'è successo?!»
«Conosci mia zia e sai che non riesce mai a farsi gli affari suoi. Poco fa ha telefonato a mia
mamma e le ha dato una brutta notizia...
«stamani era nascosta dietro alla tenda di una finestra di casa, come fa sempre per curiosare e si è
accorta dell'arrivo di una macchina della guardia medica. Ha visto il dottore scendere ed entrare in
casa di Scricciolo. Ha aspettato che il medico finisse la visita poi, quando l'ha visto uscire di casa,
sopraffatta dalla curiosità ha fatto una telefonata a sua mamma per chiederle cos'era successo...
« tra le lacrime, la mamma di Scricciolo le ha risposto che il figlio era attaccato ad un respiratore e
che non avrebbe passato la notte.»
Non poteva essere vero.
«Noooo, porca troia. Ma sei sicuro Boss?»
«Oh Dob, che ti devo dire, non penso che mia zia si metta a dire puttanate su cose di questo
genere.
Ho provato a chiamare anche Ceppo e Rex per sentire se sapevano qualcosa ma non mi rispondono
al telefono.»
Non rispondono no, sono morti e i cellulari continuano a suonare perché l'assassino gli usa a suo
piacimento. Ma questo era un particolare che avrei dovuto tenere per me.
«Ho capito. Comunque non gli ho sentiti nemmeno io. Cosa vuoi che facciamo?»
«Io Dob direi di andare a trovare Scricciolo per dargli l'ultimo saluto. Poveraccio...»
Aveva ragione.
«Ok Boss. Ci troviamo nel parcheggio vicino a casa sua tra un quarto d'ora?»
«Va bene. A dopo.»
14 - Il capezzale
Entrambi puntuali, un quarto d'ora dopo eravamo nel parcheggio. Il Boss era sconvolto: le gote
rosse come se avesse la pressione alle stelle e le mani e il tono della voce tremolanti come se fosse
colto da brividi.
«Ciao Dob.»
«Ciao Boss. Mi sembri agitato, sei sicuro di voler andare?» Scrollando la testa e
guardandomi negli occhi mi disse:
«sentirmela!? No che non me la sento cazzo... ma ci dobbiamo andare.»
Nel breve tratto di strada che percorremmo per raggiungere la casa, non spiccicammo parola.
Arrivati davanti alla porta d'ingresso bussammo e la mamma di Scricciolo ci venne ad aprire.
La somiglianza con il figlio era esorbitante: i soliti tratti del viso e la stessa corporatura esile, erano
due gocce d'acqua.
Benché fosse provata... logorata... sfinita, non dava l'impressione di essersi lasciata sopraffare dallo
sconforto e, con un flebile sorriso ci invitò ad entrare.
«Grazie ragazzi, grazie di essere passati. Entrate. Scricciolo è di là in camera sua, andate pure a
salutarlo.»
La stanza era allestita come una camera d'ospedale. Il tabù era sfatato. Avevamo riso, scherzato
e fatto battute al cospetto di quella camera da letto ed ora, quel pensiero mi faceva star male.
Scricciolo non voleva farci pesare il fatto di essere malato.
Una parete di vetro divideva in due locali la stanza e di là dalla vetrata una camera iperbarica
accoglieva il nostro amico. Lo strumento serviva per aiutarlo a respirare ed era simile alla bara di
cristallo di “Biancaneve”; purtroppo nella vita reale il principe azzurro non c'è e nessun bacio
avrebbe risolto una situazione così complicata.
Scricciolo respirava con affanno... gli occhi chiusi e il colorito
giallognolo: una candela ormai consumata.
Il Boss era in piedi accanto a me con gli occhi lucidi e gonfi di lacrime, io avevo ceduto:
piangevo e singhiozzavo.
Il momento più difficile era questo, dovergli dare l'ultimo saluto.
Uscimmo dalla stanza silenziosamente, la veglia era finita ed avevamo bisogno di una
boccata d'aria.
La mamma di Scricciolo prima di lasciarci andare, insistette perché ci fermassimo a
prendere una tazza di caffè... aveva
bisogno di sfogarsi un po'. Ci sedemmo qualche minuto con lei per ascoltare le sue parole.
Il racconto era incentrato sulla malattia del figlio: la fibrosi cistica. Ci spiegò che la fibrosi cistica
è una disfunzione genetica e nel mondo, circa un bambino su tremila ne è affetto. Nonostante la
ricerca sia in continuo sviluppo, non c'è ancora una cura valida per questo male. Le aspettative di
vita per queste persone, si aggirano fino ad un massimo di 35 anni e la prova più difficile per un
genitore, è accettare il fatto che potrebbe vivere più del figlio che ne è colpito. La mamma di
Scricciolo grazie all'aiuto di Dio, quella sfida l'aveva vinta; non si era abbattuta e si reputava
fortunata perché suo figlio a 35 anni c'era arrivato.
Ci fece una raccomandazione prima di salutarci:
«Non abbattetevi mai per le sciocchezze ragazzi perché siete sani e forti...vivete!»
Parole tanto semplici quanto profonde... proprio un buon consiglio.
15 – Silenzio
Di nuovo, come all'andata, nel breve tragitto per tornare alla macchina non spiccicammo una
sola parola. Non so di preciso cosa passasse per la testa del Boss, io riflettevo sulla voglia di
vivere e la fede.
Volevo beccare quel bastardo e liberare la mia fidanzata, lo desideravo con tutto me stesso... non
riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lei al mio fianco. Pensare a tutte le volte che l'avevo
trascurata passando i sabati sera davanti ad un tavolo da gioco con gli amici invece che con lei...
mi comportavo male, mai una sera a cena fuori, mai una vacanza, solo lavoro e amici.
Dovevo ritrovarla e cambiare le cose: lei meritava più spazio nella mia vita, più amore, meritava
tutto me stesso.
Poi c'era la questione Dio... sono molte le persone che ci si affidano, a me proprio non riusciva. Io
sono scettico per natura e credo in ciò che vedo. La mamma di Scricciolo no, lei era un puro
esempio di fede: nonostante la condanna affibbiatole, continuava a credere e a pregare ed era in
pace con se stessa.
La sua spiritualità era da ammirare.
Il mio stato d'animo alterato invece, necessitava urgentemente di ritrovare il giusto equilibrio; se
le cose continuavano a peggiorare non mi sarei mai più ripreso.
Giunto al BMW, salutai il Boss e feci ritorno verso casa.
16 - Scricciolo
La cena fu interrotta dal rintocco delle campane. Non era il solito "din don" che annuncia l'ora ma
un suono più cupo, lugubre e funereo. Le campane stavano suonando a morto e pochi minuti dopo,
l'annuncio via SMS da parte del Boss:
"il povero Scricciolo se n'è andato."
La visita pomeridiana era stata il preludio di questa fine imminente, per Scricciolo era solo una
questione di tempo (come del resto lo è per ognuno di noi) ed il suo era arrivato.
Il messaggio del Boss fu susseguito da una chiamata; il numero visualizzato sul display era
quello di Rex ma sapevo benissimo che non era lui. Risposi:
«pronto!»
Dall'altra parte la solita voce distorta...
«... condoglianze detective. Il malinconico suono dell'Ave Maria è giunto alle mie orecchie,
suppongo che le labbra dell'angelo della morte si siano posate su quelle del povero e caro amico
Scricciolo...
«forse ti chiederai se è stata la natura a fare il suo corso o se è stata opera mia?!
Ti risponderò dicendo che avevo in serbo qualcosa per lui... un pesce: il tetraodontidae.
Perché un pesce?
La risposta è semplice; il tetraodontidae conosciuto da tutti come "pesce palla", contiene nelle sue
carni una tossina velenosissima,
100 volte più velenosa del cianuro: la tetrodo-tossina. In Italia la vendita a scopo alimentare di
questo pesce è proibita da diversi anni anche se poi non è proprio così difficile reperirlo poiché lo
possiamo trovare nei più comuni negozi di acquariofilia. In Giappone, dove invece il suo acquisto
come alimento è consentito, è causa di diverse morti. Scricciolo adorava i piatti a base di pesce.
La pelle e gli organi (soprattutto il fegato) del pesce palla possono contenere livelli di
tetrodo-tossina sufficienti a produrre paralisi del diaframma e morte a causa dell'insufficienza
respiratoria... e se il suo ultimo pasto fosse stato una zuppa di pesce? Chi lo sa, magari è proprio
andata così. Purtroppo non lo saprai mai perché ad una persona malata, in quello stato, non si
preoccupano di fargli l'autopsia... vero detective?
«Ormai ci siamo, i tuoi amici sono quasi tutti morti e tu non hai ancora capito niente. Ti devi
sbrigare: "TIC TAC" il tempo sta per scadere, guarda la mail.»
TUTUTUTUTU...
comunicazione interrotta.
Non avevo il tempo di pensare. Le cose accadevano troppo velocemente, una dietro
all'altra...
salii le scale a tre alla volta e saltai sulla seggiola davanti al PC. Il computer era acceso perché
aspettavo la sua prossima mossa. Una bustina gialla lampeggiava sul desktop e conteneva un
nuovo messaggio di posta elettronica.
Da: Morgana
Oggetto: ucciderò tutti i tuoi amici
Allegato: dobermann. Avi
Tasto sinistro del mouse per due volte ed il video era partito. Una parete grigio antracite a me
famigliare, faceva da sfondo in un filmato per il momento privo di audio. Il muro ero lo stesso del
video in cui si vedeva Morgana legata, ora quell'angolo della stanza era vuoto. Quando
l'inquadratura si sposta per fare una panoramica, la prima cosa che vedo è un piccolo tavolo
quadrato, vecchio ed impolverato; sembra un banco di scuola ed io... m'illumino d'immenso: sono
le vecchie scuole di Mugnano.
Mugnano è un piccolo paese medioevale cinto dalle mura e dista pochi chilometri da Gragno.
Le scuole si trovano in un luogo sperduto a metà strada tra i due piccoli paesi. Un vecchio e
fatiscente edificio abbandonato, dove anni fa, ricevettero la prima istruzione i miei genitori. In
seguito le scuole vennero chiuse e dichiarate inagibili a causa dei frequenti terremoti che colpivano
il posto. La Garfagnana è zona ad alto rischio sismico e le nuove scuole con i giusti requisiti
richiesti, vennero costruite a Piazza al Cerchio il paese che fa da comune.
"So dove devo andare."
La telecamera continua il suo giro panoramico e nella penombra intravedo un corpo muoversi,
cerco di metterlo bene a fuoco... è cane imponente ed atletico, le sue orecchie sono dritte come
triangoli isosceli e il muso è allungato e macchiato di marrone, il pelo raso di un nero brillante e la
coda mozza: è un dobermann. Sembra che la bestia sia nervosa perché sta girando su se stessa in
modo circolare, è legata con un esile corda di plastica bianca, come quelle usate per imballare le
presse di fieno ad una cattedra. Di colpo parte l'audio e si sentono dei rumori... qualcosa batte su
una ciotola poi, segue un fischio acuto che richiama l'attenzione del cane. L'animale adesso è fermo
e con lo sguardo attento, le zampe anteriori sono dritte e ben saldate a terra, sta puntando
qualcosa. La mia curiosità viene subito ripagata da un'inquadratura dal punto di vista del
dobermann e quello che vedo, mi fa accapponare la pelle. C'è una persona completamente nuda a
carponi. I capelli lisci e biondi le cadono sulle spalle... non vedo il viso ma è un corpo femminile
ed ho un brutto presentimento, sembra essere lei... la mia amata Morgana.
L'agitazione sale.
La ragazza ha le braccia incatenate e bloccate ad un gancio fissato nel muro e le gambe che sono
divaricate, anch'esse immobilizzate e saldate a terra con dei morsetti. Umiliata e sottomessa come
in una scena da film porno sadomaso, solo con la sottile differenza che qui non c'è nessuno che
gode, se non l'assassino. Per disgustarmi e rincarare ancor di più la dose, la telecamera indugia
ancora un po' sul corpo della malcapitata e fa uno zoom sulle sue parti intime... c'è qualcosa che le
esce dal sedere ed ha tutta l'aria di essere un wurstel in più; dalla vagina le penzolano delle fette di
prosciutto crudo, che si distinguono bene per il rosso del magro ed il bianco del grasso. L'intento
del sequestratore è chiaro.
Il video clip si chiude con le seguenti parole:
"il dobermann sembra avere cattive intenzioni mio caro Dob! Credo proprio che questa volta sarà
un altro "Dob" a doversela montare ma che dico montare scusa la volgarità, volevo dire:
GUSTARE... AHAHAHAH!"
17 - Agire
Il BMW era in moto pronto per partire. Appoggiata accanto a me sul sedile del passeggero, c'era la
mia fedele amica: Beretta 92-F caricata con 15 colpi. Una pistola da 9 mm semiautomatica, l'arma
che hanno in dotazione anche le forze armate italiane.
Il solo ed unico posto in cui l'avevo utilizzata era il poligono di tiro e devo ammettere che lì ero
bravo a centrare le sagome di legno ma davanti ad una sagoma umana sarei stato altrettanto
capace?
Avevo una paura tremenda, lo ammetto.
Al poligono sei dentro ad un box come un cavallo pronto alla corsa, devi solo infilarti le cuffie e
svuotare il caricatore poi richiamare la sagoma a te e controllare se i colpi sono andati a segno ed il
gioco è fatto; ma sparare ad una persona ed ucciderla è diverso, ti segna per sempre. Qui c'era in
ballo la vita della mia ragazza perciò avrei dovuto tirare fuori i coglioni.
Durante il viaggio ragionavo e pensavo a chi poteva essere lo psicopatico.
C'era l'ipotesi Iban.
Rex aveva ricevuto un SMS da parte sua poco prima di morire, ma con il passare dei giorni e il
susseguirsi degli eventi, erano arrivate anche a me chiamate e messaggi provenienti dai cellulari dei
miei amici morti. Vedevo meglio Iban come capro espiatorio anche se poteva benissimo essere
l'assassino, non era convincente questa ipotesi ma piuttosto scontata però certe volte ci
arrovelliamo la testa sulle cose più complicate e invece la soluzione del rompicapo è quella più
semplice e banale.
Analizzo un attimo il suo modus operandi e vedo di trovare un collegamento:
il primo a morire è stato Rex avvelenato da un morso della vipera di Russell, susseguito da Ceppo
narcotizzato e bruciato vivo, infine terzo ed ultimo (almeno per il momento) Scricciolo che forse è
morto per cause naturali oppure avvelenato dalle carni del pesce palla. Due delle tre morti sono
accomunate dal veleno di un
animale e nell'altra ha usato il fuoco. L'assassino ha dimestichezza con i veleni e con gli animali,
ha studiato e conosce particolarmente bene queste cose, in più ne ha anche accesso.
Iban non si era laureato ma aveva frequentato per qualche anno l'università, anche se non ricordo
quale facoltà... e se fosse un perfetto sconosciuto infatuato di Morgana, magari un compagno
universitario?
O forse il mio migliore amico: il Boss. Era l'unico dei miei amici ad essere ancora in vita, mi
aveva mandato un SMS per avvertirmi della morte di Scricciolo e subito dopo avevo ricevuto la
chiamata dell'assassino.
C'era una cosa importante da ricordare nel caso fosse stato lui che non mi quadrava... nella prima
email (quella che ha dato il via a tutto) ero stato sfidato con queste parole:
"Questa è la mia sfida: io, ucciderò tutti i tuoi amici e tu non mi ostacolerai altrimenti sarà lei a
morire."
Io non l'avevo ostacolato ma tutti i miei amici non erano ancora morti, rimanevano: il Boss e in
teoria anche Iban che bene o male, era sempre un mio amico sicché l'opera era incompiuta. Allora:
perché mandarmi il video con il dobermann e la ragazza bionda, che girata di spalle sembrava
essere Morgana?
Non avevo infranto le regole... non poteva ucciderla.
Forse era una trappola per attirarmi a se; con l'inquadratura di un banco di scuola mi aveva persino
dato un aiuto per farmi capire dove si trovava. Che pessimo detective che ero; stavo navigando
nella merda fino al collo.
Il dilemma si sarebbe comunque risolto presto... i fari della macchina stavano illuminando il cortile
delle scuole. Ero arrivato.
18 - Le scuole
Le vecchie scuole si ergevano su un piccolo colle a pochi chilometri dal paese di Mugnano e
per raggiungerle, dovevo percorrere una strada sterrata circondata da soli alberi e campi.
L'edificio era contornato da robusti pini che non lasciavano intravedere niente dall'esterno
rendendolo in qualche modo ancor più inquietante.
Il motivo di tutte quelle piante, secondo una storiella di mia
madre, era che per ognuno di quegli alberelli di pino, apparteneva un bambino; che quando entrava
in prima elementare lo piantava... una vecchia usanza. Ecco il perché di tante piante e pensare che
due di quei maestosi giganti rappresentassero anche i miei
genitori, mi faceva tenerezza.
Parcheggiai e scesi.
Il cortile di circa quaranta metri quadri ospitava una macchina: la CITROEN C3 di Morgana
(l'assassino doveva aver preso in prestito anche quella) ed era ricoperto di ghiaione, immagino
che una volta doveva essere avvolto da un soffice manto erboso in modo da permettere ai bimbi
di poter giocare liberamente durante l'ora di ricreazione, senza il pericolo di sbucciarsi le gambe.
Illuminato dalla fioca luce dei fari pubblici e a pochi passi da me c'era l'ingresso alle scuole, ed io
mi domandavo perché gli operai del comune non avessero ancora staccato la corrente in quel
posto abbandonato da Dio.
L'ululare del vento aggiunto alle ombre delle chiome dei pini al chiaro di luna e in movimento
in quella gelida nottata, contribuivano a mettermi i brividi. Dovevo assolutamente mantenere la
calma perché era il momento di entrare.
La maniglia per aprire il portone d'ingresso era ad un palmo da me, io avevo le mani occupate: con
la destra impugnavo la pistola e con la sinistra la torcia... ma quello non era il vero motivo per cui
non avevo ancora tentato di aprire, in realtà avevo una gran paura.
Che cosa avrei visto o trovato una volta oltrepassata quella porta?
"Basta. Non pensare...entra!"
Feci leva sulla maniglia con il gomito e mi spostai sul fianco destro poi, detti una lieve spinta
con la spalla e dopo qualche cigolio di lamento da parte degli infissi per la troppa ruggine, la
porta era aperta e in quello stesso istante, un qualche tipo di congegno azionava le luci.
La luce proveniva da dei neon intermittenti che in qualche modo illuminavano la stanza come in
uno scenario da film horror.
Mi stava aspettando. Il salone delle scuole era ampio. Una grande stanza rettangolare e
completamente vuota. Sopra alla mia testa luccicava una campanella, rotonda e di ottone,
quella della ricreazione e del cambio dell'ora. La parete di fronte a me era quasi interamente
composta da sgangherati finestroni di legno che dovevano dare luce e aria alla stanza e sui lati,
le porte delle classi e del bagno.
In quel contesto apparivo come la pedina di un gioco da tavola sulla casella dello start, mancava
solo che suonasse la campanella per darmi il via. Dovevo solo scegliere con quale porta iniziare.
Diverse erano le opzioni che mi si prospettavano davanti: sei porte bianche, cinque delle quali
contraddistinte da numeri romani ad indicare la classe di appartenenza ed una contraddistinta dalle
lettere W.C.
Da una delle porte provenivano dei rumori che stavano attirando la mia attenzione in modo
particolare, quella alla mia destra con il numero romano I: la prima elementare.
19 - La I Classe
La prima elementare è il punto di partenza di un lungo percorso di vita che fa di ogni bambino un
uomo. C'è sempre un punto da cui iniziare, e quello sarebbe stato il mio perché era da lì che
provenivano i rumori. Ero convinto che facesse tutto parte di un preciso disegno come in un rito
d'iniziazione, dove io ero l'indiziato.
Aprii lentamente la porta ed entrai. Le mie mani erano occupate, con una facevo luce con la torcia
e con l'altra impugnavo la pistola. Fortunatamente trovai l'interruttore che era come in ogni casa
affianco alla porta.
Quello che vidi mi fece dare di stomaco.
L'ultima email ricevuta con il videoclip del dobermann e le parole di minaccia, si stava
materializzando ora davanti ai miei occhi.
Il corpo nudo della ragazza bionda era riverso a terra in un lago di sangue, ed il cane se ne stava
cibando.
Infastidito dal mio ingresso nella stanza, il dobermann si disinteressò del pasto e si concentrò su di
me. Mi fissava con occhi piccoli e neri in cenno di sfida, le fauci mostravano denti bianchi
ed affilati pronti ad azzannare e con le orecchie a punta e leggermente piegate all'indietro stava
cercando di carpire quale sarebbe stata la mia prossima mossa. A fare da sottofondo c'era quel suo
fastidioso ringhiare di continuo che, oltre ad incutermi timore, martellava le mie tempie come uno
dei peggiori mal di testa, così; senza pensarci troppo gli piantai una pallottola in testa. Il suo corpo,
fiero e muscoloso adesso giaceva inerme accanto a quello gracile e minuto della vittima.
Tutto questo era pura e semplice crudeltà: la mia verso l'animale e quella dell'assassino verso la
ragazza. Io ero dispiaciuto per quell'uccisione, amavo gli animali e azioni di questo tipo non
appartenevano alla mia persona era stato costretto a farlo per difendermi; il killer invece non
ragiona, lui si sazia di crudeltà.
Morgana... era davvero il suo corpo?
Non volevo che quella fosse l'ultima immagine di lei impressa nei mie occhi.
Brandelli di carne le penzolavano dalle cosce come mutande appese ad asciugare al sole e delle
sue parti intime non rimaneva che poltiglia.
Le catene che le immobilizzavano i polsi e le caviglie, erano dei ferri vecchi e arrugginiti...
poi, un barlume di speranza e la gioia (seppur davanti a tanto orrore) nel vedere che sul polso
destro non c'erano tatuaggi quindi; quella non era la mia ragazza.
Cercando di non calpestare le mattonelle intrise di sangue, mi spostai lentamente verso la
testa della ragazza.
I capelli ramati e biondi come l'oro poggiavano sul pavimento rosso sangue coprendole il viso.
Non riuscivo a capire chi fosse. Presi un paio di guanti in lattice dalla tasca e gli indossai per non
inquinare la scena del crimine. Muovendo la mano come in una carezza, le scostai i capelli dalla
guancia con delicatezza facendo però una triste scoperta... era Ramona, la sorella di Iban.
La situazione si faceva ancor più complicata, il sospettato numero uno Iban... come poteva aver
fatto fuori sua sorella?
Ero nel caos più totale. Non feci nemmeno in tempo a formulare un ipotesi concreta, perché dalla
stanza vicina sentii arrivare il
grido lancinante di una persona.
Uscii di corsa da quel luogo di morte perché volevo cercare di evitare un altro inutile
massacro... quelle grida di dolore erano incessanti e provenivano da dietro la porta della classe
III.
20 - La III classe
La III classe era in fondo al corridoio e sullo stesso lato della stanza da cui ero appena uscito.
Sfondai la porta con un calcio senza andare troppo per il sottile e con stupore, vidi da dove
provenivano tutte quelle grida.
Era una comunissima classe elementare con qualche banco di scuola, una cattedra e la
lavagna.
La luce nella stanza era accesa e la lavagna riportava le seguenti parole scritte con il gesso:
IL GIOCO E' QUASI GIUNTO AL TERMINE!
Demoralizzato mi misi a sedere sopra ad un banco. Davanti alla lavagna c'era una cattedra e
appoggiato su di essa c'erano il mio computer portatile, con i vari cellulari dei miei amici e tutti gli
altri oggetti rubati da casa mia.
Era dal notebook acceso che proveniva tutto quel fracasso. Il lettore multimediale stava
proiettando una scena da film horror...
si vedevano due mani in primo piano, una mano portava un guanto e l'altra no;
la mano con il guanto da lavoro stava maneggiando un piccolo oggetto metallico usato per
rompere le noci (lo schiaccianoci) sulle nocche delle dita della mano senza guanto e, ad ogni
CROCK di un dito spezzato, si udiva un lancinante grido di dolore. Io nel filmato avevo assistito
alla rottura di sette dita della mano ma suppongo che il bastardo gliele avesse spezzate tutte e dieci
perché ero entrato nella stanza a video iniziato e la tortura
non era ancora finita, le mani gonfie e nere del mal capitato avrebbero subire ancora. La mano
con il guanto si accingeva ora ad impugnare una tenaglia con lo scopo di far saltare una ad una
per terra tutte e dieci le unghie... con uno strappo netto, le staccò tutte come fossero tappi di
bottiglia. Quanto orrore e quanta cattiveria su quel poveraccio, le sue grida si erano ora tramutate
in pianto.
Il cameraman molto lentamente stava spostando l'inquadratura sull'ostaggio; il ragazzo era seduto
e legato ad un banco di scuola (perciò non stava avvenendo in diretta altrimenti l'avrei visto oltre
che a sentirlo urlare, tutto ciò era avvenuto nel pomeriggio o in uno dei giorni addietro in una di
queste classi) e si era pisciato addosso, i suoi pantaloni di jeans erano bagnati sul davanti... povero
cristo come si poteva biasimarlo!?
Nel preciso istante in cui riconobbi il suo volto ci fu il colpo di scena...
quel viso che una volta era bello, era invece ora deformato dal dolore. I lacrimoni gli scendevano
copiosi fin sotto le guance, il naso era sporco di moccio e le labbra tremolanti imprecavano
disperatamente:
"ti prego... basta! Aiuto mamma..."
povero Iban, si era proprio lui. La persona della quale sospettavo fin dall'inizio, l'indiziato numero
uno, era lì dentro lo schermo del mio computer a subirsi le peggio torture ed il bello doveva ancora
avvenire...
le tenaglie usate in precedenza per strappargli le unghie, si stavano ora avvicinando alla
bocca:
"no, no, no, non farlo per favore! Ahhhh..."
uno schizzo di sangue e due denti volati per terra e così via ancora per altre tre volte; sangue e
denti espiantati poi... Iban sviene dal dolore e come un fiume che precipita da una cascata, il
sangue zampilla dalla sua bocca provocando una bella emorragia.
Non sapevo di preciso quanti denti gli avesse strappato... la cosa certa era che il mio amico in
quello stato sarebbe morto dissanguato e per di più la tortura non era ancora finita: perché
accontentarsi di lasciarlo morire così?
L'azione più dolorosa, quella che avrei trovato difficile da guardare anche in un film horror stava
per materializzarsi nella realtà proprio davanti ai miei occhi; la mano con il guanto aveva posato la
tenaglia sul tavolo e l'aveva sostituita con un altro attrezzo: un grosso coltello da cucina di quelli
usati per tagliare le bistecche... nel preciso istante in cui Iban riprese conoscenza vidi spuntare l'altra
mano, anch'essa inguantata con la quale gli tirava i capelli (che rimasero fermi al loro posto, la
storia del parrucchino era una bufala) e con l'altra, quella con il coltellaccio si apprestava a fargli lo
scalpo. Passarono alcuni minuti accompagnati da grida sovrumane poi, lo scalpo era completato e il
silenzio accompagnato da un primo piano del cervello aperto.
Il mio amico era morto e il video clip terminato.
21 - Ipotesi sbagliata
Rimasi seduto ancora un pò, ero sconcertato da ciò che avevo appena visto e come diceva la
lavagna: "il gioco è quasi giunto al termine!".
La persona che avevo incolpato fin dall'inizio: Iban, non aveva colpe se non quella di aver dato
il via al macabro gioco dell'assassino.
Il messaggio quella sera della partita a poker non era stato inviato da lui, povero Iban doveva già
essere morto... ma allora chi? Cosa successe di strano quella sera, c'era qualcosa che poteva
saltarmi all'occhio!?
I miei amici erano quasi tutti morti, rimaneva solo il Boss...
«Porca troia è lui!» Esclamai a voce alta.
Il Boss, la sera della partita a poker era andato in bagno nel momento in cui arrivava il messaggio
a Rex, ed era con me da Scricciolo poco prima che morisse per insufficienza respiratoria e in una
delle ultime telefonate il killer ipotizzava che a provocarla poteva essere stata una zuppa a base di
pesce palla, magari cucinata dal Boss che di mestiere fa il cuoco. Erano troppe le coincidenze e
alla luce degli eventi e andando anche un po' per esclusione, non poteva essere che lui.
La domanda era: perché l'aveva fatto?
Dovevo andare fino in fondo e arrivare alla fine del gioco.
22 - La II, la IV classe e il W.C.
Ora all'interno dell'edificio scolastico regnava il silenzio più assoluto e mi restavano ancora
quattro locali da visitare: le classi II, IV, V e il W.C.
Decisi di entrare nella classe II che rimaneva frapposta tra le due che avevo appena visitato. Girai la
maniglia e spalancai la porta, davanti ai miei occhi il buio e le mie orecchie non captavano alcun
rumore così tastai a lato della porta l'interruttore ed accesi la luce. Nella stanza oltre un po' di
polvere e di ragnatele non si notava niente di strano.
Tirai la porta dietro alle spalle ed uscii pronto per aprire la
prossima.
L'ordine delle stanze sul lato opposto dell'edificio era questo:
classe IV, W.C. e classe V.
Nessun rumore nemmeno davanti alla classe IV, così appoggiai l'orecchio alla porta per sentire
meglio senza risultato... in effetti sentivo qualcosa, ma riguardava un altro dei miei sensi: l'olfatto
perché uno strano odore di marcio stava salendo fin su dentro alle mie narici. Aprii la porta.
La puzza di morte dentro la stanza era inconfondibile e ne fui inondato, con un fazzoletto di cotone
coprii bocca e naso e mi feci coraggio ad entrare. La luce era spenta ma ormai avevo imparato
la posizione degli interruttori così illuminai la stanza.
La classe, la numero IV era allestita a sala mortuaria ed i banchi di scuola accoppiati come barelle,
accoglievano i corpi inanimati dei miei amici.
Rex era steso sui primi due banchi con il corpo avvolto da un lenzuolo bianco, spuntava solo il
viso pallido e violaceo, colore di una morte avvenuta per avvelenamento.
Distanziato a poco meno di un metro c'era un altro corpo, anch'esso circonfuso da un panno
bianco. Spuntava una testa carbonizzata e ci sarebbe voluta un impronta del calco dentale per
riconoscere l'identità di quel cadavere, io però sapevo di chi era: era di Ceppo.
C'erano ancora altri due banchi posizionati come i precedenti ma non vi era adagiato alcun corpo
su di essi, solo una foto... raffigurava Scricciolo.
Dietro ai banchi di scuola la scritta sulla lavagna riportava l'elogio funebre dell'assassino:
RIPOSINO IN PACE
era una situazione strana. I corpi dei miei amici Rex Ceppo e Scricciolo erano stati in qualche
modo onorati, mentre quelli di Iban e di sua sorella Ramona no, quelli erano stati sbrindellati e
abbandonati con disprezzo. Questo mi faceva capire che l'artefice di tutto ciò, doveva riversare
parecchio odio nei loro confronti... ed era un altro punto a sfavore del Boss che non sopportava né
Iban né sua sorella.
Uno gli era sempre stato sulle palle per la sua falsità, l'altra perché era una delle poche ragazze in
paese a non essergli ancora caduta tra le braccia e questo proprio non gli andava giù.
Era il momento giusto per darsi una rinfrescata visto che il bagno era proprio lì vicino.
Usci dalla classe ed entrai...
in quel locale dove l'umidità aveva preso il sopravvento non trovai sorprese: il rubinetto dell'acqua
funzionava così lavai le mani ed il viso per riprendermi un po' da tutto quell'orrore ed essere più
lucido per affrontare al meglio l'ultima stanza visto che oramai eravamo giunti alla fine dei giochi.
C'era ancora un pensiero che però serpeggiava nella mia mente: il mio avversario aveva vinto?
Sotto un certo punto di vista i miei amici non erano ancora morti tutti; il Boss era vivo... e se
l'assassino era lui: faceva parte della promessa fatta all'inizio del gioco?
"Questa è la mia sfida: io, ucciderò tutti i tuoi amici e tu non mi ostacolerai altrimenti sarà lei a
morire."
Mancava ancora qualche tessera per completare il puzzle ed ero sicuro che quel "qualcosa" l'avrei
trovato dietro all'ultima porta, quella della classe V.
23 - La classe V
Bang! Bang! Bang!
Assordante fu il triplice sparo che sentii nel preciso istante in cui varcai la porta.
I fucili erano appesi al soffitto e i rispettivi grilletti erano innescati da un sottile filo di nylon teso e
collegato alla maniglia della porta... una trappola micidiale.
L'avevo innescata io poi i fucili avevano sparato e il mio amico era morto
Accesi immediatamente la luce.
Lui era seduto su una seggiola con la testa ciondoloni sulla spalla sinistra, gli occhi vitrei e un
rivolo di sangue che gli colava dalla bocca.
I colpi sparati gli avevano traforato il petto spappolandogli il cuore e aprendo un varco grande
quanto un pugno. Il pavimento era tutto imbrattato e quel fastidioso puzzo di sangue ancora caldo
mi
faceva venire le forze del vomito.
Mi avvicinai al Boss e in prossimità del suo corpo esanime, c'era una busta gialla appoggiata su
un banco con su scritto:
X IL DETECTIVE
La busta conteneva una lettera scritta a macchina:
"Ciao Dob.
Ho vinto io la sfida: ho ucciso tutti i tuoi amici.
Hai apprezzato la genialità di questo mio disegno? Direi degno del
miglior thriller dato in TV... proprio come quelli che piacciono a te!
Ma questa è una domanda
che non riceverà risposta, lo so... comunque spero di aver messo un
pizzico di sale nel tuo lavoro altrimenti noioso.
Hai rispettato le 2 regole imposte all'inizio
di questa avventura perciò come promesso avrai il tuo premio:
Morgana è viva e vegeta, guardati intorno...
adios”
Avevo letto la lettera e i miei occhi gonfi, a stento riuscivano a trattenere le lacrime per quello che
un tempo era stato il mio migliore amico. Tante erano state le risate e i momenti felici passati
assieme e in lui non avevo mai notato segni di squilibrio, riusciva a nascondere la sua doppia
personalità, la sua pazzia come un camaleonte ma prima o poi però la bestia viene fuori.
24 - Verso la fine.
Come un faro che con la sua luce illumina la posizione di attracco alla nave, la punta delle scarpette
bianche da ginnastica indicava la sua posizione, la mia amata era nascosta lì a pochi passi da me
dietro ad alcuni banchi rovesciati, gli ribaltai con impeto e la raggiunsi... era sdraiata in posizione
fetale sul pavimento con le mani e i piedi legati da una fascetta rossa.
Aveva gli occhi chiusi ma il respiro era costante e regolare e ciò mi faceva capire che stava bene.
Era semplicemente svenuta, anzi: narcotizzata perché posizionata accanto alla sua testa c'era ancora
la bottiglietta di vetro marrone con scritto "CLOROFORMIO" e in più, per avere ulteriori conferme
anche il fazzolettino bianco di cotone con cui glielo aveva fatto inalare.
Feci un respiro di sollievo... il pazzo era stato di parola.
Mi chinai su di lei per prenderla tra le braccia e portarla via da tutto quell'orrore.
L'aria fresca dell'inverno al di fuori delle scuole, fu un vero e proprio toccasana per i miei
polmoni infestati dall'odore della morte; finalmente era tutto finito e sorrisi al pensiero che il mio
BMW nel parcheggio, mi stava aspettando come un fedele maggiordomo.
Morgana aprì gli occhi dopo pochi minuti.
«Cos'è successo, perché mi hanno rapita?»
Sussurrò piangendo stringendosi forte al mio petto.
«E' tutto finito amore mio, ora sei al sicuro e per fortuna vedo che stai bene.
Fammi fare una telefonata ai carabinieri e ti spiego tutto tornando a casa.»
Fu lunga la chiacchierata al telefono con il sottufficiale di mia conoscenza maresciallo Fontanini
che volle sapere tutto. Gli parlai dell'assassino, della sfida e delle sue regole, dal rapimento della
mia ragazza fino al completamento dell'opera: "il disegno" ovvero l'uccisione di tutti i miei amici.
Conclusi la chiamata dicendo che avrebbe trovato una confessione scritta dell'assassino (la lettera
rivolta a me) e tutto il materiale da lui usato; sulla scena del crimine alle scuole di Mugnano, poi ci
salutammo con un arrivederci all'indomani, visto che io e Morgana saremmo dovuti andare a
trovarlo in centrale per testimoniare.
Ma ora nell'immediato, quello che di cui avevamo bisogno; era una calda doccia accompagnata
da una sana e riposante dormita.
25 - Morgana
Mi sincerai delle condizioni di salute della mia ragazza durante il viaggio di ritorno verso casa, e fu
rassicurante sentirle dire che stava bene. Le chiesi inoltre se aveva voglia di parlare del suo
rapimento, senza farle un pesante interrogatorio o mettendola in agitazione e lei cominciò a parlare
di sua spontanea volontà. Mi disse che non rammentava molto di quello che gli era accaduto nei
giorni passati fuori di casa perché era stata legata e bendata per la maggior parte del tempo,
ricordava che il rapitore aveva premura di darle da mangiare e da bere regolarmente ma non aveva
idea di chi potesse essere, era un tipo attento e quando si rivolgeva a lei usava un distorsore vocale.
Intervenni:
«E' stato il Boss, lo so che può sembrarti impossibile ma è stato lui. Ti ha rapito e poi mi ha
sfidato scommettendo che avrebbe ucciso tutti i miei amici e questo è ciò che ha fatto.
Rex Ceppo e Scricciolo sono morti, lui si è lasciato per ultimo, per il gran finale... quando sono
entrato nella classe dove ti teneva prigioniera, ho attivato la sua trappola perfetta inciampando su un
filo teso collegato a dei fucili puntati dritti al suo petto che hanno sparato uccidendolo sul colpo.»
Finalmente eravamo arrivati a casa... avete presente quella sensazione che si prova quando si
rientra da una vacanza? Non vedevo l'ora di entrare, di togliermi le scarpe e d'infilarmi sotto la
doccia. Casa dolce casa.
Morgana ancora frastornata dalla situazione, non si era nemmeno accorta dell'assenza della nostra
gattina Francine.
«Amore: vuoi che ti prepari qualcosa?» Le dissi.
«No grazie. Faccio una doccia veloce poi andiamo a letto.»
«Va bene.»
26 - Il dubbio/la conferma
Morgana era appena uscita da sotto la doccia e si stava asciugando seduta sul puff di camera...
che sensazione strana tornare alla normalità dopo tutto quello che era successo.
«Vado io sotto la doccia amore!» L'avvertii.
L'acqua era regolata alla perfezione, nè troppo calda nè troppo fredda e dopo una dura giornata
come quella appena trascorsa era proprio ciò che ci voleva.
C'era una cosa che però turbava i miei pensieri e proprio non riuscivo a togliermela dalla
testa: il gatto...
era diventato un rituale quello di chiamare la nostra "bimba pelosa" appena entravamo in casa
ma questa volta no, Morgana sembrava "SAPERE" eppure io non gli avevo detto niente. Uscii
dalla doccia ed indossai l'accappatoio.
«Morgana vado a farmi una tazza di latte, te vuoi qualcosa?»
«No grazie.»
Scesi in cucina e non per la tazza di latte ma per prendere la pistola che avevo appoggiato sul
tavolo e ottenere dei chiarimenti e la pistola non c'era più.
«Stavi cercando questa!?»
Esclamò Morgana spuntando alle mie spalle puntandomi addosso la pistola, poi mi sorrise con un
ghigno malefico e fece cenno con la mano di sedermi ed iniziò a parlare.
«Ti ci è voluto un bel po' di tempo per capire... eppure io qualche briciola qua e là te l'avevo
lasciata.
Devi fare pratica, non sei un granché come detective. Ho dovuto incalzarti con il gatto, sapevo che
se non avessi cercato la Francine una volta entrata in casa, ti saresti insospettito.
Ti chiederai perché tutto questo?!
Mi hai trascurato per troppo tempo, facendomi sentire come l'ultima ruota del carro e mettendomi
sempre dopo ad ogni altra cosa, tutti i sabati passati chiusa in casa per colpa dei tuoi appuntamenti
a casa di Scricciolo a giocare a poker con quegli altri sfigati... ne avevo fin sopra i capelli, così mi
sono decisa e ho finto il rapimento. Avevo studiato tutto nel minimo dettaglio: mi sono
imbavagliata e poi ho impostato il timer alla macchina fotografica per fare l'autoscatto, mi sono
sdraiata sul divano e con una fascetta ho stretto le caviglie e ne ho messa una anche ai polsi ma
nel verso contrario in modo che non facesse presa.
Scattata la foto sono salita di sopra e ho attaccato la fotocamera
al computer con il cavo USB e salvato l'immagine sul desktop, poi con un programma di ritocco
ho aggiunto la vignetta:
TRANQUILLO STO DORMENDO
e te l'ho inviata per email.
Ti ho lasciato un bigliettino scritto a mano sul cuscino per fare in modo che la leggessi:
ACCENDI IL COMPUTER
E
CONTROLLA LA POSTA
un piccolo errore da parte mia, ma ininfluente perché potevi pensare che mi avesse costretto il
rapitore a scriverlo e poi tutto il resto...
ho messo in pratica ciò che ti avevo scritto nelle e-mail.
Devo ammettere che uccidere il gatto è stata la parte più dolorosa, non credevo di esserne capace,
mi ci ero affezionata a quella piccola palla di pelo ma serviva qualcosa di concreto e di tangibile per
dare il via a tutto e per farti capire che non stavo scherzando.»
Accavallai le gambe e misi le mani nelle tasche dell'accappatoio in posa da ascoltatore interessato e
domandai:
«Chi è stato il primo a morire?»
«Il primo a morire è stato il mio ex: Iban, è con lui che ho testato la mia vena artistica, un
lavoretto per niente difficile visto che l'odiavo per il modo in cui mi aveva trattato quando
stavamo insieme e per tutto il male che mi aveva fatto.
Attirarlo a me è stato abbastanza facile: l'ho chiamato e gli ho detto che avevamo litigato e lo
aspettavo alle scuole perché avevo bisogno di sfogarmi altrimenti sarei andata a casa di Scricciolo
a cercarti e avrei piantato un macello.
Lui è stato gentile a raggiungermi, forse con l'intenzione di calmarmi o chissà magari per quale
altro scopo ma l'importante era che fosse lì così io ho potuto narcotizzarlo con il cloroformio e
legarlo alla seggiola, poi l'ho torturato fino alla morte filmando
tutto per te caro amore mio. Pochi istanti dopo il suo cellulare inizia a suonare... era la
rompipalle di sua sorella che, non trovando risposta manda un messaggio:
"Ti sei dimenticato le chiavi di casa: dove sei?"
Che fortuna! Avevo sotto tiro anche quella stronza della mia ex cognata... non potevo lasciarmi
scappare un'occasione così ghiotta e risposi all'SMS:
"Portamele, sono alle scuole."
Ramona è arrivata dopo poco, non si è nemmeno accorta che le ero alle spalle così le ho tamponato
la bocca ed il naso con il fazzolettino imbevuto di cloroformio e si è addormentata. L'ho legata,
imbavagliata ed immobilizzata, lei bionda e con la mia stessa corporatura mi sarebbe servita in un
secondo momento... era perfetta per imitare la mia parte.»
Fece un'interruzione e, tenendomi sempre sotto tiro con la pistola, prese dalla sua borsetta
attaccata all'appendiabiti una gomma da masticare e se la infilò in bocca.
«Ne vuoi una?»
Risposi
«No grazie, voglio che continui con la storia.»
«Ok.
Ho inviato l' SMS a Rex con il cellulare di Iban a notte inoltrata, sapendo che vi stavate
giocando le ultime mani a poker, e visto che i due sono culo e camicia ero certa che sarebbe
accorso all'istante e così è stato.
La vipera di Russel, diciamo che l'ho "presa in prestito" dal laboratorio di scienze
dell'università, visto che questo mese il professore di chimica stava tenendo delle lezioni su
questo animale e sull'effetto del suo veleno.»
Anche Ceppo è caduto in trappola con il trucchetto del messaggio; siete talmente legati l'uno
all'altro che basta veramente poco per farvi smuovere... ero nascosta dietro la porta della baracca e
quando lui è entrato gli ho iniettato una dose di tranquillante che avrebbe fatto crollare un
elefante. La parte difficile e che mi
ha fatto faticare un bel po' è stata doverlo mettere a sedere su un ciocco di legno, ma alla fine ce
l'ho fatta e gli ho dato fuoco con la benzina... una puzza del diavolo.
Dimmi una cosa: quando alla fine ho tirato la cerata gialla nel fuoco a cos'hai pensato?»
Risposi guardandola fissa negli occhi.
«La pazzia non sai mai a che punto può arrivare... per un momento ho pensato che potessi essere
stato io ad ucciderlo ma poi mi hai telefonato e minacciato e ho capito che ad essere pazzo era
qualcun altro.»
«Vacci piano con le offese, non sei tu ad avere il coltello dalla parte del manico e comunque non ti
ho minacciato, è la realtà dei fatti... se i carabinieri non crederanno alla confessione scritta del
Boss andranno ad indagare sul materiale che troveranno. Tu sai a chi appartiene quella roba?! A te.
La telecamera, il PC portatile e la fotocamera, sono tutte cose di tua proprietà piene delle tue
impronte... poi c'è la cerata gialla e Gragno è un paese pieno di
curiosi, vuoi che non ci fosse qualcuno nascosto dietro alla finestra pronto a testimoniare di averti
visto con quell'indumento? Stai rischiando grosso mio caro amore ma sai che ti dico: insieme
possiamo farcela.»
«Ma di cosa stai parlando? Tu sei proprio da ricoverare!»
«Non vuoi che finisca il racconto?... Scricciolo.
Scricciolo non l'ho ucciso io, ho appreso della sua morte dagli sms inviati dal Boss sui telefoni
cellulari di Rex e Ceppo, così approfittando della situazione ti ho parlato del pesce palla per
metterti la pulce nell'orecchio ed indirizzarti verso il Boss.
Boss: il finale perfetto di questo mio capolavoro. La trappola coi fucili e la lettere di
confessione... geniale non credi?
Ora quello che voglio sapere da te è: sei dalla mia parte?
I carabinieri avranno già perlustrato la scena del crimine e trovato la lettera, noi domani non
dobbiamo fare altro che testimoniare contro il Boss e vedrai che andrà tutto bene. Ricordi quando
mi dicevi che l'amore regna su tutto... era il tuo pensiero no? Ora è il momento di dimostrarlo. Ho
fatto tutto questo per te, per amor tuo, voglio stare con te ed averti tutto per me. Allora sei con
me?»
Mi disse guardandomi con occhi pieni di speranza...
«certo che sono con te... ti amo!
Ora però smettila di puntarmi addosso quella pistola e vieni ad abbracciarmi.»
Risposi con accondiscendenza e a quel punto lei mi passò l'arma quasi senza pensarci, con
innocenza poi si gettò tra le mie braccia piangendo e sospirando:
«oh amore, sapevo che avresti capito. Ti amo così tanto.»
L'abbracciai stringendola forte a me
«E' tutto finito Morgana. Sei malata e hai bisogno di cure.»
Dal taschino dell'accappatoio tirai fuori il cellulare, l'ultima chiamata che avevo effettuato era stata
quella ai carabinieri. Durante la sua confessione infilando le mani in tasca avevo premuto il tasto
con la cornetta verde, quello con cui si effettuano le chiamate, era un trucchetto che mi riusciva
abbastanza bene... portai il telefono all'orecchio con la speranza che la manovra fosse andata a
buon fine:
«pronto?!»
Dall'altro capo una voce familiare, rude e mascolina fece eco:
«pronto!
Sono il maresciallo Fontanini e ho sentito tutto. Una pattuglia è già diretta verso casa tua e dovrebbe
arrivare da un momento all'altro. Ottimo lavoro detective.»
Intanto in lontananza si sentiva sopraggiungere la sirena della macchina dei carabinieri, era solo
questione di minuti e sarebbero arrivati.
«Mi dispiace Morgana... è finita!»
27 - Verdetto
Ogni assassino, anche il più creativo e pragmatico non riesce a reprimere il desiderio di farsi
catturare... perché mai compiere dei crimini perfetti se poi non puoi prenderti il merito?
Questa è la regola ed era valsa anche per la cattura della mia ragazza.
28 - Regole di vita
A quanti di voi sarà capitato di mettersi davanti al caminetto di casa per ascoltare i nonni
raccontare una storiella?
A volte, in certe di quelle novelle oltre a riscontrare grande saggezza, possiamo trovare vere
e proprie regole di vita.
Uno degli ultimi racconti di mia nonna su per giù intendeva così:
"in ognuno di noi ci sono due lupi.
Uno è cattivo e vive di odio, gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, bugie ed egoismo.
L'altro è il lupo buono. Vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede.
E quale è il lupo che prevale in noi? Quello che nutriamo di più!"
Molte persone purtroppo nutrono il lupo sbagliato e Morgana era una di questi.
29 - Il saluto
Quando i carabinieri le misero le manette ai polsi poco prima di portarla via, lei mi guardò con
occhi tristi e addolorati e nonostante l'avessi "tradita" mi salutò citando una delle più belle frasi
di W. Shakespeare...
«Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro
s'allontana. Oh no!
Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni
sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non è soggetto al Tempo, pur se rose e labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva
lama;
Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se
questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.
Ti amo!»
30 - Conclusione
Trascorsero alcune notti dopo l'accaduto, notti passate in bianco segnate dagli incubi e dai ricordi.
Mi sentivo diverso nell'animo.
Ero rimasto da solo: un uomo solo, senza un amico con cui potersi confidare, senza una donna da
amare e nemmeno un animale domestico da poter coccolare ma la vita continua e dopo una
giornata di tempesta prima o poi, torna sempre il sole.
Decisi di andare a trovare i miei genitori, avevo in mente un'idea e la volevo realizzare con loro al
mio fianco. Quando arrivai a Gragno, gli trovai ad apettarmi nel parcheggio pronti per partire.
Una volta arrivati al canile non fu difficile scegliere il cucciolo da portare a casa... se ne stava
nascosta in un angolo della gabbia, indifesa e con gli occhi tristi, nera come un tizzone e con
grandi orecchie da pipistrello. Era la creatura della quale mi sarei preso cura e una nuova
compagna di avventure: Wendy la mia piccola chihuahua.
FINE
Ringraziamenti.
Un sincero GRAZIE va a Tatiana Coltelli che oltre a tessere la trama, è stata la prima persona a
leggere il libro e a crederci.