Centre N. 33

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Centre N. 33
Dizionario
francoprovenzale
Celle di
San Vito e Faeto
Il fatto di perdere, nel comune
sentire dei propri vicini e talvolta
nello stesso sentimento linguistico
degli interessati, la coscienza esatta
delle proprie origini e della propria
identità linguistica sembra costituire
una caratteristica condivisa da molte
minoranze linguistiche. Si spiegano
così le leggende che si formano
intorno a tali minoranze (si pensi ad
esempio alla pretesa origine «cimbra» dei bavaro-austriaci dell’altipiano di Asiago…), e si spiegano soprattutto
quelle denominazioni di comunità e di lingue del tutto incongrue con la realtà dei
fatti linguistici: albanesi della Campania o della Sicilia, per esempio, abitano
paesi chiamati Greci o Piana dei Greci (oggi però la denominazione è stata opportunamente modificata in Piana degli Albanesi); Guardia Piemontese è detto il
paese in cui continuano a parlare un dialetto provenzaleggiante (non piemontese)
quei valdesi che sono scampati ai massacri cui li sottomise la Chiesa cattolica nel
1561; i galloitalici delle località siciliane di Aidone, Piazza Armerina, San Fratello, ecc. sono chiamati – e si compiacciono nell’autodefinirsi tali – «lombardi», e
così via. Non dovrà dunque stupire se «provenzali» – e non «francoprovenzali» –
chiamano se stessi e sono chiamati dai vicini gli abitanti di Celle San Vito e di
Faeto, né se «Il provenzale» è il titolo del Bollettino parrocchiale di Faeto, in palese contraddizione con l’attribuzione ufficiale delle due parlate, che, da quando il
Suchier 1 aveva così stabilito sulla base della lettura di un brevissimo testo 2 , era
rimasta per i linguisti, praticamente senza ulteriori discussioni, francoprovenzale 3 , nonostante che non manchino fondati motivi linguistici per riprendere
l’intera discussione 4 .
Per restare alla coscienza linguistica dei parlanti, dobbiamo aggiungere che, in
verità, essa non è l’unica fonte che definisce «provenzali» e non «francoprovenza87
li» gli abitanti di Celle e di Faeto. Fin dal 1490, dalla data cioè del suo ritorno
dalla Terra Santa, il guascone (e cioè «occitano», come si direbbe oggi, o «provenzale», come con una sineddoche si diceva fino a non molto tempo fa) Philippe
de Voisins 5 annota con una certa meraviglia l’esistenza, nella città di Monteleone,
di gente che parla la sua stessa lingua; più avanti negli anni, i riferimenti si fanno
anche più precisi: nel 1566, in una bolla di Pio V, i cellesi ed i faetani sono esplicitamente chiamati «provenzali». Secondo il Gifuni 6 , inoltre, soldatesche di origine
provenzale sarebbero state stanziate a Crepacuore da Carlo I d’Angiò fin dal
1269, durante l’assedio di Lucera occupata da 20.000 Saraceni insediativi da
Federico II. Lo stesso Carlo I nel 1274 aveva incaricato il vescovo di Sisteron ed
alcuni gentiluomini provenzali di trasportare genti dalla Provenza 7 al fine di ripopolare tutta la zona del Lucerese. A questi dati, si aggiunge la notizia dello storico
valdese Gilles 8 , secondo il quale dalle valli valdesi vi furono due emigrazioni
verso «Calabre, Apouille et lieux circonvoisins, quasi à l’extremité de l’Italie vers
l’Orient » 9: la prima all’inizio del XIV secolo e la seconda, «environ l’an 1400»,
quando i valdesi di Provenza, perseguitati dal papa si rifugiarono presso i loro correligionari delle Valli valdesi cisalpine e di qui «allèrent habiter és frontières de
l’Apouille, vers la ville de Naples, et avec le temps y édifièrent cinq villettes closes: assavoir Monlione, Montavato, Faito, la Cella et la Motta». Le parlate delle
Valli Valdesi del Piemonte occidentale sono, come è risaputo, occitane; anche il
traduttore della già citata novella contenuta nella raccolta del Papanti 10 chiama,
sull’evidente base della tradizione locale e del blasone popolare, «provenzale» il
proprio dialetto: appare chiara, dalla somma di tutti questi elementi, l’opportunità
di riprendere l’intera questione, sgombrando magari il campo dei troppi pregiudizi, accumulatisi nel frattempo.
Intanto, c’è da registrare un’importante notazione di Schüle 11 , il quale osserva
che i tratti fonologici e morfologici sono in realtà troppo pochi per poter procedere a comparazioni dotate di qualche probabilità, e che bisognerà perciò utilizzare
il lessico, sia pure tenendo conto delle necessarie precauzioni stratigrafiche.
Credo anch’io che per risolvere il problema delle origini del cellese e del faetano
ci si debba risolvere a sottoporre il lessico ad analisi quanto più ampia ed
approfondita, raffrontandolo sia con quello dei dialetti daunici sia con quello delle
aree galloromanza e galloitalica.
Molto opportuno giunge dunque questo vocabolario, che abbiamo visto nascere e crescere, nelle mani di Vincenzo Minichelli, a costo di grandi fatiche, di tempi
rubati al sonno o alla famiglia, di costi anche finanziari non indifferenti, talvolta
forse anche di insofferenze, di scoramenti, abbandoni e successive riprese. Giunge
opportuno e si aggiunge così ad un corpus lessicale 12 che sarebbe bello vedere in
futuro, magari in una prossima edizione di questo stesso vocabolario, integrata in
una sola grande Opera. Proviamo dunque, come aveva fatto Schüle con le voci lei
«latte», arruttà «cullare» e trer∂ «mungere», a curiosare, per ora un po’ a caso e ad
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Faeto: siège du musée ethnographique
(Fonds Avas)
apertura di libro, tra le voci di questo vocabolario, per verificare se effettivamente
esso si presta ad un approfondimento della ricerca.
Troviamo per esempio a p. 32 una interessantissima voce, che ci trasporta
immediatamente nel pieno del lessico galloromanzo e galloitalico. Si tratta di baccià 1 3 , attestato dal Minichelli per Faeto, mentre per Celle egli ci attesta autun.
Cominciamo da quest’ultima parola, per dire che quasi certamente essa è stata
mutuata dai dialetti apuli circostanti; si tratta infatti di un succedaneo 1 4 del latino
GABATA «vassoio» (qui con la ben nota caduta dell’occlusiva velare sonora iniziale), che ritroviamo in numerosi dialetti sia settentrionali sia meridionali, ma che,
nel significato di «trogolo», troviamo addensato soprattutto nei dialetti irpini ed
apulo-salentini; l’AIS, per parte sua, ce ne fornisce un’attestazione nel punto 728
Alberobello, ma al tempo stesso ci mostra come gli altri dialetti della Puglia presentino lessotipi diversi tra loro ma soprattutto diversi dal baccià che Minichelli
segnala per Faeto. Ma c’è di più: nel punto 715 Celle San Vito l’AIS ci dà proprio,
grazie forse ai quasi settant’anni con cui l’indagine del Rohlfs ha preceduto quella
di Minichelli, lo stesso lessema baccià di Faeto. Si tratterà ora, dunque, di verificare la storia e l’estensione di questo tipo lessicale. Per quanto riguarda l’estensio89
ne, lo stesso AIS ne testimonia la presenza nei punti 140 Rochemolles, 152 Ruata
di Pramollo, 160 Maddalena di Pontechianale, mentre in Valle d’Aosta troviamo
un tipo diverso (bwèlh): un areale prevalentemente occitanico, si direbbe dunque
quello di baccià. Cerchiamo allora una conferma nell’ALF 15 , anche se i dati sono
un po’ confusi, poiché gli esiti ossitoni e quelli piani si mescolano senza ragione
apparente 16 . Sembrano comunque profilarsi due aree, l’una occidentale comprendente i dipartimenti di Deux-Sèvres, Vienne, Charente, Charente inferieure e Dordogne, e l’altra orientale, più ampia, comprendente il Puy-de-Dome, la Loire, il
Rhone, la Haute Loire e l’Ardèche (esiti ossitoni) e l’Allier, la Saone-et-Loire,
l’Ain, la Savoie, l’Isère, le Hautes Alpes, le Basses Alpes, la Drome (esiti parossitoni). L’ALJA 17 chiarisce, alla voce 739 «L’auge (du cochon)», la situazione
dell’area orientale, mostrando che il tipo baccià, ossitono, è in realtà l’unico esistente ed occupa tutto l’Isère, tutto l’Ain, parte della Savoia, il punto 84 (valsusino) di Giaglione, mentre non è presente in Alta Savoia, nel Jura e nel Doubs. La
stessa cosa fa l’ALP 18 per i dipartimenti delle Alte e delle Basse Alpi. La parola è
in realtà, nei dipartimenti della Francia Sud-orientale, talmente diffusa e radicata
da riprodursi anche nei francesi regionali: essa è testimoniata difatti in Savoia, nel
Velay, a Gap, a Mariac, a Vouray19 e può avere i valori semantici di «trogolo», di
«vasca della fontana», di «abbeveratoio per le vacche». Se poi andiamo a vedere
le attestazioni cisalpine, osserviamo innanzitutto che anche i vocabolari dei dialetti piemontesi, cioè galloitalici 20 riportano il nostro lessema con i significati di
«pantano, fontana, truogolo»; quanto poi ai vocabolari dell’area occidentale, galloromanza, del Piemonte, troviamo i significati di «fanghiglia che si forma quando si scioglie il ghiaccio» e di «truogolo per la raccolta d’acqua, anche acquitrino» 21 a Briga Alta, quello affine di «pozzanghera» a Boves 22 ; quello di «trogolo
per i maiali» in Valle d’Aosta (dove è però un’acquisizione più recente), nel
Queyras, ad Elva 23 ; quello di «vasca della fontana» a Salbertrand ed a Cesana 24 .
Pur senza escludere, dunque, gli agganci con le aree transalpine, l’analisi
della diffusione di questo tipo lessicale consente di confermare e convalidare le
ipotesi che Sobrero ebbe a suo tempo a formulare 25 analizzando la diffusione del
faetano o i ant∂ «bisogna»: ipotesi che sottolineavano l’affinità linguistica con
l’areale cisalpino galloromanzo. Proviamo dunque a procedere nel sondaggio tra i
gallicismi:
a p. 54 troviamo: ci prep. da: si tratta dell’esatto corrispondente del francese
letterario chez, attestato in francese fin dal 1190 presso J. Bordel, e corrispondente
all’ant. francese chiese «casa», dal lat. CASA «capanna». Da una verifica sulla
carta 1637 «da noi» dell’AIS abbiamo puntualmente una conferma: ki vint acc a
nnù è infatti la forma cellese per «che viene da noi». Le località pugliesi dei dintorni presentano forme italoromanze come (a)ndò nuy∂ o addirittura delle interferenze (o delle reliquie?) greche come kata nù, mentre ritroviamo forme simili a
quelle cellesi e faetane in Valle d’Aosta (per es., a 122 Saint-Marcel ki ven tsi no);
90
stessa p.: ciàche «ogni» e ciacùn «ciascuno». Sono i corrispondenti dei francesi chaque e chacun, derivati rispettivamente da lat. QUISQUE e dal lat. pop.
*casquunus (incrocio tra QUISQUE-UNUS e KATA-UNUM);
stessa p.: Cialénne «Natale» (da lat. KALENDAE «primo giorno del mese»). La
carta «Noel» dell’ALF è molto utile perché consente di restringere l’areale gallico
di riferimento in terra francese: il lessotipo <calende> con il significato di «Natale» è attestato infatti in Valle d’Aosta (francoprovenzale) ed in Valle di Susa
(occitana) in Italia, nella Svizzera romanda, e poi in una stretta fascia che va dal
Cantal e Puy-de-Dome, ad Ovest, fino alla frontiera italiana (Alta Savoia, Savoia,
Alte Alpi, Basse Alpi, Alpi marittime) ad Est: come si può vedere, il territorio è
sia occitano sia francoprovenzale, ma molto ristretto e tale, soprattutto, da eliminare alcuni dei dipartimenti (per es. Rhone, Ain) che le ipotesi di individuazione
di Melillo e di Schüle ancora comprendevano;
p. 92: féte «festa». Notiamo il trattamento del gruppo -ST- con caduta della
sibilante: fenomeno del francese letterario, ma anche di molti dialetti, sia occitani
sia francoprovenzali, tra i quali, ancora una volta, quelli cisalpini;
p. 121: masciunìje «mietitore». È evidente la parentela lessicale con fr. moissonneur, ma ancora più evidente la parentela morfologica del suffisso (< lat. ARJU) con gli analoghi suffissi delle parlate sia occitane sia francoprovenzali, in ìa, -ìe;
p. 155: cellese paràn e faetano piaràn «nonno». Anche in questo caso, esiste
con tatone un’alternativa italoromanza mutuata dai dialetti vicini. La voce galloromanza, apparentemente semplice da spiegare, non deve trarre in inganno: non si
tratta infatti di una voce da collegarsi con il francese parent (foneticamente
[pã’Ra], la cui base latina PARENTEM valeva effettivamente «padre», «madre» ed
anche, per estensione, «nonno», ed i cui succedanei posseggono nel francese
odierno i valori sia di «membro della famiglia» sia, preceduto dal determinante
grand, di «nonno» (specie al plurale, con valore collettivo); tale base conduce
infatti, nei dialetti di Celle e di Faeto, non a paràn ma a parén, «parente», attestato nella stessa pagina del vocabolario del Minichelli. La voce con cui abbiamo a
che fare è invece da ricondurre ad un precedente *pa(pa) (g)ran, non privo del
resto di riscontri in area galloromanza, in cui all’apocope del primo segmento si è
aggiunta la caduta, ampiamente seriale in moltissimi dialetti delle Puglie,
dell’occlusiva velare sonora iniziale;
p. 194: cellese rumuscéje, faetano muscéje (alternativa sinonimica di tipo
meridionale: gliòmmere). La voce è interessantissima, non soltanto perché abbiamo qui la riprova della caduta dell’occlusiva velare sonora da un precedente *grumuscéje, ma anche per tre altri motivi: innanzitutto perché l’ALF testimonia l’esistenza e la diffusione del tipo lessicale in area transalpina e specialmente, al solito,
nei territori dell’Est; in secondo luogo perché la voce è ampiamente testimoniata
91
anche nei dialetti ad Est delle Alpi, sia galloromanzi sia galloitalici, e non soltanto, tra questi, dai dialetti piemontesi, ma anche da dialetti lombardi, emiliani e
liguri 2 6 ; in terzo luogo, perché in almeno tre casi i dizionari dialettali ci forniscono l’attestazione di forme, decisamente assai meno estese, nelle quali l’aferesi non
tocca soltanto la velare iniziale ma l’intera sillaba, proprio come a Faeto. Troviamo infatti miscàl a Fontanetto Po 27, missél e mussél ad Alba 28, musel a Piverone 29.
Fin qui i sondaggi sull’utilizzabilità scientifica di questo nuovo strumento che
Minichelli offre alla ricerca dialettologica. La risposta alla domanda se questo
vocabolario offra spunti o informazioni utili per contribuire alla soluzione dei problemi a cui si faceva cenno all’inizio di questa presentazione non può che essere
positiva: abbiamo visto infatti, in un sia pure cursorio e casuale «carotaggio»,
come tutti i temi dell’attribuibilità areale delle eventuali sedi originarie si siano
praticamente evidenziati in modo diremmo quasi implicito. Abbiamo visto d’altro
canto che la voce autorevole di uno studioso come Ernest Schüle invitava a rivolgere la ricerca verso il lessico come al settore che avrebbe potuto fornire maggiori
informazioni su quest’argomento.
Sono certo dunque che Vincenzo Minichelli potrà andare fiero nell’apprendere che da parte della comunità scientifica non può mancare un atteggiamento di
gratitudine per il suo lavoro; sono altrettanto certo, d’altro canto, che la sua passione ed il suo amore per la parlata natia e per il paese natio non possono contentarsi della gratitudine dei dialettologi. Scopo principale del suo lungo appassiona-
Faeto: chiesa parrocchiale
(Fonds Avas)
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to e tormentoso lavoro è stato infatti certo quello di creare uno strumento di identificazione per sé e per i suoi concittadini, assai prima ed assai più che non quello
di favorire gli studi dialettologici e la soluzione di problematiche di storia o di
geografia linguistica. Si rinfranchi dunque l’amico Minichelli, perché sicuramente
anche nella natia Celle, anche nella vicina Faeto tutti coloro che ancora hanno a
cuore il proprio dialetto e ciò che esso significa in termini di radici identitarie
accoglieranno questo volume con la riconoscenza e con la gratitudine che merita.
Tullio Telmon
NOTE
1
Cfr. H. SUCHIER, Die französische und provenzalische Sprache, nel Grundriss der romanischen Philologie (Strassbourg, 1888 e ss.) di G. GROEBER, I 2 (1904-06), pp. 712-890.
2
Si trattava della versione cellese della novella IX della prima giornata del Decamerone,
contenuta nella raccolta di A. PAPANTI, I parlari italiani in Certaldo alla festa del V centenario
di messer Giovanni Boccacci, Livorno 1875, p. 173.
3 Gli interventi più importanti, successivi a quello del Suchier, sono dovuti a G. MOROSI,
Il dialetto francoprovenzale di Faeto e Celle, nell’Italia meridionale, in «Archivio Glottologico Italiano» 12 (1890-92), pp. 33-75; ad A. DE SAVIO, Relicts of Franco-Provençal in Southern
Italy, Publ. of the Modern Language Ass., 23, 1 (1908), pp. 47-79; a M. MELILLO, Il tesoro lessicale franco-provenzale odierno di Faeto e Celle, in «Italia dialettale» XXI (1956), pp. 49128, ed Intorno alle probabili sedi originarie delle colonie franco-provenzali di Celle e Faeto,
in «Revue de Linguistique Romane» XXIII (1959), pp. 1-34; ad A.A. SOBRERO, nel cap. «Il
franco-provenzale in Capitanata: storia esterna e storia interna di una parlata alloglotta» del
vol. Dialetti diversi. Proposte per lo studio delle parlate alloglotte in Italia. Lecce 1974, pp.
33-64; E. SCHÜLE, Histoire et évolution des parlers francoprovençaux d’Italie, in G. P. ClivioG. Gasca Quierazza (a cura di), Lingue e dialetti nell’arco alpino occidentale. Atti del Convegno internazionale di Torino (12-14 aprile 1974), Torino 1976, pp. 127-140; D. KATTENBUSCH,
Das Frankoprovenzalische in Suditalien. Studien zur synchronischen und diachronischen Dialektologie, Tübingen 1982.
4 Qualche osservazione sarà fatta anche qui, più avanti; si veda inoltre T. TELMON. Alcune
considerazioni sulle parlate di Faeto e di Celle alla luce di una recente pubblicazione, in «Bollettino dell’Atlante Linguistico Italiano» III Serie, 8-10 (1984-1986), pp. 47-51 nonché, dello
Stesso, il cap. «Galloromanzi in Capitanata» nel vol. Le minoranze linguistiche in Italia, Alessandria 1992, pp. 27-33.
5
Cit. da G. MOROSI, Il dialetto franco-provenzale ecc., cit. p. 33.
6
In Lucera, Urbino 1973, p. 17.
7 Il documento, cit. da GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del regno di Napoli,
Napoli 1802 (rist. anast. Bologna 1969-71) e poi da SOBRERO, Dialetti diversi ecc., cit. pp. 4142 e da M. PFISTER, Galloromanische Sprachkolonien in Italien und Nordspanien, Maiz-Wiesbaden 1988, pp. 23-24, menziona addirittura il numero delle famiglie di cui si richiede l’invio,
e la loro provenienza: 30 famiglie da Forcalquier e da Digne, 30 da Draguignan e da Hyères, 20
da Nizza e da Grasse, 30 da Aix-en-Provence e da Marsiglia, 30 da Avignone, Tarascona e
Arles.
8 Cfr. P. G
ILLES, Histoire ecclésiastique des eglises reformées recueillies en quelques Val93
lées de Piémont, autrefois appelées Vaudoises, Paris s.a. (ma 1641); ried. a c. di P. Lantaret,
Pinerolo 1881.
9
Il corsivo è mio, ed ha lo scopo di far notare che l’indicazione delle Puglie non è generica, né può nascondere una confusione con la Calabria, che non manca di essere citata come
entità distinta e sulla quale effettivamente il Gilles si sofferma poi a lungo nei passi seguenti.
10
Cfr. supra, p. 2, nota 1.
11
Cfr. E. SCHÜLE, Histoire et évolution ecc., cit., p. 137.
12
Penso naturalmente al già cit. Tesoro lessicale franco-provenzale odierno in Faeto e
Celle di MICHELE MELILLO, ma anche – e forse più ancora, per l’enorme mole di materiale ivi
contenuta – alle carte dell’AIS (K. JABERG-J. JUD, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen 1928-1940), entro le quali Faeto costituisce il punto 715 (inchiesta svolta da
G. Rohlfs nel 1925), ed alle schede dell’ALI (Atlante Linguistico Italiano, in corso di pubblicazione presso l’Università di Torino), entro le quali Celle San Vito costituisce il punto 818
(inchiesta svolta da M. Melillo nel 1962).
13
Dal punto di vista etimologico, il REW (W. MEYER LÜBKE, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1911-20), 3625 ci rimanda alle basi latine ipotizzate *bacca,
*baccu «vaso per acqua», attestate, per il basso latino, dal derivato bacar, -is, usato da Festo
con il valore di «vaso per vino, brocca, flacone; vaso con un lungo manico adatto a gettare
acqua sul corpo di coloro che si lavavano nei bagni». A. DAUZAT-J. DUBOIS-H. MITTERAND,
Nouveau dictionnaire étymologique et historique, Larousse, Paris 1988, p. 64 ci informano che
l’origine della parola è, come d’altronde già ci attendiamo, celtica.
14 Cfr. W. MEYER LÜBKE, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, cit. 3625. Cfr. anche
P.A. FARÉ, Postille italiane al «Romanisches Etymologisches Wörterbuch» di W. Meyer Lübke.
Comprendenti le «Postille italiane e ladine» di Carlo Salvioni, Milano 1972, 3625.
15
Cfr. J. GILLIÉRON, Atlas Linguistique de France, Paris 1902-1910.
16 Ricordiamo le difficoltà incontrate dal raccoglitore dell’ALF, Edmond Edmont,
nell’affrontare le parlate meridionali ad andamento parossitonico.
17
J. B. MARTIN-G. TUAILLON, Atlas Linguistique et Ethnographique du Jura et des Alpes
du Nord, Paris 1972 ess.
18
J.C. BOUVIER-C. MARTEL, Atlas Linguistique et Ethnographique de la Provence, Paris
1975 e ss.
19 Cfr., rispettivamente, A. GAGNY, Dictionnaire du français régional de Savoie, Paris
1993, p. 70; C. FRÉCHET-J.B. MARTIN, Dictionnaire du français régional du Velay, Paris 1993,
p. 22; C. GERMI-V. LUCCI, Mots de Gap, Grenoble 1985, p. 42; F. MAZA PUSHPAM, Les régionalismes de Mariac, Grenoble 1992, p. 40; G. TUAILLON, Matériaux pour l’étude des régionalismes du français. 1-Les régionalismes du français parlé à Vourey, village dauphinois, Paris
1983, p. 67.
20
Ad es., V. DI SANT’ALBINO, Gran Dizionario piemontese-italiano, Torino 1859, p. 204;
M. PONZA, Vocabolario piemontese-italiano, Pinerolo 1859, p. 170; G. GAVUZZI, Vocabolario
piemontese-italiano, Torino-Roma 1891, pp. 61-62; A. LEVI, Dizionario etimologico del dialetto piemontese, Torino 1927, p. 33.
21 Cfr. P. BOLOGNA, Dizionario della lingua brigasca, Roma 1991, p. 61; P. MASSAJOLI-R.
MORIANI, Dizionario della cultura brigasca, Alessandria 1991, p. 44.
22
Cfr. AA.VV., Boves, Voci e immagini di una comunità, Primalpe, Boves s.d., p. 283.
23 Cfr. rispettivamente A. CHENAL-R. VAUTHERIN, Nouveau Dictionnaire de Patois Valdôtain. Dictionnaire français-patois, Aoste 1984, p. 31; J.A. CHABRAND-A. DE ROCHAS
D’AIGLUN, Patois des Alpes Cottiennes (briançonnais et Vallées Vaudoises) et en particulier
94
du Queyras, Grenoble-Paris 1877, p. 36; P.A. BRUNA ROSSO, Piccolo dizionario del dialetto
occitano di Elva (a cura di S. Ottonelli), Cuneo 1982, p. 24.
24 Cfr. rispettivamente C. BACCON BOUVET, A l’umbra du cluchì, Salbertrand. Patouà e
vita locale attraverso i tempi, Torino 1987, p. 184; G. PIOLTI, Il dialetto di Cesana, in «Bollettino del Club Alpino Italiano» XX (1886), p. 264.
25
Nel già cit. Dialetti diversi, p. 48.
26 Anzi, tabarchini: il che ne garantisce l’antichità: cfr. P.A. FARÉ, Postille italiane al
«Romanisches Etymologisches Wörterbuch» di W. Meyer Lübke. Comprendenti le Postille italiane e ladine» di Carlo Salvioni, Milano 1972, ad u. 3799.
27
Cfr. R. BUSNENGO, Vocabolario italiano-fontanettese funtanlen-italian e regole grammaticali, Vercelli 1983, p. 54.
28 Cfr. P.A. FARÉ, Postille ecc., cit. ad u. 3799.
29 Cfr. G. FLECHIA, Lessico piveronese, in «Archivio Glottologico Italiano» XIV (1899),
p. 363 (voce 301).
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