Qui - Studenti per Medicina

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Qui - Studenti per Medicina
SUL PROBLEMA DELLA FREQUENZA
In qualità di rappresentanti degli studenti sottoponiamo all’attenzione dei membri
della Commissione Didattica il lavoro di analisi che abbiamo svolto in queste
settimane riguardo al problema della bassa frequenza degli studenti alle lezioni del
nostro Corso di Laurea.
I. Quadro della situazione
La frequenza è obbligatoria, come stabilito dall’art. 10 del Regolamento didattico
di Medicina.
Al momento dell’inizio dei corsi, le matricole vengono sensibilizzate sull’importanza
di seguire con costanza le lezioni, per tenersi al passo coi programmi e non rimanere
indietro. Tuttavia si assiste presto ad un progressivo allontanamento dai corsi, che
tocca il proprio apice tra la fine del terzo anno e l’inizio del quarto, quando si
arrivano ad avere aule semivuote (anche 10-20 studenti, su più di 150 iscritti per ogni
canale). Occorre chiarire che la situazione cambia tra il primo e il secondo triennio.
Durante i primi tre anni di corso la frequenza è tendenzialmente alta, sebbene le
presenze a lezione non siano spesso verificate mediante la raccolta delle firme. Gli
studenti frequentano volentieri i corsi che aiutano alla comprensione della materia
(Fisiologia) o ad orientarsi in programmi di studio molto vasti e del tutto nuovi
(Biologia, Biochimica e Anatomia). Bisogna aggiungere inoltre che il numero di corsi
da seguire è inferiore rispetto a quello degli anni successivi: i primi semestri di
secondo e terzo anno terminano con solo due esami da sostenere (rispettivamente
Anatomia II e Statistica per il secondo e Fisiologia II e Medicina di Laboratorio per il
terzo).
A partire dal secondo semestre del terzo anno il quadro cambia notevolmente: allo
studente medio urge studiare per conto proprio piuttosto che seguire le lezioni, anche
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qualora fossero di aiuto. E con l’introduzione delle ore di tirocinio all’inizio del
quarto anno la situazione si complica inesorabilmente.
II. Cause
A nostro avviso la causa principale della scarsa frequenza è il carico eccessivo di ore
di lezione frontale: basti pensare che agli studenti del terzo e del quarto anno è
chiesto di rimanere in aula dalle 8.30 fino alle 16, a quelli del quinto fino alle 18.
Risulta evidente che, con orari del genere, sia molto difficoltoso prepararsi
adeguatamente per gli esami, anche alla luce del fatto che le lezioni terminano a
ridosso dell’inizio della sessione. Chiaramente quando alle ore di lezione si
aggiungono quelle di tirocinio, il tempo per lo studio individuale si riduce
drasticamente.
In secondo luogo, occorre evidenziare, anche in questa sede, il problema logistico.
Gli spazi per la didattica sono palesemente insufficienti, tanto che spesso non è
possibile svolgere le lezioni per entrambi i canali nello stesso periodo.
Inoltre, non esistendo un polo didattico unico di Medicina, gli studenti frequentano in
aule molto lontane tra loro (MBC, Torino Esposizioni, aule di via Santena o Regina
Margherita). Biblioteche e aule studio, pur presenti nella zona delle facoltà
scientifiche, sono invece insufficienti per chi segue lezione alle Molinette o al Regina
Margherita, dove quelle presenti possono accogliere pochi studenti e non rimangono
aperte oltre le 18. Risulta dunque impensabile anche un’ottimizzazione del tempo per
lo studio sfruttando pause e ore buche.
Oltre a rappresentare una difficoltà oggettiva per tutti, questa situazione è lontana
anni luce dall’idea di Università che abbiamo a cuore: un luogo privilegiato per
approfondire lo studio, in cui lo studente può fermarsi a studiare fino a sera,
consultare facilmente il materiale bibliotecario o avere a disposizione computer e
connessione Wi-Fi (ancora assente in alcune biblioteche delle Molinette).
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Siamo consapevoli che la soluzione a questo grave e annoso problema non possa e
non debba essere trovata in Commissione Didattica, ma siamo anche certi che questo
aspetto non possa essere trascurato in un’analisi lucida delle cause della scarsa
frequenza ai corsi.
III. Conseguenze
Alla luce di tutti gli elementi prima esposti e in particolare del problema del tempo
disponibile per lo studio individuale, è logico dedurre come molti studenti possono
essere indotti a preferire studiare per passare l’esame piuttosto che seguire lezioni in
cui vengono trasmesse nozioni che è possibile reperire diversamente. Non
dimentichiamo infatti che, negli ultimi anni, l’avvento dei nuovi strumenti tecnologici
ha permesso agli studenti uno scambio di conoscenze e informazioni prima
impensabile (dall’acquisto di dispense e slides alla condivisione delle sbobinature
delle lezioni). Se estremizzato, questo sistema può avere conseguenze negative sulla
formazione del futuro medico, che è portato a prepararsi in fretta per l’esame, per lo
più su sbobine, appunti e slides (non prive di imprecisioni), rischiando però di uscirne
con una preparazione mnemonica, fragile sul lungo periodo (a partire dall’ipotetico
esame di stato sul modello del Progress Test e dal probabile futuro test di
ammissione alle Scuole di Specializzazione Medica).
IV. Tentativi di soluzione
Sicuramente l’obiettivo del nostro corso di studio è offrire ai futuri medici la migliore
formazione possibile, che tenga conto di tre elementi cardine: il sapere, il saper fare
e il saper essere.
In quest’ottica, la frequenza alla lezioni non può che essere uno strumento e non il
fine cui tende il nostro tentativo di soluzione del problema: lo studente infatti ha
bisogno di docenti competenti e appassionati al proprio lavoro, da cui poter imparare
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non solo un complesso di nozioni, di sicuro fondamentali ma oggettivamente
reperibili anche in altri modi, ma soprattutto l’esperienza di un professionista che lo
guidi a districarsi nella selva di conoscenze e gli insegni un metodo di approccio allo
studio così come alla pratica medica. Insomma, abbiamo bisogno di maestri.
Per questa ragione non conviene a nessuno irrigidire le norme sulla frequenza
(mediante la raccolta sistematica delle firme o l’introduzione di badge), né ai
professori, né agli studenti: i primi si ritroverebbero con una massa di studenti poco
interessati, mentre per i secondi diverrebbe sempre più difficile recuperare anche solo
pochi esami lasciati indietro, aggravando così ritardi minimi. E per giungere alle
estreme conseguenze, si rischierebbe di ridurre notevolmente il numero di studenti
che si laureano in tempo in sei anni, influenzando inoltre negativamente la
valutazione del Corso di Laurea e quindi dell’Ateneo.
Una soluzione già proposta in commissione è quella degli esoneri in itinere.
Sicuramente potrebbe trattarsi di un aiuto allo studio dei corsi integrati (ad esempio
Farmacologia, divisa nei moduli di Farmacologia generale e Farmacologia speciale,
Clinica degli Organi di Senso, Clinica e Patologia dell’Addome ed Endocrinologia,
Clinica e Patologia del Torace), ma solo per quegli studenti che sono in tempo con
gli esami e riescono a seguire i corsi. Non verrebbe però risolto il problema
dell’assenteismo a lezione, dovuto in larga percentuale a studenti che sono rimasti
indietro con gli esami, spesso con quelli a sbarramento (soprattutto Fisiologia e
Metodologia Clinica). Inoltre questa modalità non sarebbe comunque applicabile ai
corsi non integrati, per cui rischierebbe di venir meno l’organicità dello studio.
È già emersa però la necessità imprescindibile per gli studenti di avere più tempo per
studiare e approfondire le materie, in particolare quelle cliniche. È quindi
ipotizzabile, nonché, a nostro parere, auspicabile, una revisione di più ampio
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respiro del piano didattico entro i limiti definiti dal DM 270/04. A questo
proposito abbiamo pensato a due possibili soluzioni.
Innanzitutto potrebbe essere avviata una riforma dei CFU, che riduca le ore di
lezione frontale corrispondenti ad 1 CFU (da 10 a 8 ore/CFU, con una riduzione del
20% sull’attuale monte ore) e contestualmente aggiorni i criteri di assegnazione dei
CFU, anche alla luce della media ponderata, nel tentativo di risolvere le tante
anomalie (prima fra tutte i 23 CFU di Biochimica).
Conseguenza naturale di questa riforma sarebbe inevitabilmente la rielaborazione
della parte di programma svolta a lezione: si tratterebbe quindi di focalizzare la
spiegazione sugli argomenti essenziali o di difficile comprensione piuttosto che su
quelli che il docente predilige e su cui è più aggiornato. Un tale cambiamento nella
concezione stessa della lezione potrebbe veramente renderla utile al lavoro di studio e
approfondimento personale dello studente, ma è impensabile senza una seria
collaborazione tra professori e studenti, a partire dalla Commissione Didattica.
Sempre nell’ottica di ridurre il monte ore e, allo stesso tempo, di dedicare più spazio
alle materie cliniche, si potrebbe ipotizzare una riorganizzazione delle materie di
base limitandole ai primi due anni-due anni e mezzo. Siamo ben consci dello sforzo
titanico che una riforma del genere richiederebbe: dal canto nostro siamo già al
lavoro per ipotizzare un riordinamento in questo senso (alla luce dei limiti imposti dal
DM 270/04), certi dell’importanza di una solida preparazione di base, ma altrettanto
certi dell’inammissibilità per un futuro medico di uno studio non adeguato delle
materie più propriamente mediche.
Certamente occorre del tempo per cercare soluzioni di ampio respiro, senza limitarsi
a soluzioni tampone volte a ottenere qualche studente in più a lezione, nel tentativo di
rendere la didattica del nostro Corso di Laurea sempre più attenta alla formazione
degli studenti.
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Non è un’occasione da lasciarsi sfuggire: auspichiamo dunque che nei prossimi mesi
possa nascere una seria e fruttuosa collaborazione tra docenti e studenti, anche a
partire dalle analisi di questo documento.
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