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La “valutazione oggettiva” nella scuola e in educazione.
Approssimazioni e falsi miti: la “constante macabre”
di Giorgio Maghini
Viene da André Antibi (ricercatore in Didattica della Matematica all’Università di
Tolosa) la critica più precisa e potente a ogni intenzione di valutare nel modo
più oggettivo e, possibilmente, precoce, i risultati scolastici degli alunni.
Antibi ha coniato l’espressione “costante macabra”, che lui stesso definisce
come «il fatto che i modi di valutazione esigono sempre una quota di
fallimenti»1.
Una critica, quella di Antibi, determinante per affrontare l’analisi della attuale,
crescente, tendenza a valutare le scuole e, in generale, i processi educativi e
formativi in termini “oggettivi”.
“Valutazione oggettiva” e “processo educativo” sono due termini che solo a
fatica riescono a convivere. Per chi lavora nel campo della pedagogia, infatti, è
evidente che la relazione educativa o è sistemica o non è: ed è per questo che
la scuola deve farsi carico dell’alunno nella sua interezza e complessità,
educando e formando, per così dire, non solo la persona ma anche la sua
storia, la sua rete relazionale, la sua condizione socioeconomica, il sistema di
aspettative in cui vive… in quest’ottica, appare realisticamente molto arduo (e
scientificamente discutibile) tradurre processi, relazioni e apprendimenti in una
serie di indicatori, indici, percentuali.
Sino a non molti anni fa, tale assunto pareva indiscutibile, ma oggi – in
consonanza con l’idea secondo la quale l’unica risposta alla crisi globale è un
irrigidimento della mentalità neoliberista – assume sempre maggiore spessore
il mito che la scuola possa essere scomposta in processi semplici, “purgata”
delle complessità sociali e, infine, valutata in termini di efficienza e
rendimento.
In realtà, l’atto del valutare è un procedimento intrinsecamente costitutivo di
ogni pedagogia (se è vero che docimologia e criteri di valutazione e di verifica
1 «…la
constante macabre, le fait que les modes d'évaluation exigent toujours un taux
d'échec.», in: Evaluation : L'appel d'André Antibi di François Jarraud, consultabile
all’indirizzo http://www.cafepedagogique.net/lemensuel/laclasse/Pages/2010/113_3.aspx
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fanno parte del percorso formativo di ogni pedagogista) e, pertanto, ciò che si
critica non è “il fatto di sottoporre a valutazione” quanto piuttosto le distorsioni
che si verificano quando, per valutare, ci si serve di strumenti
grossolanamente adattati.
Potremmo parlare di una finalità ragionevole perseguita, però, con mezzi
inadatti. È in questi termini che uno sguardo alla stampa specializzata porta
alla luce diversi falsi miti usati per parlare di “valutazione oggettiva”
***
Occorre partire dal fatto che, attorno al tema “valutazione”, sono oggi
imperanti il mito della “essenzialità e ineludibilità” della valutazione stessa,
così come quello della possibilità di separare progettualità e valutazione
e della indiscutibile fiducia nella misurabilità oggettiva (su questo, si può
ad esempio leggere un interessante articolo di Mario Ambel, Direttore della
Rivista Insegnare del Centro di Iniziativa Democratica degli
Insegnantiall’indirizzo
http://www.nuvole.it/index.php?option=com_content&view=article&id=355:m
ario-ambel&catid=76:nuvole-37&Itemid=61).
Sembra, inoltre, essere sul baratro dell’oblio totale il principio secondo il quale
la semplice osservazione (e tanto più, quindi, l’atteggiamento valutativo)
influisce sull’oggetto osservato, e pertanto, nel momento in cui sottoponiamo a
valutazione un oggetto, in realtà causiamo in esso una serie di imprevedibili
variazioni. Esempio di tale interrelazione è, ad esempio, il fenomeno
denominato “Teaching-to-test”, un insegnamento, cioè, non finalizzato alla
didattica o, in generale, allo sviluppo culturale dell’alunno quanto, piuttosto,
unicamente al superamento dei test di valutazione (cfr. l’articolo di Roberto
Casati, Paradossi della valutazione, in Il sole 24 ore del 30.10.2011,
all’indirizzo http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-10-29/paradossivalutazione-134805.shtml?uuid=AakG83GE).
Altro fenomeno che rivela come la “valutazione oggettiva” modifichi il suo
oggetto piuttosto di misurarlo con esattezza è il fatto può talvolta accadere che
la valutazione didattica, specie nella scuola d’infanzia, venga confusa con
quella neuropsicologica
(http://www.cafepedagogique.net/lexpresso/Pages/2010/05/Boisseau_Evaluati
onLangage.aspx), in cui si afferma con chiarezza che i risultati delle valutazioni
sul linguaggio non rivelano l’efficacia della didattica né, tanto meno, le capacità
dei bambini quanto la differenza tra ambienti che favoriscono lo sviluppo di un
linguaggio complesso e quelli che, invece, non lo favoriscono.
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Si tratta della (ri)affermazione di un principio basilare: il contesto
socioculturale dal quale si proviene influenza qualsiasi valutazione sedicente
“oggettiva”. A questo proposito, potrebbe essere interessante riprendere un
articolo pubblicato dal Times Educational Supplement e già recensito nel
giugno 2011 dal nostro sito
(http://www.infanziaineuropa.eu/index.phtml?id=404) nel quale si discuteva la
scelta del Governo inglese di azzerare l’importanza dei fattori socioeconomici
nella valutazione degli alunni.
Un’ulteriore affermazione che viene - erroneamente - ritenuta indiscutibile è
che la valutazione permetta di comparare le scuole. Tale affermazione viene
ironicamente smantellata da Nick Morrison nell’articolo Gove compare
comparso nel Times Educational Supplement del 17 giugno 2011) che analizza
le tabelle pubblicate dal Ministero dell’Istruzione con le quali ci si proponeva di
«creare l’equivalente, per l’educazione, dei siti attraverso i quali i consumatori
paragonano i prezzi». Nell’articolo vengono riportati alcuni esempi di
imparagonabilità dei diversi istituti.
Valga, a titolo di esempio, il calcolo del parametro legato alla frequenza degli
alunni: due scuole di uguale struttura avevano un tasso di frequenza molto
diverso. Era facile dedurne che quella col tasso maggiore fosse “migliore” sotto
questo aspetto. Un’occhiata al contesto ha fatto facilmente notare che la scuola
col tasso di frequenza più basso si trovava in una grande città dove gli alunni
potevano risiedere anche molto lontano dalla scuola, la seconda in un paese
molto più piccolo dove il tutor degli alunni, in caso di assenze ripetute o
prolungate, non aveva che da attraversare una strada per raggiungere la
famiglia degli alunni e sincerarsi dei motivi dell’assenza.
Il contesto – potremmo dire – “conta”, anche se è difficile “contarlo”.
Focalizzare l’attenzione solo su un fattore (sia esso il rendimento, il processo
educativo-didattico, il rapporto fra denaro investito e obiettivi raggiunti)
significa dare vita a interpretazioni devianti che non possono che portare
all’espulsione del fattore “debole” (l’alunno che non impara, l’insegnante che
“non rende”, il dirigente scolastico che “spende troppo”).
Dalla valutazione oggettiva all’allontanamento delle persone che “abbassano la
media”: questo è ciò che si intende con l’espressione “la costante macabra”.
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