speciale pesca

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ANNO XLVII - N. 284
martedi' 21 settembre 2010
SPECIALE PESCA
L'Economia e la politica della pesca nel mondo
FRANCIA: LA PESCA D'ALTO MARE SFUGGE
AL DIVIETO - "OUEST FRANCE"
17 settembre 2010 - La missione "Pesca d'altura" presieduta dal deputato dell'UMP della LoiraAtlatnica, Philippe Boennec, non e' stata semplice. Dal novembre 2009, ci sono volute non meno
di sedici riunioni, spesso burrascose, prima che un parere potesse essere emesso.
Sono stati considerati tre scenari: il primo prevede il fermo pesca d'altura, il secondo propone lo
status quo e il terzo considera la revisione e il miglioramento del quadro attuale.
"Alla conclusione dei lavori, i vari colleghi della missione (eccetto il collega delle ONG, favorevole
al primo scenario) si sono pronunciati a favore della terza opzione", ha detto l'eletto dell'UMP.
Il divieto, tanto temuto dai pescatori, non e' stato considerato. Il sollievo degli uni e' uguale alla
furia degli altri. Le associazioni ecologiste (WWF, Greenpeace, Bloom, Fondation Nicolas Hulot)
parlano sin dall'inizio "di menzogne e distruzione degli ecosistemi dei fondali marini".
Una controperizia al rapporto della missione Boennec sarebbe stata richiesta. "Lo scenario
considerato propone di mettere in pratica l'approccio ecosistema cercando di conciliare la
conservazione e lo sfruttamento. Cio' comporta lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e la
formazione dei marinai. Si raccomanda anche un significativo miglioramento delle procedure per
ridurre l'impatto ambientale", spiega Philippe Boennec. Inoltre, le zone di cattura (Atlantico nordorientale e mari australi) non potranno essere estese, salvo accordo preventivo degli scienziati.
La parola e' ora al governo. Si puo' ipotizzare che il parere della missione servira' come base per
le discussioni sulla revisione del regolamento comunitario di accesso alla pesca d'altura a inizio
2011. In Francia questo tipo di pesca riguarda 17 pescherecci da 40 a 50 metri e una ventina da
30 a 50 metri. Catturano ogni anno 34.000 tonnellate, di cui 19.000 tonnellate di pesce di mari
profondi (pesci granatieri o spada neri…) fino a 1.500 metri. Concarneau, Loreint e Boulogne-surMer sono i porti piu' interessati a questa pesca che impiega 900 marinai e 140 dipendenti a terra.
[Jean-Pierre Buisson, quotidiano - a cura di agra press]
CANADA: I PESCI MUTANTI E IL MONITORAGGIO DELLE
SABBIE BITUMINOSE – "THEGLOBEANDMAIL.COM"
17 settembre 2010 – I pesci non si possono proprio guardare. Un pesce bianco ha un tumore
delle dimensioni di una pallina da golf che sporge da un fianco. Ad un altro manca parte della
spina dorsale, e la coda e' attaccata ad una parte posteriore tozza.
Uno non ha il muso. Un altro e' colorato di un rosso sgargiante, invece che di una tonalita'
crema. Alcuni sono coperti da lesioni, e altri ancora sono come piegati e storpiati da vertebre
deformi.
Tutti questi esemplari sono stati catturati nel lago Athabasca, a valle delle sabbie bituminose
della provincia dell'Alberta, e sono stati esposti giovedi'. Secondo un gruppo di scienziati e di
aborigeni, costituiscono dei validi motivi perche' il governo federale conduca uno studio
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indipendente su quanto sta accadendo nelle acque del fiume Athabasca, dopo decenni di
espansione industriale.
"Molta gente ha paura a mangiare il pesce del lago", ha dichiarato Robert Grandjambe di Fort
Chipewyan, che si trova a valle delle sabbie petrolifere. "E' arrivato il momento di effettuare un
adeguato monitoraggio".
Importanti scienziati, due medici, cinque leader, ex e nuovi, del First Nations, un membro locale
del parlamento, il sindaco della municipalita' di Wood Buffalo, che comprende Fort McMurray, e
altri residenti dell'area, tutti, sostengono la lettera inviata, giovedi', al primo ministro, Stephen
Harper, nella quale si richiede espressamente che venga effettuato questo studio.
I pesci non rientrano in nessuno studio scientifico formale. Ma i pescatori locali sostengono che il
numero di catture di esemplari deformi sia in crescita.
"Non ho mai visto un pesce deforme, neanche nella mia gioventu'", ha spiegato Grandjambe.
Anche gli studi che collegano l'industria petrolifera e i crescenti livelli di agenti contaminanti sono
in aumento.
"Spero che il primo ministro ascolti le nostre richieste, e che alcuni degli altri politici coinvolti si
convinca della bonta' di questi dati", ha ripetuto David Schindler, biologo dell'Universita' di
Alberta, che ha pubblicato un paio di questi studi. "Siamo riusciti a riunire tutti questi studi
suggestivi in un lavoro unico che documenta ... un possibile collegamento tra la salute dei pesci e
la salute umana".
Giovedi', Jim Prentice, ministro federale dell'Ambiente, ha dichiarato alla stazione radio CHQR di
essere, attualmente, impegnato nella valutazione delle richieste e di essersi incontrato con
Schindler per discutere dell'argomento.
Prentice ha reso noto, inoltre, che il ministero sta sperimentando un nuovo macchinario in grado
di determinare se le sostanze siano presenti in natura, o provengano dalle sabbie bituminose.
Schindler ha sottolineato come i problemi con il pesce siano iniziati negli anni ottanta.
Uno studio del 1996 sui bacini idrografici settentrionali aveva richiesto un esame specifico sugli
agenti contaminanti e la salute.
"Nulla e' mai stato fatto".
Nel 2007, il Ministero dell'Ambiente ha completato un lavoro che rilevava alti livelli di deformita'
negli embrioni dei pesci esposti alle sabbie petrolifere. Nel 2008, lo stesso Schindler ha svolto
una ricerca che ha portato alla pubblicazione di due studi, che mostravano come i livelli di
idrocarburi – alcuni cancerogeni – e di metalli pesanti tossici, come mercurio e piombo, fossero
entrambi in crescita e legati al settore industriale.
Quello stesso anno, uno studio per il Canadian Council for Ministries of the Environment e' giunto
alla conclusione che il 12% del suolo forestale della provincia dell'Alberta aveva raggiunto il limite
di acido che poteva contenere, probabilmente a causa delle sabbie bituminose.
Schindler si e' detto "molto fiducioso" del fatto che gli esemplari esposti giovedi', tutti catturati da
pescatori locali, possano dimostrare che il numero di malformazioni e' in aumento.
Il governo dell'Alberta monitora le condizioni ambientali, soprattutto attraverso le informazioni
fornite da imprese, ma Schindler sostiene che il programma della provincia manchi di trasparenza
e di credibilita'.
"Qualsiasi programma che non e' in grado di rilevare centinaia di chilogrammi di sostanze
inquinanti rilasciate nell'atmosfera e' un programma incompetente".
Grandjambe concorda sul fatto che sia giunto il momento che il governo dell'Alberta si faccia da
parte e lasci lavorare Ottawa. [Bob Weber, portale – a cura di agra press]
CANADA: GLI STOCK DI MERLUZZO DEI GRANDI BANCHI DI
TERRANOVA IN CRESCITA DEL 69% DAL 2007 – "CBC.CA"
16 settembre 2010 – Gli ultimi dati sull'attivita' ittica mostrano una ripresa degli stock di merluzzo
dei Grandi Banchi di Terranova.
Dal 2007, la popolazione di merluzzo degli altopiani sottomarini a sudest di Terranova e' cresciuta
del 69%. Tuttavia, la loro consistenza numerica continua ad essere solo un decimo rispetto a
quella degli anni sessanta, secondo quanto dichiarato dal World Wildlife Fund Canada, giovedi'.
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"Sebbene gli stock di questo tipo di merluzzo siano ancora vicini ai minimi storici, un aumento
significativo del numero dei pesci che depongono le uova rappresenta una buona notizia per il
futuro di quella che, una volta, era la maggiore attivita' ittica", ha confermato il gruppo
ambientalista, in una dichiarazione che accompagna la presentazione in anteprima del rapporto
del comitato scientifico della Northwest Atlantic Fisheries Organization.
Tuttavia, il WWF-Canada ha avvertito che, perche' la ripresa possa continuare, l'organizzazione
ittica, conosciuta anche come NAFO, debba assumersi, a margine della prossima riunione
annuale, in programma questo mese, un impegno formale per la ricostituzione degli stock di
merluzzo. L'organizzazione intergovernativa si riunira' ad Halifax, dal 20 al 24 settembre.
"Cio' di cui hanno bisogno e' di avere un piano per la ricostituzione del merluzzo", ha confermato
Robert Rangeley, vicepresidente del WWF-Canada per la regione atlantica. "La questione e' tutta
qui".
Una moratoria sulla pesca del merluzzo dei Grandi Banchi e' stata imposta nel 1994, due anni
dopo la moratoria sulla pesca del merluzzo atlantico, una diversa specie che vive poco piu' a
nord.
Il World Wildlife Fund ha sottolineato come il Canada abbia fatto un lavoro eccezionale, riuscendo
a non superare i limiti volontari concernenti il numero di merluzzi catturati accidentalmente mentre
si e' intenti a pescare altre specie.
L'organizzazione ha, poi, ripetuto che i pescherecci dell'Unione Europea continuano a superare i
limiti, e che questo approccio "accidentalmente-voluto" continua a minacciare la ricostituzione
degli stock di merluzzo.
Il gruppo ambientalista vuole che i limiti concernenti le catture accidentali vengano abbassati e
fatti rispettare. Rangely sollecita la definizione di disposizioni normative che impongano ai
pescherecci di adottare azioni specifiche quando sono prossimi al superamento dei limiti fissati,
come, ad esempio, evitare una certa area per il resto della stagione. [portale – a cura di agra
press]
FRANCIA: QUANDO L'INDUSTRIA DELLA PESCA
CANCELLA LE ETICHETTE - "LE POINT"
9 settembre 2010 - In fondo, cosa sapete di questa sogliola che vi fissa da un occhio tondo?
Se l'avete acquistata in Francia, avete la possibilita' di sapere come e dove e' stata pescata, se
conoscete, in piu', il suo nome di battesimo latino.
A condizione di andare a cercarlo direttamente a Rungis: quando il pesce e' venduto al dettaglio,
le informazioni diventano nettamente piu' ellittiche. E' anche possibile che non sia la sogliola che
finisce nel vostro piatto. E negli Stati Uniti, questo rischio aumenta ancora.
Per errori o deliberate manipolazioni, un pesce su tre, oltre Atlantico, e' venduto con un'etichetta
sbagliata, affermarono nel 2007 Daniel Pauly e Jennifer L. Jacquet, ricercatori di fama mondiale
del Fisheries Center dell'Universita' della Colombia britannica. Con conseguenze gravi.
Economiche innanzitutto: le etichette contraffatte permettono di moltiplicare il prezzo di vendita.
Ecologiche, quindi, poiche' pesci protetti possono essere commercializzati sotto falso nome.
Sanitarie, infine: i ricercatori citano l'esempio di persone intossicate a Chicago dalla tetrodotoxina
di un "pesce palla", venduto col nome di pesce rospo… Inquietante, dunque. Altrettanto che,
"dopo tre anni, la situazione non e' cambiata", afferma oggi Daniel Pauly.
L'Europa non e' da meno.
La legislazione europea difende il Vecchio Continente da queste etichettature cancellate?
Il responsabile oceani di Greenpeace France, Emmanuel Buovolo, si riconosce pessimista. "La
regolamentazione qui prevede che siano menzionati i nomi comuni, la zona di pesca come la
delimita la Fao e se il pesce e' stato allevato o pescato. Ma non e' obbligatorio dimostrare questi
dettagli lungo tutto il processo che va fino al consumatore. In generale, sono riservate alle
cassette dei grossisti". Una volta i filetti allineati sugli scaffali o sui banchi, e' un'altra storia.
Esempio: la Francia, con altri paese dell'Europa del Sud, e' un mercato chiave per il
"saumonette". Un nome poetico che ricorda la carne rosa e tenera del salmone, ma che in realta'
corrisponde allo squalo, pelato e preparato, una specie dei grandi fondali marini che fatica a
riprodursi!
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E anche un sistema scrupoloso di etichettatura non elimina le confusioni. La Fao include anche
nella stessa zona – la n. 27, "Atlantico del nord-est" – i mari che si estendono dal sud del
Portogallo fino alla Norvegia. Vasto, troppo vasto, secondo Greenpeace. Il merluzzo, per
esempio, che si trova dappertutto, sara' venduto allo stesso modo se proviene dalla Norvegia,
dove abbonda, o dalla Manica, dove fatica a riprodursi, spiega Emmanuel Buovolo.
Qual e' la percentuale di etichette false in Francia? 38%, stima "60 milioni di consumatori", in un
numero speciale di luglio-agosto 2010. Fanny Guilbert e Robert Victoria, che hanno realizzato
l'inchiesta sugli scaffali, precisano, sicuri, di aver selezionato "le specie per le quali i rischi di
frode sono conosciuti" e spiegano che a volte gli errori sono commessi involontariamente: ultimo
animale selvaggio consumato, il pesce e' spesso erroneamente identificato, e le reti di vendita
facilitano gli errori. Una ragione di piu', stima Greenpeace, per incoraggiare una maggiore
regolamentazione e un lavoro di informazione per i consumatori.
Per ora, niente di cui vantarsi. Tanto piu' che le cose si stanno verificando nella giungla delle
etichette: il marchio MSC (Marine Stewardship Council), creato nel 1997 da Unilevere e WWF per
certificare la pesca "sostenibile", e' messo in discussione da Daniel Pauly e alcuni tra i suoi
colleghi piu' importanti. In un articolo pubblicato il 2 settembre sulle colonne dell'"Opinione" della
rivista Nature, lo accusano di utilizzare criteri di certificazione troppo ampi per essere
soddisfacenti.
Il piccolo pesce azzurro censito per garantire il rinnovo della specie, la conservazione
dell'ecosistema e la tracciabilita', ha un grande successo: centinaia di pesche nel mondo si
impegnano nella certificazione. Ma, la legge del mercato comanda, vanno opponendosi,
affermano i ricercatori, sui prodotti della pesca che utilizzano reti da traino dannose per i fondali
marini, commercializzano specie ancora poco conosciuto o esplorano mari incontaminati.
Il MSC nega pero' di avere venduto l'anima all'industria della pesca. "Una valutazione che va da
12 a 18 mesi. Viene effettuata pubblicamente, affinche' tutti possano contribuire al lavoro della
societa' incaricata. Ed esiste sempre un rapporto intermedio, sottoposto ad altri studiosi",
precisano Anyes Estay e Edouard Le Bart, dell'ufficio francese. "Certamente vanno fatti dei
progressi, ma attualmente il marchio MSC e' il migliore per la pesca", assicura il WWF. Salvo che
non si scontri con critici piu' forti. "Speriamo che altre voci si aggiungano alla nostra per chiedere
una riforma di questa certificazione", dice Daniel Pauly.
Ma poter mangiare pesce senza un'ombra di dubbio non succedera' domani. [quotidiano - a cura
di agra press]
FRANCIA: LE ECO-ETICHETTE NON GARANTIRANNO
CONTRO LA PESCA INTENSIVA - "LE FIGARO"
3 settembre 2010 - Sta diventando sempre piu' difficile acquistare del pesce senza domandarsi
se non si partecipa, senza saperlo, al saccheggio dei mari.
Un gruppo di oceanografi contesta in effetti l'efficacia del principio dell'eco-marchio dei prodotti
del mare – il MSC (Marine Stewardship Council). In una rubrica pubblicata giovedi' dalla rivista
scientifica Nature questa organizzazione si deve riformare se vuole promuovere e garantire una
pesca realmente duratura. E' la prima volta che la piccola etichetta ovale e blu e' contestata in
modo cosi' radicale.
Il marchio MSC e' molto presente nell'Europa del Nord e nei paesi anglosassoni dove e'
distribuito da molte catene della grande distribuzione.
In Francia si trova su alcune confezioni di pesce surgelato ma ancora raramente sulle etichette di
pesce fresco. Due pescherie francesi sono state certificate quest'anno: quella del luogo nero
dell'armamento Euronor e quella della sardina di Bolinche di Bretagne Sud. Altre tre sono in
corso di valutazione.
MSC e' stato creato nel 1997 dalla societa' Unilever e dal WWF (Fondo mondiale per la natura)
per la lotta contro la pesca intensiva.
Quattro criteri sono stati considerati: qualsiasi pesca certificata deve assicurare la continuita'
dell'attivita' e non puo' sovrasfrutture le risorse; deve preservare la produttivita' e la diversita'
dell'ecosistema dal quale dipende; deve rispettare tutte le regole e infine, assicurare la
tracciabilita' "dal peschereccio al piatto".
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Il MSC e' fondato sul codice di condotta per una pesca responsabile della FAO (Organizzazione
delle Nazioni unite per l'alimentazione e l'agricoltura).
Dopo il debutto, questa organizzazione vede nel mercato e nell'etichettatura ecologica una delle
leve suscettibili per impedire la pesca intensiva.
Il MSC e' oggi e da tempo il primo eco-marchio dei prodotti del mare a livello planetario. Nel
2010, 94 attivita' di pesca di quattordici paesi differenti sono stati certificati, il che rappresenta in
tutto il 7% della pesca mondiale. La crescita della sua potenza e' estremamente rapida: un
centinaio di attivita' di pesca hanno presentato la loro candidatura e sono in corso di valutazione
"In due anni, MSC coprira' un decimo della pesca mondiale e avra' nella sua tavolozza quasi la
totalita' degli spazi pescati in tutti i mari del globo, spiega Ste'phan Beaucher, consulente.
Ha soppiantato gli altri tentativi di etichettatura e sta per essere integrato con attivita' di pesca che
sono lontano dall'essere esemplari costringendole a cambiare le pratiche.
E' una trappola per MSC che si trova preso tra le sue contrazioni di crescita e l'etica che difende".
I firmatari della rubrica non dicono altro. La loro presa di posizione segna un capovolgimento
totale poiche', alla partenza, scienziati e ONG sono stati i piu' ardenti sostenitori de MSC. Ora,
sono loro che si dimostrano anche i piu' critici. Denunciano, per esempio, il fatto che la pesca del
merluzzo dell'Alaska nel distretto di Bering (1 milione di tonnellate l'anno) beneficia sin dal 2005
del marchio mentre le sue popolazioni stanno per crollare. Stessa cosa per la pesca del merluzzo
del Pacifico, certificato lo scorso anno anche se la specie e' in caduta libera dell'89% in rapporto
agli anni 1980.
Il fatto che MSC comincia a certificare la pesca nell'Antartico suscita anche molte reticenze.
Ugualmente l'utilizzo di apparecchiature per la pesca cosi' distruttive come la rete a strascico in
attivita' di pesca certificata appare inammissibile agli scienziati. Questo il motivo per cui chiedono
una riforma dell'organizzazione con piu' rappresentanti del mondo scientifico e dei paesi del Sud.
MSC riceve ogni anno circa 10 milioni di euro in donazioni.
"Se MSC non si riforma, ci sono dei mezzi piu' efficaci per proteggere gli oceani come chiedere il
blocco delle sovvenzioni alla pesca e l'istituzione di arre marine protette", ipotizza Jennifer
Jacquet, dell'Universita' di Vancouver (Canada). Molto preoccupata dagli intrecci delle etichette
nel settore della pesca, ha recentemente pubblicato con un collega, Daniel Pauly, uno studio che
dimostra che negli Stati Uniti, un terzo delle specie di pesci e' commercializzato sotto nomi falsi
(Polizia della Marina, maggio 2008)
Pratiche ricorrenti anche in Europa, che sfuggono al controllo della maggior parte dei
consumatori. [quotidiano - a cura di agra press]
NAMIBIA: LA PESCA AFRICANA DEVE FARE I CONTI CON
MINACCE E OPPORTUNITA' – "NEWERA.COM.NA"
3 settembre 2010 – I settori della pesca e dell'acquacoltura sono fondamentali per la
sopravvivenza di milioni di individui in Africa, ma la risorsa e' minacciata, e la regione dovrebbe
sfruttare le possibilita' offerte dal mercato.
Il settore della pesca africana, come qualsiasi altro settore primario, e' minacciato dal
cambiamento climatico, con prove crescenti che il clima terrestre stia cambiando ad una velocita'
mai vista prima.
Si prevede che, entro il 2050, la temperatura della terra aumentera' di 1,5 gradi Celsius,
fenomeno, questo, che potrebbe avere effetti devastanti sull'ambiente e sulle risorse che
sostengono la vita.
Si e' constatato che l'impatto del cambiamento climatico sulla pesca e sull'acquacoltura e' di
ampia portata. Influenzera' le correnti oceaniche, e determinera' l'innalzamento dei livelli dei mari
e l'intensificazione delle tempeste; avra' un impatto sulle precipitazioni atmosferiche, lo
scorrimento dei fiumi, e conseguentemente sul livello dei laghi. Portera', inoltre, all'acidificazione
delle risorse idriche, alla calcificazione e allo sbiancamento dei coralli.
Avra', poi, un impatto sulla composizione delle specie ittiche, e potra' portare ad una rapida ed
estesa diffusione delle malattie.
Si dice che l'Africa sia piu' vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico, e si prevede che le
aziende ittiche africane saranno colpite piu' duramente.
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Tabeth Matiza Chiuta, direttore regionale del WorldFish Centre in Africa, ha sottolineato come il
cambiamento climatico sfidi la sostenibilita' della pesca e dell'acquacoltura, e colpisca la
sicurezza alimentare, la capacita' di sostentamento e lo sviluppo economico.
Gli esperti del Food, Agriculture and Nature Resources Policy Analysis Network (FANRPAN),
hanno dichiarato che la risorsa della pesca, come qualsiasi altra risorsa naturale, dovrebbe
essere attentamente studiata e preservata per i posteri, anche in virtu' della sua posizione
centrale nella sopravvivenza alimentare dell'Africa e per la sua importanza economica.
Gli stock ittici dell'Africa, sia d'acqua dolce, sia d'acqua salata, sono in declino.
La fornitura di pesce pro capite e' in calo a causa della crescente domanda, e dell'aumento della
pesca illegale da parte di navi straniere che minacciano la sopravvivenza di milioni di individui in
Africa.
Quasi 200 milioni di persone in Africa dipendono dalla pesca per la sicurezza alimentare. Circa
10 milioni di famiglie africane sono coinvolte in attivita' di pesca su piccola scala, e pescano per il
proprio sostentamento.
I pesci e le risorse marine rimangono una fonte principale di proteine di origine
animale. L'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO) ha
calcolato che il pesce fresco, essiccato, salato o in polvere fornisce circa il 22% delle proteine
consumate.
Circa il 15% della forza lavoro del continente viene, direttamente o indirettamente, impiegato nel
settore ittico.
Una delle fonti principali di valuta estera e' ascrivibile alle esportazioni di pesce. Si calcola che il
valore annuo delle esportazioni sia pari a circa 2,7 miliardi di dollari.
Chiuta ha ricordato come il settore della pesca in Africa possa contribuire a circa il 6% della
crescita economica annua del continente.
Eppure, ha detto, l'Africa ha una bassa capacita' di adattamento per affrontare questa sfida, a
causa della carenza di informazioni, tecnologia, competenze e risorse economiche.
Ha aggiunto che le limitate risorse puntano a costruire una sorta di resistenza alla crescenti sfide,
e che il settore della pesca non e' preso sufficientemente in considerazione nelle strategie di
pianificazione regionale e nazionale.
Vi sono, tuttavia, alcune iniziative promosse a livello continentale, e nell'ultima riunione del
FANRPAN, a Windhoek, si e' sottolineato come la strategia ittica del Mercato Comune dell'Africa
Orientale e Meridionale (COMESA) dia priorita' agli interventi destinati ai settori dell'acquacoltura,
della pesca nelle acque interne e della pesca marittima.
Questi interventi riguardano il commercio e l'accesso al mercato, la diffusione della tecnologia e
la ricerca, le disposizioni normative e regolamentari, la gestione delle attivita' di pesca
transfrontaliere, e cosi' via.
Questa strategia punta, inoltre, ad accrescere e sostenere i contributi apportati dalla pesca e
dall'acquacoltura allo sviluppo socio-economico e alla sicurezza alimentare della regione.
Uno dei settori della strategia e' il commercio intra-regionale del pesce e dei prodotti ittici.
Satish Hanoomanjee, dell'Infopeche Unit in Sud Africa (INFOSA), ha detto che il potenziale e'
enorme, con una popolazione regionale di 234 milioni di persone, e un prodotto interno lordo
(PIL), nel 2005, pari a 737 miliardi di dollari americani.
La regione dell'Africa meridionale e' considerata la piu' ricca dell'Africa in termini economici, ha
detto Hanoomanjee.
Il prodotto nazionale lordo pro capite della regione e' di 3.152 dollari, e ha tre paesi meno
sviluppati.
La produzione ittica annua della regione e' pari a 2,77 milioni di tonnellate, che rappresenta il 2%
della produzione globale, e l'1,7% del totale scambiato.
Nel 2008, la produzione mondiale e' stata di 141,6 milioni di tonnellate, di cui 51,6 milioni di
tonnellate – o il 36,5% – costituito da prodotti d'acquacoltura.
Si stima che, nel 2008, il valore commerciale dei prodotti ittici sia stato leggermente superiore a
100 miliardi di dollari.
La Namibia e' "di gran lunga" il principale esportatore di prodotti ittici della regione SADC in
termini di volume; rappresenta il 48%, seguita dal Sud Africa con il 26%.
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Hanoomanjee ha detto che questo e' comprensibile considerando il fatto che la Namibia e' la
maggiore nazione ittica della regione e che circa il 90% del pesce catturato viene esportato.
Nonostante i continui sforzi profusi dal Ministero della Pesca e delle Risorse Marine, il consumo
di pesce in Namibia rimane molto basso, e si stima che sia pari ad appena il 10% delle catture
totali effettuate ogni anno.
Tutto cio' a differenza di altri paesi, come il Mozambico, le Seychelles, le Mauritius e l'Angola,
dove i mercati interni occupano una quota relativamente elevata della produzione ittica.
Hanoomanjee ha, tuttavia, sottolineato come le esportazioni del Sud Africa siano le maggiori per
valore.
"Mentre la maggior parte delle esportazioni della Namibia consistono in pesce surgelato, il Sud
Africa ha un'importante industria per la lavorazione del pesce ed esporta molti prodotti con valore
aggiunto, soprattutto nella regione [dell'Africa meridionale]", ha spiegato Hanoomanjee.
Negli ultimi anni, anche la Tanzania ha sviluppato la sua attivita' di esportazione basata sulla
pesca del persico del Nilo nel lago Vittoria.
Ciononostante, ha detto Hanoomanjee, il pesce fresco e surgelato rimane di gran lunga il
prodotto piu' comune della regione.
Filetti di nasello fresco e congelato vengono prodotti soprattutto in Namibia e in Sud Africa, e
vengono, in genere, esportati.
Ma, ha spiegato Hanoomanjee, la mancanza di impianti di congelamento e di celle frigorifere ha
richiesto l'utilizzo dei tradizionali metodi di lavorazione, come l'essiccazione al sole e
l'affumicatura, che sono ancora molto diffusi.
Circa l'80% del pesce consumato nei mercati interni viene essiccato e affumicato, un'usanza,
questa, ampiamente praticata in Tanzania, in Zambia e in misura minore, in Mozambico.
Il commercio intra-regionale dei prodotti ittici viene stimato in 170 000 tonnellate, vale a dire, circa
il 6,2% della produzione totale annua.
La Namibia esporta 70.000 tonnellate di sugarello nella Repubblica democratica del Congo.
Hanoomanjee ha sottolineato come il commercio intra-regionale sia spesso a livello informale e
venga esercitato da donne. (…)
Si stima che 170.000 tonnellate di prodotti ittici siano esportati nella regione, vale a dire il 6% dei
2,77 milioni di tonnellate prodotte annualmente.
Gli ostacoli all'ulteriore incremento del commercio ittico intra-regionale sono dati
dall'inadeguatezza delle infrastrutture per volumi commerciali di grosse dimensioni – come mezzi
di trasporto, stoccaggio e distribuzione.
"L'imposizione di elevate tariffe doganali, la mancanza di armonia delle valute, e le angherie
perpetrate da funzionari corrotti, hanno impedito a paesi africani di commerciare tra loro", ha
spiegato Hanoomanjee. (…)
Sono necessari ingenti investimenti per soddisfare i requisiti di qualita' richiesti per poter
esportare in Unione Europea, negli Stati Uniti, e in altri mercati internazionali.
Poi ci sono le opportunita' offerte dalle acque interne, che si stima si estendano per oltre 200.000
chilometri quadrati. Il lago Vittoria, per esempio, e' il secondo lago piu' grande del mondo e si
sviluppa su 68.000 chilometri quadrati.
Nel 2007, in Africa, il 97,8% della produzione totale dell'acquacoltura e' dipeso da questi corpi
d'acqua, ed e' stato pari ad 800.000 tonnellate.
L'acquacoltura marina, ha dichiarato Hanoomanjee, dovrebbe diventare un'importante area di
crescita per il continente africano.
Ha, poi, ricordato il fatto che, nel corso degli ultimi 17 anni, l'acquacoltura in Africa sia cresciuta di
oltre il 15% all'anno.
"L'oceano e' enorme. Copre tre quarti della superficie del pianeta, e dovrebbe, in futuro, diventare
il nostro granaio", ha suggerito. [Catherine Sasman, portale – a cura di agra press]
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