i due lampi di oggi

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giorno sulla torre
n 101128
i due lampi di oggi
1 - Pensionati: uno su due più povero, l'altro aiuta
2 - Una realtà non sempre percepita:le donne a rischio povertà
Ricerche Swg e Censis sugli over 65 www.spi.cgil.it
Pensionati: uno su due più povero, l'altro aiuta
Un pensionato su due vive in condizioni economiche disagiate e per il 32% dei senior italiani l'assegno
dell'Inps non basta ad arrivare a fine mese e per condurre una vecchiaia dignitosa. In 10 anni il quadro è
decisamente cambiato in peggio e il 33% degli over 60 guarda al futuro 'con timore'. È quanto emerge da
una ricerca della Cna sulle condizioni di vita degli anziani realizzata da Swg.
Il dato conferma quanto contenuto anche nel rapporto Censis-Repubblica pubblicato il 22 novembre: su
12 milioni di ultra 65enni, la metà aiuta i figli, ma l’altra metà si rivolge a figli e parenti per un aiuto "La
terza età – spiega il presidente del Censis Giuseppe Roma – è sempre più cerniera distributiva rispetto alla
rete familiare, sia in senso attivo che passivo e subisce quindi un processo di polarizzazione sociale:
crescono sia gli anziani che aiutano i figli (dal 32% al 48%) e nell'altro senso anche quelli che vengono
aiutati da figli e parenti (dal 25% al 47%), evidentemente - spiega Roma - come conseguenze dei tagli alla
spesa sanitaria e sociale". In questo quadro, coloro che non danno e non ricevono aiuti passano dal 42,8%
del 2004 al 5,3% del 2010: dato che evidenzia il ruolo comunque rilevante degli anziani all'interno della
famiglia.
Patologie invalidanti dopo i 70 anni
In Italia un italiano su cinque ha più di 65 anni. Crescono rispetto a otto anni fa tutte le fasce di età: gli
ultrasessantenni del 13%, gli ultra 65enni del 15%, gli ultra 90enni del 12%, e sono raddoppiati i
centenari. Negli ultimi anni è cresciuta l'autonomia degli anziani: oggi l'85,2% sostiene di essere in grado
di fare tutto da solo (erano il 76,6% nel 2002), mentre si è dimezzata la quota dei non autosufficienti
(1,5%). Si è spostata in avanti l'insorgenza di patologie fortemente invalidanti, che si manifestano
soprattutto dopo i 70 anni. Fra gli ultra 80enni si dice non autosufficiente il 4,3%, con una punta rilevante
al sud, dove la non autosufficienza risulta doppia rispetto al centro Italia e cinque volte maggiore rispetto
al nord. In effetti, la ricerca nota che le condizioni di salute della terza età peggiorano molto scendendo
lungo lo stivale, a causa di molteplici fattori: stili di vita, organizzazione sanitaria, presidi territoriali e
forse anche una diversa percezione personale della malattia. Gli anziani che definiscono il proprio stato
di salute come insoddisfacente o pessimo sono il 16% circa al nord, il 22% al centro e il 30% nel sud e
Isole.
In particolare, gli stili di vita hanno subito nell'ultimo decennio una vera e propria rivoluzione: si sono
raddoppiati gli anziani che camminano facendo lunghe passeggiate o che praticano un'attività sportiva
(erano il 21% nel 2002, sono il 53,9% oggi: più di uno su due) e cresce anche il numero di chi presta
attenzione alla propria dieta e alla qualità del cibo (il 31,5% – rispetto al 15,3% del 2002 – cerca di
mangiare prodotti provenienti da agricoltura biologica senza l'uso di pesticidi e sostanze chimiche). Il
23,2% segue una dieta (+10% circa) e quasi uno su tre (30,3%) cerca di trascorrere brevi periodi di
vacanza nel corso dell'anno oltre a quelli estivi.
(25.11.2010)
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Una realtà non sempre percepita:le donne a rischio povertà
di Elena Morlicchio www.nelmerito.it
26 novembre 2010
Quante sono le donne povere in Italia e quante di queste donne sono le uniche responsabili della
riproduzione familiare in quanto “madri sole”?
Difficile dirlo, dal momento che le statistiche ufficiali sulla povertà fanno riferimento principalmente a
tipi di famiglie distinte per condizione socio-anagrafica (famiglie di anziani soli, famiglie con minori etc)
piuttosto che per genere del capofamiglia. Per non parlare della difficoltà di stimare il reddito individuale
partendo da quello familiare, problema che emerge in tutta la sua rilevanza quando, in caso di separazione
o divorzio, si manifestano gli effetti della dipendenza delle donne dal reddito del marito in termini di
rischi di impoverimento.
A questa carenza di informazioni ha posto un parziale rimedio un recente e utilissimo Rapporto di Save
the Children su “Le condizioni di povertà tra le madri in Italia”, basato su elaborazioni secondarie dei dati
dell’Istat. Esso documenta come in Italia, così come altrove, le sole sperimentano in forme più acute la
povertà in quanto uniche o principali procacciatrici di reddito e fornitrici di lavoro di cura. Più in dettaglio
fra le madri in coppia con un bambino piccolo il 19% non ha soldi sufficienti per far fronte alle spese del
mese, il 16% ha pagato in ritardo almeno una bolletta, il 10% non è stato in grado di sostenere con
regolarità le spese scolastiche dei figli; il 5% non ha potuto acquistare generi alimentari. Le difficoltà
economiche aumentano quando si tratta di una madre sola con almeno un figlio minore: circa la metà
arriva a fine mese “con molta difficoltà”, un terzo è in arretrato con le bollette, un quarto non ha avuto
soldi per le spese mediche o scolastiche. Se poi alla condizione di madre sola si somma quella di
immigrata il rischio di impoverimento è ancora più alto. Le madri sole immigrate infatti, a differenza di
quelle italiane, possono contare su reti sociali meno diversificate, per il tipo di mansioni che svolgono
(lavoro domestico “giorno e notte”, assistenza a anziani o bambini ecc.) non possono prendersi cura dei
propri figli, se perdono il lavoro hanno difficoltà a rinnovare il permesso di soggiorno poiché la
condizione di regolarità è subordinata all’esistenza di un rapporto di lavoro. L’inasprimento della
normativa, sempre più sbilanciata sul piano dell’ordine pubblico, rende infatti ancora più vulnerabili
queste donne.
Fin qui per quel che riguarda le madri sole. Ma anche le donne che vivono in coppia vanno incontro a
rischi elevati di impoverimento, soprattutto se risiedono nel Mezzogiorno, hanno tre o più figli, e/o
condividono l’abitazione con altri soggetti (spesso figli adulti sposati o genitori anziani). Il già citato
rapporto di Save the children osserva come l’incidenza della povertà delle madri che vivono in famiglie
“con membri aggregati” (ovvero in famiglie dove oltre al nucleo centrale sono presenti anche altri
componenti) nel Mezzogiorno è pari al 35% (a fronte del 13% del Centro-nord): una percentuale
sensibilmente più alta di quella fatta registrare dalle madri sole e dalle donne coniugate con figli, residenti
nella stessa area. Le responsabilità derivanti dal sovraccarico familiare giocano dunque un ruolo
specifico nell’esporre le donne meridionali al rischio di povertà. Sono loro infatti che gestiscono magri
bilanci familiari e che decidono cosa si compra al mercato e cosa no, quali bollette occorre pagare e quali
posso aspettare, come si ridistribuiscono i soldi della pensione del nonno o il salario – quasi sempre al
nero - del figlio maggiore. Ma questo potere di scelta e di azione circa la destinazione dei beni appare più
come un effetto di un processo di interiorizzazione di obblighi familiari, che le porta “spontaneamente” a
garantire stabilità e continuità ad una riproduzione quotidiana assolutamente difficoltosa, che come vero
potere di decisione. Non a caso al termine “femminilizzazione della povertà” - nato negli Stati Uniti per
indicare il processo di aumento della presenza di madri sole tra le famiglie povere - la ricerca femminista
tende oggi a preferire quello di “femminilizzazione della sopravvivenza” che designa un fenomeno
alquanto diverso, rilevante soprattutto nei paesi del Sud del Mondo: la crescente responsabilità che ricade
sulle donne nell’assicurare la sopravvivenza familiare nel quadro della mutate condizioni di riproduzione
sociale sul piano globale.
Ma torniamo all’Italia e alle condizioni di inserimento – o di mancato inserimento –nel mercato del
lavoro che sono all’origine della incapacità delle donne di produrre reddito per sé e per gli altri. L’Italia
ha, come è noto, il tasso di occupazione femminile più basso in Europa dopo Malta: 46,4%. Tra le donne
meridionali con il solo titolo di studio dell’obbligo esso risulta appena di poco superiore al 20%.
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