allarme per le viti transgeniche : quanto c`è di vero

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allarme per le viti transgeniche : quanto c`è di vero
ALLARME PER LE VITI TRANSGENICHE : QUANTO C’È DI VERO ?
di Mario Fregon
Anno 2001 n.
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er comprendere l’importanza scientifica dell’argomento, sfrondato dall’empirismo e
dall’ipersensibilità emotiva, occorre richiamare che la Vitis vinifera, che si c oltiva in
tutto il mondo su circa 8 milioni di ettari, deriva dalla Vitis silvestris (selvatica);
questa è dioica ossia ha fiori maschili e femminili su piante distinte, mentre le varietà di
Vinifera attualmente coltivate sono a fiori aventi sessi uniti nello stesso fiore (ermafroditi). Le nostre viti sono pertanto frutto di mutazioni genetiche. Altrettanto si può rammentare che la struttura attuale di 38 cromosomi deriva dalla moltiplicazione di un patrimonio
base di 7 cromosomi, a cui si sono aggiunti altri cromosomi, per cui la nostra vite è da
considerarsi un poliploide. Le varietà oggi colt ivate sono il risultato di incroci spontanei
(es. il Cabernet Sauvignon deriva dal Cabernet franc nero x Sauvignon bianco) o di incroci artificiali (es. l’uva da tavola Italia deriva da Bicane x Moscato d’Amburgo). A Piacenza
abbiamo incrociato il Barbera e la Bonarda per ottenere un vitigno che darà il Gutturnio
con una sola varietà anziché con i due genitori, come avviene attualmente. Gli esempi di
incroci sono numerosissimi. Così dicasi per i cloni che noi abbiamo selezionato in tutto il
mondo per migliaia di varietà di Vinifera, frutto di mutazioni genetiche naturali od indotte
artificialmente. Ad esempio il Pinot nero ha dato origine al Pinot grigio, al Pinot bianco, al
Pinot verde. Le mutazioni genetiche dei caratteri morfologici (grossezza del grappolo e
dell’acino, ecc.), e dei caratteri qualitativi (zuccheri, aromi, ecc.) sono all’ordine del giorno. Chi scrive ha selezionato e clonato una Malvasia rosa ed una Malvasia grigia provenienti da mutazioni genetiche della Malvasia bianca di Candia aromatica e le due nuove
varietà sono ben diverse dalla madre, soprattutto come caratteri qualitativi, migliori s econdo i consumatori.
In sostanza possiamo affermare che da millenni in natura si formano OGM di vite sui
quali si applica la clonazione come forma di propagazione (ossia la moltiplicazione per talea e per innesto di gemme, prelevate da incroci o da cloni). Il miglioramento qualitativo
è stato sempre ottenuto provocando variazioni genetiche ereditarie.
La crisi fillosserica
L’avvento della fillossera (insetto che attacca le radici) ha cambiato la nostra vite, che
prima viveva su radici proprie mentre ora possiede radici americane. La vite è bimembre,
vale a dire è composta da due individui (uno di Vinifera ed uno di ibridi di viti americane,
il portinnesto). Di per sé si tratta già di un OGM. Ma sorvoliamo. Quando sono state ind ividuate le viti americane resistenti alla fillossera vi furono molti avversari alla loro introduzione in Europa per paura che modificassero la qualità del vino. Addirittura la Francia
approvò un decreto che proibiva l’uso delle viti americane come portinnesti. Dopo oltre un
secolo di uso dei portinnesti americani quel divieto fa sorridere e ricorda molto
l’atteggiamento attuale fondato sull’ostracismo agli OGM. In effetti si è visto che le nostre
varietà innestate sopra le viti americane conservano la loro individualità qualitativa, c osicché il sapore foxy (selvatico) americano non passa nel vino. Dagli innesti di uve aromatiche su viti neutre o non aromatiche e viceversa, si è confermato che l’aroma non passa
all’uva, non riesce a superare l’innesto, che rappresenta una barriera invalicabile per molti composti.
Una prima idea da seguire è pertanto quella di predisporre OGM di viti americane resistenti ai parassiti, perché queste rappresentano solo la parte sotterranea (apparato radicale) delle nostre viti bimembri e non danno grappoli e quindi vino. Non dimentichiamo
che quando le viti erano franche di piede, cioè non avevano radici americane, duravano
oltre un secolo (ve ne sono ancora nel mondo). Oggi le nostre viti durano 20-25 anni! Le
cause sono le malattie dei portinnesti americani, fra le quali i virus (diversi) sono i più
temibili, ma anche i marciumi radicali, i nematodi (alcuni sono vettori dei virus), certe
cocciniglie (Margarodes, ecc.). Ci domandiamo: che problema potrebbero comportare gli
OGM dei portinnesti americani? Modificarli è facile perché con una decina o poco più di
portinnesti si possono accontentare tutte le esigenze del mondo.
Diversa è invece la modifica delle varietà di Vinifera (che danno i grappoli) perché sono
oltre 10.000! Per quanto attiene i portinnesti OGM si deve sottolineare che i composti azotati che possono passare dalle radici ai grappoli non devono preoccupare poiché è praticamente impossibile che si crei un livello di proteine tossiche od allergeniche, in quanto
nell’uva od ancor meno nel vino le proteine sono ridottissime. I vinaccioli (semi) sono pochissimi e non influenzano il bassissimo tasso proteico del vino.
In conclusione, chi scrive, che conosce la situazione mondiale delle ricerche, paventa il
pericolo prossimo dell’importazione dei portinnesti OGM americani dagli USA: la storia si
ripete! Perderemo così il mercato europeo delle barbatelle che rappresenta l’80% di quello mondiale o dovremo pagare royalty ai costitutori americani o di altri Paesi extra comunitari, la cui ricerca sulle resistenze continua.
La nostra vite
La Vitis vinifera possiede migliaia di varietà ed è insuperata dal punto di vista qualitativo,
ma non possiede resistenze genetiche alle malattie ed ai parassiti animali, che invece si
ritrovano nelle viti americane od in quelle asiatiche. Da qui è nata l’idea di ibridare le nostre viti con quelle americane ed asiatiche. Un secolo di tentativi ha dato risultati deludenti, specialmente dal lato qualitativo, in quanto le viti resistenti hanno fornito ibridi che
producono vini cattivi. Sono, infatti, proibiti per la produzione di vino (salvo eccezioni). I
risultati negativi sono dovuti al fatto che nell’ibridazione artificiale si mischiano tutti i geni, sia quelli buoni che quelli cattivi. Si tratta allora di studiare il genoma delle viti (cosa
che si sta facendo) per individuare, sui cromosomi, dove sono collocati i geni che interessano, prelevarli e trasferirli nelle nostre viti (transgeniche), al fine di turbare il meno possibile l’assetto genico delle nostre varietà ed unire qualità e resistenza ai parassiti. Si eviterebbero i numerosi e costosi trattamenti chimici, che oggi facciamo nei vigneti, spesso
pericolosi per l’uomo e l’ambiente.
Gli obiettivi perseguibili più accettabili dai responsabili pubblici riguardano il miglioramento qualitativo delle nostre varietà, ovviamente a cominciare da quelle più coltivate. Per fare alcuni esempi si cita la possibilità di ridurre l’effetto delle polifenolossidasi, enzimi che
determinano l’ossidazione dei vini e quindi l’imbrunimento, la maderizzazione. Sono già
stati individuati e clonati i geni per l’incremento degli antociani (colore) e del resveratrolo
(la stilbene sintasi). E’ già stato individuato e clonato il gene che determina l’apirenia (assenza di semi), molto interessante per le uve da tavola e da essiccare, ma anche per le
uve da vino (di qualità superiore). Si può pensare di ottenere viti di forma eretta (più luce
sulle foglie, meno pali e fili, meno potatura verde) e così via.
Un secondo grande obiettivo inerente la Vitis vinifera riguarda i parassiti. Oltre alle malattie classiche (peronospora, oidio, botrytis), oggi preoccupa moltissimo il Mal dell’Esca,
che provoca la morte di molte viti e contro il quale non abbiamo strumenti di lotta chimica. Analogo discorso si può fare per la flavescenza dorata, dove però esistono trattamenti
contro il vettore (una cicalina). Il cancro batterico della Vinifera, diffuso in molte zone,
può trovare resistenze in altre specie di Vitis. La malattia batterica di Pierce fortunatamente non è ancora giunta in Europa, ma non vi sono trattamenti chimici di lotta. Sono
stati ottenuti ibridi resistenti alla Malattia di Pierce fra la Vitis vinifera e la Vitis Caribaea,
ma la qualità dei vini è assai lontana da quella delle nostre varietà. L’ottenimento della resistenza ai virus (trasmessi dai nematodi e dalle cocciniglie) è possibile ed in corso in alcuni Paesi. Gli obiettivi delle modifiche genetiche sono pertanto molteplici, ma si ritengono fondamentali quelli contro i parassiti e quelli qualitativi.
I Paesi più avanzati nelle ricerche sulle modificazioni genetiche con il transfer di geni sono gli USA, l’Australia ed Israele, nonché alcuni Paesi europei, che è meglio lasciare lavorare in pace. Per quanto attiene i tempi, si ritiene che nel giro di pochi anni potremo disporre di portinnesti transgenici resistenti ai virus, ma anche di uve da tavola di OGM,
mentre il traguardo per le uve da vino transgeniche è ancora lontano.
Circa i rischi che si corrono con gli OGM di vite si è già discusso parlando dei portinnesti,
mentre per quanto attiene le varietà da vino ci soffermiamo ancora brevemente. Si sostiene che le viti transgeniche elimineranno le nostre varietà autoctone e tradizionali (per
le quali non si spende gran che per salvarle!). Al contrario facciamo presente l’obiettivo
opposto e cioè che è proprio inserendo geni di resistenza e di qualità che si potranno conservare le nostre vecchie varietà di Vitis vinifera, complessivamente deboli ed incapaci di
reagire ai parassiti, dopo millenni di coltivazione e di propagazione agamica, cioè non attraverso il seme, che preserva dai virus e fornisce piante più resistenti, ma geneticamen-
te diverse dalla pianta madre, perché il vinacciolo è provvisto di caratteri mescolati (padre
e madre). La vite è una pianta altamente eterozigote, perché derivante da molti inserimenti di geni esterni di varietà geneticamente differenti.
Un’altra obiezione riguarda la qualità del vino. In parte si è già illustrato il problema, ma si
desidera aggiungere qualche riflessione. Si ha paura dell’inquinamento della tipicità dei
vini DOC, che sono il 20% della produzione e per i quali esiste una legge che prevede un
controllo di 5 anni produttivi prima di usare una nuova varietà nella produzione delle denominazioni di origine. Inoltre, per fortuna, sono i produttori a decidere la coltivazione di
una varietà ed è evidente che se il vino è peggiore non la coltivano. Così è avvenuto per i
vecchi ibridi produttori diretti. Per quanto attiene i vini da tavola (80% della produzione)
la tipicità è più blanda per le IGT e nulla per i vini da tavola correnti. Si può quindi immaginare di iniziare la coltivazione degli OGM (una volta seriamente controllati), prima per i
vini da tavola anonimi e per le uve da tavola, poi per le IGT, indi per le DOC e DOCG. Ci
domandiamo, tuttavia, come mai non ci si preoccupa del radicale cambiamento che sta
avvenendo a livello di DOC con l’introduzione dei vitigni internazionali. Ormai molti vini
sono Cabernettizzati, Merlottizzati, Syrizzati, Chardonizzati, Sauvignonizzati, ecc. Questo
scandalo sta veramente annullando la tipicità delle nostre produzioni, omogeneizzando la
produzione, assimilandola a quella dei vini dell’emisfero sud e degli USA. Eppure nessuno
prende posizione.
Un altro rischio che viene paventato è quello dell’immissione nell’atmosfera di polline di
varietà OGM che impollinando le altre varietà indurrebbe un’evoluzione genetica contraria
alla salvaguardia dei nostri vitigni. Nessuno si chiede come mai, dopo un secolo di coltivazione di viti americane, accanto alle nostre varietà, non sia mai avvenuta un’ibridazione
che abbia creato una varietà nuova. Finora gli ibridi ottenuti sono stati tutti programmati
dai genetisti. Gli è che per la vite non si usa il seme (se non per scopi genetici), ma il legno (per le talee e per gli innesti), il quale legno (o tessuto verde) non viene minimamente influenzato dal polline circolante. Per la vite, pertanto, questo rischio genetico di
liberazione nell’ambiente di polline OGM non esiste.
Tutto semplice? Assolutamente no, perché non vi sono fondi, i giovani ricercatori sono
scoraggiati e se ne vanno all’estero, i programmi sono complessi ed assai lunghi.
Infine i controlli: si ha l’impressione che si dica di no ai transgenici (anche della vite) perché non si hanno gli strumenti per i controlli. Si facciano le leggi ed i regolamenti, si diano gli strumenti ed il personale e si seguano le ricerche, dall’impostazione ai risultati, sino
all’immissione in coltivazione. E’ contraddittorio ammettere le ricerche genetiche per salvare l’uomo ed impedire quelle per salvare la vite; spesso si tratta proprio di mortalità diffuse e di danni ingenti causati dai parassiti.
E’ inutile e dannoso arrestare il progresso scientifico, perché l’uomo cercherà sempre il
meglio, soprattutto dal lato qualitativo ed economico. Ciò non significa libertà assoluta ma
vigilata, al fine di evitare errori e dirigere il progresso verso le mete desiderate. Gli OGM
vanno, inoltre, valutati caso per caso e non condannati in gruppo.
La vite è, comunque, un caso a se stante e non può essere paragonata alle piante erbacee che si riproducono per seme.
Mario Fregoni