La Caritas ParrocchialE: una comunità in cammino
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La Caritas ParrocchialE: una comunità in cammino
1 CARITAS DIOCESI CASERTA La Caritas ParrocchialE: una comunità in cammino 1) La Caritas Parrocchiale e territorio, al centro dei processi di trasformazione socio-economica in atto 2) La Caritas Parrocchiale: soggetto attivo all’interno del proprio territorio 3) La Caritas Parrocchiale: vocazione alla testimonianza comunitaria della carità 4) La Caritas Parrocchiale: le tappe di un cammino 2 Caritas Parrocchiale: una comunità in cammino “I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini, né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Essi non si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano. La dottrina di un Dio è la loro filosofia. Dimorano in città sia civili che barbare, come capita. Partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere sono superiori alle leggi. Sono poveri, ma arricchiscono molti. Mancano di ogni cosa, ma trovano tutto in sovrabbondanza. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Pur facendo il bene sono puniti come malfattori e quando sono puniti si rallegrano, quasi si desse loro la vita. Gli eretici fanno loro guerra come a gente straniera e i pagani li perseguitano, ma quanti li odiano non sanno dire il motivo della loro inimicizia. In una parola, i cristiani sono nel mondo, quello che è l'anima nel corpo. L'anima si trova in tutte le membra del corpo; anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo; anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo.” “DALLA LETTERA A DIOGNETO: IL MISTERO CRISTIANO” (Lettera che un ignoto cristiano, della prima metà del II° secolo, rivolge a un amico di nome Diogneto, per spiegare la nuova fede cristiana). 3 Caritas Parrocchiale: una comunità in cammino «Caritas Christi urget nos» La pista di riflessione sulle Caritas Parrocchiali si articolerà lungo quattro direttrici, che riassumiamo in breve: 1) La Caritas Parrocchiale e territorio, al centro dei processi di trasformazione socio-economici in atto 2) La Caritas Parrocchiale: soggetto attivo all’interno del proprio territorio 3) La Caritas Parrocchiale: vocazione naturale alla testimonianza comunitaria della carità 4) La Caritas Parrocchiale: le tappe di un cammino Premessa: la Carità, uno dei pilastri costitutivi della Chiesa Prima di avviare la trattazione sull’argomento, crediamo, sia utile proseguire brevemente sulle riflessioni già evocate nel primo capitolo, circa il significato più autentico da attribuire al concetto di Carità, secondo quanto espresso dai documenti ufficiali della Chiesa e quale premessa ineludibile, per comprendere fino in fondo il rapporto tra la Carità e la Caritas, specie nella proiezione sul territorio che le è propria, ovverossia, la Caritas Parrocchiale. “Non bisogna nascondersi che a trent'anni dalla costituzione della Caritas Italiana da parte di Paolo VI, la corretta spiegazione e comprensione di che cosa sia una Caritas Parrocchiale è ancora impresa non sempre facile. Persiste l'idea di considerarla come un gruppo o super-gruppo caritativo, in concorrenza a gruppi, associazioni e servizi operativi esistenti sul territorio, talora, con mire egemoniche, deputata a distribuire aiuti e organizzare risposte a ogni sorta di problemi personali e sociali. A causa di queste idee parziali o distorte, ci si aspetta o si pretende che la Caritas intervenga e risolva tutti i problemi, di qualsiasi genere e dimensione. Bisogna invece porsi nella corretta prospettiva, rispettando l'identità della Caritas, senza farla dipendere dall'emotività del momento.” 1 1 “DA QUESTO VI RICONOSCERANNO: LE CARITAS PARROCCHIALI”, par 30 – Caritas Italiana - Edizioni Dehoniane Bologna, 06/05/1999. 4 Paolo VI, nello storico primo convegno dei direttori diocesani nel 1972, ci ricorda: «….evidentemente la vostra azione non può esaurire i suoi compiti nella pura distribuzione di aiuti ai fratelli bisognosi... Al di sopra di questo aspetto puramente materiale della vostra attività, emerge la prevalente funzione pedagogica, il suo aspetto spirituale, che non si misura con cifre e bilanci, ma con la capacità che essa ha, di sensibilizzare le Chiese locali e i singoli fedeli, al senso e al dovere della carità, in forme consone ai bisogni e ai tempi». 2 La Caritas, dunque, nasce dalla volontà di dare alla Chiesa coscienza e consapevolezza in ordine al Vangelo della carità; della Chiesa intende esprimere una dimensione radicale, fondante: quella di comunità di fratelli amati dal Padre e a loro volta testimoni di tale amore, non a parole ma attraverso segni, impegni e legami di solidarietà e condivisione, di giustizia e di pace nella prospettiva del regno di Dio. Per un organismo ecclesiale la carità è vita intima, dimensione strutturante prima ancora che opere praticate e realizzazioni da mostrare. Il parroco e i fedeli che assumono un compito di animazione pastorale sanno che, prima di tutto, tra di loro e verso gli altri credenti hanno il debito di volersi bene. 3 L'amore del prossimo va, quindi, posto al centro di qualunque prassi ed è un compito per ogni singolo fedele, ma lo è anche per l'intera comunità ecclesiale in tutti i suoi livelli. Come è noto, l'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Catechesi, Liturgia e Carità, dunque, sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro. 4 Nella liturgia e per il tramite dell’Eucarestia, infatti, noi assumiamo la Parola ed il Corpo di Cristo, attraverso l’evangelizzazione la divulghiamo nel territorio e nella Carità la traduciamo in “testimonianza”, da intendere non solo sul piano dei servizi che possiamo offrire. La carità, infatti, non deve essere per noi credenti, una specie di attività di assistenza sociale, una sorta di impegno part-time, ma deve esprimersi nella totalità della nostra vita. 2 DISCORSO DI PAOLO VI ALLE CARITAS DIOCESANE IN OCCASIONE DEL LORO I° CONVEGNO NAZIONALE Roma, 28 settembre 1972. 3 “DA QUESTO VI RICONOSCERANNO: LE CARITAS PARROCCHIALI”, par 31. 4 CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, DIRETTORIO PER IL MINISTERO PASTORALE DEI VESCOVI Apostolorum Successores (22 febbraio 2004), 194: Città del Vaticano 2004, 2 a, 205-206. 5 Ora, se è vero che la carità è la traduzione nei fatti della Parola di Dio, il concetto straordinariamente rivoluzionario che emerge, è che la carità non può più essere considerata “solo un’attività”, relegata nell’angusto recinto dell’assistenza, quasi una prassi esterna a noi, che possiamo decidere “di fare”, come decidere di “non fare”, ma la carità deve pene trare nella nostra vita, permeare i nostri comportamenti, per cui ogni azione, ogni opera, ogni gesto, ogni convinzione che manifestiamo nel nostro quotidiano, può e deve trasformarsi in un’azione, un’opera, un gesto, una convinzione, espressioni di carità. Può riguardare, infatti, sia, convinzioni e comportamenti, inerenti temi di carattere etico, sociale o del “bene comune” (rispetto dei diritti umani, salvaguardia dell’ambiente, giustizia sociale, legalità, sostegno a modelli di sviluppo sostenibile, etc.); sia, convinzioni e comportamenti che attengono agli “stili di vita”, coerenti con il credo cristiano ed improntati a sobrietà e contenimento degli sprechi; fino al rispetto di norme, che dovrebbero essere alla base di una “normale” convivenza civile, a partire dalle azioni più semplici. <<Per realizzare efficacemente questo obiettivo, scrivono i vescovi al 31° convegno delle Caritas Diocesane (Montecatini 2007), auspichiamo che le Caritas diocesane evidenzino, inoltre, la loro “prevalente funzione pedagogica”, promuovendo e attivando, nel corso di questo decennio, la Caritas parrocchiale in ogni comunità (E.T.C. n°48 ). Proposta ripresa con forza al Convegno Ecclesiale di Palermo, nel documento “Con il dono della Carità dentro la storia” >>. La parrocchia, infatti, costituisce l’esperienza più originale e vera della comunità dei credenti, ed è in essa che si deve realizzare, prima di tutto, il comandamento di Gesù dell’amore vicendevole……. Cogliendo anche queste sollecitazioni dei vescovi, nel ’97, nasce il “Gruppo di lavoro sulle Caritas parrocchiali”, con il compito di elaborare riflessioni, proposte e strumenti di animazione per supportare le Caritas diocesane in questo compito non facile..” 6 1) Caritas Parrocchiale e territorio, al centro dei processi di trasformazione socio-economica in atto E’ di tutta evidenza come, a distanza di svariati anni, tale progetto sia rimasto incompiuto in una buona parte delle nostre parrocchie. Due le possibili derive: da una parte la spinta a fare della parrocchia una comunità “autoreferenziale”, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’altra la percezione della parrocchia come “centro di servizi” per l’amministrazione dei sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li richiedono”.5 Il rilancio, dunque, di un’azione significativa delle Caritas Parrocchiali, non può prescindere, evidentemente, dalla ripresa di una profonda riflessione sulla propria vocazione. Con gli orientamenti pastorali ‘Evangelizzazione e testimonianza della carità’, infatti, i vescovi hanno richiamato l’attenzione della Chiesa italiana sulla dimensione testimoniale della carità, definendola ‘via privilegiata dell’evangelizzazione’. L’intento profondo di questi orientamenti è quello di mostrare e convincere che la carità non è solo riferibile agli atti buoni e solidali del credente, ma è la forma relazionale che assume la fede, quando si incontra con il vissuto degli altri, ben sapendo come la carità sia radicata nel Vangelo di Gesù, che rivela il volto amoroso di Dio Padre, la vita di comunione della Trinità stessa, che si dona nel gesto eucaristico. A partire da questa sorgente, il cristiano testimonia l’amore in due direzioni: una interna alla comunità, per rifarne con l’amore il tessuto cristiano e l’altra verso l’esterno, verso la società attraverso il dialogo e il servizio al bene comune”. A tal proposito, il Concilio Vaticano II ci ricorda che “bisogna conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico e per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa, di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa 5 “VOLTO MISSIONARIO DELLA PARROCCHIA IN UN MONDO CHE CAMBIA”, p.138. 7 rispondere ai perenni interrogativi degli uomini, sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche”. 6 Non vi è dubbio, infatti, che le Caritas Parrocchiali sono chiamate ad operare all’interno di un contesto territoriale, che ha subito profondi mutamenti di carattere socio-economico, che hanno letteralmente trasformato i nostri territori e favorito processi di disgregazione sociale, con inevitabili ricadute sul piano delle relazioni e dei rapporti umani. Intanto le profonde trasformazioni economiche, hanno cancellato intere filiere di piccole e medie aziende e dissolto un tessuto produttivo fatto di decine di esercizi commerciali, sostituiti da mega centri commerciali, sconvolgendo, di fatto, anche i luoghi della socialità: gli ipermercati prendono il posto delle piazze o delle fabbriche, mentre la diffusione dei cosiddetti non-luoghi (che sono i luoghi dell’impersonale), rende possibile l’interscambiabilità dei luoghi e delle persone. Ma tutto ciò ha un costo: l’indebolimento della memoria collettiva e, per conseguenza, una tendenza allo sradicamento culturale. 7 Ciò ha in qualche modo favorito la cosiddetta “perdita del centro” e la conseguente frammentazione della vita delle persone, il cosiddetto “nomadismo”, cioè la diversa e variata dislocazione della vita familiare, del lavoro, delle relazioni sociali, del tempo libero, ecc. In altri termini, si appartiene contemporaneamente a mondi diversi, distanti, perfino contraddittori. Da tempo la vita non è più circoscritta, fisicamente e idealmente, alla parrocchia; è raro che si nasca, si viva e si muoia dentro gli stessi confini parrocchiali; solo per pochi, il campanile, che svetta sulle case, è segno di un’interpretazione globale dell’esistenza. 8 Per schematizzare, possiamo distinguere alcuni gruppi di individui: i residenti immobili (o rinchiusi), i residenti mobili, gli immigrati, gli utilizzatori (lavoro, turismo, pellegrinaggi). Questi gruppi condividono uno spazio fisico, ma non si incontrano e hanno ambiti di vita e interessi diversi. 6 “EVANGELIZZAZIONE E TESTIMONIANZA DELLA CARITA” (anni ’90), Gaudium et spes, n. 4. I VOLTI DI UN TERRITORIO CHE CAMBIA di Mauro Magatti 30° Convegno nazionale delle Caritas diocesane. 8 “IL VOLTO MISSIONARIO DELLA PARROCCHIA IN UN MONDO CHE CAMBIA”, par. 2 pag 134. 7 8 Se aumenta il senso di estraneità tra i gruppi, smarrendo ciò che è comune (che è poi la tradizione e il futuro), la convivenza diventa un problema. Il punto è che non si può più dare per scontato il legame tra coloro che vivono sullo stesso territorio. 9 Se l’esperienza urbana aveva rappresentato un habitat fecondo per la nascita di legami di reciproca appartenenza e solidarietà, oggi è proprio nello scenario urbano, che le nuove povertà relazionali si concentrano e si radicalizzano. Senso di isolamento e di abbandono, di irrilevanza sociale e di impotenza, il ritrarsi della dimensione fiduciaria e partecipativa, l’evaporazione della speranza, sono i sintomi di un profondo malessere che intacca la tradizionale abilità umana di costruire e curare le relazioni. È in questo senso che è forse possibile parlare di “periferie umane”, di una sostanziale perifericità degli uomini, gli uni rispetto agli altri. Sono gli individui a diventare le “nuove periferie” della città contemporanea, i nuovi depositari del disagio, i portatori di nuove povertà.10 Ma se non esiste più un ambiente, un territorio dove posso incontrare, conoscere, le persone, dov’è il mio prossimo? Sotto questo aspetto noi stiamo vivendo una fase di scomparsa del prossimo, una fase di rarefazione della società, intesa come sistema di relazioni. Esiste uno spazio ridotto a macerie, l’urbanizzazione sganciata dalla domanda della società e realizzata senza nessun obiettivo, che tenga conto degli spazi comunitari, ha ridotto il territorio in un luogo anonimo. Quanti vicini di casa conoscete per nome e cognome, quante altre persone del vostro quartiere conoscete? Un tempo, quando esisteva il prossimo, era la comunità stessa a sorvegliare, lo straniero lo conoscevi, c’era il passaparola, adesso gli spazi sono controllati dagli “occhi elettronici”. Hai l’idea, in questo modo, di una comunità che ti sorveglia e che si autosorveglia, ma in assenza di qualsiasi tipo di rapporto o relazione. La dimostrazione più diffusa e meno consapevole della rarefazione del prossimo, è il ricorso alle nuove tecnologie. Visto che non abbiamo più il territorio, come comunichiamo? Cellulari, internet, social network. 9 “I VOLTI DI UN TERRITORIO CHE CAMBIA”, di Mauro Magatti - 30° Convegno nazionale delle Caritas diocesane. “PERIFERIE UMANE NELLE CITTÀ FRANTUMATE” di P. Cappelletti (Università Cattolica di Milano) - 33° Convegno Caritas Diocesane, Torino, 22-25/06/2009. 10 9 Da questo punto di vista, si è registrata una frattura notevole con il mondo giovanile. Infatti, se si esclude una fascia di età dai 30 ai 50 anni, che utilizza tali tecnologie per lavoro, la soglia critica, al giorno d’oggi, è quella dei 25 anni. Addirittura, al di sotto dei 20 anni sono un’altra cosa, un’altra razza. Loro, oramai da tempo, non hanno più bisogno del territorio per relazionarsi, hanno relazioni molteplici senza spazio e senza luogo. E questa è certamente una rivoluzione che ha molti aspetti positivi, ma anche negativi, costruiscono un sistema di relazioni non empatico, senza rapporti diretti con le persone, facebook, grandi comunità in cui ti racconti, pensi di parlare a pochi intimi e poi ti ritrovi in tutta la rete.11 In alcune realtà le conseguenze di questo processo cominciano a essere evidenti: le disuguaglianze tendono a crescere, di pari passo all’indifferenza che accompagna la crescita degli “scarti umani”, peraltro sempre più invisibili. Tali fragilità crescono vertiginosamente tra coloro che non hanno le risorse umane, economiche, culturali, fisiche, per adattarsi alla velocità contemporanea e che rischiano di diventare invisibili nei centri avanzati (“gli Inadatti), tra coloro che sono inseriti, ma che subiscono un processo di fragilizzazione e che vedono entrare in crisi la loro stabilità ( i “Vulnerabili”), tra coloro che vivono in aree secondarie e che si accontentano del poco che hanno, cercando di barcamenarsi (i “Lontani-Rassegnati). 12 E’ inevitabile, dunque, che le persone facciano sempre più fatica a dare un senso profondo all’esistenza. Spaesamento, sradicamento, incertezza, paura, traducono, dal punto di vista dell’esperienza soggettiva, le tensioni che attraversano qualunque territorio (pur con intensità molto diversa). Le disuguaglianze economiche crescenti, di pari passo con la perdita di senso dell’altro, agevolano il progressivo ripiegamento su se stessi e il narcisismo, il desiderio insaziabile di possesso e di consumo, la ricerca del sesso slegato dall’affettività e dall’impegno di vita, l’ansia e la paura, l’incapacità di sperare, il diffondersi dell’infelicità e della depressione. 11 12 “QUANTO RESTA DELLA NOTTE” - Ilvo Diamanti - 33° Convegno delle Caritas diocesane, Torino” - 22- 25 giugno/2009. I VOLTI DI UN TERRITORIO CHE CAMBIA di Mauro Magatti - 30° Convegno nazionale delle Caritas diocesane. 10 Il mito dell’uomo “che si fa da sé”, finisce con il separare la persona dalle proprie radici e dagli altri, rendendola alla fine poco amante anche di se stessa e della vita. 13 La stessa formazione dell’identità personale, tende a realizzarsi in un contesto plurale, caratterizzato da diversi soggetti di riferimento: non solo la famiglia, la scuola, il lavoro, la comunità ecclesiale, ma anche ambienti meno definiti e tuttavia influenti, quali la comunicazione multimediale e le occasioni del tempo libero. La molteplicità dei riferimenti valoriali, la globalizzazione delle proposte e degli stili di vita, la mobilità dei popoli, gli scenari resi possibili dallo sviluppo tecnologico, costituiscono elementi nuovi e rilevanti, che segnano il venir meno di un modo quasi automatico di prospettare modelli di identità e inaugurano dinamiche inedite. La cultura globale, mentre sembra annullare le distanze, finisce con il polarizzare le differenze, producendo nuove solitudini e nuove forme di esclusione sociale. 14 13 14 “EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO”, p. 9 . Ibidem, p. 10. 11 2) Caritas Parrocchiale: soggetto attivo all’interno del proprio territorio La parrocchia rimane, nonostante le problematiche descritte, una scelta storica della Chiesa, una scelta pastorale, non è una pura circoscrizione amministrativa, una ripartizione meramente funzionale della diocesi: essa è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare. La parrocchia – Chiesa che vive tra le case degli uomini – continua a essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente. 15 “La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità……Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa, separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi…..Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione”.16 La parrocchia nasce e si sviluppa in stretto legame con il territorio. E’ proprio grazie a tale legame che la parrocchia, ma la Caritas parrocchiale in particolare, ha il dovere di realizzare ed alimentare quella vicinanza alla vita quotidiana della gente, che la qualifica rispetto ad altre realtà, con cui, nella Chiesa, dà forma comunitaria all’esperienza di fede. Il territorio si può definire come la forma dell’organizzazione sociale, che assume una comunità, nonchè punto di identificazione e di appartenenza, perché è somma di tradizioni, di culture. Il territorio è anche “dimora”, che è molto più dell’abitare: non vuol dire solo vivere in un territorio, ma “vivere quel territorio”, “far vivere quel territorio”. Tuttavia, si tratta di un rapporto non solo fisico, ma anche spirituale e dunque non può mai essere esaurito in una sola dimensione; per essere pienamente compreso e risolto, va collocato nella prospettiva del Regno di Dio. Giovanni XXIII amava definire la parrocchia “la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per la loro sete”. 17 15 Ibidem, p.41. “EVANGELII GAUDIUM” – par.28, Esortazione Apostolica Papa Francesco. 17 “L’ANIMAZIONE COMUNITARIA IN PARROCCHIA: IL LEGAME CON IL TERRITORIO” – Sussidio Caritas Italiana 2007. 16 12 Il territorio ha uno specifico: è lo spazio della relazione con l’altro concreto. Più propriamente, parliamo di “spazi umani”, che ci danno la possibilità concreta di vivere come “persone”, come un “io” aperto al “tu”, nella relazione con gli altri. Gli ambienti di vita sociale costituiscono degli “spazi vitali”, nei quali la persona può esprimere e realizzare se stessa. Di conseguenza, vivere e agire in questi ambienti, al servizio del Regno di Dio, significa operare perché essi siano “luoghi” veramente umani e umanizzanti. Il territorio costituisce l'elemento, per il quale la parrocchia si presenta come luogo di vita cristiana per tutti i fedeli e ambito di pastorale ordinaria, attivando i cosiddetti "servizi di prossimità". 18 In essa si devono realizzarsi rapporti di prossimità, con vincoli concreti di conoscenza e di amore a favore degli abitanti di tutto il territorio. Ma l’obiettivo resterà disatteso, se non si riuscirà a dar vita a una “pastorale integrata”, secondo modalità adatte ai territori e alle circostanze, come già avviene in talune sperimentazioni avviate a livello diocesano. 19 Proprio partendo dagli “ultimi”, proprio intercettando le aree di bisogno più discrete, le nuove povertà, quelle che più difficilmente si recano ai CdA, possiamo riscoprire il senso della nostra missione, la quale, passando attraverso la testimonianza della condivisione del disagio e l’aiuto all’altro, può essere motivo di conversione e di crescita umana anche per noi, oltreché di contagiosa trasmissione dei valori della Carità su tutto il territorio. Un territorio, per riassumere è un luogo con molteplici valenze. E’ il luogo, – dove le persone abitano e vivono le relazioni (luogo antropologico), – dove Dio ci parla e si manifesta fino all’incarnazione (luogo teologico), – dove la Chiesa opera e serve (luogo ecclesiologico). Pertanto, per abitare efficacemente il territorio, è necessario assumere un atteggiamento, un metodo, uno stile progettuale, che dovrebbe caratterizzare tutto il servizio pastorale, abbinato alla capacità di cura e prossimità alle relazioni. 20 18 “PERCORSI DI PROSSIMITA’ – ABITARE IL QUOTIDIANO”, Costituzioni del 47° Sinodo diocesano 1995, nel capitolo “dimensione missionaria della parrocchia.. …” vedi Cost. 153,4. 19 “IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA”, n.11. 20 “IL TERRITORIO COME LUOGO TEOLOGICO……E NON SOLO” – Corso di Formazione per Equipe diocesana 2009-2010, Roma. 13 “Nonostante tutte le criticità esposte e forse proprio in ragione di tali dinamiche, oggi sembra riemergere un grande desiderio di ricomposizione e di senso. È possibile che, dopo aver rincorso spregiudicatamente un’autonomia individuale, intesa solo come dissolvimento di ogni vincolo, e dopo aver fatto del piacere consumistico, l’unico istinto guida, si aprano spiragli di comprensione, rispetto al fatto che non ci può essere libertà senza responsabilità e che la felicità privata è una fugace illusione. Percorrendo le città, si avverte la sete di luoghi e tempi in cui poter raccontare, condividere le proprie esperienze, poter costruire qualcosa insieme, una storia, un pensiero, un progetto. 21 La frammentazione sociale va contrastata con “grandi opere di ingegneria sociale” che non possono non vedere protagonisti i cattolici. Più la società civile si infrastruttura e costruisce reti, più la democrazia prende ossigeno e si vitalizza. La cura delle reti sociali è il vero corroborante alle attività delle Istituzioni e alla funzione indispensabile che svolgono i partiti. Esse si costruiscono a partire dalla condivisione di un sistema valoriale, che ponga al centro la tutela dei beni comuni e le competenze, intese come conoscenza e sapere sociale maturato sul campo, al servizio di coloro che più hanno bisogno. E’ su questo che si gioca il principio di sussidiarietà scritto nella Costituzione. 22 E proprio in questo contesto, che spesso conduce alla dispersione e all’aridità, può alimentarsi, per contrasto, l’esigenza di legami “caldi”, per cui non bisogna rassegnarsi alla desertificazione del territorio, alla scomparsa del prossimo. C’è gente che lavora per gli altri. Il problema che di bene comune non si parla, non fa audience, eppure ci troviamo di fronte una società che trabocca di altruismo. Una buona parte degli italiani fanno della loro vita, un’espressione comunitaria. Stanno attenti ai consumi, c’è un incremento, ad es. del consumo equo e solidale, dei cibi biologici, della crescita 21 “DAL TERRITORIO ALLA COMUNITA’: PROGETTARE LA PARTECIPAZIONE” - 34° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, 26-29 aprile 2010. 22 “POLITICA COME CARITA’: SOGGETTI, RUOLI, AMBITI DELLA SOLIDARIETA’ SOCIALE” di E. Patriarca. 14 delle donazioni, c’è un’offerta di solidarietà che viene fatta in silenzio, allo stesso tempo, i giovanissimi esprimono un tasso di partecipazione alla vita sociale impensabile fino a 20-30 anni fa. Esiste una forte domanda di partecipazione comunitaria ogni volta che si organizzano manifestazioni o iniziative di quartiere. E’ importante imparare a fare marketing delle virtù, dei valori, oggi l’unico marketing che funziona è quello delle cattive parole, dei cattivi sentimenti. Bisogna imparare a dire ad alta voce: sono buono e me ne vanto. 23 Non vi è dubbio, che le stesse diffidenze, le stesse paure nei confronti degli altri, specie nei confronti chi viene percepito come “diverso”, sono molto più basse, tra coloro che stabiliscono relazioni, la paura è minore dove ci sono gli altri. E’ in quest’ottica che la parrocchia può riprendere, dunque, vigore e recuperare il proprio ruolo. Tuttavia è evidente l’esigenza di ridefinirla in rapporto ai mutamenti, se si vuole che non resti ai margini della vita della gente e se vuole essere casa accogliente per ciascuno, senza però smettere di essere aperta a tutti, rifuggendo da processi elitari o esclusivi; se vuole rispondere sì alle attese del cuore ferito delle persone, ma anche restare luogo, in cui si proclama la rivelazione di Dio, la verità assoluta del Risorto. 24 23 “QUANTO RESTA DELLA NOTTE” di Ilvo Diamanti - 33° Convegno delle Caritas diocesane, Torino 22- 25 giugno/2009. 24 “IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA”, P. 135. 15 3) Caritas Parrocchiale: vocazione alla testimonianza comunitaria della carità L’idea di creare una Caritas Parrocchiale ha dentro di sé, direi costituzionalmente, una dinamica comunitaria, perché investe integralmente la vita di ciascun cristiano, indipendentemente dal suo carisma specifico. Ma se vogliamo che sia una realtà che nasca, cresca ed operi, affinchè diventi seme per tante altre persone, è necessario operare un profondo cambiamento di mentalità, che parta dalla piena assunzione dell’ “Essere” Carità, piuttosto che del “Fare” Carità. “Essere carità” significa interrogarsi sulla qualità nel nostro modo di testimoniare il Vangelo nella vita di tutti giorni, significa interrogarsi su come incarno questa fede, quale stile di relazioni ho, quale tolleranza o capacità ho nell’accettare chi è diverso da me, a cominciare, ad es., dalle persone con cui collaboro, ma, soprattutto, quale attenzione metto nel rapporto con chi è in condizioni di bisogno. Questo significa che la Carità non è esclusiva delle singole realtà parrocchiali, anzi sarebbe gravissimo se sorgesse un gruppo Caritas a se stante, sganciato dalla comunità o addirittura in competizione con altri. Da qui deriva la necessità di una conversione dal “fare Carità”, ad “Essere Carità”. Poiché, mentre nell’ “Essere Carità”, l’operatività è implicita, ne rappresenta l’inevitabile conseguenza, anzi “l’agire” verrebbe ad essere sostenuto da una forte motivazione, oltre che spirituale, anche di carattere sociale, non è detto che possa accadere il contrario. Poiché se concepisco la Carità esclusivamente in chiave operativa, posso ritenere di limitarla ai miei impegni parrocchiali o di aiuto al “prossimo” e non “legarla” alle mie scelte e conseguenti comportamenti nel mio quotidiano. “Essere” carità, dunque, da percepire come uno “stile”, un modo consapevole, responsabile e critico di porsi, nei confronti dei poveri, della Chiesa, del Territorio/Mondo, da estendere alla cura delle relazioni e dei comportamenti nei propri ambienti di vita quotidiana. La carità riguarda indistintamente tutti gli operatori di una parrocchia: poi vi saranno coloro che saranno più portati all’ascolto e confluiranno verso il C.d.A., quelli più disponibili 16 all’accompagnamento, organizzeranno i servizi di prossimità, coloro in grado di ragionare in termini di progettualità, si riuniranno per riflettere, sulle svariate problematiche che ruotano intorno alle povertà, quelli più portati all’operatività, costituiranno i gruppi caritativi, altri impegnati in attività parrocchiali di svariata natura (Agesci, Azione Cattolica, etc.), potranno adoperarsi affinchè i temi della povertà o della Carità Sociale, es. sugli stili di vita, siano rappresentati nei rispettivi percorsi formativi, peraltro, già in parte contemplati. In questo, le parole di San Paolo sono evocative: “Voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte”, ad indicare come ciascuno di noi abbia una funzione, un ruolo ed è parte nel grande corpo. Tuttavia, subito dopo aggiunge: “in questo impegno differenziato, tutti hanno il compito di percorrere la “via più grande di tutte”: la carità, “se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli … Se avessi il dono della profezia, … e conoscessi tutta la scienza e possedessi la pienezza della fede… ma non avessi la carità, non sono nulla” e conclude: “La carità non avrà mai fine” (I Cr 13, 1-13). Un forte invito alla comunione, viene ripreso anche da Papa Francesco, quando sostiene “la forza del Vangelo, è proprio nell’umiltà, l’umiltà del bambino che si lascia guidare dall’amore e la tenerezza del padre”. “La Chiesa non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, per testimonianza. E quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno che dice il Profeta Zaccaria: ‘Vogliamo venire con voi!’. E’ semplice la carità: adorare Dio e servire gli altri! E questa testimonianza fa crescere la Chiesa”. 25 A) Il Primato della Pedagogia. “Vi è sempre stata una contrapposizione tra l’aspetto “spirituale” della vita del singolo e della comunità e l’aspetto dell’impegno “attivo” nel servizio, basta pensare a Marta e Maria. Ma oggi si propone in maniera nuova, per il fatto che noi uomini di questo tempo, siamo abituati a 25 “IL NOSTRO LAVORO CI FACCIA PIÙ UMILI PER DARE UNA BELLA TESTIMONIANZA DI CHIESA” di Papa Francesco da “omelie a casa Santa Marta” del 01 ottobre 2013. 17 considerare solo quel che si vede, i “risultati”, gli “interventi”, lasciandoci irretire e rinchiudere in una sorta di immanentismo pratico: quello delle “nostre” opere. Si rischia così di perdere lo spazio dell’apertura alla trascendenza: se si parla sempre di noi a partire da noi, se si considera tutto a partire dal “nostro” impegno e dalla “nostra” iniziativa, allora non si va mai dentro l’uomo al di là dell’uomo, in quella sede profonda in cui ciascuno di noi può avvertire quell’«amore di Cristo» che dall’interno «ci spinge» (2Cor 5,14) all’azione”. 26 A tal proposito, Papa Francesco nella sua esortazione apostolica “ Evangelii Gaudium”, ci invita a riflettere sulle parole di Gesù “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (MT 28,19-20). 27 A queste parole il fedele deve chiedersi: Cosa vuole Gesù da me ? Gesù ci chiede di uscire dal nostro guscio e farci provocare dalla Parola, rispondendo: Eccomi! Abramo, Mosè, Geremia accolsero la chiamata di Dio e come loro, anche noi siamo chiamati al servizio della carità. Dobbiamo uscire dalle nostre sicurezze e metterci in discussione ogni giorno ed avere il coraggio di portare la luce del Vangelo a coloro che hanno bisogno di amore e condivisione. La dimensione caritativa deve porre al centro un’esigenza di formazione, che educhi le comunità ad avvicinarsi e coltivare i temi della Carità. Proprio in questa direzione, Mons. Nervo diceva: “La Caritas si basa su alcune idee-forza, che ne costituiscono la sostanza: a) Le comunità cristiane oggi si riconoscono abbastanza come comunità di fede e di preghiera; forse meno come comunità di amore, dove i cristiani si amano come Cristo li ha amati, si perdonano, si aiutano, vivono in piena comunione di beni. 26 27 “DOPO VERONA: LE PROSPETTIVE DELLA CARITAS” di Mons. Bagnasco - Montecatini 25-28/06/2007. “EVANGELII GAUDIUM” – Esortazione apostolica - Papa Francesco 264-267. 18 b) Però il Signore ha dato una precedenza, una priorità: gli ultimi, i poveri, gli oppressi, i sofferenti. Questo è il campo specifico della Caritas: essere come la coscienza della comunità cristiana, affinchè ne assumano concretamente la responsabilità. c) Questa impostazione richiede il recupero genuino e originario del termine “carità”: l’amore che parte da Dio come sorgente, richiede il superamento della tradizionale interpretazione del superfluo e del concetto di beneficenza, per giungere alla comunione dei beni. Si collega direttamente con la giustizia e la suppone, come primo gradino della carità, la anima e la supera. Richiede, cioè, una profonda conversione non solo morale, ma prima ancora culturale, di atteggiamento, di costume. d) Si sottolinea la priorità dell’aspetto comunitario dell’esercizio della carità, sull’azione individualistica o di gruppi chiusi o di comunità chiuse. Anche qui si prospetta e si richiede un cambiamento di mentalità sia nelle attuali comunità cristiane, sia nei gruppi e nelle comunità religiose. 28 Bonhoeffer, noto teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo, a proposito delle leggi razziali, in un momento drammatico, quando si voleva instaurare la purezza della razza ariana, diceva: “Ogni comunità cristiana deve sapere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma che questi ultimi non possono essere veramente uomini senza i primi….. Nella comunità cristiana, noi non “possiamo essere veramente uomini”, senza i deboli, senza i poveri, senza i piccoli”. 29 “La cura del povero ha a che fare con la piena umanità dell’uomo, con ciò che è degno dell’uomo, con una vita degna di essere vissuta, con il suo essere personale. Educare alla cura del debole è dunque un momento essenziale della crescita personale, della vocazione cristiana, della formazione del credente. Non solo nel senso che la relazione di aiuto fa crescere l’altro, ma fa ritrovare anche a noi la nostra piena umanità. 28 “LA CARITÀ E LA CARITAS: IL PERCHÉ DI UNO STILE E DI UN METODO”, di F. Marsico (vice direttore Caritas Italiana). Convegno Diocesano delle Caritas decanali Triuggio, 13-14 Settembre 2008 29 “LA PEDAGOGIA DELLA CARITA’” - http://www.sdnovarese.it. 19 Il servizio ci strappa dal ripiegamento su di noi, ma ancor di più, ci libera dalla pretesa che i nostri gesti debbano salvare il mondo e debbano guarire tutti i mali. Guarire i mali del mondo è un momento di un più ampio cammino di comunione, dove l’uomo si educa per una vita condivisa. Da qui proviene la dimensione educativa della carità, e da qui deriva la funzione pedagogica della Caritas”. 30 Il compito di educazione alla carità è fondamentale per ogni cristiano e per l’intera comunità; come Caritas, portiamo, nella scelta pedagogica alla carità, l’opzione, la cura e la scelta preferenziale per il povero. La parola “cura” consiste nella presa in carico del povero, secondo uno stile, che fa riferimento alla cura che Dio stesso ha per queste persone. Quella cura del buon samaritano che invita la chiesa a scendere da cavallo e farsi prossimo. 31 “Per incontrare il Dio vivo, è necessario baciare con tenerezza le piaghe di Gesù nei nostri fratelli affamati, poveri, malati, carcerati, le trovi facendo le opere di misericordia, curando il corpo, non solo l’anima, del fratello.” 32 La carità educa il cuore dei fedeli e svela agli occhi di tutti, il volto di una comunità, che testimonia la comunione, si apre al servizio, si mette alla scuola dei poveri e degli ultimi, ma la comunità cristiana è pronta ad accogliere e valorizzare ogni persona, anche quelle che vivono in stato di disabilità o svantaggio. 33 Di questi nostri fratelli e sorelle, non dobbiamo avere una idea mitica o ideologica: sappiamo che alcuni di loro sbagliano, fino a delinquere, ma che non perdono mai la loro dignità e nessuno può ignorarla. Anche quelli che sbagliano e vanno in galera rimangono persone, e soprattutto noi cristiani sappiamo che possono passarci avanti nel Regno di Dio. 34 Per questo, i poveri devono diventare un luogo teologico, ove l’incontro e la condivisione con chi vive esperienze di povertà, 30 “PERCORSI ANTICHI E NUOVI DI PROSSIMITA’” di F.G. Brambilla - Convegno diocesano delle Caritas decanali Triuggio, 14 settembre 2002. 31 “I PASSI DI UN PERCORSO” di don Virginio Colmegna - primo incontro del Corso per responsabili Caritas e animatori della carità; Milano, 22 novembre 2003. 32 “DIO SI INCONTRA BACIANDO LE PIAGHE DI GESÙ NEI FRATELLI PIÙ DEBOLI “ di Papa Francesco - tratte da “omelie a casa santa marta” del 03 luglio 2013. 33 “EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO”, p. 39. 34 ”LA CARITA’ E LA CARITAS: IL PERCHE’ DI UNO STILE E DI UN METODO” di F. Marsico, vicedirettore Caritas Italiana - Convegno Diocesano delle Caritas decanali Triuggio, 13-14 Settembre 2008. 20 possono convertire i nostri cuori e le opere di ospitalità che ne derivano, diventare luoghi di testimonianza della carità, proiettata sul territorio, in grado di sorprendere la stessa comunità. 35 Tuttavia “farsi carico” non è sufficiente. I poveri, i deboli, richiedono anche risposte: giustizia sociale e la costruzione di uno welfare comunitario. Nel primo caso, l’esperienza di solidarietà verso i fratelli più indifesi, deve accompagnarsi ad un’opera di denuncia profetica di ogni forma di violenza verso gli indifesi e gli emarginati. Un esempio: Don Diana e Don Puglisi. In merito alle elaborazioni di nuove politiche sul welfare, deve essere chiaro che il povero non è una figura indistinta, ma ha un volto preciso ed ha una storia. E’ l’aspetto promozionale della Caritas che deve rileggere la povertà, i suoi volti, le sue cause, deve sollecitare, dare voce, ma anche pensare, studiare, riflettere. Per questo la Caritas si immerge con questa sua specificità nella politica sociale, affronta le questioni strutturali della casa e del lavoro, riflette e difende una cultura di sostegno ai più deboli, non solo monetaria, è preoccupata di discernere nella produzione legislativa sui tanti temi, compresa la “finanziaria”. Ciò fa la differenza tra una difesa dei deboli retorica o di solidarietà vera: i poveri mettono in moto e richiedono sapere, interdisciplinarietà, è il rispetto che noi dobbiamo a loro. Lo stesso Papa Francesco sollecita i cristiani ad impegnarsi in politica: << I cittadini non possono disinteressarsi della politica: nessuno di noi può dire: “io non c’entro, è un problema che riguarda i politici”….io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio, partecipando nella politica come posso. La politica - dice la Dottrina Sociale della Chiesa - è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. Io non posso lavarmene le mani. Tutti dobbiamo dare qualcosa! ……..Il governante, sì, è un peccatore, come Davide lo era, ma io devo collaborare con la mia opinione, con la mia parola, anche con la mia correzione, perché tutti dobbiamo partecipare al bene comune >>. 36 35 “STRADE QUOTIDIANE DELLA CARITA’ “ di Don Virginio Colmegna - Convegno Diocesano 9 novembre 2002. “AMORE PER IL POPOLO E UMILTÀ, VIRTÙ NECESSARIE PER CHI GOVERNA” di Papa Francesco tratto da “omelie a casa Santa Marta del 16 settembre 2013. 36 21 Giovanni Paolo II ha sempre messo in guardia di fronte ad una solidarietà solo aggiuntiva: è il grande insegnamento della “Sollecitudo Rei Socialis”. 37 Ecco perché il cosiddetto sistema Caritas nella sua opzione preferenziale dei poveri nella Chiesa e con la Chiesa, non può diventare solo una espressione di pietà o di risposta al bisogno, di aiuto breve ed elemosiniero. Questo non significa porsi in competizione con altri sistemi, altre risposte da parte di associazioni, cooperative, fondazioni, gruppi, che sono segno di vivacità. La Caritas non “assorbe” le risposte, ma valorizza il significato di comunicazione, che queste esperienze hanno e per questo anticipa, sollecita, rispetta o gioisce, quando si moltiplicano queste attenzioni. 38 Tuttavia, l’esercizio dell’approccio pedagogico alla carità, può prevedere anche momenti di rottura con il passato e salti di qualità. Un’educazione può non essere esente da conflittualità, può richiedere energica correzione di rotta e impegna in una seria progettualità. “Io tutti quelli che amo li rimprovero” (Ap.3,19). Buona cosa mettersi anche alla scuola degli insuccessi, per trarvi le dovute lezioni, ben sapendo che non si può procedere a ‘casaccio’, a seconda delle sparpagliate richieste, con interventi saltuari o sconnessi, ma sempre in modo mirato, con progettualità, programmazione opportuna. 39 La Caritas ha consentito l’inserimento sociale della parrocchia, schierandosi a fianco dei più deboli, senza alcuna discriminazione. B) Pastorale della Carità: L’animazione “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi » (Mt 25,35-36). La Caritas parrocchiale deve svolgere, all’interno del territorio, una attenta analisi della vita della gente radicata in quel territorio, conoscere le condizioni di vita, le difficoltà e i bisogni, ciò 37 38 39 “STRADE QUOTIDIANE DELLA CARITA’” di Don Virginio Colmegna - Convegno Diocesano 9 novembre 2002. ibidem “EDUCATI ALLA CARITA’ NELLA VERITA’. ANIMARE PARROCCHIE E TERRITORIO ATTRAVERSO L’ACCOMPAGNAMENTO EDUCATIVO-FORMATIVO” – Caritas Italiana – rapporto annuale 2010. 22 non vuol dire che deve svolgere solo attività di monitoraggio, ma esaminare i fenomeni di emarginazione, rompendo i baluardi di insensibilità, di egoismo individuale e collettivo. Noi abbiamo il compito di ridare ai poveri quella dignità civile e sociale che, a causa della indifferenza, viene ogni giorno calpestata ed offesa, coinvolgendo in questa rinascita tutte le istituzioni civili e religiose, affinché la povertà non venga strumentalizzata per interessi personali. In questo dinamismo della parrocchia in generale e della Caritas parrocchiale in particolare, il Centro di Ascolto, diventa il fulcro intorno al quale orbita tutta l’attività caritativa; ascoltare, significa avere ben chiara nella mente la unicità della persona, sapere che chi ci sta davanti, non è solo la somma dei suoi problemi, ma è portatrice di risorse, anche in momenti di sofferenza, di solitudine e di abbandono. Chi ascolta e chi viene ascoltato, devono essere coinvolti, con ruoli diversi, in un progetto teso a ricercare le soluzioni più idonee, affinché questo processo dia, come risultato, la liberazione della persona dal bisogno. Chi si trova in difficoltà, sperimenta sulla propria pelle la mancanza di punti di riferimento e di persone che possano restituirgli la speranza di un cambiamento. La persona che ha bisogno, non deve essere trattata come una pratica da evadere, ma va vista come una storia da assumere, mettendo in atto tutte quelle azioni necessarie, per aiutare il povero a liberarsi dalla cronicità del bisogno. Perciò la Caritas, non deve essere intesa come un struttura di mera assistenza impegnata a prestare servizi ai poveri, ma come un organismo idoneo a far conoscere a tutta la comunità, situazioni di bisogno e di sofferenza, stimolando l’impegno generoso dei fratelli, creando le condizioni in cui le sofferenze di pochi, diventino problemi di tutti. Don Tonino Bello diceva che gli ultimi, non vanno considerati solo come destinatari delle nostre esuberanze caritative o come terminali delle nostre effusioni umanitarie, ma, soprattutto, 23 come i protagonisti della storia della salvezza che il Signore vuole ancora realizzare sulla terra a vantaggio di tutti. E Papa Francesco, ci ammonisce: “i cristiani facciano come Paolo e inizino a costruire ponti come ha fatto Gesù. Quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico, diventa una Chiesa ferma, una Chiesa ordinata, bella, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole”. 40 È evidente, allora, che l'animazione non può essere semplicemente il prodotto di un'azione o l'esito di un progetto. Si tratta, piuttosto, di un processo che si sviluppa dentro più azioni tra loro ben collegate e precisamente finalizzate ed è il modo in cui si offre una proposta, si realizzano gli incontri, si promuove un servizio, si accompagnano le decisioni, si curano le relazioni. È lo stile per realizzare tutti i progetti. Il processo dell’animazione richiede almeno tre passaggi principali: � Relazioni corte: l'animazione richiede relazioni corte, la possibilità di chiamare le persone per nome, di riconoscerne i volti, di conoscerne le storie, almeno in parte. Per animare occorre conoscere e comprendere le persone e le comunità; � la condivisione delle esperienze: per animare non basta conoscere le persone, bisogna vivere qualcosa insieme a loro. La capacità di essere inseriti in un contesto è, dunque, il primo elemento di animazione; � la proposta di esperienze dirette e concrete: costruire insieme il modo di vivere il Vangelo: non lezioni in aula o a lavori in gruppo, bensì azioni concrete che incidono, cambiano la vita delle persone (in particolare per la Caritas, la cosiddetta “pedagogia dei fatti”). 41 L'animatore pastorale Caritas: quale compito, quale profilo, quali competenze, quali atteggiamenti da coltivare? “E’ importante che siano: � fortemente radicati nella Parola, nell'Eucaristia, nella Carità; � profondamente segnati dalla gratuità; 40 “I CRISTIANI COSTRUISCANO PONTI NON MURI, LA VERITÀ È UN INCONTRO” di Papa Francesco - omelie S.Marta 08 maggio 2013. 41 “ANIMARE ALLA TESTIMONIANZA DELLA CARITA’” di Don Salvatore Ferdinandi - Caritas Italiana. Atti del Seminario di Formazione per Diaconi permanenti in servizio presso le Caritas diocesane e/o parrocchiali (5-6 maggio 2003). 24 � capaci di osservare e comprendere la realtà territoriale della propria parrocchia e reperire risorse; � capaci di vivere in prima persona, gesti, azioni, opere di condivisione e servizio, nonché promuovere e valorizzare nella comunità (anche a partire dai luoghi pastorali), azioni di ascolto e relazioni significative. 42 Dunque: a) Profonda unità: la loro molteplicità non deve sfociare in una scorretta “settorializzazione” dell’azione pastorale, né in una sua frammentazione e disgregazione o, peggio ancora, in forme inaccettabili di concorrenzialità o di competitività tra i vari operatori. Sentiamoci tutti e ciascuno, al servizio del Vangelo, della fede e della presenza della Chiesa nella società, non a nome proprio e come operatori “solitari”, ma come “mandati” dalla Chiesa e in suo nome. Questo “senso di Chiesa” va adeguatamente educato attraverso ogni iniziativa e ogni itinerario formativo. b) Missionarietà è la prospettiva radicale che deve caratterizzare e animare la presenza e l’azione dei diversi operatori pastorali. Questa missionarietà rappresenta la “causa” e il “fine” della presenza e azione di tutti gli operatori pastorali nella loro varietà e unità. La “causa”, perché è proprio il mandato missionario di andare in tutto il mondo (cfr. Marco 16, 15) a esigere che l’azione pastorale della Chiesa, si manifesti e si sviluppi in tutti i luoghi e nei modi in cui si esprime e si vive il triplice unitario ministero della Parola, della liturgia e della carità. La missionarietà è anche il “fine” di edificare e far crescere una Chiesa che annuncia, celebra e serve non sé stessa, ma unicamente Gesù e il suo Vangelo. E’ fondamentale che il volontariato non diventi solo gestione, ma si proponga come capacità di “progettualità” innovativa e profetica e contrasti la deriva di una carità che diventa un hobby o una supplenza remunerata al terzo settore. 43 Sarebbe opportuno che questi animatori, ricevessero un mandato specifico (come già accade per gli operatori della catechesi e della liturgia) riconosciuto e riconoscibile da tutta la comunità. 42 Nota dell’episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale nazionale a Verona. “PERCORSI DI PROSSIMITA’: ABITARE IL QUOTIDIANO”- Costituzioni del Sinodo diocesano 47° del 1995, nel capitolo dimensione missionaria della parrocchia. [… vedi Cost. 153,4]. 43 25 C) Promuovere la testimonianza attraverso la condivisione e la proposta: la “pedagogia dei fatti”. Forme di Coordinamento. La “pedagogia dei fatti” è quell'attenzione educativa che si pone come obiettivo, la crescita di ogni persona e dell'intera comunità cristiana, attraverso esperienze concrete, significative, partecipate, es. accoglienza e ospitalità nella propria casa o in ambienti gestiti comunitariamente, disponibilità gratuita del proprio tempo e delle proprie capacità, la raccolta di viveri, l'adozione a distanza, la visita agli ammalati, il doposcuola, etc. Si dovranno considerare forme di aiuto, capaci di valorizzare nuovi canali di solidarietà e nuovi strumenti di promozione del sostegno economico al reddito famigliare o di sostegno sociale (ticket, voucher, bonus, pensioni di invalidità e di accompagnamento, ecc.). 44 Una delle altre fondamentali funzioni tipiche della Caritas, è il coordinamento, vale a dire “creare armonia e unione nell'esercizio della carità, di modo che le varie istituzioni assistenziali, senza perdere la propria autonomia, sappiano agire in spirito di sincera collaborazione fra di loro, superando individualismi e antagonismi, e subordinando gli interessi particolari alle superiori esigenze del bene generale della comunità.” 45 S.E. Mons. Giuseppe Merisi ha ricordato, nel Convegno nazionale delle Caritas diocesane di Assisi, proprio a partire dalla evidente difficoltà di questo servizio ecclesiale, che: “la percezione del mandato a curare il coordinamento delle opere caritative … di ispirazione cristiana, appare appesantita dalle fatiche registrate… nel rapporto con le opere ecclesiali o di ispirazione cristiana, la diversità di storia, le finalità differenti, i pregiudizi, le differenti elaborazioni ecclesiologiche sviluppate dopo il Concilio, hanno prodotto distanze che occorre colmare.” Questo invito ci deve fare riflettere sull'aggettivo possibile: spesso il tema del coordinamento viene vissuto come un fardello che viene posto alle Caritas, nelle loro diverse articolazioni territoriali, come mera utopia, ma anche come mancato riconoscimento di un ruolo. 44 “I PASSI E IL SENSO DI UN PERCORSO” di don Virginio Colmegna - primo incontro del Corso per responsabili Caritas e animatori della carità; Milano, 22 novembre 2003. 45 Paolo VI, Commento allo statuto della Caritas Italiana. 26 4) La Caritas parrocchiale: le tappe di un cammino 46 la Caritas parrocchiale non può essere un'opzione facoltativa e la sua costituzione in ogni comunità, pur tenendo conto e adattandosi alle più diversificate situazioni, fa parte integrante dell'identità e della testimonianza della Chiesa. Immaginare oggi una Chiesa fraterna, significa, dunque, coniugare strettamente liturgia, catechesi e carità, dentro un cammino di comunione e di condivisione. A) Struttura e organizzazione La proposta della Caritas parrocchiale deve prevedere una struttura con caratteristiche di scioltezza e flessibilità, in considerazione di situazioni parrocchiali molto diversificate; naturalmente mantenendo gli elementi fondanti e assumendo le necessarie linee-guida, che qualificano un organismo ecclesiale, caratterizzato da una funzione pedagogica. È importante ribadire che il «naturale» presidente della Caritas parrocchiale è il parroco, il quale, in base alla situazione concreta della sua comunità (numero degli abitanti, configurazione territoriale, caratteristiche socio-culturali, composizione per fasce di età, condizioni economiche...), alla disponibilità e al coinvolgimento dei fedeli, alla sintonia con i progetti pastorali della diocesi, individui il tipo di struttura e le modalità di sviluppo più rispondenti al caso. Le esperienze esistenti possono essere riconducibili ad almeno tre tipologie: a) La Caritas parrocchiale è una Commissione promossa dal Consiglio Pastorale parrocchiale, dotata di un ruolo sia propositivo che operativo, per animare e sostenere la testimonianza di carità di tutta la comunità. Uno o alcuni membri della Caritas parrocchiale, la rappresentano nel Consiglio Pastorale parrocchiale. In considerazione della necessità di animare l'intera parrocchia, è opportuno che nella Caritas parrocchiale, sia prevista una rappresentanza di competenze, sensibilità, fasce di età (catechisti, animatori liturgici...). Ed è bene trovare il modo per dare voce ai poveri della parrocchia. 46 “DA QUESTO VI RICONOSCERANNO…:LE CARITAS PARROCCHIALI”, par.24,29,31,32,33,34,35 – Caritas Italiana Edizioni Dehoniane Bologna, 06/05/1999. 27 b) Quando manca il Consiglio Pastorale parrocchiale, il parroco individua tra i fedeli alcune persone, cui conferisce l'incarico specifico dell'animazione, formazione e coordinamento per la testimonianza della carità. Sviluppando rapporti di collaborazione con i catechisti e gli animatori della liturgia o rappresentanti di gruppi di volontariato, di opere e servizi caritativi già operanti in parrocchia, si potrà avviare un itinerario di animazione graduale, in prospettiva rivolto alla parrocchia intera ed un cammino informativo e formativo sulla carità (stile di vita, testimonianza e servizio) e sulla Caritas (dimensione ecclesiale, identità e compiti). c) Nelle parrocchie più piccole, il Consiglio Pastorale (o, nel caso in cui non esista, il parroco), può individuare una o due persone sensibili e disponibili, incaricandole di animare la pastorale della carità. In tutti i casi, far parte della Caritas parrocchiale non potrà mai essere né un'onorificenza, né una delega, ma una responsabilizzazione per la crescita della comunità di cui si è parte attiva. In relazione alla grandezza, alla composizione e alle caratteristiche della parrocchia, dunque, la Caritas parrocchiale imposta il proprio lavoro. Aspetti che non possono mancare sono: la conoscenza del territorio e della vita della gente che in esso abita (problemi, bisogni, aspettative, disponibilità...); l'individuazione di obiettivi a livello di informazione, di coinvolgimento comunitario. Per rafforzarsi nell'identità e per crescere in relazione ai bisogni e ai compiti, si consiglia quanto segue: a) i componenti della Caritas parrocchiale, si incontrino con regolarità per formarsi, progettare, verificare il lavoro, collaborare con gli incaricati di altri ambiti della vita parrocchiale; b) tengano costanti rapporti con la Caritas diocesana e interagiscano con essa, soprattutto in termini di formazione; c) si dotino di un minimo di strumenti operativi (testi, appunti, sussidi, riviste...) ed eventualmente una sede, un telefono e uno schedario; 28 d) si organizzino per comunicare con la parrocchia e il territorio: bollettino parrocchiale, volantini e manifesti, avvisi periodici durante le assemblee liturgiche, ecc. B) Gestione delle risorse economiche Un capitolo importante della struttura delle Caritas, è costituito dalla gestione delle risorse economiche e dai relativi bilanci. Un bilancio, infatti, può non essere il semplice resoconto economico di entrate e uscite, ma rivelare la «filosofia» degli interventi, mostrare le priorità sui bisogni, cui si è data maggior risposta. Il modo di compilare e illustrare il bilancio, educa alla corresponsabilità e alla trasparenza e può evitare un serio rischio cui la Caritas è esposta nella mentalità corrente, quello di essere considerata una distributrice e prima ancora, una raccoglitrice di soldi. La compilazione precisa e trasparente di un bilancio, al di là dell'entità, può diventare oggetto di riflessione e verifica del Consiglio Pastorale parrocchiale e dell'intera comunità parrocchiale, favorendo per esempio il raffronto tra le somme raccolte e impiegate e le persone coinvolte nei servizi, oppure tra quanto destinato ai poveri e quanto speso per momenti festivi o celebrativi. C) Stile e prassi: per una responsabilità comunitaria La pastorale della carità, al momento di proporsi come servizio alla crescita della comunità, non può oggi non tenere conto di atteggiamenti che qui proviamo ad elencare, quasi tracciando i criteri sottostanti alle azioni da impostare: a) Assunzione di uno stile di prossimità. Uno stile che privilegi la relazione umana, la compagnia, la presa in carico, l'empatia, la condivisione, attraverso relazioni che diano attenzione alla persona come soggetto e fine di ogni intervento. Sostenere la cura delle relazioni familiari, amicali, di buon vicinato, di appartenenza sociale e culturale, perché la persona sia aiutata nella presa di coscienza attiva della propria identità e ricchezza e sia messa in grado di stabilire relazioni costruttive, dialogiche, armoniose. 29 b) Educazione alla testimonianza comunitaria della carità. Aiutare l'intera comunità a mettere la carità al centro della testimonianza cristiana, superando sia la mentalità assistenziale, per aprirsi alla carità evangelica in termini di prossimità e condivisione, sia la tentazione della delega, che spesso accompagna, magari involontariamente, le azioni caritative. c) Sensibilizzazione, animazione e formazione: - favorire nella comunità l'esperienza della partecipazione e della corresponsabilità, educando a una sussidiarietà diffusa negli stili e nei comportamenti; - promuovere la partecipazione al momento di studiare e decidere iniziative educative, culturali, formative, informative, ricreative, attraverso un'attenta e rispettosa consultazione di soggetti/destinatari e uno stile di coinvolgimento delle persone e delle agenzie del territorio; - promuovere, in collaborazione con i vari ambiti pastorali, percorsi formativi, perché ogni componente della vita parrocchiale (catechisti, animatori della liturgia, operatori della pastorale familiare, giovanile ecc.), esprima la carità secondo la propria specificità e le diverse necessità; - aiutare la comunità parrocchiale a ricomprendersi quale soggetto di cittadinanza territoriale, che si confronta «in rete» con i diversi soggetti della società civile, intorno alla costruzione , ciascuno per la propria parte di responsabilità e competenze, di risposte alle istanze comunitarie, puntando all'auto-promozione, al protagonismo responsabile; - promuovere azione politica e sociale mossa dalla passione per la giustizia; stili di vita personali e familiari improntati ad accoglienza, sobrietà ed essenzialità; attenzione all'ambiente come impegno pedagogico e fattivo di salvaguardia e di armonia col creato. d) Conoscenza delle povertà. L’intento non è un semplice monitoraggio dei bisogni da assistere, ma lo sforzo di comprendere le persone con problemi, l'esame dei fenomeni di emarginazione ed esclusione e le relative cause, le sfide socio-culturali, i meccanismi di insensibilità ed egoismo individuale e collettivo. e) Coordinamento e collaborazione. Coordinare iniziative di carità già esistenti in parrocchia (dal volontariato ai servizi socio assistenziali di congregazioni religiose), senza sostituirsi a nessuna di esse, ma ponendosi come punto di riferimento comunitario, per un migliore 30 e più consapevole servizio, in vista di una proposta pastorale organica che il Consiglio Pastorale è chiamato a promuovere nella parrocchia. La collaborazione è rivolta alle realtà pubbliche e private di servizio alle persone, presenti sul territorio, per stimolare interventi organici e contribuire a creare solidarietà sociale, riconoscimento dei diritti/doveri di cura, inclusione e cittadinanza. La Caritas in parrocchia promuove iniziative, interventi, opere e servizi-segno, di cui si ravvisi la necessità, da essa distinti e gestiti autonomamente, benché collegati: associazioni di volontariato, fondazioni, cooperative sociali ecc. Strutture e servizi da sostenere perché siano sempre meglio capaci di diffondere e praticare cultura di solidarietà. D) Dimensione vicariale o zonale La dimensione del collegamento foraniale tra parrocchie è molto importante, in particolare come spazio formativo unitario per gli animatori delle Caritas parrocchiali e come possibile ambito di progettazione e gestione di servizi-segno, gruppi di volontariato etc., in risposta ai concreti problemi di un territorio omogeneo. Inoltre le Caritas parrocchiali, appartenenti ad uno stesso Comune, possono, tra l'altro, progettare insieme un rapporto di collaborazione con i servizi sociali pubblici. Il collegamento foraniale è un punto di riferimento particolarmente prezioso per gli animatori delle piccole e piccolissime parrocchie. 31 Servizi di prossimità: un’esperienza sul territorio a favore dei “senza fissa dimora” (A cura di Annamamaria Antonino, Franco Porzio e coll. “servizi di prossimità”) Credo sia utile chiudere il tema delle Caritas Parrocchiali, riportando l’esperienza umana ed operativa, testimoniata all’interno del corso di formazione, da una operatrice dei servizi di prossimità diocesani, orientati, in modo particolare, ma non solo, verso le persone “senza fissa dimora”. “Sono qui con voi stasera per parlarvi del mondo della prossimità. Ho usato di proposito la parola “ mondo”, perché l’approccio che vi proporrò a questo mondo, somiglia molto alle fasi di un atterraggio con l’aereo (ovviamente a rischio zero). Prima fase: sguardo a distanza, dall’alto: il mondo della prossimità, ci appare fatto di tante persone, che noi intravediamo, alle porte delle chiese, sulle panchine nelle piazze, in qualche rifugio di fortuna, fra i campi. Poveretti! È quello che tutti pensiamo all’inizio. Ma cominciamo l’atterraggio e cominciamo a distinguere meglio. Se scendiamo dall’aereo, scopriamo che queste persone hanno un nome, e, se andiamo oltre, possiamo anche sentire le loro storie. Ora è il momento della scelta. Preferiamo dar loro un piccolo aiuto, dire: coraggio e girare le spalle o vogliamo continuare il nostro viaggio con loro? Insieme a molti amici ho scelto di camminare con loro. In questo viaggio, che è ormai il viaggio della vita, ho scoperto panorami stupendi, imprevedibili, ma entusiasmanti. Ho scoperto un significato più bello della mia vita. Di questo vi parlerò stasera. Le persone, gli amici, il relazionarmi con gli altri è sempre stato il mio primo interesse, non i soldi, non il successo, non la realizzazione personale. Si, forse anche questo mi interessava, ma tutto è sempre passato attraverso relazioni personali più o meno importanti. E’ un’eredità che arriva certamente da mio padre, che amava stare in compagnia, con semplicità d’animo. A questa naturale tendenza, si è aggiunta, con gli anni e con l’approfondimento dell’incontro con Cristo, una dimensione molto più profonda e totalizzante. Ho capito che l’incontro con gli altri è il luogo per eccellenza dell’incontro con Dio. Ho sperimentato che Dio ci incontra e si lascia incontrare negli altri, nelle persone in difficoltà, in particolare, a cui noi ci facciamo coscientemente prossimo. 32 Già in questo nostro andare volontariamente verso gli altri, per amarli, già in questo cammino, Dio ci si rivela. Poi la rivelazione si arricchisce e si colora delle sfumature della realtà viva delle persone incontrate: il loro dolore, la loro umanità, diventano tutti aspetti di quella Incarnazione, che secondo me è la novità sconvolgente della nostra fede. Dio non è lontano, si è incarnato ed è visibile e chiede amore nelle persone che incontriamo. Da loro riceviamo amore in forma misteriosa ma reale; sempre l’incontro vero, profondo con il prossimo, ti lascia il cuore pieno, di calore, di gratitudine, di consolazione, a volte forse anche di angoscia, ma ricca di speranza. Per me, ormai da molti anni, la vita è andata sempre più arricchendosi. Non solo ho avuto modo di superare difficoltà, di aiutare, di affrontare e a volte risolvere gravi problemi, di rasserenare persone, di riscaldare cuori, ma ho anche conosciuto tante persone, ho costruito molte amicizie, ho fatto esperienze che non avrei mai immaginato. Insomma, più procedo su questa strada, più la vita mi appare bella e ne ringrazio Dio. Ma questo è il mondo della prossimità visto nelle sue profondità. Ora ritorniamo in superficie e procediamo a piedi: vi racconterò qualche mia esperienza sul campo, che vi farà comprendere quanto è vero, ciò che vi ho detto finora e spero accenda in voi, il desiderio di fare altrettanto o anche meglio. Di esperienze ve ne potrei raccontare tante; passerei volentieri ore a raccontarle, ma ne sceglierò due o tre. Mentre io parlo, vi invito a seguire il mio racconto, ponendovi, se possibile, dai tre punti di osservazione sulla prossimità, che vi ho proposto: dall’alto, allo stesso livello e in profondità. Anzi, a ben pensarci, c’è un ulteriore punto di vista, che può arricchire il nostro approccio alla prossimità, ed è lo sguardo, il punto di vista interno, quello che le stesse persone sofferenti hanno sulla loro vita. Credo che adottare questo punto di vista, cercando di risentire in noi le angosce, le difficoltà delle persone a cui ci avviciniamo sia il migliore modo di farci prossimo e, perdonatemi l’ardire, credo che sia il modo con cui Cristo stesso ci ama: si fa uno con noi, nostro compagno di viaggio.. Vi parlerò anzitutto di Valerij Vrisch. Un ucraino biondo, di circa quarant’anni, che mi aveva affidato il suo passaporto, perchè vivendo in strada temeva di perderlo. Lo incontravo spesso, anni fa, nei giardinetti di via Gemito, in compagnia di ucraini come lui, Igor, Svetlana, Marius. Furono gli amici a sollecitare il mio intervento: Valerij stava male, l’addome rigonfio, non mangiava più, beveva solo vino. Lo accompagnammo all’ospedale di Maddaloni, facendoci precedere dalla telefonata ad un amico influente. In effetti ci accolsero subito al Pronto Soccorso, anche se non dimenticherò la malagrazia di una dottoressa, nel visitarlo. Fu ricoverato, ma due giorni dopo, fui avvertita dagli amici che Valerij stava di nuovo ai 33 giardinetti. Evidentemente, ma questo l’ho capito dopo, Valerij, che parlava malissimo l’italiano, in ospedale avvertiva vuoto e solitudine e perciò preferiva la strada. Ci precipitammo a cercarlo e chiedemmo al solito amico, di poterlo riammettere in ospedale. Acconsentirono e Valerij ritornò. Già nel corridoio, mentre l’infermiere ci accompagnava, colsi la battuta di un degente: ”Chist’ sta ‘n’ ata vota ccà”. La cosa più grave, secondo me, fu che l’infermiere non battè ciglio: evidentemente anche lui la pensava allo stesso modo. Dopo due giorni, nuova fuga dall’ospedale, questa volta definitiva. Ritirammo i vestiti, che aveva lasciato in corsia e, ritrovato Valerij ai giardinetti, gli comunicai che aveva chiuso. In ospedale non saremmo più tornati, anche se stava male. E invece ci tornammo, ma questa volta per strade diverse. Era trascorso quasi un mese, quando i soliti amici mi fermarono per strada: Valerij si era sentito male, era venuta un’ambulanza, ma non sapevano dove l’avessero portato, perché nessuno di loro, clandestini, aveva osato accompagnarlo. Andai subito al nostro ospedale, ma il suo nome non risultava tra le persone portate al Pronto Soccorso, né c’erano stati ricoverati sconosciuti. Il giorno dopo, su sollecitazione degli amici preoccupati, ritorno in ospedale, questa volta con un medico amico che insiste nella ricerca, e così, in un registro, si scopre che, sì, un uomo senza nome è stato portato alcuni giorni prima in pronto soccorso, ma dopo alcune ore era morto. Al posto di polizia ospedaliero, a cui mostro il passaporto, dicono che probabilmente si tratta proprio della persona che da due giorni è all’obitorio, in attesa di un riconoscimento. Avevano anche pubblicato foto e notizia sul giornale, sperando che qualcuno si presentasse ed io, per altre strade, ero arrivata. Con un amico volontario siamo andati all’obitorio, gelido e straniante, per il riconoscimento ufficiale. Poi sono arrivati subito quelli delle Pompe funebri, che hanno contattato la madre in Ucraina, che ha pagato lautamente, per il trasporto del figlio. Prima, però, abbiamo organizzato un saluto degli amici con un prete ucraino, che pregava e cantava canti struggenti; l’ultimo dono ad una persona che non siamo riusciti ad aiutare. Ripenso spesso a Bruno, cinquantacinque anni, scuro nella pelle del viso tanto da sembrare un marocchino, ma italiano doc. Geometra, da una situazione di notevole benessere economico, era finito sulla strada per colpa dell’alcol. Si arrangiava, facendo il parcheggiatore, ma veniva spesso per mangiare alla nostra mensa. Non parlava molto di sé ed era restio a chiedere aiuto. Il giorno dopo Ferragosto, amici dalla stazione di Caserta, mi avvertono che un’ambulanza lo ha portato in ospedale. Doveva stare davvero male, 34 se aveva accettato di andare. Mi reco subito al Pronto Soccorso, ma non riesco a vederlo, mi dicono solo che stanno facendo indagini. L’indomani vengo a sapere che è stato trasferito a Benevento. Mi attivo su quel versante e riesco a mandare da lui diversi amici del posto. Poi le dimissioni, precedute da una diagnosi senza molte speranze: carcinoma alla gola. Siamo andati a prenderlo all’ospedale, organizzando immediatamente per lui un’ospitalità almeno notturna, un’assistenza sanitaria che non aveva mai attivato, e, ovviamente, l’accompagnamento alle sedute di chemio e radioterapia. E’ vissuto così, per una quarantina di giorni, riabbracciando nel frattempo il figlio, di cui aveva perso i contatti e che noi, in maniera imprevedibile, eravamo invece riusciti a rintracciare. Porto nel cuore, e nel mio cellulare, il suo ultimo messaggio, due giorni prima di morire: “Scusami, ma come posso fare? Non posso né bere, nè mangiare e neanche parlare. Le terapie stanno servendo a ben poco. Fammi sapere, per favore.” Tutte così le tue esperienze? qualcuno potrebbe dirmi. Ed io vi potrei rispondere di si, anche perché, mi dite come possono vivere diversamente, o anche morire, persone che hanno lasciato la loro terra, hanno perso il lavoro, hanno perso la famiglia, non hanno casa. Sicuramente le loro sono storie terribili, dentro le quali, però, si aprono spesso squarci di solidarietà, di condivisione, di resurrezione. Se il più delle volte le cose non cambiano è perché, su queste aperture di speranza, dovrebbe inserirsi il nostro intervento rispettoso e attento, dovremmo soffiare su quella fiammella per alimentarla. Quando ciò avviene, allora vediamo fiorire i fiori tra le rocce. Oleksandr: quarantatrè anni, medico nell’esercito russo, allo sbando dopo il crollo dell’URSS. In Italia vari lavori, poi incontri sbagliati, l’alcol, ricoveri in comunità terapeutiche, fallimenti continui, tentativi di suicidio. Un incontro casuale, una domenica mattina, don Antonello che ce lo affida: “vedete cosa si può fare, parlategli”. Dopo pochi minuti tutta la sua disperazione: ”aiutatemi, voglio uscirne, ma da solo non ce la faccio”. Gli abbiamo assicurato aiuto. Entro due giorni, la proposta di entrare in una struttura di accoglienza, confortevole e lontana dalle tentazioni. Sono passati tre mesi: Oleksandr non beve più, lavora sodo in questa comunità, ha ritrovato la voglia di vivere, si prende cura degli altri, ha restituito la serenità ai suoi familiari, che ancora ci ringraziano, e ogni volta che ci vediamo o sentiamo mi saluta sempre con un “Che Dio ti benedica”.