Rassegna Parlamentare

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Rassegna Parlamentare
17 mm
PANTONE PROCESS BLU CV
ISLE
Rassegna Parlamentare
3
2016 Luglio/Settembre
ISSN 0486-0373
Rivista
trimestrale
Rassegna
Parlamentare
3
1
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4
2016
Luglio/Settembre
Anno LVIII
Jovene editore
2ª COPERTINA
17 mm
3ª COPERTINA
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INDICE
luglio-settembre 2016
SAGGI
NICOLA LUPO, Il «sistema delle Conferenze» e il ruolo del
Governo «in» Senato ....................................................... p. 459
ENZO MOAVERO MILANESI, Il sistema delle ‘conferenze’ di
raccordo fra lo Stato e le autonomie territoriali: riflessioni in relazione all’ordinamento dell’Unione Europea » 481
EDOARDO C. RAFFIOTTA, Le ordinanze extra ordinem in materia ambientale: ex facto ius oritur .............................. » 495
OSSERVATORIO PARLAMENTARE
a cura di VINCENZO LIPPOLIS e MICHELA MANETTI
SIMONE BALDELLI, Ragioni ed effetti della c.d. «ghigliottina»
alla Camera dei deputati: il difficile bilanciamento tra
principi costituzionali nell’ambito della funzione parlamentare ............................................................................ » 519
ANDREA CARBONI, Il non passaggio agli articoli: un istituto
minore? ............................................................................ » 549
OSSERVATORIO SULLE REGIONI
a cura di ANTONIO D’ATENA
RENZO DICKMANN, I poteri sostitutivi statali tra Costituzione
vigente e Costituzione «possibile» .................................. » 589
OSSERVATORIO PARLAMENTARE COMPARATO
a cura di TOMMASO EDOARDO FROSINI
SILVIA SASSI, Il coinvolgimento del Parlamento portoghese
nelle dinamiche legislative europee ................................. » 623
Elenco collaboratori ................................................................ » 649
IL “SISTEMA DELLE CONFERENZE”
E IL RUOLO DEL GOVERNO “IN” SENATO*
di NICOLA LUPO
SOMMARIO: 1. Premessa: un nodo attuativo della riforma costituzionale di notevole
rilievo. – 2. Le tante incognite del nuovo Senato. – 3. Il destino del “sistema
delle Conferenze”. – 4. La funzione di raccordo con l’Unione europea. – 5.
La distinzione tra funzioni legislative e funzioni amministrative. – 6. La disciplina costituzionale del ruolo del Governo “in” Senato. – 7. La giurisprudenza costituzionale sul “sistema delle Conferenze”, nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari. – 8. Il “sistema
delle Conferenze” e il nuovo Senato nell’esercizio della clausola di supremazia. – 9. I limiti del “sistema delle Conferenze”. – 10. “Appoggiare” il “sistema delle Conferenze” presso il Senato. – 11. Sulla partecipazione dei Governi regionali ai lavori del Senato. – 12. Un cenno, infine, alla Conferenza
dei presidenti dei Consigli regionali.
1.
Premessa: un nodo attuativo della riforma costituzionale di
notevole rilievo
Lasciatemi partire dai miei più sinceri complimenti per l’indagine conoscitiva, che è stata lanciata molto tempestivamente e
che ha avuto il pregio di far avvertire a politici e tecnici, statali e
regionali, il rilievo e la difficoltà dei numerosi problemi sul tappeto che si pongono in sede attuativa della riforma costituzionale, che è bene in ogni caso affrontare per tempo.
Non da oggi sostengo – credo, del resto, che l’esperienza
della riforma del Titolo V della Costituzione ce l’abbia chiara* Testo
rivisto dell’audizione svolta il 7 luglio 2016 presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle forme di
raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al «sistema
delle Conferenze».
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NICOLA LUPO
mente dimostrato come poche altre vicende – l’importanza e la
delicatezza del processo di attuazione delle riforme costituzionali,
il quale, per certi versi, finisce per essere persino più impegnativo
del processo di attuazione di una nuova Costituzione. Infatti, le
riforme costituzionali intervengono su un ordinamento che si è
già assestato lungo certe dinamiche, per cui il percorso che porta
ad attuare i princìpi e le norme costituzionali che si introducono
attraverso le riforme stesse si rivela tutt’altro che agevole, potendo contare su una discontinuità meno marcata (e spesso anche
meno condivisa).
Il carattere rigido della nostra Costituzione e l’esistenza di
un giudice delle leggi non bastano: occorre che si ponga in essere
e che si realizzi un processo di attuazione anzitutto a livello politico, perché spetta in primis alla politica, ossia al Parlamento e al
Governo, il compito di interpretare e di inverare i princìpi e le
norme costituzionali. Non è un compito che può essere lasciato
soltanto ai giudici, foss’anche costituzionali, altrimenti sorgono
problemi non di poco conto e si dà origine ad una serie di squilibri nel sistema istituzionale1. Pertanto, anche alla luce di questa
considerazione, vi rivolgo davvero i complimenti per questa indagine conoscitiva.
Effettivamente i nodi attuativi sono tanti, soprattutto rispetto
a cosa sarà il nuovo Senato, se sarà. Mi sia consentito di evitare di
ripetere ogni volta quest’ultima clausola, altrimenti rischio di diventare molto noioso: è evidente che l’entrata in vigore della
riforma dipende dall’esito del referendum costituzionale, ma è
necessario sin d’ora porre in luce i principali nodi attuativi.
2.
Le tante incognite del nuovo Senato
Proprio la naturale vaghezza delle norme costituzionali fa sì
che il nuovo Senato possa essere, in concreto, realtà molto diverse: la sua natura è ancora per larga parte incerta. Potrà essere
1 In
proposito, cfr. la lezione di S. BARTOLE, Interpretazioni e trasformazioni della
Costituzione repubblicana, Il Mulino, Bologna, 2004, spec. 444 s.
IL SISTEMA DELLE ‘CONFERENZE’ DI RACCORDO
FRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI:
RIFLESSIONI IN RELAZIONE ALL’ORDINAMENTO
DELL’UNIONE EUROPEA*
di ENZO MOAVERO MILANESI
Se si considerano, da un punto di vista generale, le relazioni
fra l’Italia e l’Unione Europea (in prosieguo anche, UE), va rilevato che il nostro Paese incontra, spesso, un certo numero di difficoltà operative. Queste si manifestano tanto sul versante del rispetto dei vincoli e degli adempimenti richiesti, quanto su quello
della piena e proficua fruizione delle opportunità offerte. Gli
esempi più significativi sono due.
Il primo, riguarda l’elevato numero di procedure per la violazione di disposizioni del diritto UE, aperte dalla Commissione
europea nei confronti dell’Italia. Da decenni, siamo lo Stato
membro al quale vengono contestate più infrazioni; la situazione
è migliorata solo negli ultimi anni, in virtù di un notevole sforzo,
da parte italiana. Questo più incisivo impegno, in sede legislativa
ed esecutiva, è stato senz’altro reso più efficace proprio dalle finalizzate innovazioni normative introdotte dalla legge n. 234 del
2012, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione
europea1.
* Il presente testo – in una sua versione semplificata – è stato utilizzato dall’autore in occasione di un’Audizione svoltasi presso la Commissione Parlamentare per le
Questioni Regionali, il 19 maggio 2016, nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulle
forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al
’sistema conferenze’. Considerati i sei quesiti formali di cui all’indagine conoscitiva,
l’intervento intende contribuire, in particolare, a una risposta ai quesiti 6 e 2.
1 Si veda il Commentario alla Legge 24.12.2012 n. 234 «Norme generali sulla par-
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ENZO MOAVERO MILANESI
Le violazioni italiane più frequenti sono di tre tipi: ritardi nel
recepimento delle normative UE; aiuti pubblici alle imprese ritenuti illegali; infrazioni a regole UE in vigore. Va ricordato che, in
ultima istanza, una procedura d’infrazione può sfociare in condanne della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Quest’ultime,
oltre a obbligare uno Stato membro ad adempiere al precetto UE,
comportano ingenti sanzioni pecuniarie a carico dello Stato e
sono suscettibili di gravose conseguenze a livello del risarcimento
degli eventuali pregiudizi causati a soggetti terzi. Con riferimento
alle autonomie territoriali, è importante sottolineare che, non di
rado, simili illeciti dipendono proprio dall’azione/inazione di regioni, province e comuni, in relazione alle loro rispettive competenze legislative ed esecutive e al loro coinvolgimento nella realtà
economica e di mercato, attraverso le aziende da essi controllate.
Il secondo esempio, attiene all’impiego dei finanziamenti
previsti e stanziati dal bilancio UE; in particolare: i cosiddetti
‘fondi strutturali’ destinati alle zone meno favorite e sviluppate
dell’UE; i fondi della politica agricola comune (PAC); i fondi per
la ricerca; i fondi per le reti d’interconnessione (trasporti, energia, telecomunicazione); i fondi per la cultura.
Nelle sedi europee, l’Italia non è considerata un buon utilizzatore di queste opportunità di finanziamento pubblico per investimenti. I problemi più frequenti riguardano: la programmazione; il coordinamento fra le diverse zone geografiche e i vari
settori produttivi del Paese; la puntualità nell’impegno e nell’effettiva spesa dei fondi stessi; l’efficacia strutturale della medesima e l’impatto dei risultati, in termini di prodotto interno lordo
(Pil) e di crescita economica e sociale delle aree beneficiarie.
Data la tipologia dei finanziamenti UE e i loro parametri di assegnazione e destinazione, gli enti territoriali sono eminentemente
interessati dai meccanismi decisionali vigenti in Italia e dunque,
ampiamente coinvolti2.
tecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche
dell’Unione europea», a cura di L. Costato, L.S. Rossi, P. Borghi, Ed. Scientifica, Napoli, 2015.
2 Cfr. M. BRUNAZZO, Le Regioni italiane e l’Unione europea. Accessi istituzionali e
di politica pubblica, Roma, Carrocci, 2005.
LE ORDINANZE EXTRA ORDINEM IN MATERIA AMBIENTALE:
EX FACTO IUS ORITUR
di EDOARDO C. RAFFIOTTA
SOMMARIO: 1. Alle origini dei poteri normativi extra ordinem nelle emergenze ambientali. – 1.2. Un primo caso emblematico: il «terremoto dello stretto» e
l’intervento extra ordinem. – 2. Le ordinanze extra ordinem e l’emergenza
ambientale dopo la Costituzione repubblicana. – 3. Le ordinanze extra ordinem e la difficile tipizzazione. – 4. Le ordinanze extra ordinem rilevanti in
materia ambientale. – 5. Le ordinanze extra ordinem indirettamente connesse alle emergenze ambientali. – 6. La legge n. 225 e la vocazione ambientale delle ordinanze in materia di protezione civile. – 7. L’emergenza
ambientale e le ordinanze in deroga alla legge: ex facto ius oritur.
1.
Alle origini dei poteri normativi extra ordinem nelle emergenze ambientali
Difficile affermare quando sia nato il potere di ordinanza, e
in particolare quello in deroga alla legge, è però certo che pur
non essendo l’unica causa di legittimazione, da sempre, tale potere sia stato strettamente legato alle emergenze, in particolare a
quelle ambientali, intese in senso lato: dai terremoti, ai dissesti
idrici e, più di recente – a causa del mutamento della produzione
industriale – per far fronte a emergenze derivanti da fenomeni
d’inquinamento. Anche per tale ragione, il presente scritto intende analizzare i casi di ordinanze adottate in via di eccezione,
in deroga alla legge, al fine di fronteggiare emergenze ambientali.
Come accennato, la storia delle ordinanze normative si
perde indietro nel tempo, sin a partire dal periodo pre-unitario.
Di derivazione francese, l’ordonnance appare per la prima volta
nell’Ancien Régime presentandosi con un carattere indefinito e
polivalente indicando molti atti, in generale tutte le norme ema-
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EDOARDO C. RAFFIOTTA
nate dal Monarca1. Nello Stato assoluto francese l’ordonnance
era in generale sinonimo di loi, statut, commandement d’un Souverain: leggi stabilite dalla sola volontà regia, nei settori più diversi e in particolare nell’ambito del diritto pubblico e penale2.
In Italia, a prima lettura, lo Statuto albertino sembrava vietarle, così come qualsiasi altro atto governativo che non fosse in
attuazione della legge. In tal senso l’art. 6 stabiliva «il Re… fa i
decreti e regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi senza
sospenderne l’osservanza o dispensarne»3. Tale disposizione
aveva un duplice valore: fissava i confini, in termini di competenza di decreti e regolamenti, delimitando il ruolo del Sovrano,
non più titolare di poteri assoluti e allo stesso tempo, assegnando
al Parlamento il potere di definire tali limiti attraverso la legge.
In ossequio a tale previsione, osservando l’ordinamento del
tempo, numerose erano le fattispecie di legge che regolavano la
disciplinava di ordinanze extra ordinem alle quali era espressamente consentito di normare determinati settori in caso di emergenze, in alcuni casi, esplicitamente riferite all’ambito ambientale. Tra le altre, ad esempio, si può ricordare il generico potere
disposto in capo all’«Autorità amministrativa» ex art. 7 della
legge 2248 del 1865, all. E, sull’abolizione del contenzioso amministrativo, che per la prima volta espressamente disciplinava
l’adozione di ordinanze (motivate) «per grave necessità pubblica» consentendo di «disporre della proprietà privata». Con1 M. FIORAVANTI, Le potestà normative del governo. Dalla Francia d’Ancien régime
all’Italia liberale, Milano, 2009, 22 ss.
2 M. FIORAVANTI, cit., 25, ricorda l’emblematico esempio di Luigi XIV, detto il
«re legislatore», per le numerose ordinanze di ampia disciplina: ordonnance civile pour
La reformation de la justice (1.667), ordonnance des eaux et forets (1.669), ordonnance
criminelle (1670), ordonnance du commerce (1673), ordonnance de la marine (1681) e
ordonnance de police des îles de l’Amerique, meglio nota come Code Noir (1685), volta
a regolare la vita degli schiavi di colore nelle isole francesi.
3 Tale formula riprende del resto – come ricorda A. MORRONE, Le ordinanze di
necessità ed urgenza tra storia e diritto, in A. VIGNUDELLI (a cura di), Istituzioni e dinamiche del diritto. I confini mobili della separazione dei poteri, Milano, 2009, 174 – la
formula dell’art. 13 della costituzione francese del 1830 senza tuttavia l’avverbio
«jamais» intenzionalmente eliminato dai costituenti del regno sabaudo «(…) sans
pouvoir jamais ni suspendre les lois elles-mémes ni dispenser de leur exécution».
RAGIONI ED EFFETTI DELLA C.D. “GHIGLIOTTINA”
ALLA CAMERA DEI DEPUTATI:
IL DIFFICILE BILANCIAMENTO TRA PRINCIPI COSTITUZIONALI
NELL’AMBITO DELLA FUNZIONE PARLAMENTARE
di SIMONE BALDELLI
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Decreti legge e “contingentamento” alla Camera
dei deputati. – 3. Il Regolamento e i “precedenti del Presidente”. – 4. Sulla
necessità della “ghigliottina” per la tutela costituzionale della funzione parlamentare. – 5. Osservazioni conclusive.
1.
Introduzione
Ciascuna delle Camere del Parlamento è un’istituzione dinamica,
viva e “fluida”, un luogo tanto fisico quanto giuridico, all’interno del
quale trova naturale albergo, più che in qualunque altra istituzione,
una molteplicità di diritti e interessi dotati di autonomo rilievo costituzionale.
Ed allora, lo studio di quella branca del diritto costituzionale che
va storicamente sotto il nome di “diritto parlamentare” non è certamente (come potrebbe apparire a quanti abbiano un’immagine distorta o deformata dell’istituzione) un avventurarsi nei meandri di questioni regolamentari e procedurali avulse dalla vita politica e istituzionale dello Stato, ma piuttosto si sostanzia nello sforzo di comprendere
e ricondurre ad unità un coacervo – talvolta, a prima vista, inestricabile
– di rapporti e interessi costituzionalmente tutelati, la cui espressione
parlamentare fedelmente riflette, con sfumature diverse, la quotidianità del sistema Paese. Lo studio della funzione parlamentare e del
complesso delle norme che ad essa presiedono, allora, altro non è se
non la volontà di indagare, attraverso i lavori del Parlamento, che ne
sono gli indiscussi protagonisti, e non certo degli elementi di contorno,
la dinamica e l’evoluzione dei rapporti istituzionali che caratterizzano
520
SIMONE BALDELLI
la forma di governo della Repubblica e la sua “vita costituzionale”.
Uno studio che (come la migliore delle scienze) per dare i propri frutti
necessita tanto di un solido inquadramento teorico, quanto di un’attenta e paziente osservazione dei fatti e delle azioni.
La XVII legislatura della Repubblica, apertasi il 15 marzo 2013, è
stata sin dal principio caratterizzata da un clima di accentuata conflittualità politica, conseguenza dell’esito incerto delle elezioni nazionali1,
tenutesi nel febbraio precedente, e dell’ingresso nelle aule parlamentari di forze politiche nuove, estranee al c.d. “sistema dei partiti tradizionali”2. Queste ultime forze, nate e cresciute sulla scorta di una crisi
ormai del tutto evidente della rappresentanza politica, hanno assunto,
quantomeno nella fase di esordio all’interno dell’istituzione parlamentare, un ruolo di opposizione tutt’affatto peculiare, caratterizzato da
un’avversione forte, non soltanto per la (variabile) maggioranza parlamentare e per i governi che ne sono stati l’espressione (dapprima il governo Letta e poi il governo Renzi), ma anche per il complesso delle
forze parlamentari “convenzionali”, ritenute l’espressione di una classe
politica ormai superata3. A ciò si aggiunga – quale circostanza altrettanto rilevante – il fatto che le forze in questione hanno ottenuto una
rappresentanza parlamentare numericamente consistente, senza avere
maturato, in precedenza, alcuna significativa esperienza nell’ambito di
un’assemblea elettiva, a qualunque livello4, anzi facendo dell’inesperienza una sorta di requisito per accedere alla candidatura e dunque
alla carica elettiva. Siffatta “innovativa” connotazione di parte delle opposizioni, ha finito per mutarne sensibilmente il ruolo e – del pari –
per portare cambiamenti profondi in seno alla dialettica parlamentare.
1 Un esito che, come è noto, ha condotto ad una vera e propria impasse istituzionale, impedendo la formazione di un governo (e di una maggioranza) per oltre sessanta giorni.
2 Sul punto, S. CECCANTI, I partiti antisistema nell’esperienza italiana: il Movimento 5 Stelle come partito personale autoescluso, in Diritto pubblico comparato ed europeo 3 (2015), 799-832. Per un’analisi storica della tendenza si veda, altresì, I. NICOTRA, Democrazia “convenzionale” e partiti antisistema, Giappichelli, Torino, 2007. Per
un approccio sociologico al problema, si veda, inoltre, M. CERRUTO, C. FACELLO, Il
cambiamento dei partiti tradizionali al tempo dell’antipolitica, in 65 Quaderni di sociologia (2014), 75-96.
3 In proposito si veda l’efficace sintesi di L. VIOLANTE, Governare. Beati quelli
che amministrano la città con gli occhi dell’altro, Roma, San Paolo, 2014, 23 ss.
4 Invero, l’avvento della XVII legislatura ha segnato – in termini assoluti – un
evidente turn over della classe politica e parlamentare italiana: più del 60% dei membri delle due Camere, infatti, è oggi alla prima esperienza Parlamentare.
IL NON PASSAGGIO AGLI ARTICOLI:
UN ISTITUTO MINORE?
di ANDREA CARBONI
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Profili storici dell’istituto. – 3. La natura del «non
passaggio» all’esame degli articoli e il controverso rapporto con la questione
pregiudiziale. – 4. Prassi e problemi applicativi. L’inscindibilità logico-procedurale della proposta di non passaggio. – 5. Considerazioni conclusive.
1.
Premessa
La discussione parlamentare, intesa in senso lato quale procedimento complesso di esame di un determinato argomento all’ordine del
giorno delle Camere, si è sempre tradizionalmente caratterizzata per
una suddivisione in fasi procedurali volte principalmente a definire i
diversi momenti dell’illustrazione, della discussione sulle linee generali,
dell’esame puntuale nel merito e della deliberazione conclusiva. A tale
articolazione risponde perfettamente lo strumento della proposta di
non passaggio all’esame degli articoli, che si applica ai soli casi di
esame di testi di carattere normativo, ma discende dall’ordine del
giorno puro e semplice, di generale applicazione.
La proposta (o ordine del giorno) di non passaggio, pur apparentemente resa più marginale dalla sua attuale previsione nel solo Regolamento del Senato, non ha mai smesso di rivestire una certa rilevanza
nello svolgimento dei dibattiti politicamente più significativi come dimostra, tra l’altro, l’importanza che essa ha di recente assunto in occasione della discussione del disegno di legge istitutivo delle c.d. unioni
civili o, in generale, laddove vi sia la prospettiva della posizione della
questione di fiducia da parte del Governo sull’approvazione di un determinato provvedimento. L’istituto risulta di un certo interesse anche
per l’altro ramo del Parlamento in quanto, come si vedrà, nonostante
la sua formale soppressione, ha lasciato tracce significative della sua
presenza anche nel Regolamento della Camera dei deputati.
550
2.
ANDREA CARBONI
Profili storici dell’istituto
Nell’ambito del procedimento legislativo, nella fase della discussione dei disegni di legge, non è infrequente imbattersi in deliberazioni
con le quali l’Assemblea decide se proseguire o meno con il passaggio
all’esame degli articoli. Attualmente tale deliberazione può essere promossa solo al Senato, attraverso lo strumento della proposta di non
passaggio all’esame degli articoli, la quale a sua volta costituisce una
particolare tipologia di ordine del giorno, in quanto trae le proprie origini da uno degli istituti più risalenti del diritto parlamentare, denominato in passato «ordine del giorno puro e semplice»1, che si concludeva non già con un invito o esortazione, ma con la determinazione di
passare «all’ordine del giorno» e cioè ad esaminare l’argomento successivo; in altri termini era diretto a troncare e fare abbandonare l’esame dell’argomento in discussione, vale a dire a respingerlo2. Tale tipologia di ordine del giorno sopravvive oggi nel solo Regolamento del
Senato, limitatamente all’esame di testi redatti in articoli, e pertanto
principalmente nell’attività legislativa nella quale, poiché impedisce il
passaggio alla discussione, appunto, degli articoli, la sua approvazione
equivale al rigetto dell’intero disegno di legge3 o più in generale dell’articolato, come nel caso di una proposta di modifica del Regolamento.
L’emersione di una specifica fase nella quale le assemblee parlamentari deliberano se passare o meno alla discussione degli articoli si
1 Cfr.
V. LONGI, Elementi di diritto e procedura parlamentare, Milano, 1978, 149.
G.F. CIAURRO, Il Governo nel procedimento legislativo, in Nuovi studi politici, vol. 28,
1998, 93.
2 R. ASTRALDI, F. COSENTINO, I nuovi regolamenti del Parlamento italiano. Storia,
esposizione, raffronti, interpretazioni, Roma, 1950, 164. Si veda per un esempio nell’esperienza francese, risalente al 1792, l’episodio citato da A. THIERS, Histoire de la Révolution française, Parigi, 1823-1827, trad. it. Storia della rivoluzione francese, di P.
Bernabò, Firenze, 1845, vol. II, 31. Per un esempio nel corso dei lavori dell’Assemblea
costituente della Repubblica Romana v. D. ARRU, La legislazione della Repubblica Romana del 1849 in materia ecclesiastica, Milano, 2012, 161.
Per un ulteriore esempio di ordine del giorno puro e semplice in Francia, nel
1831, v. le cronache riportate in La voce della verità - Gazzetta dell’Italia centrale, supplemento al n. 27 del 4 ottobre 1831. Per un precedente discusso nel 1838 presso la
Dieta federale svizzera cfr. Il cattolico - Giornale religioso - letterario, Lugano, 1838,
Primo semestre, vol. 10, 167.
3 E. SPAGNA MUSSO, L’iniziativa nella formazione delle leggi italiane, Napoli,
1958, ora in Scritti di diritto costituzionale, Milano, 2008, 334.
I POTERI SOSTITUTIVI STATALI
TRA COSTITUZIONE VIGENTE E COSTITUZIONE «POSSIBILE»
di RENZO DICKMANN*
SOMMARIO: 1. I poteri sostitutivi nella Costituzione vigente. – 1.1. Profili generali.
– 1.2. La diversa natura giuridica dei poteri sostitutivi di cui agli artt. 117,
quinto comma, e 120, secondo comma, Cost. – 1.3. L’attrazione legislativa in
sussidiarietà di competenze regionali e la differenza con il potere sostitutivo
di cui all’art. 120 Cost. – 2. I nuovi artt. 117, quarto comma, e 120, secondo
comma, Cost. Prime questioni. – 2.1. Il nuovo «potere sostitutivo» in via
legislativa. – 2.2. Il consolidamento del potere sostitutivo in via amministrativa.
1.
I poteri sostitutivi nella Costituzione vigente
1.1. Profili generali
La Costituzione vigente disciplina la sostituzione1 statale agli artt.
117, quinto comma, e 120, secondo comma, negli ambiti di competenza regionale definiti dall’art. 117 Cost. e delle province autonome;
la giurisprudenza costituzionale ha consentito l’emersione di un ulteriore istituto affine, l’attrazione (o avocazione) in sussidiarietà con
* In memoria di Raffaele Maresca, caro amico e collega di valore.
Le opinioni espresse sono personali e non impegnano in alcun modo l’Istituzione
di appartenenza.
1 Sul tema si è già offerta una ricostruzione organica in Poteri sostitutivi, avocazione in sussidiarietà e poteri di ordinanza. Una lettura di sistema, in Federalismi.it,
19/2012, e ult. bibl. ivi cit., di cui il presente contributo, limitatamente al § 1 di quel
lavoro, costituisce un ampio aggiornamento sulla base delle novità sopravvenute in
dottrina ed in giurisprudenza. Come monografie sull’argomento si ricordano M. BOMBARDELLI, La sostituzione amministrativa, Cedam, Padova, 2004; C. MAINARDIS, Poteri
sostitutivi statali e autonomia amministrativa regionale, Giuffrè, Milano, 2007; S. PAPA,
La sussidiarietà alla prova: i poteri sostitutivi nel nuovo ordinamento costituzionale,
Giuffrè, Milano, 2008; V. TAMBURRINI, I poteri sostitutivi statali. Tra rispetto dell’autonomia regionale e tutela del principio unitario, Giuffrè, Milano, 2012.
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RENZO DICKMANN
legge di competenze regionali. La riforma costituzionale definita nella
XVII legislatura sostanzialmente conserva tale impianto, aggiungendovi – al quarto comma del nuovo art. 117 – una speciale competenza
legislativa dello Stato prevalente sulle competenze legislative delle regioni (di cui peraltro con la riforma sono soppresse quelle concorrenti), che la Corte costituzionale ha mostrato di non escludere già in
base alla Costituzione vigente2.
In questa sede si intende svolgere una disamina riepilogativa, alla
luce delle acquisizioni della giurisprudenza costituzionale, degli istituti
«sostitutivi» vigenti ed una prima riflessione sulle possibili novità costituzionali.
In via generale può parlarsi di «sostituzione» quando un ente, un
potere oppure un organo sia competente ad intervenire in ambiti di attribuzione o di competenza di un potere, ente o organo diverso sulla
base di presupposti tassativi determinati in via normativa (costituzionale o legislativa) e con atti successivamente sostituibili a cura dell’ente,
potere o organo sostituito, in caso di inadempimento o di pericolo derivante dall’inadempimento di quest’ultimo3. La sostituzione può essere
definita una relazione intersoggettiva4 di rilievo giuridico che determina
la legittimazione all’esercizio straordinario di attribuzioni o competenze
di spettanza diversa: in virtù di tale titolo la predetta legittimazione si
sposta da un ente, un potere o un organo ad un altro senza che muti la
titolarità originaria delle competenze o attribuzioni esercitate in via sostitutiva. Infatti, ove ne mutasse la titolarità, si dovrebbe parlare di trasferimento di attribuzioni o competenze ovvero, se l’esercizio fosse illegittimo, di violazione dell’ambito di attribuzioni o competenze dell’ente, del potere o dell’organo originariamente titolare.
2 Si
veda, ad es., Corte cost., 14 gennaio 2010, n. 2 (volendo con nota di R. DICKIl commissario ad acta può esercitare il potere sostitutivo in via normativa?, in
Federalismi.it, 3/2010).
3 Il titolo della sostituzione non presuppone necessariamente un dovere di provvedere in capo all’ente, organo o potere sostituito, quanto piuttosto una competenza
«condizionata» da un presupposto normativo, cosicché già la mera inadempienza
legittima alla sostituzione (in tal senso si rammenta la classica lettura di H. KELSEN,
L’esecuzione federale, in La giustizia costituzionale, Giuffrè, Milano, 1981, trad. it. a
cura di G. Geraci, spec. 76).
4 Corte cost., 14 gennaio 2010, n. 2, punto 5 in diritto; per una rassegna della
giurisprudenza amministrativa sul punto si veda S. PAPA, La sussidiarietà alla prova: i
poteri sostitutivi nel nuovo ordinamento costituzionale, Giuffrè, Milano, 2008, 301 ss.
Anche il Consiglio di Stato, sez. V, sent. 28 dicembre 2011, n. 6953, punto I.2.1, opta
per la tesi della relazione intersoggettiva.
MANN,
IL COINVOLGIMENTO DEL PARLAMENTO PORTOGHESE
NELLE DINAMICHE LEGISLATIVE EUROPEE*
di SILVIA SASSI
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La forma di governo portoghese. – 3. L’appartenenza
del Portogallo alle Comunità europee, prima, e all’Unione europea, dopo. –
4. Le revisioni costituzionali e il rapporto Parlamento-Governo prima del
Trattato di Lisbona. – 5. Il rapporto Parlamento-Governo dopo il Trattato
di Lisbona. – 6. Il coinvolgimento dell’Assemblea della Repubblica nel processo decisionale europeo. – 6.1. L’organizzazione interna della Assemblea
della Repubblica e la Commissione affari europei. – 6.2. Le modalità di esercizio del controllo di sussidiarietà. – a) Il controllo in generale. – b) Il controllo sul Programma di lavoro della Commissione europea. – c) Il controllo
su un motivo rilevante. – 6.3. Il controllo democratico sulle politiche settoriali concernenti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. – 6.4. Il parere in
forma di “dialogo politico” sulla proposta che istituisce una Procura europea: un’aspirazione alla costituzionalizzazione dell’Unione europea. –
7. Conclusioni.
1.
Premessa
Il discorso sull’Europa è spesso stato sviluppato, soprattutto dai
costituzionalisti, nell’ottica della garanzia della democraticità degli Stati
membri. Il fatto, forse, che l’ordinamento europeo abbia, fin dalle sue
origini, portato con sé auspici altamente democratici – tra i quali fondamentale è il mantenimento della pace – giustifica un simile approccio
alla questione. Sotto l’impulso di questi auspici, infatti, alcuni Paesi europei – primo fra tutti l’Italia – hanno consentito, in condizioni di parità con gli altri Stati, limitazioni alla propria sovranità e hanno promosso e favorito l’organizzazione europea sottovalutando, sotto il profilo costituzionale, gli effetti derivanti dalla propria adesione. Più
* Il presente saggio è raccolto nel volume in corso di pubblicazione: P. BILANCIA
(a cura di), Il ruolo dei Parlamentari nazionali nel processo di integrazione europea,
Cedam - Wolters Kluwer, 2016.
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SILVIA SASSI
raramente, invece, lo stesso discorso è stato rivolto all’esame dei mutamenti del sistema politico e della forma di governo di un Paese UE.
In questa sede è, tuttavia, sotto quest’ultimo profilo che si intende
condurre il discorso sull’Europa giacché le novità introdotte dal Trattato di Lisbona relative al coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel
processo di attuazione del principio di sussidiarietà a livello UE, hanno
significativamente inciso sulla forma di governo degli Stati membri.
Nella specie sarà oggetto di considerazione il caso del Portogallo.
2.
La forma di governo portoghese
I rapporti che intercorrono tra gli «organi sovrani» della Repubblica portoghese sono assai complessi, perché fortemente compromissoria è stata la fase costituente che ha portato all’adozione nel 1976
della vigente Costituzione1. Non stupisce, pertanto, il ricorso, da parte
della dottrina, a diverse formule per inquadrare la forma di governo
portoghese.
Da una parte, vi è, infatti, chi la fa rientrare nell’ambito dei sistemi parlamentari razionalizzati2 e, dall’altra parte, chi la fa rientrare
nel sistema semi-parlamentare3. La maggioranza della dottrina, però, la
riconduce nel genus del semipresidenzialismo data la coesistenza di
elementi caratteristici sia del sistema presidenziale sia di quello parlamentare4. Ed in effetti, tra i tratti caratterizzanti la forma di governo
portoghese tipici del sistema presidenziale vi sono l’elezione a suffragio
universale e diretto del Presidente della Repubblica (art. 121, Cost.
port.), il suo diritto di veto sulle leggi, superabile solo con maggioranza
1 Spirito compromissorio dovuto dalla «necessità di concretizzare un modus vivendi tra militari e civili che fosse confacente ai paradigmi liberaldemocratici», così R.
ORRÙ, Il Portogallo, in P. CARROZZA, A. DI GIOVINE, G.F. FERRARI (a cura di), Diritto costituzionale comparato, Laterza, Roma-Bari, 2010, II ed., 274. Per un’analisi approfondita di questa fase costituente cfr. G. DE VERGOTTINI, Le origini della Seconda Repubblica Portoghese (1974/1976), Giuffrè, Milano, 1977.
2 A. GONÇALVES PEREIRA, O semi-presidencialismo em Portugal, Lisboa, 1984; P.
OTERO, A renúncia do Presidente da Républica na Constituicao Portuguesa, Coimbra,
1984.
3 C. QUEIROZ, O sistema político e constitucional português, Lisboa, 1992.
4 M. VOLPI, Libertà e autorità, Giappichelli, Torino, 2000, 138 s.; J. MIRANDA,
Portogallo, in E. PALICI DI SUNI PRAT, F. CASSELLA, M. COMBA (a cura di), Le Costituzioni dei Paesi dell’Unione europea, Cedam, Padova, II ed., 2001, 626 ss.; G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Cedam, Padova, 2014, IX ed., 519 s.