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visioni d’insieme
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Vincenzo Tinè
106
Riferimenti bibliografici e fonti
iconografiche • Civiltà dell’argilla. Le prime
comunità del Neolitico, a cura di M. A.
Fugazzola Delpino, A. Pessina, V. Tinè,
Catalogo della mostra, Soprintendenza al
Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L.
Pigorini”, Roma 2004.
M. A. Fugazzola Delpino, V. Tinè, Le statuine
fittili femminili del Neolitico italiano.
Iconografia e contesto culturale, «Bullettino
di Paletnologia Italiana», 93-94, 20022003, pp. 19-51.
A. Pessina, G. Muscio, Settemila anni fa il
primo pane. Ambienti e culture delle
società neolitiche, Catalogo della mostra,
Museo Friulano di Storia Naturale, Udine
1998-1999.
A. Pessina, V. Tinè, Archeologia del
Neolitico. L’Italia tra VI e IV millennio,
Carocci, Roma (in c. d. s.).
Spirali del tempo, meandri del passato. Gli
scavi archeologici a La Vela di Trento dal
1960 al 2007, a cura di E. Mottes,
Catalogo della mostra, Soprintendenza per i
Beni Archeologici, Provincia Autonoma di
Trento, Trento 2007.
S. Tinè, Passo di Corvo e la civiltà neolitica
del Tavoliere, Sagep Editrice, Genova 1983.
Fig. 1 Le facies culturali a ceramiche
impresse nel Neolitico antico del
Mediterraneo.
Il Neolitico in Italia
Il processo di neolitizzazione in Italia: cronologia
e dinamiche culturali
La fase della ‘neolitizzazione’,cioè della più antica diffusione della civiltà neolitica,
è oggetto di particolari attenzione della ricerca,dato che da essa derivano le caratteristiche dinamiche di acculturazione e trasmissione dei tratti socio-economici.
Nel contesto mediterraneo ed europeo – caratterizzato da un mosaico di macrozone culturali, piuttosto differenziate tra di loro e non chiaramente collegate da
transizioni percepibili (fig. 1) – l’Italia ha svolto un ruolo di cerniera tra Oriente e
Occidente,acquisendo e trasformando gli elementi culturali provenienti dall’Europa sud-orientale, per trasmetterli poi alle regioni occidentali del Mediterraneo.
L’indicatore archeologico principale della neolitizzazione nel bacino centrooccidentale del Mediterraneo è rappresentato da una tecnica peculiare di decorazione della ceramica, realizzata imprimendo sulla superficie ancora cruda del
vaso le dita o strumenti di vario genere. Ceramiche impresse, articolate in una
serie di gruppi regionali ma chiaramente riconducibili ad un ceppo comune,
caratterizzano, infatti, le due opposte sponde peninsulari: quella adriatica e quel-
md
la tirrenica, identificando anche le due principali famiglie stilistiche nei rispettivi areali di diffusione, complessivamente estesi dalle coste orientali dell’Adriatico fino a quelle atlantiche del Portogallo.
Il problema dell’origine delle ceramiche impresse in questa grande area mediterranea si identifica, dunque, con quella del più antico Neolitico. Mentre è
chiaro il ruolo di ponte della penisola italiana, non altrettanto lo sono i meccanismi di evoluzione e trasformazione che precedono la ‘tappa italiana’ del percorso di diffusione del Neolitico: dal Vicino Oriente all’area egea e balcanica, fino al Sud-Est peninsulare. Sono, infatti, ancora molto limitate le conoscenze sul
Neolitico della Grecia nord-occidentale e dell’Albania, ma in queste aree alcuni
siti con ceramiche impresse sembrano individuare le tappe intermedie dell’ondata neolitizzatrice, proveniente da quel grande bacino formativo delle culture
neolitiche europee che è stata la Tessaglia.
Quel che è oramai certo è che le più antiche testimonianze del Neolitico
nella nostra penisola si collocano, intorno al 6000 a.C., in un’area precisa: quella del Sud-Est (fig. 2). Sulle coste adriatiche e ioniche della Puglia, della Basilicata e della Calabria settentrionale e nel loro retroterra, lungo le vie principali di
penetrazione fluviale – come nella Valle dell’Ofanto e nel Materano – scavi recenti hanno individuato gli ‘avamposti coloniali’ di questa diffusione. In siti come Coppa Nevigata (FG), Pulo di Molfetta (BA), Rendina (PZ),Trasano (MT) e
Fig. 2 I più antichi siti del Neolitico italiano
nel Sud-Est peninsulare.
Salzburg
GERM ANY
Budapest
107
Zürich
Innsbrück
Vaduz
Bern
AUSTRIA
Graz
LIECHTENSTEIN
SW ITZERLAND
FRANCE
HUNG ARY
Ljubljana
Zagreb
SLOVENIA
CROATIA
Krk
Bihac
Tuzla
BOSNIA andHERZEGOVINA
Zadar
Sarajevo
San M arino
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visioni d’insieme
6 • Vincenzo Tinè • Il Neolitico in Italia
Fig. 3
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Fig. 4
Favella (CS) sorgono villaggi di medie dimensioni e già ben strutturati nei principali tratti ergologici: dalle grandi capanne lignee intonacate, alle sepolture in
fossa singola, alle basi economiche pienamente produttive. Le ceramiche impresse arcaiche, che accompagnano questi primi insediamenti neolitici (fig. 3),
sono le progenitrici di quelle evolute, che segnano l’espansione del Neolitico
nel resto della penisola e in Sicilia durante le fasi successive del Neolitico antico (ca. 5800-5300 a.C.). Nel corso del Neolitico medio (ca. 5300-4400 a.C.) si
sviluppano, invece, diversi stili di ceramiche dipinte nell’area centro-meridionale adriatica (fig. 4) e di ceramiche a decorazione lineare incisa in quella tirrenica. Una nuova koinè culturale caratterizza, infine, tutta l’area peninsulare e la Sicilia negli ultimi secoli del IV millennio con la diffusione, pressoché ubiqua, di
una ceramica priva di decori ma con caratteristiche superfici ben levigate e anse a forma di rocchetto per tessere della cosiddetta Cultura di Diana (fig. 5).
Del tutto diverso e autonomo si presenta il panorama culturale dell’Italia padana e alpina, dove altri flussi neolitizzatori, di origine balcanica e centro-europea,
sembrano essere all’origine del mosaico culturale del cosiddetto Primo Neolitico.
La ‘risalita’ peninsulare delle ceramiche impresse si arresta, infatti, alla Romagna e
alla Liguria/Basso Piemonte – da dove penetreranno in Provenza e nelle altre aree
costiere del Mediterraneo occidentale. Nell’area settentrionale si erano già formati e saldamente stabiliti altri gruppi etno-culturali, che dai rispettivi siti eponimi
prendono il nome di Fiorano in Veneto e Emilia (fig. 6), Gaban nel Trentino, Fagnigola-Sammardenchia nel Friuli,Vhò nell’area centro-padana e Isolino in quella dei laghi lombardi. Questo multiforme panorama culturale del VI millennio a.C.
si trasforma,nel millennio successivo,in un’unica omogenea area culturale,una vera e propria monocultura padana che prende il nome dai caratteristici Vasi a Bocca Quadrata (fig. 7). Il suo svolgimento, attraverso due fasi stilistiche successive,
giunge fino alle soglie del IV millennio, quando questa grande unità culturale si
frammenta in una serie di aspetti di tradizione locale (cosiddetta III fase dei VBQ)
e di influenza dall’area francese e elvetica (culture di Chassey e Lagozza).
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7
md
Le strutture di abitato
A partire dal Neolitico la casa rappresenta molto più di una semplice ‘macchina per vivere’, dato che le diverse tipologie architettoniche non sono solo una
funzione delle risorse o delle capacità costruttive ma l’espressione culturale del
modo in cui le comunità di villaggio erano strutturate e strutturavano il loro
mondo. Le strutture abitative in senso lato, cioè non solo le capanne ma anche
le strutture di produzione e di recinzione dei villaggi, sono state, infatti, il teatro
principale del caratteristico Modo di Produzione Domestico (descritto da Marshall Sahlins) dell’economia neolitica.
Secondo l’archeologo inglese Ian Hodder l’ideologia di questa epoca era caratterizzata proprio dalla contrapposizione strutturale tra domus e agrios, visti
come poli antitetici di cultura e natura. La casa e le altre strutture di abitato rappresenterebbero il principale focus dell’elaborazione simbolica neolitica e la
metafora di strategie socioeconomiche e di relazioni di potere, basate sull’esclusione, il controllo e la ‘domesticazione’ del mondo selvatico.
Nella documentazione archeologica dell’Italia meridionale gli scavi nel sito
di Rendina in Basilicata hanno dimostrato l’utilizzo, fin dal più antico Neolitico,
di grandi capanne rettangolari o ellittiche, con pali portanti fondati in buche e
a cui era connesso un telaio vegetale intonacato. Nelle fasi più avanzate, strutture con planimetrie rettangolari absidate e tecniche di fondazione più complesse, con muretti litici a doppio paramento destinati ad accogliere i pali della struttura a telaio intonacata, sono attestate in diversi siti pugliesi come Balsignano e Passo di Corvo (fig. 8).
Nell’Italia centrale, gli scavi del villaggio di Catignano in Abruzzo hanno rivelato l’utilizzo, anche in quest’area, di capanne rettangolari absidali, con fondazioni in buche di palo o canalette, mentre sul versante tirrenico una documentazione strutturale del tutto analoga proviene dal sito di Casale del Dolce, presso Anagni. Capanne rettangolari in legno erano in uso anche nel vilaggio, oggi
sommerso dalle acque del Lago di Bracciano, de La Marmotta. In questo sito
l’esplorazione di un’ampia area dell’insediamento neolitico ha messo in luce la strutturazione regolare dell’abitato, con una disposizione a schiere parallele delle case rispetto all’antica
sponda del lago.
Anche nell’area padana alcuni scavi recenti, condotti su estensioni significative e su livelli preservati dal notevole impatto agrario di età storica, hanno chiarito le modalità abitative dei villaggi neolitici, inquadrando la funzione complementare dei cosiddetti fondi di capanna, le strutture in fossa che
fini a pochi anni fa erano interpretate
come case infossate. Nel sito di Lugo
di Romagna, riferibile alla facies di Fiorano del Neolitico antico padano, eccezionali condizioni di conservazione
hanno consentito il recupero di quella che è forse la più ricca e articolata
evidenza strutturale del Neolitico italiano.
Fig. 8
Fig. 3 Ceramiche impresse del Neolitico
antico peninsulare da La Defensola, Foggia.
Fig. 4 Ceramiche dipinte e acrome (Fig. 5)
del Neolitico medio e recente meridionale
da Passo di Corvo, Foggia.
Fig. 6 Ceramiche del Neolitico antico e
medio (Fig. 7) settentrionale dal Riparo
Gaban e da La Vela, Trento.
Fig. 8 Modello ricostruttivo di un’unità
abitativa a Passo di Corvo, Foggia (Neolitico
medio).
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visioni d’insieme
6 • Vincenzo Tinè • Il Neolitico in Italia
Strutture di combustione: (Fig. 9a) forno a
volta di terra di Favella, Cosenza (Neolitico
antico) e (Fig. 9b) ipotesi ricostruttiva; (Fig.
10a) fosse con ciottoli e carboni di Grotta
San Michele di Saracena, Cosenza (Neolitico
antico) e (Fig. 10b) ricostruzione
sperimentale.
Fig. 9a
110
Le strutture di combustione neolitiche sono rappresentate da focolari, spesso semplicemente appoggiati al suolo, ma anche costruiti con sottofondi in pietre e/o argilla e da forni. Questi ultimi vengono realizzati con strutture a volta
di terra, morfologicamente simili ai forni di età storica, come quelle di Lugo o
di Trasano, in Basilicata (figg. 9a e 9b). Molto diffuse sono anche le strutture di
combustione scavate nel terreno, in cui vengono fatti arroventare ciottoli su cui
stendere gli alimenti da cuocere alla griglia o al forno, coperti di frasche e terra
Fig. 9b
1 • Le capanne di Lugo di Romagna
La capanna di Lugo (fig. 1.1) è stata
distrutta da un violento incendio e poi
ricoperta da 14 m di coltre alluvionale,
che ha preservato le strutture e gli arredi
ad un livello di chiarezza eccezionale nelle
nostre regioni e che ricorda i siti meglio
conservati dell’Europa sud-orientale. La
planimetria della capanna di Lugo è
regolarmente rettangolare, l’orientamento
è NNW-SSE e le dimensioni massime
sono di 10x7 m; le pareti sono composte
da una trama a graticcio di canne, fissate
a travetti verticali e rivestite da ampie
quantità di intonaco. La copertura,
probabilmente a doppio spiovente, era
fondata su una doppia fila di pali assiali;
possibili soppalchi laterali sono indiziati
dal rinvenimento di cortine di assi lignee
carbonizzate lungo i lati lunghi. Lo spazio
interno era suddiviso in due ambienti e
occupato da un focolare centrale, mentre
un forno con copertura a volta era
collocato a ridosso della parete
settentrionale. Diversi vasi integri sono
stati rinvenuti sul pavimento della
capanna, in particolare nel vano sud,
dove anche la presenza di macine,
Fig. 1.1 Planimetria della capanna con forno e focolare interni di Lugo di Romagna,
Ravenna (Neolitico antico).
industria litica e resti di cereali fa
ipotizzare un’area destinata alla
conservazione e alla preparazione del
cibo.
L’estensione dello scavo ha permesso di
chiarire, a Lugo, anche il rapporto tra la
vera e propria capanna e alcune strutture
limitrofe in fossa: un pozzetto-silos per
immagazzinare derrate e una fossa-cava
per l’argilla con cui intonacare le pareti.
md
secondo il modello noto in etnografia come forno polinesiano (figg. 10a e 10b).
Pozzi, cisterne ipogeiche e recinti per il bestiame rappresentano ulteriori tipologie strutturali documentate dagli scavi in estensione di siti neolitici italiani
ma le strutture para-abitative più caratteristiche sono certamente i fossati. Con
questo termine si definiscono strutture ipogeiche con sviluppo lineare, che recingono i villaggi neolitici con possibili funzioni difensive e/o collegate a esigenze di stabulazione, drenaggio o anche adduzione idrica.
Fig. 10a
Fig. 10b
2 • I fossati di recinzione
I primi fossati neolitici ad essere rivelati
dalla ricerca archeologica furono
individuati nel siracusano dagli scavi
ottocenteschi di Paolo Orsi, ma i più
grandiosi e celebri fossati del Neolitico
italiano sono quelli del Tavoliere, nella
Puglia settentrionale. La loro scoperta
risale alla Seconda guerra mondiale,
quando l’archeologo inglese John
Bradford, effettuando una serie di riprese
aeree della zona come ufficiale della RAF,
notò una serie di anomalie concentriche,
assolutamente enigmatiche ma
chiaramente riferibili a strutture antiche
sepolte (vedi fig. 11 del testo). Gli scavi
effettuati nel dopoguerra dallo stesso
Bradford e da altri studiosi inglesi e
italiani hanno condotto alla scoperta di
quella che è forse la più complessa
civiltà neolitica del nostro paese. Le
tracce sulle foto aeree sono risultate,
infatti, riferibili ai cosiddetti crop marks,
cioè alle variazioni nella crescita della
vegetazione determinate dalla presenza
di una maggiore umidità nel terreno di
riempimento dei fossati di recinzione di
villaggi neolitici. Un’ipotesi funzionale
111
come strutture drenanti è stata proposta
per i fossati del principale di questi siti,
Passo di Corvo, ed è probabilmente
estendibile anche alla maggior parte
degli altri villaggi del Tavoliere, insieme a
quella complementare di raccolta
dell’acqua e di difesa degli armenti. In
ogni caso il valore ideale di delimitazione
dello spazio culturale rispetto a quello
naturale era certamente avvertito dagli
artefici di queste grandiose opere
collettive, che rappresentano il tratto
caratteristico di molte culture del
Neolitico italiano, non solo nel Meridione,
dove sono attestati anche nella Valle
dell’Ofanto (Rendina) e nel Materano
(Serra d’Alto), ma anche in Abruzzo
(Ripoli) e nella Val Padana (Faenza), fino
alla Val d’Adige (La vela di Trento) e alla
Pianura Friulana (Sammardenchia).
Sistemi di recinzione con palizzate lignee
sono documentati in ambito padano da
scavi recenti in siti di varie fasi del
Neolitico, dalle più antiche, come a Lugo
di Romagna con piccolo fossato (fig.
2.1), a quelle avanzate e recenti, come a
Le Mose e a Travo (PC).
Fig. 2.1 Ricostruzione del sistema di
fossati e palizzata di Lugo di Romagna,
Ravenna (Neolitico antico).
visioni d’insieme
6 • Vincenzo Tinè • Il Neolitico in Italia
Il territorio e l’insediamento
Fig. 11 Villaggio trincerato neolitico
individuato dalle fotografie aeree nel
Tavoliere, Foggia (Neolitico antico e medio).
112
Le relazioni tra territorio e insediamento e le forme in cui quest’ultimo si organizza nelle diverse epoche dell’antichità sono oggetto di studio dell’archeologia spaziale. Si tratta di una disciplina che ha acquisito notevole importanza a
partire dagli anni ’70 del secolo scorso e che rappresenta una delle più stimolanti aree di ricerca per il Neolitico. In quest’epoca, infatti, l’uomo per la prima
volta non si limita più al solo sfruttamento delle risorse naturali ma interviene
attivamente per modificare il territorio con strategie produttive che creano un
nuovo paesaggio, non più naturale ma antropico.Varie tecniche di ricognizione superficiale, prospezione geoarcheologica e trattamento informatico dei dati territoriali (GIS) sono oggi utilizzate per gestire informazioni ad ampia scala,
riguardanti i comprensori geografici su cui insistono siti neolitici già noti da indagini stratigrafiche e di cui si cerca di ricostruire il contesto territoriale, in termini di paleoambiente e di sfruttamento economico.
L’esempio più significativo dell’applicazione di queste metodologie di ricerca
al Neolitico italiano riguarda il Tavoliere di Foggia, la più grande pianura del Meridione, estesa su un’area di 4. 600 kmq. La straordinaria evidenza con cui sono leggibili sulle foto aeree le tracce dei fossati, che recingevano i villaggi neolitici del
Tavoliere (fig. 11), ha consentito interventi mirati di ricognizione archeologica, restituendo un quadro insediamentale ricco e articolato, mentre accurati studi geomorfologici hanno contribuito a definire l’evoluzione del paleoambiente. L’attuale paesaggio di steppa semiarida è risultato, così, la conseguenza delle trasforma-
3 • I villaggi neolitici del Tavoliere
Le ricognizioni archeologiche condotte su
200 degli oltre 1000 siti neolitici del
Tavoliere indiziati dalle foto aeree, hanno
permesso di ricostruire nel dettaglio le
dinamiche insediamentali caratteristiche
delle diverse fasi (fig. 3.1). 180 siti sono
riferibili, sulla base delle ceramiche
rinvenute in superficie, al Neolitico antico
(fig. 3.2); si estendono di norma su aree
di ampiezza inferiore ai 2 ha e
presentano strutture di recinzione con
singolo o doppio fossato, definendo un
modello insediamentale di tipo fattoria
monofamiliare. 58 siti appartengono,
invece, alle fasi iniziali del Neolitico
medio (fig. 3.3); 49 di essi erano già
frequentati nel Neolitico antico mentre 8
risultano di nuova fondazione. Si tratta,
ora, di veri e propri villaggi con fossati
perimetrali concentrici e grandi fossati
esterni aperti a spirale, che abbracciano
aree anche superiori a 100 ha,
probabilmente sottoposte a coltivazione
e non direttamente insediate. La
tendenza all’ampliamento degli
stanziamenti e alla concentrazione della
popolazione è evidenziata da fenomeni di
sinecismo tra villaggi contigui, come
avviene nel più famoso di questi villaggi,
Passo di Corvo, che incorpora il piccolo
centro limitrofo di Campo dei Fiori. I
vecchi siti-fattoria continuano ad essere
documentati nel Neolitico medio del
Tavoliere ma i nuovi, grandi villaggi
sembrano assumere una funzione di
centri di riferimento territoriali secondo
un modello di insediamento gerarchico.
Solo 28 siti, infine, appartengono alle
fasi avanzate del Neolitico medio e al
Neolitico recente, di cui 8 nuovi (fig. 3.4).
Questi villaggi sono privi di fossati di
recinzione e dei fossati interni a C e
sembrano costituiti solo da poche
strutture abitative. La loro dispersione è
indicativa di un nuovo modello
insediamentale e economico, dato che
sono molto rari nella zona pianeggiante
mentre appaiono nettamente più
concentrati sulle aree collinari,
soprattutto sulle rive del Fortore. Lo
spostamento della popolazione dalla
piana alle colline va collegato all’evolversi
md
zioni introdotte dall’uomo a scopo produttivo sull’ambiente naturale del Tavoliere: dalla deforestazione a scopo di sfruttamento agrario dei tempi neolitici alla sua
massiccia conversione pastorale in età tardo-romana.Anche il clima, attualmente
oscillante tra sub-arido e arido, doveva essere sensibilmente più umido durante il
Neolitico, coincidente con l’optimum climatico atlantico (5500-2500 a.C.).
Il Tavoliere rappresenta il modello più complesso e meglio conosciuto delle relazioni uomo-ambiente nel Neolitico italiano, ma diverse altre sono le situazioni note, soprattutto al livello spaziale più ristretto del cosiddetto territoriosito. Lo studio dei bacini di approvvigionamento (Site-Catchment Analysis), che
rappresentano lo scenario delle attività di produzione dei gruppi agro-pastorali neolitici, consiste nella definizione delle risorse produttive contenute nell’ambiente circostante un certo sito, valutando aspetti geomorfologici e geopedologici e tendo conto del sistema di sfruttamento moderno, che può fornire indicazioni sulla sua vocazione produttiva. Le informazioni provenienti dal contesto territoriale vengono quindi interfacciate con gli indicatori economici desunti dallo scavo nel sito: resti faunistici e botanici – i cosiddetti indicatori economici diretti – ma anche gli elementi culturali collegabili a pratiche produttive,
come macine, falcetti, contenitori per stoccaggio o strumenti e accessori per
produzioni casearie (indicatori indiretti).
Una grande variabilità ambientale, a cui corrisponde un ampio spettro di risposte adattive da parte dei vari gruppi, caratterizza da questo punto di vista le
diverse epoche e aree del Neolitico italiano.
113
in senso arido delle condizioni climatiche
in queste fasi, secondo un modello di
collasso ambientale che coinvolge la
società dei villaggi trincerati del Tavoliere.
Fig. 3.1 Lo schema dell’insediamento nel Tavoliere di Foggia nelle diverse fasi del
Neolitico: (Fig. 3.2) Neolitico antico; (Fig. 3.3) Neolitico medio, fasi iniziali; (Fig. 3.4)
Neolitico medio, fasi avanzate e Neolitico recente.
visioni d’insieme
6 • Vincenzo Tinè • Il Neolitico in Italia
Le basi economiche e i circuiti di scambio
La diffusione del Neolitico in Italia comporta, come nel resto d’Europa, un
processo di radicale trasformazione biologica, prima ancora che tecnologica, economica e culturale. Essa si accompagna, infatti, all’importazione di
nuove specie vegetali e animali domestiche, originarie del Vicino Oriente
(cfr. il contributo di Francesca Giusti, infra). Il problema principale che si
pose ai coloni neolitici fu proprio quello di adattare queste specie allogene
all’ambiente peninsulare, insulare e padano e, in questi diversi contesti geografici, agli habitat specifici: costieri, collinari, di fondovalle, ecc. Ripercorrere le tracce della neolitizzazione presuppone la ricostruzione di questo
percorso di adattamento ambientale, valutando successi e insuccessi delle
strategie adottate.
Dal punto di vista climatico va ricordato, innanzi tutto, che il Neolitico coin-
4 • Il rapporto tra siti e territorio
114
Nel territorio appenninico dell’Italia
centrale sono stati documentati con la
tecnica della SCA (Site Catchment
Analyis) sia siti in grotta e all’aperto, con
forme di sussistenza di tradizione ancora
paleo-mesolitica come Maddalena di
Muccia (fig. 4.1), dove la caccia conserva
un ruolo significativo, sia possibili stazioni
invernali per greggi transumanti di
caprovini, come Ripabianca di Monterado
(fig. 4.2). Questi centri specializzati si
affiancano ai siti neolitici classici, con
economia mista agro-pastorale, situati
sui suoli leggeri dei bassopiani, come
Pianaccio di Tortoreto e Ripoli (fig. 4.3). Il
nuovo modello economico, prettamente
agrario, è comunque accompagnato da
una discreta componente pastorale.
In altri casi le relazioni sito-territorio sono
più complesse e meno univoche. Per
esempio, in Friuli, la vasta entità
territoriale definita come “villaggio
neolitico di Sammardenchia” è di fatto un
palinsesto di siti distribuiti con schema
puntiforme su un’area di ca. 600 ha. Le
analisi geoarcheologiche hanno
confermato l’ipotesi di un modello di
insediamento diffuso, caratterizzato da
rioccupazioni successive di aree diverse
in momenti diversi, secondo cicli di
occupazione e abbandono collegabili a
sistemi produttivi di tipo shifting
agriculture.
Fig. 4.1
Fig. 4.2
Fig. 4.3
Il modello territoriale di alcuni siti neolitici dell’Italia centrale: (Figg. 4.1 e 4.2) Maddalena di Muccia e Ripabianca di Monterado
(Neolitico antico), (Fig. 4.3) Ripoli (Neolitico medio e recente).
md
cide quasi perfettamente in Italia con il periodo atlantico (5500-2500 a.C.), che
segna un ulteriore miglioramento del clima dopo il già sensibile cambio neoclimatico verificatosi con l’inizio dell’Olocene.
Nell’Italia sud-orientale, dove ha luogo il primo contatto dei neolitici con il
nostro territorio, vengono inizialmente privilegiate le pianure costiere e le vallate fluviali direttamente collegate alla costa e, solo successivamente, le aree interne appenniniche. Il paesaggio vegetale sembra essere stato caratterizzato dalla presenza di boschi radi di querce caducifoglie e altre specie termofile, alternate a ampie radure erbose, così da risultare particolarmente idoneo alla coltivazione dei cereali.Tra questi, i primi ad essere coltivati furono il farro, il farricello e l’orzo, documentati nei siti del più antico Neolitico, mentre il grano duro e l’avena – con le leguminose – sono coltivati sistematicamente solo in fasi
più avanzate del Neolitico meridionale.
5 • Il ruolo delle analisi paleobotaniche
Nell’Italia centrale lo scavo del sito
sommerso de La Marmotta sul Lago di
Bracciano (Roma) ha restituito una
documentazione paleobotanica
eccezionale, che comprende diverse
specie di cereali (farro, farricello, orzo e
grano tenero e duro) e di leguminose
(lenticchia, veccia, pisello), ma anche vite
e papavero da oppio, che sembrano
essere stati sottoposti a trattamenti
sistematici di selezione e stoccaggio.
Falcetti col manico di legno decorato e
lamelle di selce inserite con mastice
venivano utilizzati per la raccolta delle
messi (fig. 5. 1). L’evidenza da La
Marmotta ci informa anche sul ruolo
fondamentale della raccolta della frutta
nell’economia di sussistenza di questi
gruppi: susine, prugne, ciliegie, pere,
mele e fichi, ma anche fragole, more,
lamponi e nocciole.
Nell’Italia settentrionale le analisi
polliniche segnalano la persistenza dal
periodo Boreale di quercia, pino, tiglio e
acero sulle colline e nella pianura, a cui
si associano progressivamente, come
effetto dell’intervento antropico, il
castagno, la noce e il pruno, mentre sulle
alture predominano sempre abete e
faggio. In questo paesaggio densamente
forestato i coloni neolitici intervengono
con sistematiche opere di
disboscamento, attuate tramite incendio
e/o scalvatura e rinsecchimento degli
alberi di alto fusto, liberando piccole aree
da sottoporre a pratiche agricole, che
tendono a sfruttare il residuo umico, per
poi abbandonarle a favore di nuove aree
buscate, seguendo una rotazione che
facilita la naturale rigenerazione dei
terreni.
Le diverse specie domestiche sembrano
essere state introdotte simultaneamente
nell’area settentrionale, come esito di un
sistema di policoltura già sperimentato
con successo altrove, probabilmente
nell’Europa orientale, da cui provengono
anche i principali influssi culturali. I dati
più completi vengono dalla Pianura
Friulana, dove la ricca documentazione
archeobotanica del sito di
Sammardenchia (Udine) comprende le
principali specie di cereali (figg. 5. 2 e
5. 3), tra cui anche un frumento vestito
di probabile origine caucasica e di
leguminose. Nel Neolitico medio e
recente del Settentrione, tra le nuove
specie coltivate compaiono anche il lino
e il papavero, documentati nei siti
perilacustri oggi sommersi della Lagozza
di Besnate e dell’Isolino di Varese.
Fig. 5.2
Fig. 5.3
Fig. 5.1
Fig. 5.1 Falcetto in legno con lamelle di
selce da La Marmotta, Roma (Neolitico
antico).
Fig. 5.2 Semi carbonizzati di cereali da
Sammardenchia, Udine (Neolitico antico).
Fig. 5.3 Una coltivazione di farro.
115
visioni d’insieme
6 • Vincenzo Tinè • Il Neolitico in Italia
Il problema della domesticazione animale in Italia è più complesso e meno
trasparente. Capre e pecore sono state senza dubbio introdotte dall’esterno già
allo stato domestico, dato che non esistono in Italia i loro possibili progenitori
selvatici, ma bue e maiale possono essere stati selezionati localmente dall’uro e
dal cinghiale, entrambe specie endemiche in Italia (fig. 12). Possibili forme transizionali, tipiche di una fase di selezione di mutanti tramite incrocio, sono state
documentate in vari siti meridionali del più antico Neolitico, come nella Grotta dell’Uzzo (Trapani) o in quella di Latronico (Potenza). Un ruolo primario nella neolitizzazione è rivestito dalla pecora, una specie più idonea rispetto alla capra a sopportare lunghi trasferimenti, magari via mare, come quelli necessari
per la sua introduzione nella penisola. Pecore e capre sono, comunque, in tutte
le fasi, le specie più rappresentate nei resti faunistici rispetto a maiali e a buoi.
Il ruolo dell’allevamento è di fondamentale importanza nell’economia neolitica italiana. Le specie domestiche risultano, infatti, nettamente prevalenti su
quelle selvatiche, relegando le attività venatorie ad un ruolo marginale, tranne
che in pochi siti ‘specializzati’, come Grotta Continenza (L’Aquila) per la caccia
e Grotta dell’Uzzo (Trapani) per la pesca. La caccia era praticata, con arco e frecce, soprattutto al cinghiale, al cervo e all’uro; la pesca prevalentemente con lenza e amo da terra, ma anche con nasse e reti da barche o arpioni microlitici in
apnea (alla cernia) e la raccolta dei molluschi con strumenti litici idonei alla loro apertura, come quelli documentati a Coppa Nevigata (Foggia).
116
Fig. 12 Specie selvatiche e domestiche
individuate nel sito di Piancada, Udine
(Neolitico antico): uro, maiale e montone.
md
Le forme del rituale
Il mondo neolitico – popolato da spiriti, antenati ed esseri viventi – era fondato su un complesso sistema di credenze, valori e ideali. Di questo universo concettuale e simbolico resta solo una traccia evanescente nella cultura materiale,
che era prodotta non solo per fini strettamente utilitari ma anche per registrare e comunicare le diverse forme dell’esperienza sociale e religiosa.
Tra le diverse categorie di reperti archeologici, quelle che più direttamente
evocano la dimensione spirituale di quest’epoca sono forse le statuine femminili in terracotta, note come Dee Madri.Tipiche di un vasto mondo neolitico,
con radici nella ‘rivoluzione dei simboli’ del Levante e largamente diffuse nell’Europa sud-orientale, queste statuine compaiono con iconografie caratteristiche anche nelle diverse culture del Neolitico italiano.
6 • Materie prime e scambi
Anche lo studio dei sistemi di
approvvigionamento delle materie prime e
dei circuiti di scambio di determinati
manufatti, concepiti come segni di status o
simboli di prestigio, rappresenta una delle
principali chiavi interpretative
dell’economia e della società neolitica. Lo
stabilirsi di queste prime reti di scambio è
il risultato forse più evidente della
complessità sociale neolitica, che
prevedeva forme estese e organizzate di
relazione intergruppo per soddisfare le
nuove esigenze di consumo, innescate
dalla disponibilità di un surplus alimentare.
Tra le materie prime litiche più
caratteristiche della nuova epoca possono
annoverarsi le pietre verdi alpine e
l’ossidiana di Lipari.
Le prime sono rocce metamorfiche
caratteristiche delle regioni dell’arco alpino
nord-occidentale (Liguria, Piemonte e Valle
d’Aosta), dove sotto l’etichetta scientifica di
metaofioliti HP si concentrano vari litotipi,
caratterizzati da notevole compattezza e
resistenza e da una tipica colorazione
verdastra: eclogiti, giadeiti, serpentiniti, ecc.
Fig. 6.1
I prodotti finiti o gli abbozzi prelavorati,
ottenuti da queste rocce in siti-officina
specializzati come Alba o Brignano
Frascata (Cuneo), ebbero un vasto
successo in tutta Italia e in un ampio
territorio europeo (fig. 6. 1). In particolare
le stupende asce da parata, tanto sottili e
lunghe (fino oltre 30 cm) da non avere
nessuna utilità pratica ma solo simbolica e
di prestigio, arrivano ad essere diffuse in
Francia, Germania, Gran Bretagna e perfino
in Irlanda.
Come le pietre verdi anche l’ossidiana ha
fonti ben localizzate, essendo solo quattro
quelle italiane di questo peculiare vetro
vulcanico: Lipari, Palmarola, Pantelleria e
Monte Arci in Sardegna. L’ossidiana di
Lipari è quella di migliore qualità ed era
forse già nota a certi gruppi epipaleolitici
siciliani (Grotta dell’Uzzo di San Vito Lo
Capo e Grotta Oriente nelle Egadi), ma
sembra essere stata sfruttata soprattutto a
partire dalle fasi non iniziali del Neolitico
antico, quando si ritrova in un gran numero
di siti peninsulari, raggiungendo la Liguria e
la Francia meridionale sul Tirreno e la
Piana friulana sull’Adriatico (fig. 6. 2).
I villaggi di cultura stentinelliana della
Calabria tirrenica ebbero probabilmente un
ruolo fondamentale nella fortuna di questo
materiale presso le comunità neolitiche
peninsulari. In siti come Curinga, nella
Piana di Lamezia, la percentuale di
ossidiana nel complesso delle industrie
litiche arriva a superare il 90%. A questi
gruppi, a cui appartiene anche il più antico
sito neolitico delle Eolie, quello del
Castellano Vecchio di Lipari, si deve
l’iniziativa principale nelle fasi di
approvvigionamento e lavorazione
preliminare dell’ossidiana, sottoforma di
prenuclei, veri e propri lingotti pronti per
essere trasportati e rilavorati. Le presenze
di ossidiana scendono drasticamente al
10-30% già nei siti stentinelliani
dell’opposta costa ionica calabrese, per
poi assestarsi su valori molto bassi (poche
unità percentuali in media) nel resto
dell’Italia neolitica, dove l’ossidiana sembra
essere stata considerata come un
materiale di prestigio, di valore intrinseco
più che funzionale.
Fig. 6.2
Fig. 6.1 Ascia in pietra
verde da La Vela,
Trento (Neolitico
medio).
Fig. 6.2 Nucleo in
ossidiana di Lipari da
Sammardenchia, Udine
(Neolitico antico).
117
visioni d’insieme
6 • Vincenzo Tinè • Il Neolitico in Italia
Fig. 13 Pintaderas da Rendina, Potenza
(Neolitico antico).
Oltre che come rappresentazioni di divinità, queste immagini sono state interpretate in Europa come ritratti di personaggi viventi o di antenati, rappresentazioni della corporalità o della femminilità/maternità, sistemi di comunicazione simbolica, bambole per bambini o anche come simulacri a scopo didattico
per adolescenti.Tenendo conto, però, della rarità del loro rinvenimento nei siti
italiani – solo poche decine in tutto a differenza dell’Europa sud-orientale, dove nella sola Cultura Cucuteni della Romania le statuine note sono oltre 30. 000
– e della ripetitività del soggetto, rappresentato sempre secondo canoni precisi, le figurine italiane riflettono più probabilmente iconografie di culto o comunque collegate a scopi rituali.
7 • Le Dee Madri
118
Nelle statuine delle fasi più antiche del
Neolitico meridionale, analogamente a
quanto avviene nel Levante e
nell’Europa sud-orientale, l’accento
sembra posto soprattutto sui caratteri
sessuali primari, che rappresentano il
centro focale di rappresentazioni
comunque sostanzialmente volumetriche
e naturalistiche, come nella statuina di
Rendina (Potenza; fig. 7.1). Un
collegamento esplicito alla riproduzione
e al parto sembra suggerito anche nella
posa seduta o accucciata di alcune di
queste più antiche statuine italiane.
Nel corso del Neolitico medio una più
sviluppata sensibilità grafica tende a
ridurre le volumetrie plastiche delle fasi
precedenti a semplici supporti stilizzati,
dove il messaggio principale è affidato a
precisi indicatori simbolici, come le
farfalle e la biscia sul petto della
statuina da Passo di Corvo (Foggia; fig.
Fig. 7.1
Fig. 7.2
7.2), di notevole potenza espressiva.
Nel Neolitico recente della Puglia, la
definizione di veri e propri stereotipi per
la rappresentazione della divinità è
suggerita dalle testine rinvenute a Cala
Scizzo e a Grotta Pacelli (Bari; fig. 7.3),
dove la schematizzazione a T dei volti e
le complicate acconciature esaltano il
carattere inequivocabilmente ieratico di
queste rappresentazioni.
Statuine di tipo schematico si ritrovano
anche nelle culture dell’area medioadriatica ma l’area di più ampia
diffusione sembra essere quella
padano-alpina, dove i gruppi culturali
del Primo Neolitico sono
sistematicamente dotati di iconografie
proprie e caratteristiche. In particolare,
nel gruppo trentino del Gaban (Trento)
spicca una minuscola statuina su
placca ossea (fig. 7.4), di tipo piuttosto
schematico e a sviluppo esclusivamente
Fig. 7.3
planare, ma accuratamente intagliata e
ricoperta da particolari significativi,
come la collana con pendente o il
motivo a spiga al di sopra dell’area
genitale, simbolo esplicito della rinascita
vegetale a partire dal grembo della
madre/terra.
Una serie di statuine del tutto particolari
caratterizza, invece, la cultura centropadana del Vhò di Piadena (Cremona):
lo schema fungiforme (fig. 7 5),
risultante dalla sovrapposizione di teste
a calotta su torsi piatti e arti tubolari
espansi, sembra comunicare una
ricercata ibridazione dell’elemento
femminile con quello maschile in
un’unità di generi che è tipica di diverse
culture del più antico Neolitico europeo.
Anche nel Settentrione il passaggio al
Neolitico medio e la diffusione della
Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata vede
affermarsi tipologie più schematiche,
Fig. 7.4
Fig. 7.1 Statuina fittile da Rendina, Potenza (Neolitico antico). Fig. 7.2 Statuina fittile da Passo di Corvo, Foggia (Neolitico medio).
Fig. 7.3 Statuina fittile da Cala Scizzo, Bari (Neolitico recente). Fig. 7.4 Statuina in osso dal Riparo del Gaban, Trento (Neolitico antico).
Fig. 7.5 Statuina fittile dal Vhò di Piadena, Mantova (Neolitico antico). Fig. 7.6 Statuina fittile dalla Caverna delle Arene Candide, Savona
(Neolitico medio).
md
Oltre alle statuine, diverse altre classi di materiali appaiono riferibili alla sfera
del sacro o della comunicazione simbolica: idoli schematici in pietra, osso e terracotta, motivi antropomorfi o zoomorfi dipinti o modellati su vasi, statuette di bovini, ciottoli dipinti e le caratteristiche pintaderas, ovvero stampi in terracotta per
tatuaggi corporali temporanei di complicati motivi ornamentali (fig. 13).
L’altro grande bacino informativo sull’universo ideologico e le pratiche sociali dei neolitici è rappresentato dal rituale funerario, dato che la struttura della tomba, i materiali di corredo e l’organizzazione dello spazio sepolcrale costituiscono i più preziosi correlati archeologici per questo tipo di analisi.
8 • Il rituale funerario
dove la figura femminile – di solito
ridotta a busto (fig. 7 6) – è evocata da
pochi dettagli ricorrenti, come i capelli
sciolti, i piccoli seni, il naso a becco e le
braccia conserte o addirittura fuse col
torso in un semplice ma efficace
modello ‘a gruccia’.
Il contesto archeologico di rinvenimento
di queste statuine è di norma abitativo,
in grotta o in villaggi all’aperto, spesso
frammentate – forse volutamente per
sancirne il disuso – in prossimità di
quelle capanne dove assolvevano una
funzione di effigi tutelari del gruppo
familiare. La recentissima scoperta di
una grande statuina integra in una
tomba del Neolitico medio a Vicofertile
(Parma) rappresenta una straordinaria
eccezione a questa norma, individuando
un ruolo peculiare della defunta, forse
una sciamana o comunque una donna
con uno status particolare.
Fig. 7.5
Fig. 7.6
La semplice inumazione in fossa, con lo
scheletro rannicchiato su un fianco e senza
alcun corredo, è la modalità di
seppellimento più tipica del Neolitico
antico peninsulare. Si tratta sempre di
sepolture isolate o a coppie, ricavate
all’interno dello spazio abitativo di villaggi
all’aperto. Piuttosto diffusa è anche la
pratica dell’inumazione in strutture
preesistenti, come fosse-silos, fosse-cava,
pozzi e fossati. Nelle fasi più avanzate del
Neolitico antico e nel Neolitico medio del
Meridione si diffonde l’uso di contornare le
fosse con un recinto di pietre o di grandi
lastre nel tipo della cosiddetta tomba a
cista, che inaugura una tendenza alla
monumentalità dei sepolcri, accompagnata
dall’introduzione dei corredi funerari,
composti prevalentemente da vasi o
utensili litici. Nelle fasi di passaggio tra
Neolitico medio e recente (culture di Serra
d’Alto e di Diana) compaiono infine, nel
Sud, le prime vere necropoli, con
deposizioni singole e multiple, cenotafi e
deposizioni secondarie, tutti indici di una
articolata concezione delle modalità di
trattamento dei defunti.
Ritualità particolari, legate a precisi
momenti e contesti, prevedono già nel
Neolitico antico dell’area peninsulare
l’incinerazione e altre forme di deposizione
secondaria dei resti. Nella Grotta
Continenza in Abruzzo un gruppo di vasi è
stato collocato in una nicchia della parete:
due di essi contenevano i resti incinerati di
due bambini di quattro e otto anni, mentre
i rimanenti contenevano frammenti di ocra
rossa e di ossa umane. Sopra i vasi, infine,
erano state deposte le ossa bruciate di
una donna.
Nell’area padana-alpina alle rare
testimonianze di sepolture individuali in
fossa per il Primo Neolitico segue una
straordinaria evidenza per le pratiche
funerarie della Cultura dei Vasi a Bocca
Quadrata. Si tratta di un’ampia serie di
necropoli, che comprendono un numero
variabile di tombe individuali, comunque
limitato a piccoli gruppi, raggruppate talora
secondo evidenti associazioni familiari o di
coppie coniugali, come indicano le analisi
antropologiche condotte nella necropoli di
Le Mose (Piacenza). Il rituale prevede
inumazioni in semplice fossa terragna
nell’area emiliana e tombe a cista nella
Valle dell’Adige, come nella necropoli de La
Vela (Trento) e nelle grotte della Liguria,
come alle Arene Candide e alla Pollera
(Savona). Il corredo, spesso presente
anche in tombe di infanti e di donne,
comprende: vasi, asce in pietra levigata,
lame in selce e in ossidiana, punte di
freccia, collane e bracciali in pietra e
conchiglia. In alcuni contesti di recente
indagine dell’Emilia sembrano documentati
anche sporadici casi di incinerazione,
talora in connessione con sepolture ad
inumazione (sacrifici?).
La netta evoluzione del costume funerario
nelle fasi più avanzate del Neolitico italiano
costituisce il più importante indicatore
della crescente complessità delle sue
strutture socio-economiche,
accompagnandosi ad altri tratti culturali
nella definizione di gruppi ad alta
complessità, come quelli dei Vasi a Bocca
Quadrata nella Pianura Padana o delle
ceramiche figuline dipinte nel Meridione.
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