Approfondimenti workshop 27 giugno 2014

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Approfondimenti workshop 27 giugno 2014
Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi
pubblici di gestione dei rifiuti
Approfondimenti (Atti)
del workshop "Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi pubblici di
gestione dei rifiuti" del 27 giugno 2014, Confindustria Padova (Via E.P. Masini, 2 a Padova). A
cura di Confindustria Veneto.
PREMESSA
Il grado di apertura dei mercati e il livello di concorrenza rappresentano lo stimolo principale a un
uso efficiente delle risorse nel sistema economico. Il meccanismo concorrenziale guida la
riallocazione del capitale e del lavoro dai settori in regresso a quelli in progresso, dalle imprese
meno efficienti a quelle più efficienti, promuovendo una continua riqualificazione del sistema
produttivo.
L’aumento della competitività italiana passa anche attraverso un coraggioso cambiamento della
struttura dei mercati che rimuova le barriere all’entrata, riduca le rigidità e le rendite di posizione.
È questo il modo per avviare un circolo virtuoso che assicuri più produttività, più occupazione e
sviluppo.
La scarsa concorrenzialità di molti settori costituisce un costo che il Paese non può più sostenere.
Va superato il dualismo di chi chiede maggiore concorrenza per quanto riguarda gli altri mercati,
salvo poi avversarla quando attiene direttamente al proprio comparto di appartenenza. Un profilo
problematico della concorrenza nel sistema degli appalti del nostro Paese riguarda le ipotesi di in
house providing, cioè di affidamento diretto – di appalti di lavori, servizi e forniture – a soggetti
distinti dalla Pubblica Amministrazione, ma da questa controllati da un rapporto di «dipendenza
organica».
Questa opportunità, offerta alle amministrazioni pubbliche dalla disciplina comunitaria, deve
essere motivata da chiare ragioni di opportunità e di necessità dell’interesse pubblico. Fuori dai
casi consentiti (i cosiddetti settori speciali), il ricorso all’in house providing può facilmente
degenerare in una pratica chiaramente elusiva della concorrenza, in quanto in grado di sottrarre al
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mercato quote rilevanti di lavori, servizi e forniture, attraverso la creazione strumentale di società
a cui affidarne l’esecuzione.
Il recepimento delle direttive europee può fornire l’occasione per una delimitazione più rigorosa
delle possibilità di affidamento in house, capace di invertire una ingiustificata tendenza
all’elusione del mercato e di aprire alla concorrenza una parte non irrilevante della domanda
pubblica
CRESCITA E PRODUTTIVITÀ: GLI EFFETTI ECONOMICI DELLA REGOLAZIONE
Le barriere al buon funzionamento dei mercati e gli ostacoli alla competitività di un paese sono
spesso dovuti all’intervento dello Stato nel sistema economico.
Lo Stato interviene direttamente nella vita dei vari attori economici e nelle loro interazioni
disegnando le regole del gioco, regolando comportamenti e strutture dei mercati per risolvere
problemi di fallimento dei mercati stessi (condizioni di monopolio naturale, presenza di esternalità
e asimmetrie informative), per produrre servizi pubblici e beni meritori (quali l’istruzione
obbligatoria e la conservazione dell’ambiente), per re-distribuire ricchezza qualora la distribuzione
del reddito generata in maniera concorrenziale non sia socialmente accettabile.
Nell’esperienza di molti paesi industriali, la regolazione delle attività economiche ha ecceduto un
limite «fisiologico». Si sono introdotte norme che si sono sovrapposte nel tempo, risultando
eccessivamente numerose e spesso conflittuali. L’evoluzione economica e sociale e il progresso
tecnico hanno messo in discussione i vincoli normativi imposti dalla regolazione all’attività
d’impresa nei diversi settori.
In molti casi, quindi, la regolazione è risultata inefficace, inutilmente vincolante per lo
svolgimento dell’attività economica e per il funzionamento dei meccanismi di mercato,
producendo più costi dei benefici attesi, inducendo molti paesi a riconsiderare il ruolo dello Stato
nell’economia. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, questo processo è stato intrapreso già negli
anni Settanta - Ottanta, anche sotto la spinta del progressivo rallentamento della crescita
economica, nonché per la necessità di adeguare l’impostazione della regolamentazione alle
trasformazioni indotte dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Lo spostamento di enfasi è stato verso l’idea di uno Stato che crei, in primo luogo, regole del
gioco favorevoli alla crescita economica e all’efficienza del sistema. Da queste esperienze è
scaturito un ampio consenso nella comunità accademica e tra policy maker sul fatto che
l’intervento dello Stato non sia sempre necessario e che la concorrenza possa, invece, contribuire a
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promuovere l’efficienza economica del sistema, riducendo le barriere all’entrata e all’uscita dai
mercati, gli oneri e vincoli all’attività d’impresa, le rendite di posizione, i prezzi di beni e servizi a
favore dei consumatori, e incentivando le imprese stesse a crescere e innovare. Un processo
analogo di ripensamento del ruolo economico dello Stato e del suo apparato di regole è avvenuto
nella maggior parte degli altri paesi europei nell’ultimo decennio, quando la bassa performance
economica ha reso evidente il divario dell’Europa rispetto, in particolare, agli Stati Uniti in termini
di crescita e produttività.
Da tutto ciò è derivata una grande attenzione alle possibili determinanti delle diverse performance
economiche. Gli studi intrapresi a partire dagli anni Novanta hanno rilevato che i fattori a
carattere strutturale, più di quelli ciclici e delle divergenze tra le politiche economiche di ciascun
paese, contribuiscono a spiegare la persistenza della bassa performance dell’economia europea.
Tra i fattori strutturali vi sono anche i contesti istituzionali e normativi che regolano diversi
mercati (dei prodotti, dei servizi, del lavoro e così via) e favoriscono una gestione inefficiente
delle risorse per interi comparti di attività economica, influendo sul tasso di crescita e sulle
caratteristiche produttive dei paesi europei. Numerose analisi hanno rilevato l’esistenza di una
relazione inversa tra regolazione economica e una buona performance del sistema o, viceversa, di
una correlazione positiva tra aumenti del livello di concorrenza nel mercato e aumenti di
produttività: nei paesi caratterizzati da un sistema economico competitivo, dove i vincoli
all’attività economica del settore privato sono contenuti, le risorse si allocano in modo efficiente
traducendosi in guadagni di produttività e in crescita economica (e viceversa). In particolare,
alcuni studi OCSE condotti per 18 paesi e 23 industrie (17 del settore manifatturiero e 6 dei
servizi) dimostrano che:
a) un basso valore dell’indicatore di rigidità del mercato dei prodotti – costruito tenendo conto
delle barriere all’entrata poste dalla regolamentazione sull’attività imprenditoriale e dal controllo
diretto dello Stato sull’economia (economicregulation); dei vincoli amministrativi all’attività
economica (administrativeregulation); delle barriere relative al commercio e agli investimenti
diretti (barriers to trade)– è correlato positivamente con un sostenuto tasso di crescita della
produttività del lavoro;
b) regolamentazioni troppo rigide possono incidere negativamente sull’attività
e sulla spesa in Ricerca e Sviluppo delle industrie e dunque sull’andamento della produttività
totale;
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c) riformando il contesto regolatorio sia nel suo complesso sia mediante interventi ad hoc in alcuni
settori industriali, al fine di renderei paesi europei più simili ai paesi più liberali tra quelli
OCSE(come gli Stati Uniti), la produttività totale crescerebbe, nell’arco di un decennio, a un tasso
annuo compreso tra lo 0,1% e l’1,1%. L’effetto complessivo degli interventi di riforma risulta
tanto più incisivo quanto più è rigido il contesto normativo del paese.
È questo il caso dell’Italia
(FONTE: Centro Studi di Confindustria )
CONCORRENZA E GESTIONE DEL CICLO INTEGRATO DEI RIFIUTI
Il mercato dei servizi pubblici locali, e della gestione dei rifiuti urbani in particolare, rappresenta
circa 8 miliardi di euro di fatturato, occupa oltre 70.000 addetti e ha un bacino di utenza di oltre
40.000.000 di cittadini.
Il settore ha assunto un ruolo strategico per l'intero sistema economico e rappresenta una parte
consistente del valore complessivo degli appalti di servizi che, secondo gli ultimi dati diffusi
dall'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, hanno fatto
registrare nell'anno 2011 un valore pari a 38,1 mld di euro, pari al 41,1% della domanda
complessiva di contratti pubblici.
Nel corso degli ultimi anni il settore dei servizi pubblici locali è stato troppo spesso al centro di
ripetuti interventi normativi, talvolta in contrasto tra loro, che hanno prodotto un quadro
complessivo frammentario e incerto che penalizza gli operatori del comparto, già danneggiati dal
patologico fenomeno del ritardo nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni. La rapidità con la
quale si sono succeduti i diversi modelli suggeriti dalle norme ha lasciato il settore dei rifiuti privo
di un quadro preciso e determinato ostacolando pertanto l’adozione, da parte degli enti interessati
e dei destinatari di questi interventi normativi, di un approccio culturale univoco anche rispetto
alla concorrenza.
Tali circostanze hanno reso sinora impossibili la programmazione e gli investimenti e hanno
dissuaso le imprese estere dall'accedere al mercato nazionale, oppure hanno indotto quelle
presenti ad abbandonarlo.
E' unanimemente riconosciuto che una reale liberalizzazione dei servizi pubblici locali
contribuirebbe a promuovere una fase di crescita per il nostro Paese con effetti benefici tanto sul
sistema economico quanto sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini. Un'opportunità ormai non
più rinviabile
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Il già articolato processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, su cui più volte il nostro
Paese è stato sollecitato da pressanti richieste dell'Unione Europea, è continuamente minacciato
dalla burocrazia amministrativa che rischia di frenare l'apertura del mercato e anzi di legittimare in
maniera ingiustificata la prosecuzione degli attuali affidamenti in house. L'attuale situazione, oltre
a danneggiare il Paese, penalizza gli operatori economici del comparto, peraltro già fortemente
danneggiati dal patologico fenomeno del ritardo nei pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni.
La Corte costituzionale ha più volte chiarito che la tutela della concorrenza rientra nelle
competenze trasversali riservate allo Stato e pertanto, ogni disposizione che promuove o tutela la
concorrenza prevale su disposizioni adottate dagli enti territoriali che, al contrario, impediscano o
non favoriscano l’attuazione dei principi concorrenziali.
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avuto più volte modo di ribadire che
l’affidamento di un servizio pubblico mediante gara costituisce uno strumento essenziale per il
corretto funzionamento del mercato e che le condizioni che consentono il ricorso all’affidamento
diretto in deroga al principio generale dell’evidenza pubblica devono essere interpretate ed
applicate in senso restrittivo.
In particolare, lo strumento dell’affidamento diretto acquisisce un chiaro carattere residuale solo
conseguente alla impossibilità di rivolgersi efficacemente ed utilmente al mercato; quest’ultima
circostanza deve trovare il proprio fondamento nelle peculiari caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto di riferimento.
Lo scorso 2 ottobre 2012 l’Antitrust ha inviato una segnalazione a Parlamento e Governo con la
seguente dichiarazione. “Un mercato dei servizi locali in cui solo il 40% degli affidamenti del
servizio di gestione rifiuti avviene con gara non è concorrenziale”.
Nelle proposte di riforma concorrenziale in vari settori contenute nella segnalazione, l'Authority,
con riguardo ai servizi locali, ha rimarcato il ricorso eccessivo agli affidamenti diretti del servizio
gestione rifiuti a società in house e ha proposto delle soluzioni normative. L'Autorità propone
inoltre di cambiare il termine di 15 anni di durata dell'affidamento del servizio da termine minimo
a termine massimo. ritenendo fondamentale dare concreta applicazione all'articolo 206-bis del
Dlgs n. 152/2006 attraverso l’attivazione ed il funzionamento dell'Osservatorio nazionale dei
rifiuti.
È necessario quindi che tutte le parti siano interessate a promuovere servizi efficaci ed efficienti e
che investano le proprie risorse nella promozione della concorrenza nella gestione dei servizi al
fine di favorire il più ampio sviluppo delle dinamiche della concorrenza per il mercato ed al fine di
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far percepire alle parti che “Un servizio non é pubblico perché l'ente pubblico lo svolge, ma
perché lo regola”
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DOCUMENTO DI ANALISI E PROPOSTE SULLA DISCIPLINA DEI SERVIZI
PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA ECONOMICA.
I.
ANALISI
1. Le leggi approvate e i disegni di legge presentati, da entrambi gli schieramenti politici, in
questi ultimi anni individuano la medesima finalità per la disciplina dei s.p.l. di rilevanza
economica.
Sia le norme di legge approvate sia le proposte di legge presentate in questi ultimi anni, sia dal
centrodestra che dal centrosinistra, ponevano come obiettivo della disciplina dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica, tra cui annoveriamo i servizi idrici integrati, il trasporto pubblico
locale urbano ed extraurbano, i servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani ed
altri di minor rilevanza, i principi e valori comunitari della più ampia diffusione dei principi di
concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori
economici interessati alla gestione dei servizi di interesse economico generale di rilevanza
economica in ambito locale.
In questo senso si segnalano non solo l’art. 23-bis comma 1°, quale norma approvata da un
maggioranza di centrodestra, ma altresì l’art. 1 del d.d.l. Lanzillotta.
D’altra parte la stessa esistenza di una disciplina statale in materia è condizionata dall’avere come
obiettivo la tutela della concorrenza, perché è a tale titolo che il Parlamento statale può dettare una
legislazione che si imponga ai legislatori regionali. E infatti lo stesso art. 113, comma 1° del d.lgs.
n. 267 del 2000 statuisce che “Le disposizioni del presente articolo che disciplinano le modalità di
gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali concernono la tutela della concorrenza e sono
inderogabili ed integrative delle discipline di settore”.
In sostanziale sintonia, il vigente art. 34, comma 20 del d.l. 179 del 2012 pone alla normativa la
finalità di “assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori,
l’economicità della gestione e garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento”.
Infine, anche la nuova disciplina degli ambiti territoriali ottimali contenuta nell’art. 3-bis, comma
1, del d.l. n. 138/2011, è posta, anzitutto, a tutela della concorrenza.
Dunque, si deve cercare di costruire una normativa che non contraddica ma sia coerente con tali
obiettivi fissati dalla legge.
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2. Lo sviluppo e la crescita del Paese possono essere favorite solo da politiche industriali di
liberalizzazione dell’economia e volte a favorire la ripresa produttiva.
Come osservato nell’Introduzione della Rassegna Normativa – Servizi Pubblici Locali, di recente
elaborata da Invitalia sulla base del Protocollo di intesa tra la stessa ed il Ministero dello Sviluppo
Economico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento Affari Regionali e quello
delle Politiche Europee, “l’attuale situazione economica pone al centro delle misure per favorire
lo sviluppo e la crescita del Paese, per contrastare la crisi e uscire dalla fase recessiva le
politiche di liberalizzazione dell’economia ……………” e in questo quadro “La revisione del
quadro normativo e regolamentare risulta il presupposto ineludibile per sviluppare un ambiente
imprenditoriale favorevole, promuovere l’efficienza delle gestioni e favorire gli investimenti in
infrastrutture anche attraverso il coinvolgimento di capitali privati”.
La normativa vigente infatti determina alcune evidenti criticità, che impediscono che il settore dei
servizi pubblici locali possa rappresentare un volano di sviluppo dell’economia del Paese.
Il documento soprarichiamato può rappresentare un preziosissimo punto di riferimento per una
corretta e approfondita analisi della questione.
In particolare, le “Linee guida per gli affidamenti dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica “ offrono una illuminante illustrazione delle motivazioni che gli Enti Pubblici devono
dimostrare ( in sede di elaborazione della Relazione ex art. 34 D.L. 179/2012 ) affinchè possano
essere derogate le regole della concorrenza, in primis le ragioni che precluderebbero il
raggiungimento dell’interesse pubblico qualora si adottassero procedure di evidenza pubblica.
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3. Si consolida una evidente disparità di modello industriale e produttiva tra Nord e Sud,
con una impossibilità di sviluppo unitario di questo settore economico nel Paese.
Nel Sud del Paese si è consolidato un sistema economico dominato da società pubbliche indebitate
e inefficienti. Basti considerare alcuni casi nel meridione di Italia (Palermo, ad esempio nel settore
dei rifiuti e Napoli nel trasporto pubblico locale), solo per citare i più clamorosi. Si tratta di società
che operano con tariffe assai elevate per i cittadini, erogando servizi di non eccellente qualità,
spesso coinvolte in vicende di assunzioni clientelari e di incarichi legati a vicende puramente
politiche. Tali Società, è bene precisare, sono prevalentemente mono utility e pertanto la
situazione contabile finanziaria è si disastrosa ma al tempo stesso estremamente definita.
Quanto al Nord del Paese, invece, si deve distinguere .
In vaste parti si stanno non solo consolidando ma altresì espandendo le gestioni in capo alle
Società pubbliche quotate in Borsa. Si tratta di società che, pur operando in possibile contrasto con
i principi del diritto comunitario, sono state fino ad ora beneficiate da norme speciali di diritto
transitorio che ne hanno garantito la continuità di esercizio.
Il contrasto con il diritto comunitario è dato dalla circostanza che esse, pur non essendo affatto
società in house in quanto quotate in borsa e dunque con azionisti privati, godono e continuano a
godere di affidamenti diretti, ossia rilasciati a loro favore senza procedura ad evidenza pubblica.
Tali società hanno sfruttato tale disciplina non solo per continuare a godere di affidamenti diretti
in contrasto con il diritto comunitario, ma altresì per espandere e consolidare le loro gestioni anche
con attività che nulla hanno a che vedere con i servizi pubblici che ne hanno determinato la
nascita, in settori e mercati aperti alla libera concorrenza.
Una misura della distorsione del sistema è data dalla recentissima sentenza della Corte di
Cassazione a sezioni unite n. 26283/2013, che nell’affermare la giurisdizione della Corte dei Conti
sulle soc. in house ha ribadito la necessità che tali società non posseggano alcuna autonomia
gestionale e non effettuino attività al di fuori dei servizi pubblici loro affidati dagli Enti soci, salvo
attività “accessorie e strumentali”ai servizi stessi.
Tali società, dicevamo, incentivano i Comuni soci a mantenere e potenziare detta modalità
gestoria distribuendo agli stessi elevati dividendi: ma non si tratta di altro se non delle tariffe
pagate dai cittadini e dalle imprese. In concreto, si tratta di una pressione tributaria mascherata
messa in atto attraverso un sistema contorto. L’impresa pubblica, quando realizza dei
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miglioramenti gestionali, invece che abbassare le tariffe agli utenti, distribuisce i dividendi così
incassati ai Comuni soci, i quali utilizzano quelle somme per far quadrare i propri bilanci o
sanare altre problematiche gestionali . In altri casi, le aziende pubbliche mettono a riserva quelle
somme e le utilizzano per fare “shopping” su altre imprese o per entrare in altri business finalizzati
alle stesse logiche di potere . Se invece le cose vanno male, l’assenza di fine di lucro diventa il
pretesto per rivedere i Piani Economici attraverso ritocchi ( ovviamente in aumento ) delle tariffe
oppure per farsi ripianare i bilanci dagli Enti soci. Da annotare che il meccanismo adottato
correntemente dalle società in house prevede che gli enti soci approvino l’affidamento diretto sulla
base di un corrispettivo apparentemente conveniente, ma non fisso ed invariabile per l’intera
durata dell’affidamento medesimo come invece avviene nei contratti di appalto ad imprese private
(per le quali il prezzo per la durata contrattuale varia solo in base all’aggiornamento ISTAT).
Ricevuto l’affidamento, le società in house adottano il sistema della approvazione annuale dei
piani economici preventivi e consuntivi grazie ai quali riescono ad ottenere corrispettivi ben più
elevati di quelli originariamente approvati. Il meccanismo è tanto evidente quanto pericoloso:
l’effetto è che in un momento di crisi economica vi è un ulteriore impoverimento netto di famiglie
e imprese.
Sono tantissimi, inoltre, gli Enti soci che possiedono quote solo simboliche nelle società in house
cui affidano i propri servizi pubblici. Ebbene, come recentemente affermato da una recentissima
sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, detti Enti debbono esercitare il
controllo analogo sulle partecipate attraverso la partecipazione diretta agli organi direttivi della
Società, cosa che in realtà non accade quasi mai. Questo fenomeno, sebbene sia riconosciuto
legittimo agli occhi della più recente giurisprudenza pur con tutte le condizioni anzidette, sta di
fatto snaturando il principio della autoproduzione del servizio il quale non a caso viene definito
“in house”, vale a dire fatto “ in casa “. Quando però a gestirsi in casa il servizio sono
congiuntamente una miriade di Enti pubblici, molti dei quali possiedono solo quote simboliche, si
può tranquillamente affermare che il principio ha subito una mutazione di forma e di fatto: da
servizio “ in house “ è diventato servizio “in village”.
E inoltre, nelle soc. In house ad azionariato plurimo il cd Controllo Analogo viene esercitato dai
Comuni soci attraverso Consigli di Sorveglianza o soggetti analoghi formati dai Sindaci. Un
siffatto sistema di controllo è del tutto inefficace poiché risente di influenze esterne sulle soc.
partecipate. Il controllo sulle attività delle soc. in house compete ai Dirigenti degli Enti Soci, non
ai Sindaci.
Da non sottovalutare poi il ricorso ingente che queste società (al pari delle pubbliche non quotate)
fanno al sistema Cooperativo , metodo che non produce alcun effettivo risparmio per i cittadini
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atteso che le stesse finiscono per agire alla stregua di intermediari (non rinunciando infatti al
relativo aggio). Peraltro, attraverso
il ricorso alle cooperative sociali di tipo B, accedono ai vantaggi conseguenti all’applicazione di
contratti di lavoro meno gravosi e con fiscalità agevolata, supportando il tutto da una apparente
attenzione alla solidarietà sociale.
Pertanto, il risparmio che ne deriva si traduce in un impoverimento della forza lavoro a causa di
una retribuzione inferiore e in depauperamento dell’erario attraverso un minor gettito fiscale.
L’affidamento siffatto del servizio è una forma di esternalizzazione del servizio che la società
municipalizzata attua sia attraverso affidamenti diretti che attraverso gare.
Con il meccanismo delle esternalizzazioni si assiste ad un “allungamento della filiera” del ciclo
integrato del servizio con un doppio effetto paradossale: gli Enti titolari dei servizi pubblici, per
ragioni di convenienza e opportunità spesso solo apparenti, sottraggono al libero mercato e alla
concorrenza i servizi stessi per affidarli ad una società di cui detengono una partecipazione
azionaria . Una volta ricevuto il servizio in house, la società municipalizzata vuoi perché non è in
grado di erogare parti dei servizi acquisiti o perché non ritiene conveniente gestirli direttamente , li
fa eseguire a cooperative, sulle quali l’Ente titolare non ha possibilità di esercitare alcun controllo,
con la conseguente ripetizione degli utili di impresa a carico della collettività.
La domanda che emerge spontanea è la seguente: ma perché il Comune invece di affidare in house
servizi che vengono poi vengono esternalizzati a loro volta violando il principio del controllo
analogo non si affida al mercato per scegliere il fornitore migliore? Se il Comune affida in house
un servizio ad un’azienda partecipata, oltre ad ottemperare tutti requisiti previsti dalla normativa,
deve pretendere che tale società eroghi il servizio in modo diretto, completo oltre che efficiente.
Alle aziende private è permesso subappaltare i servizi in misura massima del 30% per motivi
legati al controllo ed all’efficienza dell’ente appaltante; nel caso dell’ affidamento in house il
subappalto riguarda spesso la totalità dei servizi. Di fatto,
invece di applicare il controllo analogo il Comune spesso autorizza un subappalto incontrollato
che alimenta un circolo vizioso che elude la concorrenza provocando inefficienze e crisi
economica locale.
È chiaro che il tutto si presta ad una distorsione delle normativa che regola gli affidamenti in
house, i subappalti, l’utilizzo improprio di cooperative sociali senza utilizzare criteri che premino
il merito. In tutto il territorio presidiato da tali società quotate ogni forma di concorrenza anche
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solo per il mercato è impossibile. Non vengono mai fatte e non verranno fatte per molti anni a
venire gare per tali servizi. Da ultimo, il comma 21°del già citato art. 34 del d.l. n. 179 del 2012
prevede che gli affidamenti diretti in capo alle società pubbliche quotate possano durare
indisturbate fino al 31 dicembre 2020.
Per consentire uno sviluppo concorrenziale del settore, dunque, appare fondamentale riportare
tali società alla legalità comunitaria, facendo cessare i loro affidamenti diretti illegittimi.
Tali società potranno sì godere di un regime di salvaguardia per uno o due anni, per organizzarsi a
partecipare alle gare, ma comunque per tale periodo ad esse andrà impedito di sfruttare gli
affidamenti diretti di cui illegittimamente godono, né per partecipare a gare che venissero nel
frattempo bandite, né per espandersi comprando (o fondendosi con) altre società così da
aumentare ancora di più la quantità di affidamenti diretti illegittimi.
In altre zone del Nord del Paese, invece, come ad esempio in una realtà importante quale il
Veneto, il panorama è caratterizzato dal consolidarsi di una pluralità di società in house mediopiccole, le quali frequentemente fanno ricorso al sistema delle esternalizzazioni e ai processi
espansionistici di cui innanzi, alla stregua delle soc. quotate. Per il loro consolidamento sta
operando (purtroppo) il legislatore regionale, che con riferimento al settore rifiuti sta ritagliando i
nuovi ambiti territoriali ottimali per la gestione del servizio proprio sulla base dei confini delle
esistenti società in house.
Disegnare oggi gli ambiti territoriali ottimali sulla base delle gestioni in house in essere
determinerà quindi che, anche in Veneto, per molti anni a venire non si attiverà alcuna dinamica
concorrenziale e di sviluppo economico in questo settore.
Dunque, appare fondamentale e strategico che le Regioni operino la delimitazione degli ambiti
effettivamente sulla base dei chiarissimi criteri fissati nell’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, e non
sulla base di pressioni localistiche e corporative delle società pubbliche locali.
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4. Importanza strategica per favorire lo sviluppo economico di una delimitazione degli
ambiti territoriali ottimali che consenta una dinamica concorrenziale tra imprese.
Come indicato anche nella già citata Introduzione della Rassegna Normativa – Servizi Pubblici
Locali, appare cruciale per l’efficienza produttiva nel settore e dunque anche per sviluppare una
dinamica concorrenziale, individuare lotti di affidamento dei servizi che favoriscano il ricorso alla
gara.
Ciò impone anche di considerare il contesto economico, ossia la dimensione delle imprese italiane
che già operano nel settore e di quelle che potrebbero aspirare a entrare in esso una volta che si
aprisse alla concorrenza.
Ci si riferisce, per esempio, a imprese che volessero abbandonare mercati produttivi in crisi (es.
edilizia) e non rassegnarsi al fallimento e alla chiusura. Per favorire la dinamica concorrenziale e
dunque lo sviluppo economico, appare fondamentale evitare due situazioni:
- In primo luogo, che gli ambiti ottimali siano ritagliati su misura rispetto alle gestioni in
house esistenti: questo cristallizza per il futuro le gestioni esistenti e rappresenta un grave
ostacolo alla concorrenza;
- In secondo luogo, evitare che gli ambiti ottimali siano eccessivamente vasti: questo
impedirebbe alle imprese private italiane che operano nel settore, o che potrebbero entrare
nel settore, di partecipare alle gare: tali imprese infatti sono tutte di dimensione medio piccola, e dunque rimarrebbero tagliate fuori da gare per ambiti troppo grandi, a favore delle
imprese pubbliche o straniere.
Le imprese private del settore, infatti, non essendosi mai aperto il settore alla concorrenza su vasta
scala, hanno sempre potuto partecipare a gare per ambiti territoriali medio - piccoli e circoscritti,
in un settore in cui i grossi Comuni sono più o meno sempre stati gestiti tutti da società pubbliche
in regime di affidamento diretto.
In Italia si contano sulle dita di una mano i capoluoghi di regione gestiti (nel comparto rifiuti ad
esempio) da imprese private,
Svolgere gare per ambiti troppo grandi dunque ostacolerebbe la concorrenza e lo sviluppo
economico del Paese.
Indicativamente, sotto il profilo quantitativo,
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gli ambiti che possono favorire una concorrenza effettiva in Italia sono quelli che contano dai
centomila ai duecentomila abitanti.
Come indicato anche nella già citata Introduzione della Rassegna Normativa – Servizi Pubblici
Locali,
l’ottimizzazione della dimensione organizzativa non necessariamente coincide con quella
gestionale. Gli ambiti di organizzazione e regolazione del servizio possono essere ben più vasti,
fino a poter arrivare a comprendere l’intero territorio regionale.
Per la promozione della concorrenza, quello che conta è che i lotti di affidamento abbiano le
dimensioni sopra indicate, che consentirebbero a una pluralità di imprese italiane di partecipare
alle gare.
Peraltro, la normativa recente va proprio nella direzione della divisione in lotti degli affidamenti,
chiedendo appunto alle Stazioni Appaltanti di motivare la mancata suddivisione.
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5. Importanza strategica per favorire lo sviluppo economico del ripristino di un regime
transitorio di cessazione anticipata degli affidamenti diretti in essere: solo un riallineamento
delle nuove gare può consentire lo sviluppo di una dinamica concorrenziale.
Se si vuole effettivamente determinare uno sviluppo della dinamica concorrenziale in questo
settore è necessario non solo reintrodurre la regola della gara, ma anche fare sì che le gare, nel
giro di uno o due anni, partano su tutto o almeno una grande parte del territorio nazionale.
Appare dunque decisivo reintrodurre un regime transitorio, di anticipata cessazione degli
affidamenti diretti in essere assentiti nel passato senza gara.
Come già detto, tale cessazione anticipata deve necessariamente riguardare anche le società
pubbliche quotate in borsa, pena la mancata concorrenza in vastissime e strategiche zone del nord
del Paese.
Si precisa che la reintroduzione dell’obbligo di affidamento con gara non è affatto precluso dalla
sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 2012, in quanto siamo in una nuova legislatura e
dunque l’esito referendario e la sentenza della Corte non può più essere considerato vincolante per
il Parlamento.
Ancora, per non falsare dette gare appare altrettanto necessario che le imprese che vogliono
partecipare alle gare debbano contestualmente e immediatamente rinunciare agli affidamenti
diretti di cui siano ancora titolari. Partecipare ad una gara sapendo di poter contare su affidamenti
diretti in corso rappresenta un vantaggio competitivo illegittimo.
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6. L’obiettivo della normativa deve essere la liberalizzazione dei servizi, non la
privatizzazione delle società pubbliche di gestione. Una privatizzazione che voglia favorire il
mercato deve avere ad oggetto i rami d’azienda, non le quote azionarie.
Se la normativa introducesse oggi l’obbligo di privatizzazione delle società pubbliche di gestione,
nessun imprenditore privato italiano del settore avrebbe la forza economica di comprare tali
imprese.
Dunque, le azioni verrebbero comprate da investitori non imprenditoriali ( pubblico-privati quali
la CDP o Fondi ) , con la conseguenza che per incentivare tali acquisti la normativa dovrebbe
garantire una prosecuzione degli affidamenti diretti in essere, come è già avvenuto per le società
esecutrici di servizi strumentali, e con nessun concreto effetto positivo per il sistema-paese . E così
la volontà di privatizzare rappresenterebbe un ostacolo alla liberalizzazione e allo svolgimento di
gare nel settore. Per avviare le gare e contestualmente consentire ai Comuni soci di rientrare
positivamente del loro investimento, lo strumento potrebbe essere il seguente:
assieme all’affidamento del servizio viene messo a gara anche il ramo d’azienda della società
pubblica che operativamente gestisce tale servizio.
In altre parole, chi vuole gestire il servizio deve fare un’offerta che comprenda l’affidamento del
servizio e l’acquisto del ramo d’azienda. In questo modo si può introdurre immediatamente un
confronto concorrenziale, che porti a una
diminuzione delle tariffe a carico di cittadini e imprese ( si ritiene non inferiore al 20%) ,
valorizzando altresì la proprietà comunale delle società pubbliche di gestione e determinando
entrate straordinarie nelle casse comunali.
Del resto, l’impresa privata che intende svolgere quel servizio non potrebbe farlo se non
investendo in mezzi, macchinari, attrezzature, sedi logistiche necessarie a svolgere le attività.
Nulla cambierebbe per lui se gli venisse imposto di rilevare le risorse appartenute al gestore
uscente, ovviamente a condizioni di mercato.
Nessuna differenza apporterebbe destinare le nuove entrate ad una riduzione del debito pubblico
nazionale. Si rimarca altresì che lo svolgimento di gare siffatte non produce alcun inconveniente
sul fronte occupazionale, in quanto l’aggiudicatario che si aggiudica il servizio e il ramo d’azienda
automaticamente assume anche tutto il personale impiegato in tale ramo d’azienda.
Come detto innanzi per la delimitazione dei lotti di affidamento, anche i rami di azienda possono
(ed essendo rami sarebbe meglio dire che debbono ) essere venduti per lotti, in modo da essere
interessanti per la maggior parte del marcato imprenditoriale disponibile.
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In sintesi, la privatizzazione dei rami d’azienda contestuale all’aggiudicazione con gara dei
servizi determinerebbe:
- un abbassamento delle tariffe per cittadini e imprese;
- un entrata straordinaria per le casse comunali (o di riduzione del debito pubblico ) ;
- una dinamica concorrenziale per esistenti e nuove imprese del settore;
- una piena tutela dei livelli occupazionali.
L’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA DI GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI
URBANI NELLA REGIONE VENETO
QUADRO NORMATIVO
A) L’art. 3 bis, comma 1, del d. L. 13 agosto 2011, n. 138, “misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo”, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, fa obbligo alle
regioni di organizzare “lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza
economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da
consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio e
istituendo o designando gli enti di governo degli stessi […]”.
Tali bacini, prosegue la norma, devono essere di dimensione “non inferiore almeno a quella del
territorio provinciale”, salvo che, sulla base di “criteri di differenziazione territoriale e socio –
economica e in base ai principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle
caratteristiche del servizio” la regione non individui “specifici bacini territoriali di dimensione
diversa da quella provinciale”.
Il successivo comma 1 bis, aggiunto dall’art. 34, comma 23, del d. L. 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221, precisa che “le funzioni di organizzazione dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei
rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza per
quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate
unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o
designanti ai sensi del comma 1 del presente articolo”.
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L’art. 34, comma 20, del d. L. n. 179 del 2012, precisa, inoltre, che “per i servizi pubblici locali di
rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli
operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di
riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata
sul sito internet dell’ente affidante, che da conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti
previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta”.
B) La Regione Veneto, in attuazione della citata previsione, ha promulgato la Legge regionale 31
dicembre 2012, n. 52, “nuove disposizioni per l’organizzazione del servizio di gestione integrata
dei rifiuti urbani”, ai sensi della quale:
1.
art. 2, comma 1, “ai fini dell’ottimale organizzazione, coordinamento e controllo del servizio
di gestione integrata dei rifiuti urbani, l’ambito territoriale ottimale[…] è il territorio
regionale” (AMBITO REGIONALE, gestito da un Comitato di Bacino Regionale);
2.
art. 3, comma 1, “entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente
legge (avvenuta il 1 gennaio 2013, ndr.), la Giunta regionale approva il riconoscimento dei
bacini territoriali per l’esercizio in forma associata delle funzioni di organizzazione e
controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani a livello provinciale” (più
BACINI TERRITORIALI);
3.
art. 3, comma 2, “su proposta motivata degli enti locali interessati, la Giunta regionale può,
altresì, approvare il riconoscimento di bacini territoriali di diversa dimensione”;
4.
art. 3, comma 4, “gli enti locali ricadenti nei bacini territoriali provinciali, infraprovinciali
o interprovinciali […] esercitano in forma associata le funzioni di organizzazione e
controllo diretto del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani attraverso i consigli di
bacino”;
5.
in particolare, l’art. 3, comma 6, precisa che “i consigli di bacino … esercitano le seguenti
attività: […] c) indizione della procedura di affidamento del servizio di raccolta, trasporto,
avvio a smaltimento e recupero […]”;
6.
art. 4, comma 1, “gli enti locali ricadenti in ciascun bacino territoriale approvano una
apposita convenzione”, la quale, ai sensi del successivo comma 2, prevede: “a) la
costituzione di un’assemblea di bacino, presieduta da un presidente espresso dalla
maggioranza dei componenti l’assemblea e formata dai rappresentanti degli enti locali
partecipanti al consiglio di bacino […]”;
7.
art. 4, comma 3, “l’assemblea di bacino […] nomina fra i suoi componenti un comitato di
bacino, composto dal presidente dell’assemblea e da due membri. Il comitato di bacino è
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organo esecutivo dell’assemblea e svolge le funzioni che vengono definite dalla
convenzione”.
L’art. 5, comma 8, della l. reg. n. 52 del 2012, disposizioni transitorie, nell’intento di evitare
soluzioni di continuità nel mentre la riforma entra a regime, ha previsto che gli enti locali
subentrino nelle posizioni degli enti responsabili di bacino e delle autorità d’ambito “rispetto alle
concessioni ed ai contratti di servizio in essere, di affidamento della gestione operativa relativa
alla raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani, rilasciate e stipulate dagli enti stessi enti
responsabili di bacino ed autorità d’ambito, qualora le concessioni ed i contratti di servizio in
essere siano compatibili con la normativa europea vigente … con particolare riferimento alle
modalità di affidamento del servizio”.
L’art.13 del D.L. nr.150 del 2013 prevede che la mancata istituzione o designazione
dell’Ente di Governo dell’Ambito Territoriale Ottimale ovvero la mancata deliberazione
dell’affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano l’esercizio dei poteri sostitutivi
da parte del prefetto.
SUDDIVISIONE IN LOTTI: PROPOSTA DI CONFINDUSTRIA VENETO
Al fine di favorire la concorrenza ed il libero mercato nei servizi pubblici locali, in relazione alla
definizione dei Bacini Territoriali da parte della Regione Veneto, Confindustria Veneto auspica
che i Consigli di bacino, dotati di autonomia funzionale ed organizzativa per lo svolgimento delle
attività connesse alle funzioni di programmazione, organizzazioni, affidamento e controllo del
servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti urbani, applichino la suddivisione in lotti nella
fase di affidamento come previsto dai seguenti riferimenti normativi:
A) L’art. 13, della legge 11 novembre 2011, n. 180, norme per la tutela della libertà d’impresa.
Statuto delle imprese, fa obbligo alle stazioni appaltanti, “nel rispetto della normativa dell’Unione
europea in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l’accesso delle micro, piccole e medie
imprese”, “purchè ciò non comporti nuovi o maggiori oneri finanziari”, di “suddividere, nel
rispetto di quanto previsto dall’articolo 29 del codice dei contratti pubblici … gli appalti in lotti o
lavorazioni”.
B) L’art. 2, comma 1-bis, del Codice dei Contratti Pubblici, modificato, da ultimo, dall'art. 26-bis,
comma 1, del d. L. 69 del 2013, cd. decreto “del fare”, precisa che “nel rispetto della disciplina
comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle piccole e medie
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imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente,
suddividere gli appalti in lotti funzionali. Nella determina a contrarre le stazioni appaltanti
indicano la motivazione circa la mancata suddivisione dell’appalto in lotti. I criteri di
partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese”.
SINTESI DELLE PROPOSTE DA PARTE DI CONFINDUSTRIA
1. Reintrodurre la regola della gara per l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica;
2. Reintrodurre un regime transitorio di cessazione anticipata per gli affidamenti diretti in
essere;
3. Estendere tale regime transitorio di cessazione anticipata alle società pubbliche quotate;
4. Reintrodurre il divieto di partecipare a gare e comunque di estendere il proprio ambito di
gestione alle società che godono di affidamenti diretti, comprese le società pubbliche
quotate;
5. Istituire il divieto per le società in house di eseguire attività diverse dai servizi pubblici
loro affidate dagli Enti soci, salvo attività accessorie e strumentali ai servizi stessi;
6. Individuare degli ambiti territoriali ottimali di governo che consentano una organizzazione
e regolazione efficace;
7. Individuare in tali ambiti dei sub-ambiti/lotti di gara di dimensioni tali da favorire una
effettiva concorrenza tra imprese italiane anche private;
8. In caso di volontà o necessità di privatizzazione delle imprese pubbliche, impostare le gare
in modo che esse abbiano ad oggetto, assieme all’affidamento del servizio a tariffe
inferiori di almeno il 20%, anche il relativo ramo d’azienda della società pubblica attuale
gestrice, con passaggio automatico altresì dei dipendenti;
9. Vietare agli Enti pubblici di affidare servizi in house a società partecipate che non sono in
grado o che non intendono erogare i servizi con proprie risorse al fine di evitare
allungamenti di filiera ed esternalizzazioni che violano il controllo analogo da parte
dell’Ente Pubblico stesso, nonché la ripetizione degli utili di impresa;
10. Fissare criteri restrittivi e inderogabili di elaborazione della Relazione ex art. 34 D.L.
179/2012;
11. Regolamentare i casi residuali di affidamento in house prevedendo che il Controllo
Analogo sia esercitato dai Dirigenti degli Enti soci e che le soc. In House Multiutility
abbiano bilanci separati per ciascun servizio pubblico erogato;
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12. Incentivare gli Enti locali ad aumentare la concorrenza e a mettere in campo strumenti
efficaci di ricerca dell’evasione ed elusione dei tributi locali, in modo da calmierare gli
effetti negativi derivanti dalla introduzione della TARI (attuale tassa sui rifiuti)
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