Fata Draga - raccontarsiraccontando

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Fata Draga - raccontarsiraccontando
Fata Draga
Un Racconto di Annamaria Calore e Loredana Simonetti
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Prefazione
di Loredana Simonetti
La Fata Draga, di questa storia, è una bambina cresciuta serenamente, capace di
coltivare un patto segreto con il sole: al tramonto sa catturarne l’ultimo raggio per tenerlo
con sé per tutta la notte, complice delle sue letture segrete sotto le coperte, fiabe, racconti,
leggende e filastrocche.
Crescendo, però, comincia a sentire una strana inquietudine, come se le mancasse
qualcosa di vitale. La nonna che intuisce il suo stato d’animo, comprende come sia giunto
il momento di raccontarle una storia “antica come il mondo”, poiché una donna, per essere
felice, deve acquisire “la consapevolezza che solo l’autonomia può dare”.
Dalla storia che le racconta la nonna, inizia il viaggio di Fata Draga attraverso la
“conoscenza”. Incontrerà diverse donne di diverse epoche, ciascuna con una grande
piccola storia, quale testimonianza personale da donare alla giovane donna.
Un antico proverbio popolare dice che ai bambini bisogna dare ali e radici. Ali
grandi per volare alla ricerca di cieli sempre nuovi e radici profonde per capire qual è stata
la propria origine. Per questo le storie dei nonni e delle generazioni passate creano le basi
di continuità tra il presente e il futuro di figli e nipoti.
Fata Draga è l’espressione più profonda di quanto sia importante la conoscenza, a
partire da noi stessi, per saper incontrare gli altri. Una conoscenza, purtroppo, limitata
dalla storia di sempre, che ha arginato la figura femminile a ruoli stereotipati e limitanti.
La ragazza tratteggiata in questa storia, è intraprendente e naturalmente incline
all’accoglienza. Essa contrasta con l’immaginario del femminile di chi vuole le donne solo
belle, provocanti e silenti.
Il passaggio dall’adolescenza alla maturità cognitiva di Fata Draga avviene
attraverso la condivisione, con altre donne, di sofferenze, lotte, desideri, timori e speranze.
Per arrivare a comprendere come si possa vivere appieno la propria vita, solo
esprimendosi compiutamente per quello che si è, e non per quello che gli altri si aspettano
da noi.
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Prologo
di Annamaria Calore
Ho conosciuto Vivien quasi per caso, mentre cercavo un luogo lontano dai rumori
della città, tra il verde dei boschi reatini, dove potermi rilassare e scrivere in tranquillità.
La mia ricerca mi ha portato a Belmonte in Sabina, dove ho trovato proprio quello
che cercavo: una piccola casa, quasi un nido d’aquila, affacciata sulla valle del Turano. Dal
terrazzino ho potuto vedere il Terminillo in tutta la sua grandiosità e mi sono innamorata
di quella splendida vista. Non lontano dal mio “nido” ho scoperto una piccola trattoria a
conduzione familiare “Il Focolare”, dove ho incontrato Florin un giovane uomo di origine
rumena che, da anni si è stabilito in Italia.
In quel periodo collaboravo a un progetto di raccolta di storie di persone venute in
Italia dai paesi dell’Est Europeo ed ho chiesto a Florin se voleva regalarmi una sua
testimonianza. Lui, schernendosi, mi ha proposto di raccogliere quella di sua sorella
Vivien che, di lì a poco, ci avrebbe raggiunto al “Focolare”. E’ così che ho conosciuto colei
che avrebbe ispirato questo racconto, che ha tratto la sua energia dalla profonda amicizia e
dalla complicità letteraria che mi lega a Loredana Simonetti.
Come mai questo titolo per questa storia? Per due motivi; il primo legato a ciò che,
di Vivien, ha colpito la mia immaginazione: la sua freschezza quasi infantile, unita a uno
sguardo penetrante e colmo di profonda consapevolezza, e la sua spontaneità unita al
desiderio di rimettersi continuamente in gioco. Il secondo motivo è legato ad una canzone
molto nota in Romania, che avevo trovato facendo ricerche sulle canzoni popolari di quel
Paese. Una canzone semplice e senza pretese, come quelle che si ascoltano per la strada,
cantata da Madalina Manole una donna bellissima e fragile la cui voce si è spenta troppo
presto in tragiche circostanze. Il titolo era, appunto, “Fata Draga” (cara ragazza) e ne
trascrivo la prima strofa in Lingua Rumena, con accanto la traduzione e qualche licenza
poetica in Lingua Italiana.
“Fata draga nu fi trista fiindca e pacat (cara ragazza non essere triste perché è un peccato) fara
lacrimi nu exista dor adevarat se zvanta norii-nsoare (niente lacrime questo è il tuo tempo di nuvole
e sole) lacrima usor si surasul reapare (asciuga le lacrime e riapparirà il sorriso) “.
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In Italiano il pronunciare “Fata Draga”, mi suscitava l’idea di un archetipo
femminile, dolce e tremendo nello stesso tempo, una sorta di Eva-Lilith consapevole della
dualità della sua anima capace di accoglienza e benevolenza, ma anche di trasgressione e
rimessa in discussione di regole del gioco non giuste. Una donna, nel cui sguardo si
potesse indovinare, per chi sapesse coglierlo, quel bagliore dorato lungo un solo istante,
lontano e profondo millenni e millenni; un bagliore capace di raccogliere la forza e la
dolcezza di tutte le donne vissute prima di noi e di tutte quelle che verranno dopo. Donne
capaci di essere dolci e spietate, fragili e coraggiose, timorose e ardimentose, e capaci di
vivere appieno struggimento e speranza.
Donne capaci di volare come le fate, oppure, se lo preferite, come le streghe!
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FATA DRAGA
Motie de Toamna
A venit toamna, acopera-mi inima cu ceva,
cu umbra unui copac sau mai bine cu umbra ta.
Ma tem ca n-am sa te mai vad, uneori,
ca or sa-mi creasca aripi ascutite pana la nori,
………………………………………
(Nichita Stanescu)
Emozione d’autunno (traduzione)
E’ arrivato l’autunno, coprimi il cuore con qualcosa,
con l’ombra di un albero oppure meglio con l’ombra tua.
Ho paura a volte di non rivederti mai più,
che mi cresceranno ali sottili fino alle nuvole,
……………………………….
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Questo racconto è dedicato alle piccole,
grandi donne
che abbiamo incontrato
nel nostro lungo sentiero di vita, tra impegni e speranze.
Annamaria e Loredana
Luglio 2011
L’immagine di copertina, che ritrae Vivien Ciocan sullo sfondo di Belmonte in Sabina,
è un disegno di Ilaria Maione
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CAPITOLO I
BUCUR
Sorcova vesela sa traitisa imbatriniti,
ca un mar, ca un par, ca un fir de trandafir,
tare ca piatra, iute ca sageata, la anul si la multi ani.
Ti auguro di avere una lunga vita, come i meli, come i peri,
d'avere la forza di una montagna,
per affrontare l'anno nuovo, nel modo migliore.
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CAPITOLO II
IL SENTIERO DI LILITH
(<c’era una volta e una volta non c’era<)
(disegno di Luca Tarlazzi)
C’era una volta, ed una volta non c’era, una bimba di nome Fata Draga che
possedeva uno sguardo luminoso ed intenso come non si era mai visto. Viveva in una città
oltre la quale abitava il sole che sorgeva ogni mattina da oriente. Questa città era situata in
un paese lontano, oltre il mare azzurro; si affacciava sul Mar Nero nel punto, dove il
Danubio ricama il suo delta, ed era circondato dai monti Carpazi, altissimi e spesso coperti
di neve. La città dove viveva Fata Draga era chiamata anticamente Bucur che significa
bella, e veniva definita, da tutti coloro che l’avevano visitata, “ La Città della Bellezza”.
Un fiume, chiamato Dambovita cingeva, quale preziosa cintura, il centro storico di Bucur.
L’architettura stravagante e la cultura cosmopolita ne facevano un luogo ameno e molto
amato dai suoi abitanti.
La piccina dagli occhi di luce aveva una mamma, un papà e due fratellini che le
volevano bene. Era una bimba che andava a scuola come tutte le altre bambine della sua
età, giocava come giocano tutte le bambine, ma possedeva un segreto che non aveva mai
confidato a nessuno.
Fata Draga, infatti, sapeva catturare l’ultimo raggio del sole, proprio un attimo
prima che oltrepassasse l’orizzonte e lo teneva chiuso nel suo pugno, tutta la notte. Poi,
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