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“ C’ èuni nt er ooc eanodipet r ol i os ot t oinos t r ipi edienes s unopuòar r i v ar c i ,t r anneme” . DANIEL PLAINVIEW www.barzandhippo.com 1 scheda tecnica titolo originale: durata: nazionalità: anno: There Will Be Blood 158 minuti USA 2007 regia: PAUL THOMAS ANDERSON soggetto: DANIEL LUPI, UPTON SINCLAIR, HUGH WHEELER sceneggiatura: PAUL THOMAS ANDERSON produzione: PAUL THOMAS ANDERSON, SCOTT RUDIN, JOANNE SELLAR fotografia: montaggio: ROBERT ELSWIT DYLAN TICHENOR scenografia: costumi: musiche: JIM ERICKSON MARK BRIDGES JONNY GREENWOOD interpreti: DANIEL DAY-LEWIS (DANIEL PLAINVIEW), PAUL DANO (PAUL/ELI SUNDAY), CIARÁN HINDS (FLETCHER), COLLEEN FOY (MARY SUNDAY ADULTA) PAUL THOMAS ANDERSON Nato il 1 Maggio 1970 a Studio City (California - USA). Cresciuto in quella San Fernando Valley che in Magnolia viene castigata da una torrenziale pioggia di rane, questo indisciplinato "enfant prodige" del cinema hollywoodiano emerge, abbandonata la scuola di cinema, grazie al lungometraggio del 1996 Sydney, realizzato con i fondi del Sundance Institute Filmmaker's Workshop a partire dal corto del 1993 Cigarettes & Coffee. Soprattutto col suo secondo film, Boogie Nights, dimostra le alte ambizioni del suo cinema corale e visionario che si ispira all'Altman delle storie collettive e al Martin Scorsese dei sinuosi movimenti di macchina e dei lunghi piani sequenza accompagnati da un'incalzante colonna sonora. Dopo Boogie Nights, storia di ascesa e declino di una "famiglia allargata" all'interno dell'industria pornografica degli anni Settanta e Ottanta, l'approccio tragico alla famiglia come fonte di dolore, colpa e violenza si ritrova in quello che è considerato il suo capolavoro, Magnolia. Con questo viaggio altmaniano all'interno di un complicato reticolo di esistenze in una afosa giornata della San Fernando Valley, Anderson ritrae un'umanità variegata popolata da padri assenti e figli instabili, www.barzandhippo.com 2 profondamente e ineluttabilmente segnati dalle cicatrici del passato. La violenza che trova origine all'interno del nucleo familiare, torna anche in Ubriaco d'amore (premio per la regia a Cannes 2002), commedia romantico-surreale in cui il protagonista, questa volta un solo e bizzarro personaggio, unico maschio tra sette sorelle, trova l'amore e la tranquillità dopo aver combattuto con il suo carattere arrogante ed i suoi violenti e irrefrenabili attacchi d'ira. Dopo una lunga pausa, nel 2008 torna a dirigere una storia ambiziosa con Daniel Day-Lewis nei panni de Il petroliere, spietato mercante di oro nero del Texas che nei primi anni del Novecento mette in atto una scalata al potere senza precedenti. Oltre che nella regia cinematografica, P. T. Anderson si è anche cimentato nella creazione di video musicali, collaborando soprattutto con Fiona Apple (tre video), ma anche con Aimee Mann e Michael Penn. (tratto da MyMovies.it) Filmografia: IL PETROLIERE - 2007 BOOGIE NIGHTS - L'ALTRA HOLLYWOOD - 1997 UBRIACO D'AMORE - 2002 SYDNEY - 1997 MAGNOLIA - 2000 Storia breve del petrolio in California Sebbene poche persone ne siano consapevoli, la maggiore industria esportatrice nella California, dopo ovviamente quella cinematografica, è per lungo tempo stata rappresentata dal petrolio. Lo stato magari non sarà famoso come il Texas per questo as pet t o,ma l ar api da c r es c i t a del l ’ i ndus t r i a pet r ol i f er a al l ’ i ni z i o delv ent es i mo s ec ol oè stata fondamentale per lo sviluppo eperl ’ i nc r edi bi l er i c c hez z ac hehar es ol aCal i f or ni a una terra irresistibile per tante persone. Il mutevole territorio geologico della California conteneva infiltrazioni di petrolio naturale dami l l ennieperques t ar agi onec ’ er anogi ac i ment if os s i l ic ome quello di La Brea Tar Pits. Quando i colonizzatori spagnoli sono arrivati nel 1500, i nativi americani stavano già raccogliendo il petrolio che emergeva dal terreno per dar vita a quello che veniva chiamato ‘ as f al t o’ , ut i l i z z at o per c os t r ui r ec anoe ,c esti e altri oggetti che dovevano essere impermeabili. Anche i nuovi abitanti hanno iniziato ad utilizzare questo materiale e, nel 1850,i lgener al eAndr easPi c o( f r at el l odel l ’ ul t i mogov er nat or emes s i c anodel l aCal i f or ni a , Pios Pico) è diventato la prima persona in California a distillare il petrolio, che utilizzava per le luci a gas che illuminavano la sua casa nei dintorni di Newhall. Mentre la domanda di cherosene cresceva, allo stesso tempo aumentava anche la richiesta di estrarre maggiori quantità di petrolio dal terreno. Nel 1865, arrivò il primo pozzo petrolifero produttivo nella regione californiana della Central Valley, allora poco popolata e i mper ni at as opr at t ut t os ul l ’ agr i c ol t ur a, pr ov oc ando una s er i e di s c oper t e di pi c c ol i giacimenti che sono serviti a sostenere la nascente città di San Francisco. Al l ’ epoc a,t r ov ar ei lpet r ol i o er a un c ompi t of at i c os o e per i c ol os o.Tr i v el l ar ec on l e attrezzature di quel periodo era complesso, pericoloso e un azzardo enorme, perché si poteva facilmente rimanere a mani vuote. Anche se si trovava il petrolio, le strutture utilizzate per estrarlo erano imprevedibili, così se un pozzo petrolifero prendeva fuoco, potevano accadere enormi disastri, come in effetti capitava. Il compito attirava degli www.barzandhippo.com 3 avventurieri impetuosi e tenaci e uomini con una forte visione del futuro, così quelli che hannoav ut os uc c es s os onodi v ent at iit i t anidel l ’ er ai ndus t r i al eamer i c ana . Ogniv ol t ac hes it r ov av ai lpet r ol i oi nunaz onav er gi ne,s is c at enav al ac os i ddet t a‘ c or s a al l ’ or o ner o’ ,c on operai, imprenditori e altra gente speranzosa che arrivava da est si lanciava verso dei minuscoli villaggi in cerca di nuove opportunità. Molte città hanno visto uno scontro tra culture diverse, quando industriali, prostitute, gi oc at or id’ az z ar doeal t r ipersonaggi pittoreschi sono arrivati in città assieme al petrolio. Una di queste località era Summerland, una colonia religiosa che si trova poco fuori da Sant a Bar bar a,c he os pi t òi lpr i mo gi ac i ment o pet r ol i f er oi n mar e aper t o del l ’ emi s f er o occidentale e dove, con grande disperazione degli abitanti, si iniziarono a costruire numerosi saloon e pensioni. Il rancore portò al sabotaggio dei pozzi, compresi quelli appar t enent iadunodeimaggi or it y c oondel l ’ epoc a ,J .PaulGet t y . Il 1888 vide il primo important epoz z odipet r ol i odel l aCal i f or ni a,c hi amat o‘ AdamsNo.16’ e che si trovava nella Ventura Basin, venduto da un possidente alla Union Oil Company, pr ov ando s enz a ombr a didubbi oi lpot enz i al e del l a Cal i f or ni a ne l l ’ ambi t o del l ’ i ndus t r i a petrolifera. Nel 1892,l os t es s oannodinas c i t adel l ’ aut omobi l e,Edwar dDohenyt r ov òi lpet r ol i ov i c i no a quello che ora è il Dodger Stadium di Los Angeles e nel giro di cinque anni aumentò il numero dei suoi pozzi ad oltre 500, dando vita ad una delle maggiori ricchezze della naz i one.Tr a gl ial t r iper s onaggidis pi c c o del l ’ i ndus t r i a pet r ol i f er a,c ’ er a anc he J ohn Rockefeller, che ha creato la Standard Oil, la società collegata alla Chevron, che era una f or z at r ai nant e nel l ’ i ndus t r i a a queit empi .Upt on Si nc l ai r ,c he ha s c ritto il romanzo ‘ Pet r ol i o! ’ac uièi s pi r at oI lPet r ol i er e,i ns egui t oav r ebbeappoggi at ol epr ot es t ec ont r oi Rockfeller e le loro attività antisindacali. Al l ’ i ni z i o dels ec ol o,i lboom delpet r ol i oi n Ca l i f or ni aer aals uo a pi c e ,s opr at t ut t o nel l a zona di San Joaquin Valley. Nel 1910, venne trovato il maggior pozzo petrolifero della storia dello stato: il Lakeview Gusher, che forniva la cifra incredibile di 125.000 barili al giorno. Quello stesso anno, la produzione californiana arrivò a 77 milioni di barili di petrolio. In quel momento, lo stato produceva il 70% del petrolio nel mondo. Il grande boom petrolifero in California durò soltanto un decennio prima che il flusso iniziasse ad interrompersi. La trivellazione nello stato continuò (e prosegue ancora adesso), ma nel periodo della Depressione, buona parte dei maggiori pozzi e giacimenti di petrolio erano stati prosciugati e vennero così abbandonati. Nel frattempo, la ricerca di petrolio, più importante che mai in una società che cambiava rapidamente ed era fatta di automobili ed industrie, si era trasferita oltreoceano, dando vita alla nascita del fenomeno del petrolio multinazionale. La parola ai protagonisti Paul Thomas Anderson I lr omanz oèambi ent at oi nun’ ar ea,quel l adiSi gnalHi l l ,c hec onos c obene e questa parte della storia californiana mi ha sempre interessato, leggere il romanzo è stato decisamente eccitante. Quando s ios s er v ano l e magni f i c he f ot ogr af i e del l ’ epoc as ir i es c e ad av er e un s ens o completo di come le persone conducevano le loro v i t e.C’ èunas t or i ar i c c ai nques t ear ee petrolifere vicino a Bakersfield, dove vivono ancora i pronipoti degli operai del petrolio e in www.barzandhippo.com 4 cui si avverte una forte tradizione. Così, abbiamo svolto tantissime ricerche e io sono tornato ad essere uno studente, una cosa veramente emozionante. Lavorare con Daniel Day-Lewis è un privilegio che pochi registi hanno avuto. Io ho dovuto t r ov ar ei lc or aggi o dic hi eder gl i el o,ma ho s empr es aput oc he c ’ er a una s ol a per s ona adatta a questo compito. Senza voler esagerare, credo che un film viva e muoia a seconda delle sue comparse, la popolazione locale nella pellicola ha proprio le caratteristiche del Texas occidentale che si possiedono solo vivendo in questo luogo e loro sono stati veramente generosi con il loro tempo e la loro umanità. Sono assolutamente orgoglioso del lavoro che hanno svolto. Puoi avere un ottimo attore come Daniel Day-Lewis, ma se la persona che sta dietro di lui è sbagliata e si rivela una distrazione, sei finito. Non solo Paul Dano aveva familiarità con il modo di lavorare di Daniel Day lewis, ma era anc he al l ’ al t ez z a diques t oc ompi t o.L uier af i duc i os o dipot er f r ont eggi ar e Dani el . Nonostante questo rapporto incredibilmente teso tra i loro personaggi, dovevano anche trovare una certa gioia reciproc aer i t engoc hes i anor i us c i t iac ondi v i der el ’ ec c i t az i oneel a felicità di entrare in gioco e calarsi in questi ruoli. Dovevano sentirsi assolutamente al sicuro tra loro, perché le cose potevano andare fuori controllo, come talvolta è accaduto. Talvolta,i lc as tel at r oupes embr av anodegl ioper aipet r ol i f er i ,c heaquel l ’ epoc aer ano delle persone che cambiavano spesso casa, davano il massimo in questo lavoro manuale ed erano impegnate per 12 ore al giorno. Noi facevamo lo stesso, avevamo questa illusione di stare veramente trivellando in cerca di petrolio. Marfa (dove è stato girata gran parte del film) sembra proprio come era Bakersfield un tempo, si trova anche sufficientemente vicina ai pozzi petroliferi del Texas occidentale da permetterci di riempire la zona di vecchie attrezzature di trivellazione. Nella zona ci sono delle persone veramente amichevoli e noi avevamo a disposizione il miglior set possibile, il territorio del Texas occidentale. Le recensioni Gaetano Vallini - L'Osservatore romano, 21 febbraio 2008 Stavolta non c'è lieto fine. A vincere è il male sotto le spoglie di un petroliere avido, misantropo e spregiudicato. Ma è una vittoria amarissima pagata a caro prezzo, che appare come una disfatta totale dal punto di vista umano. Non c'è nulla di esaltante e di invidiabile nel personaggio di Daniel Plainview, per il quale, al termine di un'esistenza vissuta nella ricerca spasmodica del guadagno, non c'è possibilità di redenzione. Viene rifiutata persino l'ultima opportunità fornitagli dall'orfano, ormai adulto, che aveva preso con sé in tenera età. Per questo il film Il petroliere - firmato dal giovane, e già maturo regista statunitense Paul Thomas Anderson, apprezzato per Magnolia - si presenta come una impietosa parabola del disfacimento morale di un uomo. Non solo. Grazie al personaggio del falso predicatore, che diventa l'alter ego del protagonista, siamo anche dinanzi a una denuncia del proselitismo pseudoreligioso compiuto dal cialtrone di turno che s'approfitta della credulità e dell'ignoranza della povera gente. La lotta tra questi, che parla a nome di un dio a suo uso e consumo, e il petroliere, il quale non ha altri scopi se non l'arricchimento, solo apparentemente si presenta come una battaglia tra il bene e il male. I due www.barzandhippo.com 5 sono troppo simili: il primo non è meno scaltro e cinico del secondo. E se il nero è il colore che fà da sfondo alla narrazione --- nero come il petrolio strappato alle viscere della terra, nero come la coscienza sporca di Daniel Plainview accecato dalla brama del possesso - la scena si macchia spesso di rosso. Non a caso, del resto, il titolo originale della pellicola è There will be blood (Ci sarà sangue). E il sangue degli operai che muoiono nei pozzi, ma è anche il sangue di cui si macchiano le mani del protagonista, magistralmente interpretato da Daniel Day Lewis, attore inglese che centellina le sue apparizioni offrendo sempre prove importanti (Il mio piede sinistro gli valse l'Oscar come miglior attore). A fargli da sponda c'è un bravo Paul Dano nei panni del sedicente predicatore Eli. La vicenda si svolge a cavallo tra Ottocento e Novecento. Daniel Plainview è un cercatore d'argento che trova casualmente il petrolio nell'Ovest degli Stati Uniti. Da tale scoperta comincia la sua lenta, ma inesorabile, dannazione. Le sue ricchezze aumentano grazie anche all'abilità nello sfruttare la presenza di un bambino, orfano di un suo operaio vittima di un incidente, che cresce come un figlio e usa per presentarsi più credibile agli sprovveduti proprietari di terreni impregnati di petrolio; appezzamenti ricchissimi che intende sottrarre loro a prezzi quasi sempre irrisori. Sulla sua strada trova il giovane Eli che si presta ad aiutarlo purché finanzi la sua chiesa, in un contrasto aspro e drammatico sino alla fine. Per Plainview le cose vanno bene fino a quando un incidente in un pozzo rende sordo il figlio. L'accaduto lo incattivisce, togliendogli ogni freno inibitorio. La sua accecante avidità finisce per avere il sopravvento schiacciando tutto e tutti, rendendolo persino assassino. L'ossessione per la ricerca di nuovi pozzi scalza il piacere entusiasmante della scoperta; la brama di potere e di denaro gli fa dimenticare il rispetto per i suoi uomini e inconsciamente per se stesso. «Io vedo il peggio nelle persone. La mia barriera di odio si è innalzata», dice di sé. Ma la ricchezza non giova alla vecchiaia: è condannato a vivere in una desolante solitudine nell'immensa, lussuosa magione, teatro degli ultimi drammi della sua mostruosa vita. Tanto mostruosa da far dire a colui che si considerava suo figlio: «Ringrazio Dio di non avere niente di te in me». Tratto dal romanzo di Upton Sinclair Oil! del 1927, Il petroliere - fresco vincitore del premio per la miglior regia al festival di Berlino, al quale si presentava forte del Golden Globe assegnato a Daniel Day Lewis come migliore attore protagonista e di otto candidature all'Oscar - è un film che si richiama al filone epico del cinema americano, quello che raccontava la frontiera dura e selvaggia, in cui dettava legge il più forte e arrogante. Lo fa in maniera cruda, a tratti spettacolare, con qualche pausa narrativa di troppo pagata alla bravura del protagonista. Ciononostante - tra ruvidi paesaggi, sperdute fattorie, pozzi e trivelle - il regista regala sprazzi di grande cinema, permettendosi persino il lusso di un inizio con quindici minuti privi di dialoghi. In ultima analisi, Anderson racconta la storia del male che si insinua inesorabilmente in un uomo, distruggendolo interiormente. Nell'ascesa del cinico protagonista - metafora delle brutture del capitalismo americano delle origini - si coglie il dramma di una vita incapace di trovare un senso e che non sa riscattarsi. A volte il cinema riesce a far simpatizzare anche con personaggi poco limpidi. Qui però non c'è, e non può esserci, empatia con Plainview, malvagio perdente per il quale si nutre solo repulsione. Natalino Bruzzone - Il Secolo XIX, 15 febbraio 2008 Quando il cinema di Hollywood incontra la storia della nazione e le radici dell'uomo americano, l'unica frontiera possibile è quella dell'epica segnata dall'ossessione e dalla follia. La corsa verso l'oro trasforma il sogno in incubo assassino e in un'illusione beffarda come in "Il tesoro della Sierra Madre", l'ansia rapace e compulsiva del potere detta la biografia di una dissipazione morale, mentale ed esistenziale come in "Quarto potere" ed "Aviator", l'assenza di limiti allestisce la rappresentazione feroce in uno dei tanti palcoscenici della sfida tra il Bene e il Male. E lo scontro è radicale e totalizzante come quando Bibbia e Capitale si fronteggiano per affermare la prevalenza di un'unica illusione fondamentalista che così non saprà mai riconoscere come l'una e l'altra siano, in realtà, il riflesso della stessa immagine allo specchio dell'avidità rapace. La carne e lo spirito, l'accumulazione di una ricchezza e l'estremizzazione religiosa si confondono lungo lo spettro di una ballata selvaggia, dura e metaforica come il paesaggio western di "I cancelli del cielo" e www.barzandhippo.com 6 irrefrenabile come la sete di una caccia eretica in "Moby Dick". "Il petroliere" di Paul Thomas Anderson diventa, allargandosi su queste coordinate, un esempio di come il grande romanzo dell'America appartenga alla letteratura della macchina da presa che ha in David W. Griffith, John Ford, John Huston e Orson Welles i suoi numi tutelari e i cui volti andrebbero impressi e scavati in un ideale monte Rushmore dello schermo. Anderson guarda a loro (ma anche alle imprese rutilanti di Michael Cimino e agli stigma caratteriali di Martin Scorsese) per costruire la megalomania di Daniel Plainview il cercatore d'argento che trova il petrolio e cede alle sue lusinghe: inganna, scava, uccide, si piega al compromesso con il suo oppositore, il predicatore Eli Sunday, abbandona alla sordità il figlio adottivo, si misura da Caino con un supposto fratellastro e non può che andare incontro a quel versetto laico, "ci sarà del sangue" ("There Will Be Blood" ), del titolo originale, sotto l'impulso della pazzia e della solitudine da eremita della bramosia. Da una caduta nelle viscere della terra, con venti minuti di soggiogante spettacolo senza parole, ad un finale di violenza inaudita: "Il Petroliere" ha la forza di una tragedia elisabettiana, la poetica sporca di bitume di un abissale cinismo, il pathos di un'avventura costruita tutto dentro al suo protagonista che implode nell'interpretazione formidabile di Daniel Day-Lewis. Lo stato di grazia dell'attore corrisponde perfettamente all'ispirazione miracolistica dell'autore: i gesti, le espressioni, le occhiate e la postura di Lewis restano, in un testo privo di qualsiasi presenza femminile, sempre in primo piano, assecondati, suggeriti, avvallati dai movimenti della cinecamera che, tra carrellate e panoramiche in "scope", assestano alla visione una deriva narrativa lunga trent'anni (dal 1898 al 1927) trapunta di elissi e da una ferrea logica da combattimento pugilistico: da una parte Plainview e dall'altra Eli si scambiano colpi proibiti travolgendo, famiglia compresa, ogni ostacolo al proprio desiderio sfrenato di affermazione assolutistica. Nel fango e nella polvere, davanti al mare o ad un incendio notturno, "Il Petroliere" è il ritratto di un uomo e di un Paese che Paul Thomas Anderson firma nelle sequenze di un'opera emozionante, densa di una energia e di un'intensità rare e delirate. È il racconto di una manipolazione a scopo di potere dove il brullo del landscape corrisponde all'aridità dell'anima in una moderna simbologia dell'individuo archetipo che si fa da sé vendendosi alla diabolicità del possesso. "Il Petroliere" (candidato a otto Oscar, tra cui quello per il miglior film) alza una bolla di mito e di leggenda nell'architettura di una fisicità e di una mente alienate: la fotografia di Robert Elswitt cattura nella luminosità arcaica e nel cromatismo depurato il demone di un pioniere che come il capitano Achab si abbandona alla smania di onnipotenza dichiarando apertamente la sua estraneità alla società nel suo odio e disprezzo per la gente. I fulgori recitativi di Daniel Day Lewis accrescono la potenza del film, lo seducono di una fascinazione satura di un pragmatismo primordiale ed ostinato in cui ogni tentazione eroica si smarrisce e viene cancellata dall'egoismo antisentimentale. "Il Petroliere" non concede tregua ai propri infervorati spettri, li azzoppa, li immerge in una sinfonia di pece in cui la musica della colonna sonora tambureggia sulla partitura ossessiva della trivella. Sgorga grandissimo cinema dai pozzi del "Petroliere": è il getto inconfondibile del capolavoro. Gian Luigi Rondi - Il Tempo, 16 febbraio 2008 Il petrolio in California. Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Una sorta di epopea già illustrata in un romanzo di Upton Sinclair e qui raccontata attraverso le gesta spesso violentissime di tale Daniel Plainview diventato in poco tempo da povero ricchissimo scoprendo terreni petroliferi, acquistandoli anche con raggiri e poi trivellandoli con un gruppo di fedelissimi da lui però sempre trattati con durezza. Altrettanto duro con tutti quanti lo avvicinano, persino con un figlio adottivo, un bambinello impaurito - da cui non esisterà a separarsi quando un incidente sui lavori lo farà diventare totalmente sordo. Tra i suoi scontri per accaparrarsi i terreni adatti ai suoi scopi, uno aspro fino a concludersi nel sangue con un avido e ipocrita predicatore di una setta pronto, ad ogni svolta, ad abusare delle sue funzioni per far soldi. Con altri episodi di contorno, non ultimo quello con un misterioso personaggio che, essendosi fatto passare per suo fratellastro, pagherà alla fine con la vita il suo inganno dato che l'altro, in ogni circostanza, non fa mai sconti a nessuno. www.barzandhippo.com 7 Ecco, forse, se il film ha un merito -ma non ne ha molti- è il disegno irruente, spietato;. quasi furioso di questo personaggio al centro che punta sempre diritto al suo scopo indifferente ai mezzi cui ricorre, dalle frodi, appunto; agli omicidi. La regia di Paul Thomas Anderson lo ha costruito spesso con tratti forti più incline all'azione che non alla psicologia ma, va riconosciuto, con risultati plausibili. Non dissimili, in un altro clima, da quelli ottenuti nella prima parte quando, con piglio documentaristico, ricostruisce le prime avventure dei cercatori di petrolio, le loro ansie, i loro affanni, i drammi da cui spesso erano accompagnate. Nella seconda parte, invece, quando le vicende del protagonista si aggrovigliano attorno a fatti secondari, i ritmi, pur inizialmente abbastanza sostenuti, si sfilacciano, accettano pause, bruschi mutamenti di atmosfere e anche il ritratto del personaggio centrale non tarda a risentirne: tra contraddizioni anche di gusto, sbalzi psicologici, difficoltà ad arrivare a vere conclusioni. Cerca di farvi fronte l'interpretazione di Daniel Day-Lewis che però, priva di quella sensibilità e .di quei carismi di cui aveva dato prova in film europei come "Camera con vista", "Il mio piede sinistro" e "Nel nome del padre", si risolve spesso in esteriorità infuriate, senza sfumature. Aggravate da un commento musicale (del chitarrista Jonny Greenwood) aggressivo, lacerato, urlato fino al fastidio. Francesco Bolzoni - Avvenire, 17 febbraio 2008 «Dove mettere il demonio?», chiese Pier Paolo Pasolini con una delle sue inattese provocazioni a un convegno ad Assisi. Lui lo tenne a bada a lungo. Poi lo lasciò libero nel suo film più tormentato: Salò o le 120 giornate di Sodoma. Il diavolo, da allora, ha fatto alcune apparizioni (secondarie) al cinema. Eccolo, adesso, che ritorna sotto mentite spoglie nel film Il petroliere, che pare raccontare solamente di un cercatore d'argento che diventa in California un boss petrolifero alla fine dell'800. Ritorna in un film crudele, spietato, candidato a otto premi Oscar, diretto dal bravissimo regista di Magnolia Paul Thomas Anderson e interpretato da un superbo Daniel Day-Lewis e dal suo convincente antagonista, Paul Dano, un film che rappresenta una lotta indomabile tra le forze del male. Capro espiatorio il ragazzo H.W., figlio di Daniel Plainview.Il film di Anderson, il più incisivo di questa stagione, è aperto a varie direzioni, a molteplici interpretazioni. Esamina, sì, i costi pagati dall'iniziale capitalismo. Con realismo crudele, alla Erich von Stroheim di Greed, evoca un minatore, Daniel (Daniel Day-Lewis), che quasi per caso scopre un giacimento di petrolio ed è tanto abile e astuto da procurarsi i finanziamenti per sfruttarlo. Con un viso molto ottocentesco (fisionomia da volpe, il naso diritto, i folti baffi, una bocca che non sorride mai) Daniel ha il dono di convincere il suo prossimo. Promette ai componenti di una piccola e povera comunità di procurarle il benessere in cambio delle cessione di terreni aridi, buoni solo per il pascolo delle capre. Ma nella zona trasuda il petrolio. Un mare di oro nero. Il regista nei capitoli iniziali sta a ridosso del protagonista. Poi lo colloca all'interno di paesaggi selvatici, tra gli operai che arrivano e si mettono al lavoro, le macchine trivellatrici e la torre per l'estrazione, la ferrovia e i concorrenti che vorrebbero impadronirsi del giacimento petrolifero. Ma Daniel non cede anche quando la fortuna pare voltargli le spalle: il pozzo esplode (sequenza di molta forza espressiva), H.W. rimane sordo. Questa disgrazia risveglia in Daniel - la cui assenza di scrupoli non era stata fin qui nascosta - le forze del male che lo conducono a decisioni infami: abbandona il figlio, uccide l'uomo che si era finto suo fratello, accetta di convertirsi a una setta religiosa pur di far passare su un terreno non suo dei tubi che conducano il petrolio al mare. Gli si oppone il predicatore protestante, Ely Sandy (Paul Dano) che lui aveva umiliato e che, adesso, lo umilia costringendolo a un battesimo che Daniel disprezza. È una lotta terribile all'interno di un cono d'ombra dove ardono le forze del male che finiscono per annientare i due avversari. Chi ha vinto è il demonio evocato con lucidità impressionante in un film di grande potenza che rappresenta, sulla traccia del romanzo Petrolio! di Upton Sinclair, l'origine del capitalismo ma anche, si è visto, altro. Silvia Bizio - L’ Espr esso,21Febbr ai o2008 C'è già chi dice che 'Il Petroliere' (in originale 'There Will Be Blood'), il film di Paul Thomas Anderson tratto da 'Oil!' di Upton Sinclair, verrà paragonato a 'Quarto Potere'. E che Daniel DayLewis guadagnerà una nomination all'Oscar per il personaggio di Daniel Plainview, il minatore texano che diventa un tycoon del petrolio nella California dei primi '900: un uomo tutto votato al www.barzandhippo.com 8 successo, che liquida senza tanti complimenti ogni ostacolo, brutale eppure umano, un'autentica canaglia capace però di ispirare simpatia. Del resto l'attore inglese è un habitué della notte degli Oscar: lo ha vinto nel 1989 per 'Il mio piede sinistro', è stato candidato per il terrorista irlandese in 'Nel nome del padre' e per il ruolo del feroce Bill 'the butcher' in 'Gangs of New York' di Martin Scorsese, nel 2002. Il 'Petroliere', girato in Texas nell'aprile del 2006, esce negli Usa il 26 dicembre e in Italia a febbraio 2008. Accanto al veterano Day-Lewis, si fa notare un astro nascente del cinema americano, Paul Dano, 23 anni, che lo scorso anno fece sensazione nel ruolo del giovane afasico, maniaco del pensiero di Nietzsche, fratello della piccola protagonista di 'Little Miss Sunshine'. Qui Dano interpreta un giovane prete, Eli Sunday, che nella piccola comunità californiana sconvolta dalla scoperta del petrolio si scontra con l'atteggiamento mercenario di Plainview. Il loro è un conflitto di dimensioni epiche: uno scontro tra la ricchezza e la fede. I due personaggi ricordano quelli di Burt Lancaster in 'Elmer Gantry' e Robert Mitchum in 'La morte corre sul fiume', due falsi predicatori: "Il mio Eli Sunday è pieno di contraddizioni e ambiguità", spiega Dano: "In realtà la foga evengelica da giovane pastore che cerca di suggestionare i parrocchiani lo rende non meno velleitario e arrivista di Plainview". Day-Lewis e Dano si considerano 'fratelli d'arte' e grandi amici, a dispetto della loro differenza anagrafica e culturale: Dano, nato in Connecticut, proviene da una famiglia di operai, Day-Lewis nato a Londra, è di estrazione agiata e di alta accademia - il padre, Cecil Day-Lewis, è un 'poeta laureato'. Li accomuna il fatto di aver iniziato entrambi a recitare giovanissimi in teatro, e il fatto che due anni fa lavorarono insieme nel dramma familiare 'La ballata di Jack e Rose', il film scritto e diretto da Rebecca Miller, la figlia del drammaturgo Arthur Miller con la quale Day-Lewis è sposato dal '96 e da cui ha avuto due figli. Spesso citato come il Robert De Niro inglese, Day-Lewis, diventato famoso negli anni '80 con 'My Beautiful Laundrette' e 'L'insostenibile leggerezza dell'essere', considera De Niro uno dei suoi idoli, e 'Taxi Driver' come uno dei suoi film preferiti. Impossibile non chiedergli quanto si sia riconosciuto nel suo personaggio di Plainview, la cui scalata al successo va di pari passo alla crudeltà: "Mi considero spietato solo quando si tratta di difendere la mia privacy", dice l'attore, incontrato all'hotel Four Seasons di Beverly Hills: "Il successo gioca strani scherzi: ti costringe a essere più attento, quasi vigilante. Come Plainview, anch'io ho l'indole dell'eremita, tendo a isolarmi. Quando non lavoro conduco una vita quanto mai tranquilla. E quando lavoro mi immergo nella vita del personaggio e non penso a nient'altro". Chiunque lavori con lui testimonia come sia straordinario vedere Day-Lewis sul set. Racconta Dano: "Si trasforma nel ruolo, analizza la storia e la sua psicologia nei minimi dettagli, ti costringe, come sua controparte, a dare il massimo. Insegna con la forza dell'esempio". Il ruolo, ammette Day-Lewis, ha richiesto una grande preparazione anche storica: "Ho studiato il periodo, come la corsa all'oro del Klondike, cercando di capire le dinamiche del lavoro nelle miniere d'oro e d'argento del Far West a fine '800 e di immaginare lo stato d'animo dei minatori che scavavano come dannati senza avere la certezza del premio per i loro sforzi". E continua l'attore. "Erano uomini folli che rinunciavano a vite anche comode per inseguire l'avventura e il sogno di ricchezza. Erano agenti, impiegati e insegnanti che lasciavano le loro mogli e famiglie per fuggire nel West alla ricerca di facili guadagni, senza sapere niente di come trovare il petrolio o l'oro. 'La febbre', la chiamavano, e molti uomini persero la vita, o finirono in miseria, continuando tuttavia a credere nella promessa del West. Non sapevo niente sulle miniere americane di allora. Nel collegio che frequentavo nel Kent non ci insegnavano queste storie". La cultura americana era stata una grande attrazione per l'attore fin da ragazzo: "Da giovane tenevo segreta la mia passione per i film americani, quasi fosse una vergogna ammetterla. Ho sempre desiderato misurarmi in mondi diversi, anche quelli lontani da casa mia. Ho avuto il privilegio di crescere in una famiglia di intellettuali, ma andando a scuola sono diventato una specie di bullo di strada. Una dicotomia che mi si addice, che mi ha definito come attore. Colto, ma anche sporco, raffinato, ma anche cattivo. La società europea guardava con cinico disdegno all'entusiasmo naïf del Nuovo Mondo, e forse lo fa anche adesso. A me invece affascina". Risale alla gioventù una delle sue grandi passioni, quella per le motociclette: "Avevo vent'anni quando un mio amico che faceva corse di motocross mi ha iniziato al mondo delle moto: prima di allora ero un ciclista, e ho pensato: se mi piacciono due ruote con i pedali, perché non provarne www.barzandhippo.com 9 due con un motore", esclama ridendo: "Da allora la moto è diventata un grande piacere, sia per turismo che in gara. L'anno scorso ho partecipato alla Laguna Seca. E sono un grande fan di Valentino Rossi, come tutti del resto". Il giro di boa dei 50 anni non sembra preoccuparlo molto: "Non credo che la vita sia meno interessante man mano che invecchiamo. Ogni giorno scopro nuove cose, ogni giorno la mia vita è arricchita dai miei figli in modi che non potrei nemmeno cominciare a descrivere e che comunque ho tutte le intenzioni di tenere solo per me". Alberto Crespi - L'Unità, 9 febbraio 2008 Petrolio e religione: l'accostamento vi dice qualcosa? Leggere Il petroliere come una grande metafora dell'America di Bush (padre e figlio) è legittimo, anche se Paul Thomas Anderson (regista) e Daniel Day Lewis (attore) cercano di glissare, di non forzare eccessivamente la metafora. Del resto il parallelo fra la saga dei Bush e la saga di Daniel Plainview, petroliere nella California del primo '900, è solo una delle tante chiavi di lettura con le quali avvicinarsi a un film potente, fluviale, denso di riferimenti storici e ricco di grande cinema. Tratto dal romanzo di Upton Sinclair Petrolio! (il punto esclamativo c'è anche in inglese, non è un tentativo di distinguersi dall'omonimo romanzo di Pasolini), è la storia, o una storia, della nascita del capitalismo americano. Non la prima, certo: Sam Peckinpah aveva realizzato un film molto simile - meno ambizioso, ma più feroce - con La ballata di Cable Hogue, Orson Welles aveva raccontato il magnate,per antonomasia in Quarto potere, Martin Scorsese ha ricreato la folle vita di Howard Hughes in Aviator e non mancano certo le somiglianze con un'altra saga petrolifera, Il gigante (se non altro perché Anderson ha girato nella cittadina texana di Marfa, che già ospitò il vecchio film con James Dean e che qui fa le veci di Bakersfield, California). Il petroliere è un film al tempo stesso epico e minimale. Il primo quarto d'ora - magistrale! sembra un cortometraggio muto di Griffith, altro regista che sul capitalismo e sulla nascita delle nazioni aveva idee ben precise. Siamo nel 1898 e Plainview, ancora solo e povero, scava una miniera nel deserto e cadendo nel pozzo si rompe la gamba che lo lascerà claudicante per tutta la vita. Poi viene raggiunto da alcuni compagni pezzenti quanto lui: mentre estraggono (a mano!) i primi secchi di petrolio, con loro c'è anche un neonato, un figlio di nessuno che poi Plainview adotterà e porterà con sé, per «commuovere i clienti», in tutte le sue trattative d'affari. Ben presto l'uomo fa fortuna, e lo ritroviamo nel 1911 intento a trivellare una zona californiana segnalatagli da uno strano ragazzo di nome Paul Sunday. Per convincere i coloni a cedere i loro terreni, però, tocca fare i conti con Eli Sunday, gemello di Paul, aspirante predicatore in perenne crisi mistica. La scena in cui il «peccatore» Plainview si fa battezzare, a suon di ceffoni e autodafé, per avere le concessioni necessarie a costruire un oleodotto è la sintesi di tutto il film ed è un potentissimo ritratto dell'America moderna, dove petrolieri e predicatori si sono spartiti - con eguale cinismo - il compito di controllare il paese, rimbambire le masse e dividersi il bottino. Come dicevamo, sia Anderson che Lewis svicolano di fronte a domande troppo politiche: «Sono partito dal libro di Sinclair - dice il regista- che è bellissimo e lunghissimo, e ho dovuto sfrondarlo parecchio in fase di scrittura. I paralleli, le allegorie... mentre scrivevo li vedevo tutti, e cercavo di scacciarli. Eppure, anche mentre giravamo, il binomio petrolio/religione invadeva ogni telegiornale, e per quanto noi cercassimo di rimuoverlo era sempre lì. Non posso quindi rifiutarlo, ma spero che il film parli anche d'altro. Del capitalismo, della ricchezza, di ciò che il potere provoca dentro gli esseri umani... anche del cinema, perché un film è un po' come una miniera, che sia oro argento o petrolio, comincia scavare e non sai mai cosa troverai». Lewis aggiunge: «Va benissimo che un film provochi un'eco che rimanda all'attualità e alla politica, ma credetemi, tutto nasce in modo molto piú intimo e personale, dalla voglia di creare un personaggio, di raccontare una storia». E la storia è sempre quella - molto cinematografica- di un uomo solo schiacciato dalla propria ricchezza. In questo il cinema è spesso inferiore alla realtà, perché i grandi capitalisti non sono mai soli: sono uomini di apparato e di relazioni, anche quando sembrano matti come Hughes, e il rischio è sempre quello di restituirne una visione fin troppo romantica. Proprio per questo il personaggio più inquietante del Petroliere finisce per essere non Plainview, che Lewis rende con gigioneria a volte eccessiva, ma il giovane predicatore Eli Sunday, interpretato - come il gemello Paul, che si vede in una sola scena - da un prodigioso 23enne che si chiama Paul Dano e che è il www.barzandhippo.com 10 sosia di un ventenne assai famoso, il calciatore del Barcellona Leo Messi. Lui. sì ci fa capire, con le sue virtù da imbonitore, il legame fra il capitale, la religione e i desideri profondi, forse inconsci, delle masse: per capire l'essenza del capitalismo americano guardate lui, il ragazzino. Che non sia candidato all'Oscar, è quasi uno scandalo. Il film per altro ha 8 nominations (incluse film, regia e attore protagonista) e Lewis, richiesto di un pronostico, non ha fatto prigionieri: «Speriamo di vincerli tutti». Quando si dice parlar chiaro. Roberto Nepoti - La Repubblica, 15 febbraio 2008 La storia di un uomo dal cuore nero come il petrolio: Daniel Plainview, un cercatore d'argento che, all'inizio del 900, trova l'oro nero in California poi ne diventa il magnate, triturando qualsiasi cosa si opponga alla sua irresistibile ascesa. Da molte parti si alzano inni al capolavoro. Il petroliere è superfavorito agli Oscar, con otto nomination tra cui miglior film, migliore regia, migliore interpretazione maschile. Ciò non significa, tuttavia, che si tratti di uno spettacolo "facile", fatto per accalappiare il consenso di tutti. Perché quella di Paul Thomas Anderson è un'opera al nero, in ogni senso: disperatamente nichilista, cupa e grottesca; soprattutto nel finale, che lascia perfino un po' storditi. Ispirato alla prima parte del romanzo "Oil!" di Upton Sinclair e alla biografia di Edward L. Doheny, inizialmente sembra rimandare ai biopic cinematografici sui plutocrati americani: dal gigantesco "Quarto potere" di Orson Welles al meno riuscito "Aviator" di Martin Scorsese. Se Plainview è un misantropo egotista come quelli, però, Anderson focalizza su altri temi: gli aspetti più ripugnanti della "nascita di una nazione", innanzitutto; quindi il conflitto tra potere del denaro e potere religioso; infine il tema della paternità mancata. L'articolazione è complessa. Il primo argomento sottende tutta la narrazione e mai, sullo schermo, s'era vista figura di "padre fondatore" dell'impero americano più torva e tenebrosa; se non, forse, quando Scorsese ha rappresentato la New York degli albori come l'inferno dei barbari (c'era anche Daniel Day-Lewis, si ricorderà, già con i baffoni del petroliere). L'opposizione tra potere economico e potere della religione (e relative collusioni) è proiettata rispettivamente nel protagonista e nel personaggio di Eli Sunday, il giovane integralista cristiano che umilierà Plainview, costretto a inginocchiarsi davanti a lui come dinanzi a un papa medievale, prima di esserne distrutto. Eli c'entra anche col tema della paternità: è il rampollo "traditore" di Daniel, uomo senza donne e senza figli; come lo sarà, in altro modo, il suo figlio adottivo H. W., rimasto sordo durante l'esplosione di un pozzo, scena spettacolare da inscrivere nei memoriali del grande cinema. Il progetto è ambizioso, perfino grandioso; e tuttavia Il petroliere resta un semi-capolavoro, un monumento a metà, che ha il coraggio e la forza di demolire l'epos retorico della "grande nazione", ma poi rimane come impaniato nel grottesco, nello sberleffo amaro, nel ritratto di un antieroe nero dalla psicopatia conclamata. Un certo squilibrio si avverte anche nel registro del linguaggio filmico. Anderson è cineasta capace di raccontare in modo classico, ma lasciando spazio a "smarcature", segni di stile che ne rivelano la personalità non comune (da osservare, una per tutte, il movimento di macchina che penetra nella casa colonica poi ne esce, spaziando sui campi). Confermata, forse più che mai, questa volta. E tuttavia le immagini sono come sdoppiate in due serie diverse, eterogenee: da una parte, le inquadrature maestose alla Terrence Malick; dall'altra quelle "strette", perfino un po' asfittiche, sul volto del protagonista. Valerio Caprara - Il Mattino, 16 febbraio 2008 Epico. Smisurato. Viscerale. Visionario. E soprattutto raro: «Il petroliere» di Paul Thomas Anderson («Magnolia») non assomiglia a un film contemporaneo, è un'odissea nera che si muove in una dimensione simile a quella dei capidopera da cineteca firmati Griffith, Huston, Welles o Stroheim. La trama, curiosamente rispetto a una durata di 2 ore e 38', può riassumersi in poche righe: Daniel Plainview nel selvaggio West di fine Ottocento cerca l'argento, ma trova il petrolio. Lotterà contro tutto e tutti - contadini, burocrati e padroni - pur di ottenere dominio e ricchezza illimitati, ma finirà miliardario pazzo e sanguinario autorecluso nel suo inaccessibile potere. Ricavata la parabola dal possente quanto ruvido romanzo datato 1927 di Upton Sinclair (capofila con Jack London del www.barzandhippo.com 11 movimento di scrittori arrabbiati, socialisti e naturalisti cosiddetto del muckrake, il rastrello da fango), il regista s'affida allo show monumentale di Daniel Day-Lewis. Il quale, sia pure inglese al 100 per cento, assurge con questa prova al rango di Grande Attore Americano: non ci sono parole per descrivere la sua incarnazione parossistica - basti pensare ai sublimi e pressoché muti venti minuti iniziali - ma nello stesso tempo si capisce come la logica e la tenuta del film ne risultino penalizzate (specie nella seconda parte). La spietata misantropia e la febbrile rapacità di Plainview, infatti, vampirizzano i caratteri collaterali (ad esclusione di quello del fanatico predicatore interpretato da Paul Dano) e prevaricano l'ambiziosa complessità di tematiche e metafore: la nascita del capitalismo letteralmente scavata con le unghie, il sangue vivo degli operai che sgorga assieme al nero vischioso del petrolio, le trivellazioni viste come «stupri» operati dall'individualismo proprietario, la voglia di vincere innescata dall'odio per il prossimo, lo sgretolarsi del nucleo di valori fondativi che rende odiosamato il sogno americano. L'aspetto migliore di un film, candidato a otto Oscar, così notevole e imperfetto, sta nella sua esasperata materialità o addirittura fisicità, incrementata da un Cinemascope e una colonna sonora di evidenza trascinante: il prometeo jankee ci racconta certo il traumatico passaggio del paese da agricolo a industriale, ma sullo schermo è soprattutto un corpo indemoniato, un mefistofele in jeans e cappellaccio, un fiume in piena che travolge infine anche se stesso. Roberto Silvestri - Il Manifesto, 9 febbraio 2008 Ci sarà sangue. There will be blood. Un capolavoro visionario e grondante rye whisky apre il concorso. Filone «cinema capitalistico indemoniato», il sogno americano che diventa un incubo, come in Il Gigante o Chinatown, più le epopee disperate di John Huston, i melò strazianti di Douglas Sirk, le fette di storia farcita servite da Griffith, Ford o Milius, e Spencer Tracy, grondante di liquame nero che anticipò lo psicomostro infetto di Alien e quell'identico mostro di bravura di Daniel Day Lewis, che di questa epopea sull'individualismo celibe, Paramount più Miramax, è dittatore assoluto. Impersona, certo, una divinità del liberalismo, il magnate del petrolio californiano Edward L. Doheny (1856-1935), ma non solo. Nel 1927, alla vigilia della Depressione, lo scrittore rivoluzionario e muckraking Upton Sinclair (muckraking è il giornalismo che scopre dove è davvero e come funziona l'immondizia, la controinformazione che svela gli intollerabili problemi sociali e sfida l'impunità dei potenti, insomma, l'antenato del manifesto) pubblicò il romanzo Oil! (Petrolio). Uno studio militante e al microscopio su oltre trent'anni di storia americana attraverso la vita solitaria e il combattimento di un gold digger senza scrupoli riciclato in cacciatore d'oro liquido, annessi e connessi: la patologia ossessiva della trivellazione, l'individualismo fanatico che si scontra con il comunitarismo «religioso» altrettanto fondamentalista e gretto, il criminale fabbricante e collezionista di pozzi zampillanti e l'avidità spietata e illimitata che è il fiore all'occhiello del libero mercato e dei suoi antisociali paladini. Si parla già, tra le righe, di Bush jr. e dei tele-evangelisti associati, ma siamo invece catapultati indietro, tra la fine dell'Ottocento e il grande crack, cioè dalla «Progressive era» di Theodore Roosevelt a quella seconda, obbligatoria, stagione di intervento pubblico sull'economia che fu il New Deal di Franklin Delano Roosevelt. L'astro nascente del cinema americano più che hollywoodiano, il narratore più affascinante del momento, Paul Thomas Anderson (Boogie Nights, Magnolia), per la prima volta alle prese con un romanzo da reinventare sullo schermo, e fuori dalla foresta conosciuta di Los Angeles, tra i deserti petroliferi dei Citizen Kane di San Louis Obispo, ne ha voluto fare un Novecento californiano (anche se il set è a Marfa, Texas, decolorata rispetto al paesaggio che sfruttò James Dean in Giant) e non solo per l'argomento e la durata, 2 ore e 38', o per la superba qualità artistica delle immagini visive (di Robert Elswit, saccheggiatore gentiluomo dei grandi fotografi d'epoca) e sonore, che combattono tra di loro come hate e love dentro il Mitchum di Il terrore corre sul fiume, grazie alle rapsodie elettroniche, meravigliosamente invadenti e pertinenti, di Jonny «Radiohead» Greenwood (più Brahms e Alto Parvo). Credo che per la prima volta nativi e californios, wobblies e operai triturati dallo sviluppo, Zorro e Chavez, abbiano trovato in un film qualche motivo per sentirsi, da revenant, spettri un pochino www.barzandhippo.com 12 vendicati. Che carogne quelli che fecero la conquista del West. «Odio la maggior parte dell'umanità e voglio fare più soldi possibile, per farne a meno». Questo il motto di Daniel Plainview, l'eroe maligno del film, l'uomo solitario e vincente, senza amici fratelli parenti donne camerieri e figli (tranne uno, insignificante e sordo). Un motto che lui applicherà contro congreghe ipocrite e imbroglioni, padroni delle ferrovie e burocrati della Standard Oil, pur di ottenere, non senza umiliarsi se necessario, la vittoria, quella Pipeline fino all'oceano Pacifico, che lo farà miliardario pazzo, con due avveniristiche pedane di bowling nel salotto. Plainview è fotografato come un tipico corpo improprio e avulso, né passato né futuro, traumatizzato dal passaggio tra società agricola e società industriale, che ne utilizza la bioaudacia per concepire disegni davvero mefistofelici. Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera, 9 febbraio 2008 Preceduto da otto nomination, tra cui quelle per il miglior film, la miglior regia e il miglior attore protagonista, arriva a Berlino There Will Be Blood, distribuito in Italia la settimana prossima con il titolo Il petroliere. È la storia del minatore Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis) che cerca l' argento e invece trova l' oro nero e a cavallo del ' 900 diventa un ricchissimo petroliere, anche se la ricchezza arriverà a scapito degli ideali di progresso che l' avevano animato all' inizio della sua avventura e soprattutto a scapito dell' affetto per un orfano (Dillon Freasier) che ha sempre considerato come un figlio. Il regista Paul Thomas Anderson (quello di Boogie Nights, di Magnolia e del più recente, e più deludente, Ubriaco d' amore) ha sfrondato il romanzo Petrolio! di Upton Sinclair di tutta la parte politica sullo scandalo Harding e dell' umanitarismo socialista a favore dei lavoratori per concentrarsi sulla figura di Plainview (nel romanzo di chiamava J. Arnold Ross ed era ispirata al magnate Edward Doheny). In questo modo lo spirito epico di un periodo di svolta per la civiltà americana, con l' innovazione modernizzatrice che passa attraverso il trivellamento (lo sventramento?) dei territori della frontiera, viene riassunto nello scavo dentro le ossessioni di un uomo che piano piano sostituisce l' entusiasmo con l' avidità e il rispetto con l' egoismo. Girato in Cinemascope e in scenari di ruvida bellezza, il film finisce così per concentrarsi sulla faccia di Daniel Day-Lewis, davvero ammirevole nel lavoro mimetico che gli permette di esprimere con la forza dello sguardo, l' incurvatura del corpo, la mobilità delle mani quello che stava trasformando lo spirito e l' animo di tutta una nazione. Anderson sembra non volersi staccare mai dal suo attore, lo pedina con lunghe carrellate laterali, lo inquadra in primissimo piano come per incorniciare quello che accade sullo sfondo (l' epico incendio del pozzo di petrolio) e a volte sembra perdere di vista il flusso del racconto. O, meglio, finisce per sottolineare soprattutto uno dei protagonisti in scena, affascinato dall' attore che lo interpreta e insieme ossessionato dalla determinazione del personaggio che incarna. I meriti e i difetti del film sono tutti qui, nella prova forse troppo grande di Daniel Day-Lewis e nello sforzo che fa il regista per non perderne nemmeno un grammo (il film dura 158 minuti), a scapito dei personaggi - il «figlio», il predicatore invasato, il falso fratello, l'assistente - e dei temi - gli affetti, la superstizione, l' avidità - che pure sono presenti nel film. www.barzandhippo.com 13