37 E le pietre sono, per l`appunto, quelle del `500

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37 E le pietre sono, per l`appunto, quelle del `500
Opificio delle Pietre Dure
E le pietre sono, per l’appunto, quelle del ‘500.
I Medici ebbero questa intuizione di utilizzare
le pietre dure come forma d’arte, così si preoccuparono di raccogliere tutte le pietre che riuscivano a trovare. C’è una pietra che si chiama
Agata di Goa e viene proprio dall’India, dove fu
costruita la tomba di Francesco Saverio: al momento di tornare a Firenze portarono un po’ di
agata a casa. Domando ingenuamente a Raddi:
“Ma le pietre dove le troviamo oggi?”
E lui risponde: “Non le troviamo. Tutte le pietre
che utilizziamo sono quelle dei Medici conservate nelle cantine o in soffitta”.
Poi mi indica quei bidoni nel giardino. Tutte
quelle pietre che li colmano sono quelle originarie. E quelle sono gli scarti!
Il museo è il luogo, invece, dove l’educazione
senza fine di questi straordinari operatori si
esercita. “C’è un parco di pietre, ognuna con il
suo nome. Di tanto in tanto è necessario salire
su, guardarsele, mettersele negli occhi, di modo
che quando ti capita un colore sai che devi andare a cercare un diaspro di Alsazia o di Volterra oppure un’Agata di Siena, della Sabina, i
diaspri di Norcia, quelli di Sicilia, con una straordinaria varietà di rosso. È un’educazione che
non finisce mai”.
Immagino queste persone che si vanno a infilare gli occhi nelle pietre. Prosegue la nostra
visita con Sara: è lei a spiegarci la tecnica per
restaurare i mosaici, prendendo esempio da uno
enorme che è adagiato su un tavolo da lavoro.
Qui all’Opificio si occupano sia di mosaici parietali sia di mosaici pavimentali, entrambi in
marmo o in pasta vitrea.
Dice Sara: “Per fare lo stacco vengono fissate con
colla animale delle tele sulla superficie. Poi, con
dei ferri lunghi che si chiamano spade, si stacca
la vecchia malta. Quando è in laboratorio lo alletti, cioè si passa uno strato di nuova malta e lo
mettiamo su un supporto nuovo. In questo caso
è Aerolam, due fogli di vetroresina con dentro
una struttura alveolare in alluminio. Successivamente si rimuovono le vecchie tele usate per
lo stacco: basta una spugna di acqua calda. Per
questo mosaico, che era un mosaico pavimentale
in una fontana a Lucca, è stato rimosso lo strato
di calcare presente sulla superficie con la microsabbiatrice, che utilizza l’aria compressa e spara
una sabbia finissima. È chiaro che si deve essere
molto precisi per non intaccare le tessere: ti devi
fermare al punto giusto”.
Saliamo al piano di sopra dove vediamo almeno
quattro tavoli. Quello sul quale sta lavorando
Sara è accanto alla ringhiera delle scale. Più che
un tavolo sono due treppiedi che reggono un
blocco di marmo. Sul blocco ci sono: una specie
di portapenne pieno di scalpelli di dimensioni
variabili, un trapano, un phon industriale, un
bruciatore a fiamma, una sorta di candela con
stoppino che serve per sciogliere la cera, un tocco di cera che somiglia a un pezzo di caramello,
lapis, fogli di carta lucida, fogli di carta velina e
poi il capitolo scalpelli. Ci sono le gradine (scalpelli con punta dentellata), la subbia (è lo scalpello aggressivo della famiglia, se capite cosa
voglio dire, con la sua punta acuminata) e gli
scalpelli semplici, cioè piatti.
Nuove direzioni • n. 9 maggio-giugno 2012
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