KATHY TOMA RACCONTA “ENIGMA PRIMORDIALE”

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KATHY TOMA RACCONTA “ENIGMA PRIMORDIALE”
KATHY TOMA RACCONTA “ENIGMA PRIMORDIALE”
Come è nato questo progetto? Che cosa L’ha ispirata?
Al momento del contatto avuto nel 2013 con la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano e nella
prospettiva della realizzazione di un’opera per il Duomo, mi era stato fatto presente la ricorrenza
dell’Editto di Milano di Costantino (313), che ho subito associato alla Leggenda Aurea di Jacopo da
Varazze, più precisamente La leggenda della Vera Croce che ha ispirato tanti artisti nel Medioevo e
durante il Rinascimento. Appassionata sin da piccola dalle leggende e dal mito, con questa tematica
(ri)trovavo il mio filo di Arianna…
Poi, sono stata profondamente impressionata dallo spazio interno del Duomo, dalla sua spiritualità e
dal senso d’infinito che questo spazio ispira.
Più che Costantino, è il racconto della morte di Adamo all’inizio della Leggenda della Vera Croce che
mi ha interpellata in quanto simbolo dell’umanità.
A distanza, ripensando ora al mio percorso d’artista, ho capito che questa tematica di Adamo non era
capitata a caso. Infatti inconsciamente mi riallacciavo ai «miei famosi anni 1965-66», anni in cui mi
trovavo all’“incrocio dei cammini”, mentre ero alla ricerca di nuove vie nel mio lavoro pittorico che si
era iscritto fino ad allora nel figurativo.
Nel mese di marzo del ’66 ho vissuto un’esperienza unica, quasi una folgorazione. Dipingevo senza
fermarmi, presa da nuove sensazioni: erano colori in movimento, universi in formazione, materie
magmatiche in fusione. In quest’urgenza, scoprivo una nuova gestualità quasi sismica, la tecnica del
dripping (all’epoca non conoscevo l’esistenza di Pollock). Facevo sperimentazioni materiche con
pigmenti in polvere, sabbia e olio: così, è apparso nella mia ricerca artistica e spirituale “l’uomo
nell’universo” e il tema della Ronde attraverso l’universo. Gli scritti di Teilhard de Chardin (Le
phénomène humain, L’apparition de l’homme) corrisposero in quel momento alle mie interrogazioni
e mi ricordo anche di esser stata molto impressionata da una conferenza sui quasar da poco scoperti,
che portavano nuove risposte scientifiche alle domande sull’universo che hanno alimentato a lungo
la mia creazione pittorica.
Com’è giunta a definire il formato e le dimensioni dell’opera?
È stato lo spazio stesso del Duomo a suggerirmi le dimensioni dell’opera, subito pensata come un
polittico, iscrivendosi in una lunga tradizione fra cui il meraviglioso «Retable d’Issenheim» di
Grünewald a Colmar, che mi aveva affascinata sin da piccola. Avevo già sperimentato questa forma
interessantissima nel mio «Spettacolo Concerto» su Carlo Gesualdo e nel mio video «Il Polittico del
Principe di Venosa» (realizzato nel 2001), in cui venivano effettuate delle proiezioni su tre schermi
disposti a trittico in concomitanza con la musica. Certamente quest’esperienza dello scorrere delle
immagini nel tempo e nello spazio mi ha anche portata a lavorare in modo «musicale» e ritmico su
questa tela.
L’antica forma della croce, simile ad un tau greco (τ) mi si è imposta sin dall’inizio, sorta dalla
tematica stessa della Leggenda della Croce. È la forma che mi dava la sensazione delle braccia aperte
dell’universo che convoca tutte le energie. La forma è già l’opera. Questa lettera tau corrisponde, del
resto, a una particella elementare misteriosa che interviene nell’equazione enigmatica dei buchi neri
del cosmo.
La presenza di Adamo costituisce una deposizione, evoca il nostro destino umano, la morte; ma dalla
sua bocca esce la rinascita: l’albero della conoscenza, l’attesa di qualcos’altro che va verso l’alto
simbolicamente e che rinasce – una delle aporie fondamentali evocate da Yvon Birster nel suo
bellissimo articolo.
L’idea di completare l’intera composizione nella sua parte superiore con una forma ad arco mi è
venuta quasi subito. Il cerchio aveva un’importanza simbolica implicita nella sua geometria: evoca un
pianeta! All’inizio lo immaginavo in materiale traslucido ma poi mi è venuta l’idea dello specchio che,
un po’ inclinato in avanti avrebbe permesso di captare il riflesso dell’intera composizione per dare
l’idea dell’infinito.
La scelta delle ante, ispirate a quelle degli organi (quello del Duomo stesso o le magiche ante di
Cosmè Tura a Ferrara), disposte perpendicolarmente alla composizione, corrispondeva nella mia
mente ad un’accentuazione scenografica della profondità prospettica sperimentata per anni nei miei
numerosi «teatrini». Disposte in questo modo, le ante aprivano un libro, come delle porte mitiche
schiuse sul mistero.
Come ha lavorato e qual è stato il Suo modo di procedere?
Numerosi schizzi e modellini in rilievo mi hanno permesso di riflettere sulla carta e di proiettare
mentalmente l’opera, nello spazio. Ho lavorato sulla sezione aurea per le proporzioni.
Come dicevo, sin dall’inizio è stata la tematica di Adamo con l’Albero della Conoscenza (nella
Leggenda Aurea) ad imporsi a me, un po’ come l’Albero di Jesse (ricordo quello meraviglioso della
vetrata sopra il portale centrale della cattedrale di Chartres)
Due visi appaiono attaccati a questo albero: un giovane a sinistra e un barbuto a destra: un antico
Janus bifrons separato… Il tempo della vita umana si confrontava con l’infinito dell’universo. Questi
due visi come pianeti, frutti dell’albero, sono diventati i frutti dell’albero fantastico Wak-Wak dei
bestiari del Medioevo, evocati dal grande storico d’arte Jurgis Baltrusaitis.
Il mio Adamo è l’uomo sulla terra, cullato dal balletto delle stelle e dei pianeti nell’universo, in un
sogno di bellezza inquietante con la presenza della materia e dell’energia nera pronte ad inghiottire
tutto, come Saturno del mito. Vediamo nel quadro le comete dare vita a degli esseri, visto che la loro
composizione chimica contiene alcune molecole fondamentali per l’apparizione della vita. Morte e
vita sono un ciclo perpetuo a scala umana e cosmica.
Ci può spiegare l’organizzazione della predella e perché vi sia uno scritto nel Suo quadro?
La presenza dei manoscritti di Qumrān – i Manoscritti del Mar Morto – mi è parsa fondamentale. Ho
ripreso allora un libro di André Dupont-Sommer, donatomi da mia madre nel ’60, su questa scoperta
che avrebbe conosciuto in seguito molti sviluppi con tanti nuovi studi. Nel mio progetto, questi libri
introducevano in modo scientifico alla storia, con le basi storiche delle profezie, e ai misteri di una
rivelazione. Sulla predella, questi manoscritti si srotolano in un paesaggio fortemente illuminato dal
sole, in un crepuscolo infuocato e attraversato da tre frammenti verticali del suolo di Marte. Nel cielo
si riflette la sagoma stellata di un nuovo Adamo cosmico.
Lo scritto, al pari dell’immagine è veicolo del pensiero: il suo potere grafico colpisce quanto il suo
contenuto. Bisogna dire che questi manoscritti offrivano un fascino grafico sconvolgente su questi
commoventi supporti antichi: costituiscono come una registrazione sismica venuta da uno
spazio/tempo quasi indefinito. Evocano la Babele delle lingue come le Litteræ ignotæ inventate dalla
geniale badessa renana Hildegard von Bingen, parte di una lingua segreta che lei sola era capace di
capire. Appaiono in questo mio “racconto incompiuto” (récit inachevé) come delle note musicali che
cospargono il quadro come delle stelle, mentre la scritta ebraica sull’anta di destra, presa da una
pagina del profeta Zaccaria che sta incisa sulla facciata della Sinagoga di Strasburgo, la città della mia
infanzia, e che ci dice: Plus fort que le glaive est mon esprit («Più forte della spada è il mio spirito»,
cf Zc 4,6). È una professione di fede importante per un mondo come il nostro, al giorno d’oggi.
A proposito delle ante, ci può spiegare a che cosa si riferisce la loro iconografia e come sono nate?
Ho cominciato il lavoro pittorico dalle ante, un po’ come un pianista che comincia con le sue scale.
Sin dall’inizio, avevo deciso che su un lato delle ante ci sarebbe stato un riferimento a Hildegard von
Bingen della quale avevo scoperto gli scritti nel 1991, grazie ad un’amica americana che mi aveva
regalato un libro con delle riproduzioni dei suoi manoscritti. Ciò mi aveva spinta in seguito a
realizzare varie opere ispirate alla sua mistica e alla sua visione dell’universo.
Colpita dalla sua attualità alla luce delle scoperte recenti sul cosmo, ho cominciato a lavorare sul
primo pannello con le stelle d’oro e le stelle nere che sono una anticipazione delle stelle nere e della
materia nera recentemente evidenziate dagli astrofisici. Nello stesso tempo, mentre realizzavo
questa miniatura ingigantita, in un processo d’immedesimazione, come spesso avviene nel mio
lavoro, indossavo i panni dell’artista del Medioevo che aveva trascritto queste visioni della caduta di
Lucifero con una pazienza da certosino.
Queste stelle nere poetiche ed impressionanti mi facevano venire in mente il verso di Gérard de
Nerval quando evoca les soleils noirs de la mélancolie («i neri raggi di sole della malinconia»).
Il secondo pannello s’ispira ad una miniatura che presenta un contenuto apparentemente più
dogmatico, altamente simbolico e modernissimo sul piano pittorico.
La superficie è trafitta al centro da tre lame d’argento di una spada simbolica che circonda il sangue
di Cristo che colando delimita tre aree che corrispondono alle tre religioni monoteiste presentate
sotto una luce particolare: infatti se non sono pervase dalla viriditas evocata dalla badessa, sono
destinate a morire disseccate o bruciate, come piume senza peso, paglia o legno. L’insieme è
incorniciato dall’evocazione fisica e simbolica della vita: onde d’acqua, di sangue e d’aria in cui si
distinguono delle bollicine che fanno pensare a delle molecole!
La lentezza, contraria alla mia natura, e l’estrema pazienza necessarie per dipingere le due ante mi
hanno permesso di immergermi in un «altro» tempo.
La parte interna delle ante è stata realizzata per ultimo, in corrispondenza con l’assemblaggio degli
altri specchi della composizione, un momento tecnicamente abbastanza delicato. Una delle figure
(quella di sinistra) è ritagliata dallo sfondo di specchio applicato sull’altra anta. La loro iconografia si è
sin dall’inizio ispirata al Noli me tangere del Beato Angelico. Queste due figure tutelari sembrano
galleggiare venendo da uno spazio/tempo indefinito e infinito. Disposte l’una di fronte all’altra
perpendicolarmente alla tela centrale, introducono il mistero della loro e della nostra presenzaassenza captando anche il nostro riflesso che si mescola ai riflessi del quadro come fra due poli, in un
fascio di onde destinate ad interpellarci: dei miraggi, come quelli della caverna di Platone.
Come dobbiamo interpretare la parte centrale del quadro? Sul Suo modellino c’era già questo
movimento ascensionale, ma non con questi colori; cos’è questa specie di fiamma che sale con
l’apparizione di una figura? Cristo?
È vero, è una parte del quadro che si è fatta quasi da sé, non potrei più dire come, forse facilitata dai
numerosi studi fatti sulla tematica della Resurrezione nel 1968. Perché i colori sono sorti senza alcun
indugio: era come la lava di un vulcano, una gigantesca fiamma-sorgente-tempesta cosmica che
s’innalzava e in cui la vita si rigenerava col piccolo feto sognante. Era il corpo glorioso della pittura
stessa che si sprigionava dalla pesantezza come un immenso canto nell’universo in cima al quale è
apparsa ad un tratto la memoria della Risurrezione di Matthias Grünewald.
Ci può dare qualche chiarimento sulla a riguardo della bellissima figura alata bianca sulla sinistra?
Questa figura dipinta in un quadro del 2012 è «entrata» subito, in un modo naturale nella
composizione di questa opera: era già pronta. È un’entità «fatata» che appartiene alla tematica degli
angeli delle annunciazioni che ho sviluppata a lungo nel mio lavoro insieme alla figura che vola. È la
figura annunciante che «narra» il “racconto incompiuto” (récit inachevé): la narrazione «non finita» e
infinita.
Chi c’era dietro a Lei a guidare la Sua mano, mentre lavorava?
È difficile da dire… È un mistero… Chi guida la mano, il pensiero, chi fa nascere le immagini, le forme,
i colori... Credo che Isaac Stern l’abbia espresso molto bene dicendo: “Essere musicista è essere
toccati da una mano invisibile”.
L’arte è musica… armonia…
Sono stata attraversata da un fiume che dalla Bibbia ai quasar, ha fatto irruzione sulla tela bianca in
modo impellente per porre l’enigma della vita e della morte, captare l’invisibile in un mondo
fluttuante di cui dovevo cantare l’infinita bellezza, forse «l’Amor che move il sole e l’altre stelle» di
dantesca memoria.