I Fari di Messina, storia gloriosa e futuro
Transcript
I Fari di Messina, storia gloriosa e futuro
23 Gazzetta del Sud Lunedì 26 Novembre 2012 Cronaca di Messina . Non tramonta mai il fascino delle “vedette dello Stretto” che continuano a svolgere un ruolo di fondamentale importanza per la navigazione I Fari di Messina, storia gloriosa e futuro Un viaggio dentro le grandi “Lanterne” reso possibile grazie al Comando della Marina Militare Marcello Bottari “Il Faro torreggiava, nudo e diritto, scintillando, bianco e nero e si vedevano già le onde che si frangevano in bianche schegge come frammenti di vetro sugli scogli”. Così lo ha descritto Virginia Woolf (1882-1941) nel romanzo del 1927 “Gita al Faro” (To the lighthouse). Avvolti in un alone di mistero, nella più ampia solitudine, i fari hanno sempre rappresentato un riferimento nei secoli. Si ergono virtuosi, principeschi, con la caratteristica forma ottagonale che li contraddistingue. Di notte il fascio di luce lampeggia squarciando l’oscurità, contemporaneamente nell’immaginario collettivo la mente si apre verso una moltitudine di orizzonti. Sono antichi come il tempo, nascono in epoche lontanissime e la loro evoluzione va di pari passo con la navigazione. La studiosa Annamaria Mariottini ne “I Fari e la loro evoluzione attraverso i secoli” ne ha ricostruito le origini, fin da quando ad accendersi erano solo semplici falò, alimentati per tutta la notte con fascine di legna, sulle colline prospicienti zone pericolose per la navigazione o ingressi di rade e porti. Ma è con la comparsa sul Mediterraneo dei Fenici, prove- Lampade in esposizione nella camera di veglia nienti da una regione costiera divisa oggi tra Libano, Siria e Israele, intorno al 1.200 a.C., che le vie del mare si ampliano. La necessità di aumentare la possibilità di trasportare merci e persone trasforma la navigazione nel Mediterraneo da diurna e costiera in notturna. Non sono sufficienti le stelle per orientarsi perché non sempre visibili e le bussole sono strumenti rudimentali. Ecco allora che si accendono i primi falò e all’ingresso dei porti sorgono impalcature che sollevano delle coffe (o ceste), dentro le quali viene bruciato il com- “Il faro era allora una torre argentea, nebulosa, con un occhio giallo che si apriva all’improvviso e dolcemente la sera” bustibile. Ancora non esisteva il concetto del faro con struttura fissa, come costruzione architettonica. È solo intorno al 300 a.C. che improvvisamente fanno la loro comparsa i due più famosi fari dell’antichità, il faro di Alessandria e il Colosso di Rodi, un’enorme statua antropomorfa che rappresentava Elios, il dio del sole, con un braciere acceso in una mano, alta circa 32 metri. Con l’impero romano nascono le prime torri in pietra, con un fuoco acceso sulla sommità, che si espandono non solo nel Mediteranno ma dovunque arrivasse la conquista romana. A La Coruña, in Spagna, si trova un faro le cui fondamenta risal- gono al II° secolo d.C., all’epoca dell’imperatore Traiano. Lungo le coste d’Italia, divisa tra comuni e signorie e con le quattro grandi Repubbliche Marinare, sorge ancora qualche torre, soprattutto vicino ai porti dove si svolgono i commerci. Nell’epoca del Rinascimento e del Barocco si costruiscono grandi fari monumentali, veri e propri castelli in mezzo al mare, come quello di Le Cordouan, all’estuario della Gironda, in Francia, opera dell’architetto Louis de Foix , iniziato nel 1584 e terminato nel 1611, e quello di Eddystone, in Inghilterra, costruito su uno scoglio all’ingresso del Canale della Manica nel 1696, distrutto nel 1703 e ricostruito più volte. Fari bellissimi, ma poco adatti a svolgere il compito per cui erano stati costruiti. Solo a partire dalla fine del 1700 e nel 1800 i fari raggiungono la connotazione da noi oggi conosciuta. Anche la Statua della Libertà, donata dai francesi al governo americano nel 1886 fino al 1902 era il faro di New York. Gestito dal Servizio Fari Americano è stato il primo a essere elettrificato alla fine del 1800. Quando la luce non è stata più sufficiente a illuminare l'ingresso del porto è rimasto al proprio posto come simbolo della città. La storia dell’illuminazione dei fari, poi, è lunga e travagliata. I combustibili cambiano nei secoli e passano dalle fascine di legna al carbone, alle candele di spermaceti (la materia grassa che si trova all’interno del cranio dei capodogli e che non fa fumo), all’olio di balena e di oliva, a seconda delle latitudini. Dalla metà del 1800, poi, entrano in gioco i derivati dal petrolio e infine l’elettricità. Molti sistemi sono stati impiegati per ampliare la luce e renderla sempre più visibile. Tra gli scienziati che hanno messo a punto lanterne sofisticate il francese Augustine Fresnel (1788-1827) è quello che ha inventato la lente rivoluzionaria con vetri convessi, che porta il proprio nome e ancora oggi viene usata in tutti i fari del mondo, indirizzando la luce a una portata fino ad allora inimmaginabile. Messina, che geograficamente gode di una posizione privilegiata sullo Stretto, ha i suoi fari che stagliano sullo specchio d’acqua antistante la costa calabrese. Quello di Capo Peloro, situato in prossimità di Punta Faro, sprigiona un fascino d’altri tempi. L’autorizzazione rilasciata dal capitano di vascello Francesco Capparucci, comandante di Marifari con sede all’interno della base navale della Marina Militare di Messina, ci permette di varcare la soglia d’ingresso della zona militare accompagnati dal Capo di Prima Classe Giovanni Bonfiglio, impeccabile in qualità di guida, e di essere accolti da Romolo Bellomia e Gaspare Timpanelli, guardiani dei fari di Capo Peloro, Capo Rasocolmo, di Capo Milazzo e Capo D’Orlando. Appena dentro a interrompere l’equilibrio tra presente e passato è uno dei primi telefoni a muro, posizionato tra quadretti raffiguranti i diversi fari d’epoca, e una bacheca contenente un veliero in miniatura ricostruito alla perfezione. Sulla sinistra, poi, la stanza della Reggenza, all’interno della quale avvertiamo la sensazione di un tuffo nel passato, come in un film d’avventura appena iniziato e del quale non si vuol perdere alcun particolare. La stanza è un piccolo museo di apparecchiature centenarie, restaurate e recuperate dai custodi, con in evidenza Il prezioso lavoro dei “faristi” nei locali della Reggenza I vecchi “guardiani” oggi sono tecnici qualificati e competenti Si staglia il Faro con i colori del cielo blu cobalto e delle nuvole bianche uno dei primi sistemi elettrici che sono stati utilizzati per irradiare di luce la lanterna. Apprendiamo le varie fasi di illuminazione che si sono succedute ma soprattutto avvertiamo una immensa forma di rispetto verso il gigante silenzioso che la notte non smette mai di lampeggiare. Circondati da reperti in una storia centenaria, sprigionata da oggetti che trasudano di vita vissuta, Bellomia e Timpanelli non si lasciano pregare nel raccontare storie e aneddoti. Nel frattempo ci avviamo verso la scala in fondo al corridoio. Sulla sinistra uno degli alloggi dei custodi anticipa l’inizio della scalata alla cui base è posizio- nata una lanterna ormai in disuso. Dopo due rampe di scale sulla destra l’apertura con entrata verso altri alloggi. Continuando a salire, poi, nelle varie piattaforme si possono osservare un cannoncino con relativa carica in bella vista, uno scafandro colore oro lucido appena restaurato, carte geografiche, binocoli e cannocchiali in ottone, misuratori d’ogni tipo, megafoni, grammofoni, radio, orologi, lumi e lampade dalle varie forme utilizzate con componenti gassosi per illuminare prima dell’elettricità, carrucole e tiranti d’ogni tipo. E poi le varie fasi di illuminazione, descritte alla perfezione da manuali come quello di Nils Gustaf Dalén, svedese Premio Nobel e industriale, fondatore della Aga società e inventore della cucina aga e la luce Dalén. È stato insignito con il Nobel per la Fisica per la sua invenzione di regolatori automatici per l’uso in combinazione con accumulatori di gas per l’illuminazioni di fari e boe.3 La Reggenza, appena dentro, sulla sinistra, è una stanza che raccoglie buona parte del lavoro dei faristi. «È il punto dal quale manteniamo i contatti con il Comando Zona Fari – ci dice Romolo Bellomia, uno dei guardiani –. Il nostro compito è quello di gestire i segnalamenti. Nel tempo le nostre funzioni sono cambiate, oggi per molti aspetti siamo più tecnici e teniamo sotto controllo le apparecchiature per il funzionamento. Al mattino si compila il Giornale di Reggenza prima dell’ispezione con manutenzione ordinaria e straordinaria. E poi accensione e spegnimento batterie di riserva, controllo si- I guardiani Romolo Bellomia e Gaspare Timpanelli insieme con il capo Giovanni Bonfiglio stema di rotazione dell'ottica, pulizia lenti e vetri. Le pratiche, al termine, vengono inviate al comando». Ma c'è di più e non ci vuole molto ad abbandonare l'intervista per cogliere gli aspetti umani. «È una vita particolare, per certi aspetti si diventa un po’ misantropi» aggiunge Gaspare Timpanelli. La sua, come quella del collega Romolo Bellomia, è una storia d'altri tempi. Hanno sposato due sorelle, entrambe figlie e nipoti di faristi, e condividono la vita all'interno della struttura di Capo Peloro da anni. «In effetti – continua Il sistema di ottica rotante e gli ingranaggi del movimento Timpanelli – non si può fare a meno di entrare in empatia con il Faro». La costruzione ottagonale, alta all'incirca 36 metri, ha festeggiato il centenario. Percorrendo l'infinita scala a chiocciola si possono osservare gli strumenti dismessi ancora in perfetto stato di conservazione che, man mano sostituiti dalle nuove tecnologie, hanno trovato sede nelle postazioni naturali organizzate in perfetto stile museale. Prima di giungere sulla terrazza, più o meno al centro della struttura è posizionato un segnale con luce orientata verso il Tirreno: «È fondamentale per indicare una secca, poco fuori Capo Rasocolmo». Il capo La scala a chiocciola che sulla terrazza dov’è posizionato il faro Giovanni Bonfiglio, che ci ha e preceduta per secoli da punti guidato ricostruendo la storia di illuminazione, serviva i navidel Faro, aggiunge: «Le navi che ganti per attraversare lo Stretgiungono dal Tirreno se entrato. All'interno della Torre degli no in linea con la luce proveinglesi, costruita sempre dai niente dal segnale devono mobritannici e oggi inserita nel dificare la rotta per non correre Parco Horcynus Orca, gli aril rischio di arenarsi». cheologi della Soprintendenza La salita prosegue fino alla di Messina hanno ritrovato un guardiania, ex camera di vebasamento in mattoni e coccioglia: il faro è ormai sopra la nopesto a tre gradini e alcune cistra testa e, terminata la scala a sterne di età romana. Sebbene chiocciola, per tutta la circonfel’interpretazione non sia del renza si possono osservare attutto confermata, i tre gradini trezzature in disuso ad olio o a potrebbero plausibilmente esgas, mappe e cartografie di ogni sere i resti del basamento del fatipo, quadri raffiguranti Auguro di età romana, che sarebbe stin Jean Fresnel ideatore del siquindi la struttura raffigurata stema a lenti convesse e riproin un'emissione argentea di Seduzioni del faro. «La guardiania – ha proseguito Bonfiglio – è la Ripetitore di segnale radar Racon sto Pompeo, un denario datato al 42-40 o al 38-36 a.C., comunstanza nella quale passava la notte il farista. Quando non era nelli – sono comunque orientati que in epoca precedente alla in funzione il sistema elettroni- sempre sul fascio di luce verde sconfitta di Sesto Pompeo e co il guardiano da questa posi- del faro». Appunto, la luce ver- contemporanea al suo “domizione controllava lo Stretto. Il de che emana il faro di atterrag- nio” sulla Sicilia e sullo Stretto. gigantesco megafono penzo- gio, indicativa per le navi in en- La moneta rappresenta sul dritlante era utile per comunicare trata nello Stretto e contrappo- to il faro di Capo Peloro, sorcon gli altri militari della strut- sta a quella del faro di Punta montato da una statua di Nettutura che in passato ne ospitava Pezzo, a Cannitello, nel comu- no dotato di elmo, tridente e tine di Villa San Giovanni, e che mone e col piede su una prua. Il fino a otto». faro rappresentato ha innanzi a Una scaletta ci permette di emana un fascio di luce rossa. Abbassiamo gli occhi per os- sé una galera, con a prua l'aquiraggiungere la terrazza dov’è posizionato anche un sistema servare la Torre degli inglesi, la legionaria e a poppa un tridi ripetitore radar Racon: il pa- costruzione che ha ospitato per dente, una bandiera e un uncinorama è mozzafiato. Di fronte anni il vecchio faro, all'estremo no d'ancoraggio. Nel rovescio invece è possibilo Stretto e una veduta eccezio- lembo della terraferma dove lo nale che permette di scorgere Stretto raggiunge il minimo le riconoscere Scilla, il mostro alla perfezione i refoli, quei vor- della sua grandezza e la Cala- della rupe calabra con due code tici generati dalla corrente o gli bria dista dalla Sicilia solo 3,6 di pesce e tre teste canine, seincrespamenti delle onde. «I km. La vecchia “base”, attestata condo una delle tante iconogranostri occhi – aggiunge Timpa- come edificio già in età romana fie conosciute.3 (m.b.)