“La mia giacca!” Dire che ci ero affezionato era poco
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“La mia giacca!” Dire che ci ero affezionato era poco
“La mia giacca!” Dire che ci ero affezionato era poco, quella giacca mi aveva salvato la vita una volta e io le conferivo se non dei poteri soprannaturali almeno l’indubbio valore di un talismano. “Ti dava un tono, ecco” mi suggerì con accento californiano e aria di bonario rimprovero l'attempato signore in bermuda a quadri, improbabile cardigan lavorato a maglia con le losanghe, very Seventies, e le infradito, mentre si toglieva i capelli dalla fronte fissandoli con una molletta. Il dannato pavé, era colpa del dannato pavé. Eh sì che m’era già successo un’altra volta, e con un’altra giacca, lo spiacevole inconveniente. Tutta colpa del ferretto un po’ allentato che non bloccava del tutto il portapacchi sulla ruota posteriore della mia bici. Ma quella volta l’avevo poi ritrovata la giacca e accidenti non m’importava di quella quanto di questa che adesso rinculavo disperato per vedere di ritrovare, confidando che per la foggia non propriamente posh – un doppiopetto scuro con le spalline, leggermente sciancrata sui fianchi e dagli ampi revers – non potesse essere certo considerata un capino appetibile per la metropoli in questi giorni presa d’assalto da fashion blogger sotuttoio ("Parecchio new-weird", "Troppo bizarro-fiction") cariche di followers e di contatti fake per la settimana corta, vista la crisi, della Moda. “Un tono sì...” sbuffai sui pedali mentre schivavo le macchine contromano verso il luogo ipotetico della dipartita. “Quella giacca mi ha salvato la vita” “Eh sì la vita adesso” dissero in coro i Supereroi che si aggiravano nei paraggi, ormai anziani e sovrappeso, facendo finta di avere qualche commissione da svolgere, per svoltare il pomeriggio, ora che nessuno se li cagava di pezza per salvare l’umanità, o anche solo per mettere in riga il quartiere, annichiliti dai Poteri Forti, prepensionati dai Mercati, rimpiazzati in servizio dalla Società Civile. “La vita, esagerato!” rincarò la dose l’Uomo Ragno che ormai stava dentro il costume rosso e blu come un uccello barzotto in un preservativo extra large. Aveva al collo un cartello che diceva "Diffidate dalle imitazioni" e si trascinava dietro un trolley a fatica, ai ragazzini che lo indicavano alle madri rispondeva mettendosi in posa col celebre gesto delle dita che l’aveva reso famoso prima molto prima di diventare d’uso comune per una manica di spompati rocchettari all over the world. “La vita, sì, la vita” ribattei piccato, rosso per lo sforzo, evitando Devil che attraversava curvo sul bastone bianco al quale si appoggiava seguendo docile un drago con la targhetta dell’Unione Europea che aveva un modo tutto suo di interpretare il codice della strada: forse stava semplicemente cercando di sbarazzarsi di quel bisbetico cieco senza più nemmeno il senso dell’orientamento che borbottava di rivoluzioni. “Guarda dove vai coglione!” mi apostrofò lasciandomi più di un dubbio sull’effettiva liceità della sua pensione di invalidità. “La giacca, la mia giacca!” non riuscivo a pensare ad altro. Ormai così paonazzo da far schiattare d’invidia la Torcia mentre usciva da un parcheggio su una spider che quarant’anni fa era stata di lusso e ora tossicchiava in prima come certe beghine catarrose. Tentò di prendere fuoco ma aveva la reattività di un accendino scarico. Lo aggirai e salii sul marciapiede da un passo carraio. Sorpassai Conan che ormai aveva più tette di Lara Croft e in comune con la tartaruga gli era rimasto il passo strascicato. Su una panchina Anna e Marco, due giovani vampiri, limonavano duro manco fossero Buffon e la D'Amico che svolazzavano appesi a un'edicola chiusa. Mr Fantastic rientrava a casa dalla spesa pomeridiana e vedendomi caracollare in piedi sui pedali, preoccupato investissi la Donna ormai diventata definitivamente Invisibile passando in mezzo ai due sacchetti del Billa che galleggiavano a mezz’aria, tentò di allungare le braccia artritiche per acciuffarmi ma gli si allungò soltanto il collo. “Non si va sui marciapiedi” sbottò dall’altezza del primo piano, ciondolando la testa canuta che d’altronde aveva già così fin da giovane, ripetendo il mantra ostile dei pedoni nella loro personale quotidiana guerra contro le biciclette. Ormai ero in trance agonistica, e per di più pedalando forsennato cercavo di vedere se la mia giacca s’era infilata, per caso, sotto le ruote di qualche auto parcheggiata, se qualche anima pia – come quell’altra volta a cui accennavo – aveva avuto il buon cuore di sistemarla sopra un cestino dell’immondizia o magari di stenderla sulle transenne che delimitavano i binari dei tram, quel percorso piantumato che gli abitanti del quartiere difendevano strenuamente dall’arrivo delle ruspe incaricate di rendere più sicura la sede stradale, messa a repentaglio dalle mostruose radici degli Alberi Incantati. Non ero solo preoccupato di non ritrovarla, la mia giacca, mentre ripercorrevo mentalmente in un affastellarsi distonico di memorie, sensazioni, oscuri presagi, tutti i momenti che avevamo condiviso, ero terrorizzato dall’idea che qualcuno, impossessatosene, potesse usufruire degli stessi magici poteri di cui avevo beneficiato io in prima persona. Magari approfittandosene per vincere il premio al quale io stesso aspiravo, quello dell'immortalità. La mia giacca, l’ho detto, mi aveva salvato la vita. Che non era semplicemente lo stare qui, in coma assistito, a vigilare su un mondo che ruotava diacronico imponendo le sue leggi, vivi ma allo stesso tempo partecipi come zombies, figurine precarie sullo sfondo, cazziati e mazziati, esclusi ma tenuti narcotizzati perché fungessimo almeno da termine di paragone, in negativo, per esaltare quelli che ce l’avevano fatta, la stirpe dei Garantiti che si riproducevano tra loro, i Nati Vincenti, quell’uno per cento (ma erano di più, lo dicevano solo per farti rosicare ulteriormente) che distillava per sé l’Elisir di lunga vita e felice, una bevanda insipida che avrebbe dovuto renderli immortali e invece li faceva sospirare di tedio tra mille agi. Quella giacca, e concludo, che m’importa assai più – ora – di ritrovarla, era il mio modo di stare a mio agio nel mondo, mi dava un tono – ha ragione il vecchio Drugo – mi conferiva uno stile, con quella vecchia giacca che – a ’sto punto sì lo devo confessare – io stesso avevo rubato... anche se per colpevolizzarmi di meno mi sono sempre ripetuto d’averla soltanto presa in prestito da un burbero russo che si fa il Moscow Mule in un barattolo di marmellata con due parti di Stolichnaya e il ginger beer... me ne stavo come un dio tra gli Umani, a quella giusta distanza per sentirmi parte della vituperata razza ma allo stesso tempo con la mente sgombra da inutili paranoie per essere libero di godermi il Tempo Mio, affastellando Storie al bar di Guerre stellari come fosse fieno da mettere in cascina. Siamo tutti Precari a questo mondo. Come avrei fatto senza la giacca? La mia giacca. (E qui le fashion blogger avrebbero avuto da puntualizzare perché tecnicamente non proprio di giacca trattavasi, più un trequarti, come un'ora incompiuta, un giocatore di rugby, lo strumento di precisione col quale praticavo la paracentesi addominale alle mie vittime: il compito che mi era stato assegnato quando mi era stata consegnata la giacca). Non riuscivo nemmeno a pensarci. L’Orrore era troppo grande: sarei finito come tutti gli altri, costretto a lavorare per sopravvivere o peggio per passare in qualche modo la giornata, comprarmi oggetti che mi separassero dalla solitudine – i più fighi e costosi, ovvio, quelli col tocco magico e l'infernale “i” sempre davanti – coltivando relazioni con esseri in carne e ossa quando, grazie alla giacca, alla mia giacca, potevo intrecciare nuove amicizie con autori geniali, disquisire di filosofia con Spinoza, organizzare – per dire – gangbang con quelle fighe di legno delle sorelle Brontë, vabbene tutti personaggi magari non tanto in carne e ossa, ma perché in giro intanto gli uomini non sono molto più vitali, le donne hanno un peso specifico inconsistente ed entrambi hanno anche un sacco di cose molto meno interessanti da raccontare, avrei finito per dire addio anche alla mia bicicletta perché cazzo senza un ringhioso Armadillo corazzato, gigantesco e rumoroso, ma come potevo permettermi di competere ora che sarei stato restituito alla Lotta per la sopravvivenza, al Gioco dei Troni, rinunciando alla pacifica Stairway to Heaven per la più gettonata Career Ledder! Se avessi avuto fortuna, è vero, avrei anche guadagnato dei soldi sì, mi sarei potuto concedere tutte le giacche o quasi del mondo, ma non l’unica che desideravo e per la quale adesso spasimavo, la mia giacca da corsaro di panno nero coi bottoni e le mostrine. Quella l’avevo persa, per sbadataggine, per colpa mia, che coglione ero stato! Sarebbe stato così semplice fissarla al portapacchi, e poi perché non l’avevo indossata, cosa cazzo volevo dimostrare, forse che sarei potuto stare lo stesso nel mondo mostrandomi per quello che sono, che idiota, che presunzione: la giacca, la mia giacca, soltanto lei vestendomi mi rendeva sopportabile a me stesso, mi dava uno scopo, una ragione d'essere. Qualcosa dell’Antico Potere mi doveva essere rimasto cucito addosso, forse la mia pelle ne aveva assorbito una parte indossando la giacca, era per questo che continuavo a sentire le voci dei personaggi dei fumetti, dei libri, dei film, era per questo che le banane – mentre sbirciavo se casomai il fruttivendolo avesse trovato la mia giacca – si agitavano come pesci in agonia, le lettere al neon dell’insegna luccicavano scarlatte nonostante non fosse ancora calata, facendosi anche male, la sera. Venne fuori Pippo in grembiule e mi chiese se volevo delle noccioline: "Tre al prezzo di due. Sono meglio dell'emmedì". Zanardi che era sopravvissuto all'eroina e aiutava in negozio mezza giornata per integrare in nero la pensione sociale mi strizzò l'occhio: "Quante volte l'ho detto io che è uno sballato". Intanto Superciuk, nei panni borghesi di spazzino, gli fregava aglio, pomodori e cipolla. Sopra il cofano di un auto Snoopy si fumava una canna, quando vide che guardavo sotto la macchina mi avvertì sinistro che sarebbe stata una notte buia e pempestona. “Tempestosa” puntualizzai. “Tempestosa” Mi guardò di sbieco senza muovere una zampa, “E’ un refuso”, come fossi un cretino. Intanto da un portone venne fuori un portinaio filippino che tutti chiamavano Gollum. Gli chiesi se per caso aveva visto il mio tesoro. “Non sono mica Harry Potter” rispose. Godot era inginocchiato nel mezzo del marciapiede con un cappello davanti e un cartone che diceva: “Too ugly for prostitution”. “Che brutta gioventù” disse Chewbecca che masticava un po' d'inglese passandogli sopra. Stava andando in Triennale per partecipare a una performarce di Bob Wilson con l’Uomo Calamita, la Sposa in Burkini e i free climbers. “Ha parlato Dorian Gray” replicò Godot. “Se fossi in te...” mi consigliò Jessica Rabbit che ormai pesava una tonnellata e i cinesi della sartoria H24, coi quali si lamentava in milanese del coniglio che l'aspettava a casa sul divano guardando vecchi cartoni alla tivù: "Pagamente, el mori mai!", per rinfrescarle il vestito avevano messo mano a una mongolfiera. “Non è un cazzo di gioco di ruolo!” replicai stizzito prima che potesse finire. Poi, acido per i cazzi miei, aggiunsi abbassando la voce di un mezzo tono per rispetto alla bellezza straripante che era stata: “Ti disegnano proprio male, cara”. Ormai avevo risalito la strada, spingendo la bici quasi fino al punto in cui ricordavo – mi pareva di ricordare – di aver toccato la giacca per sincerarmi fosse sul portabagagli, non sapendo ancora sarebbe stata l’ultima volta. Il trequarti per fortuna avevo avuto l'accortezza di infilarlo nella tasca posteriore dei jeans. Ma avrei potuto continuare la mia missione, estirpare da quella genìa di scrittori da strapazzo il Sacro Fuoco che li spingeva indiscriminatamente a scrivere, scrivere, scrivere? Quanti erano? Troppi. La matematica era semplice come il compito che mi era stato assegnato: dovevano restare soltanto i Lettori, solo allora il mercato si sarebbe riequilibrato, i Veri Scrittori avrebbero ricominciato ad avere una vita normale - manoscritti cestinati, lettere di rifiuto, stroncature: tutto come doveva andare prima che Giobbe vendesse un milione di copie convincendo tutti quegli illusi che si potesse vivere di Letteratura svuotando i cassetti - e i personaggi avrebbero smesso di invecchiare, sarebbero rimasti per sempre com'erano sulle pagine dei libri, nei fotogrammi dei film, nei testi delle canzoni. Cercai, cercai ancora per ore, come un pazzo, senza sosta, e più i minuti passavano, e meno restavano le speranze di ritrovarla, più la cercavo con ansia, più mi sentivo allontanare dal personaggio che ero stato fino a poco prima, al quale mi ero definitivamente affezionato. Arrivando ad ammettere con me stesso che la mia vita, quella vita, la mia vita con la giacca era perduta per sempre. Sarebbe rimasto un ricordo, sempre più labile, poi – secondo sinapsi che sono proprie del cervello degli Umani – quel ricordo avrebbe preso la sua strada, si sarebbe trasformato, magari in metafora, magari in leggenda, e non mi sarebbe appartenuto più, nemmeno quello. Iniziavo una nuova vita. Non sarebbe stata la prima volta. Forse ne avevo davvero sette come si dice dei gatti. Non sapevo quante ancora me ne mancavano. Avrei dovuto pensare alle giacche che avevo indossato. Gettai il trequarti di precisione in un cestino e rimontai in sella. Senza giacca avrei rischiato di confondere Lettori e Scrittori e aumentato il divario in maniera irreparabile. O peggio, li avrei tramutati in una stirpe di nuovi Critici, tromboni abituati a occuparsi di cose che non conoscono con la mica troppo segreta aspirazione di diventare Scrittori loro stessi, compito al quale erano cromosomicamente inadeguati: togliete loro la firma sul giornale, una comoda poltrona al calduccio in redazione o nei salotti dove disquisivano amabilmente, soltanto una volta, in un fottuto gelido giorno d'inverno, e poi vedrete come rientreranno di corsa nelle stalle... peggio ancora, dopo averle spurgate, le mie vittime potevano diventare Docenti di Scrittura Creativa, buoni soltanto a tramandare la mediocrità, a insegnare a twerkare con un culo posticcio. Sarebbero spariti anche gli ultimi inutili dribbling a metà campo, le scopate con gli Sconosciuti, avremmo mangiato tutti con le ricette di Benedetta Parodi. "Comunque sei andato fuori tema" puntualizzò indispettita la Maestrina dalla Penna Rossa. "Povero caro" incrociò gli occhi cilestrini, appena più comprensiva, la Fata Turchina. "Il solito degenerato" Stavo davvero invecchiando. Da ora in poi avrei indossato anch'io la camicia bianca che – come ripetevano alla nausea le fashion blogger – era il New Black? Mi restava, fedele fino al masochismo, solo lei, la fantasia.