Rezension über: Claudio Bisoni, Gli anni affollati. La

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Rezension über: Claudio Bisoni, Gli anni affollati. La
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Giovacchini, Saverio: Rezension über: Claudio Bisoni, Gli anni
affollati. La cultura cinematografica italiana (1970-79), Roma:
Carocci, 2009, in: Il Mestiere di Storico, 2010, 2, S. 153,
http://recensio.net/r/0b0f186502d56ff0699230692c770911
First published: Il Mestiere di Storico, 2010, 2
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i libri del
2009 / 2
153
Claudio Bisoni Gli anni affollati. La cultura cinematografica italiana (1970-79), Roma,
Carocci, 223 pp., € 21,50
In 200 pagine Claudio Bisoni vuole raccontare la storia della cultura cinematografica italiana degli anni ’70. In larga misura l’operazione riesce. Bisoni distingue tra la
cultura cinematografica aristocratica dei mediatori di opinione e quella militante dei cinéphiles. A quelli fanno capo recensioni, saggi, e cattedre universitarie. A questi si riferiscono
cinéclubs e fanzines che esplodono in importanza nella seconda metà del decennio. L’a.
racconta più attentamente critici e intellettuali che cinéphiles e cinéclub, alla cui storia però
il libro rimane preziosa introduzione. Nei capitoli centrali esso documenta il tramonto di
una critica cinematografica italiana aristocratica e letteraria che vive nel passato: celebra
i «maestri», guarda con attenzione al cinema di messaggio, e cerca di arginare il cinema
commerciale. Però ha i giorni contati. Fuori dalle pagine scritte che lo marginalizzano,
esiste negli anni ’70 un cinema fatto di risate, di guardie e ladri, e soprattutto di corpi,
che preme per essere riconosciuto. Con la parziale eccezione di Beniamino Placido, gli
intellettuali che Bisoni studia più a fondo (Alberto Moravia, Giovanni Raboni e Ruggero
Guarini) si comportano in maniera simile: condannano la censura mentre la praticano
nei confronti di tronconi vitali del cinema italiano come l’horror, il poliziesco e il porno.
Violenza e sesso entrano nei film esaminati nelle pagine della critica «seria» solo come
metafore e allusioni: meccanismi retorici che li pongono fuori dallo schermo. Ma sotto
la superficie le acque ribollono. Nella cronologia del libro «la cesura del Settantasette» è
importante. I giovani, che i critici immaginano ancora innamorati di Visconti, frequentano invece i westerns di Peckinpah, le città violente di Caiano, gli zombies di Romero. La
rivoluzione ha luogo nei club-cinema (come lo Spaziouno di Firenze) a cui Bisoni dedica
l’ultimo capitolo di questo libro. È lì che si forma una nuova generazione di critici capace
di scrivere anche di porno, di poliziesco, di sesso e violenza. A questo libro importante
fa difetto la brevità. Il capitolo sulla cinefilia italiana è più un inizio di riflessione che un
resoconto completo. Bisoni non dà che qualche cenno al legame tra l’evoluzione della
cultura cinematografica italiana e la storia di movimenti come quello femminista e omosessuale che animano i ripensamenti sul ruolo del corpo e del piacere. Allo stesso modo,
mi sarebbe piaciuto sapere di più su quel permanere della politica nella cinefilia italiana
che Bisoni nota e che sembra distinguerla, per esempio, da quella americana. E ancora, se
Bisoni è attento e convincente nell’esaminare le radici avvizzite della critica italiana inizio
anni ’70, il libro non dà che cenni su quelle della nuova critica e del movimento dei nuovi
club-cinema. Rimane da scrivere anche su quale sia il senso politico della rivoluzione
critica della fine degli anni ’70. È una rivolta generazionale? Un elemento di una crisi di
legittimazione più vasta? C’è da sperare che il bel libro di Bisoni faccia venire voglia, a lui
o a qualcun altro, di rispondere in modo esauriente a queste domande.
Saverio Giovacchini
Il mestiere di storico, II / 2, 2010