Meccanica Razionale
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Meccanica Razionale
Meccanica Classica e Relativistica Stefano Mandelli 14 novembre 2009 2 Una elaborazione che presenta alcuni fatti principali della meccanica classica fino alla sua crisi con la relatività ristretta a sistemi di riferimento localmente inerizali. La trattazione della relativitià nel suo complesso generale e osservando la trasformazione del tensore metrico nella componente di curvatura non sono trattate. Saranno elaborate in uno scritto distaccato. Indice 1 Equazioni del Moto 1.1 Leggi di Newton . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 Equazioni differenziali notevoli . . . . . . . . 1.2 Lavoro ed Energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 Lavori di forze puramente posizionali . . . . . 1.2.2 Forme differenziali esatte . . . . . . . . . . . 1.3 Costanti del moto, “quantità conservata“ . . . . . . . 1.4 Forze centrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Problema a 2 corpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6 Conservazione del momento della quantità di moto L 1.7 Equazioni di Newton per N punti . . . . . . . . . . . 2 Meccanica Lagrangiana 2.1 Dimostrazione delle equazioni di Lagrange . . . . 2.2 Un po’ di geometria differenzile . . . . . . . . . . 2.2.1 Cammini su varietà . . . . . . . . . . . . 2.3 Alcuni Lemmi Utili: . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3.1 Lemma del binomio lagrangiano: . . . . . 2.3.2 Lemma di scambio di cordinate . . . . . . 2.4 Dimostrazione della Lagrangiana . . . . . . . . . 2.5 Paricella vincolata . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6 Vincolo di Rigidità e di puro Rotolamento . . . . 2.7 Teorema sulla coordinata ciclica . . . . . . . . . . 2.8 Teorema sull’energia di Jacobi . . . . . . . . . . . 2.8.1 Energia di Jacobi per vincoli fissi e mobili 2.8.2 Importanti forme dell’energia cinetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 7 10 10 11 11 12 13 13 14 15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 19 20 21 22 22 22 22 24 24 25 26 27 28 3 Formalismo Hemiltoniano 3.1 Presentazione delle equazioni di Hamilton . . . . . . 3.1.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.2 Nozioni di Geometria Differenziale . . . . . . 3.1.3 Spazio delle fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.4 Parentesi di Poisson . . . . . . . . . . . . . . 3.1.5 Parentesi di poisson Fondamentali . . . . . . 3.2 Gruppi ad un parametro, Flussi . . . . . . . . . . . . 3.3 Trasformazioni canoniche - puntuali estese . . . . . . 3.4 Il moto del pendolo sferico . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Problema di Keplero, Vettore di Laplace-Runge-Lenz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 29 32 32 33 33 35 36 36 37 37 3 . . . . . . . . . . . . . 4 INDICE 3.6 Scattering particellare - L’esperimento di Rutherford . . . . . . 40 4 Principi variazionali 4.1 Principio di minima azione di Hamilton . . . . . . . . . . . . . 4.1.1 Principio di Mopertius . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Spazio delle fasi esteso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 42 44 45 5 Crisi della Fisica Classica 5.1 Formalismo matematico della Rielatività Ristretta e Generale . 5.2 Riferimenti Localmente Inerziali . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3 Geometria Affine di dimensione 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4 Luogo degli eventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5 La meccanica relativistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6 Definizione di lunghezza e tempo proprio in V 4 . . . . . . . . . 5.6.1 momento - quantità di moto - energia . . . . . . . . . . 5.6.2 Le equazioni del Moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6.3 ENERGIA: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6.4 La struttura della Tetraforza . . . . . . . . . . . . . . . 5.7 Costruzione delle basi dell’elettromagnetismo . . . . . . . . . . 5.8 Il tetrapotenziale eletteomagnetico . . . . . . . . . . . . . . . . 5.9 Le equzioni di Maxwell con sorgente . . . . . . . . . . . . . . . 5.10 ASSIOMI DELLA RELATIVITA’ . . . . . . . . . . . . . . . . 5.10.1 Deduzione delle trasformazioni di Lorentz . . . . . . . . 5.11 LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO 5.11.1 Vettori di tempo tempo - spazio - luce . . . . . . . . . . 5.11.2 Trattazione della particella libera in ambito relativistico 5.11.3 notazioni del tensore metrico inverso . . . . . . . . . . . 5.11.4 Applicazioni multilineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.11.5 Analizzando le sue derivate . . . . . . . . . . . . . . . . 5.12 Il tensore di Levi-Civita e flusso Q.D.M. . . . . . . . . . . . . . 5.13 Tensore di flusso di quantità di moto . . . . . . . . . . . . . . . 5.14 Leggi di trasformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.15 Spigazione del landau pagina 35 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 49 49 50 54 59 60 61 62 63 64 64 66 67 71 71 73 74 75 78 78 79 80 81 81 86 Introduzione 5 6 INDICE Capitolo 1 Equazioni del Moto 1.1 Leggi di Newton Iniziamo a scrivere le leggi della dinamica di Newton per una singola particella: → − − m·→ a =F (1.1) Questa scrittura è l’ equazione di Newton. Ma se è un’equazione dove è situata l’incognita ? Riscriverndo l’equazione di Newton in forma differenziale ottengo che: − .. → − d2 → x → − m· = m· x =F (1.2) dt2 La forza che compare nell’equazione di Newton è una forza che dipende dalla . − posizione e dalla velocità della particella in questione, quindi è una F (x, → x ). L’incognita della nostra equazione è il MOTO della particella ! Infatti ho che: .. → − − m· → x = F =⇒ è una eq. diff. del II o ordine Dal punto di vista fisico l’eqazione mi dice che ho una classe ben precisa di MOTI, non ho una libertà assoluta di movimento, tutto dipende dalle soluzioni dell’equazione differenziale → i movimento sono finiti e sono quelli che soddisfano l’equazione di Newton. Ma quanti sono questi movimenti ? Il che equaivale a rispondere alla domanda:quante soluzioni ammette la nostra equazione differenziale ? Per rispondere a questa questione interviene il Determinismo LAPLACIANO Un esempio semplice per spiegare in cosa consiste è quello della caduta di un grave: Esempio1 : .. → − x = −g (1.3) questa legge descrive la caduta di un grave: la soluzione che cerchaimo la nostra x(t) in verità è una x(t, xo , vo ) Perchè se io fisso x0 e v0 ho la certezza matematica di ottenere un’unica soluzione dell’equazione differenziale 1.3 in quanto 7 8 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO posso impostare il seguente problema di Cauchy: ( . → − x = f (x) x(0) = x0 (1.4) dove abbiamo che: → − → − x : I ⊆ R → Rn , f : D ⊆ Rn → Rn , f ∈ C 1 (D, Rn ), imponendo queste condizione sono ripettate le ipotesi tl teorema di EISISTENZA ED UNICITA’ LOCALE della soluzione. La soluzione dell’eqauzione differenziale → − esiste localmente perchè abbiamo considerato f ∈ C 1 la situazione sarebbe stata GLOBALE se il funzionale fosse stato Lipschitziano. Nonostante a tutto anche se la nostra soluzione quindi sarà definita in questo modo: x(t) : [−δ, δ] → R (1.5) possiamo comunque estendere il tutto perchè: se ho una unica soluzione di moto che mi fa passare la pallina dal punto A al punto B, allora nel punto B posso ripetere lo stesso ragionamento impostando un muovo problema di Cauchy con le condizioni al contorno date dalla soluzione del Pb. di C. precedente. A questo punto sono ancora in una situazione in cui la soluzione del nuovo problema di Cauchy ∃ ! allora ho un movimento nello spazio degli stati1 univocamente determinato. Esempio2 : Un secondo esempio potrebbe essere la soluzione dell’equzione di un oscillatore armonico. La legge del moto che descrive questo stato è la seguente: r .. k → − 2 x = ω · x dove ω = (1.6) m Questa equazione differenziale è del secondo ordine, omogenea. Per risolvere questa equzione differenziale, si potrebbero usare i tipici metodi di integrazione (della funzione di Volterra) ma con semplici deduzioni (DA FISICO) possiamo ricostruire al soluzione in modo abbastanza semplice del tipo: 1) La cosa più semplice che posso fare è TENTARE se una funzione banale (come un polinomio) è soluzione dell’equazione. Da come è descritta l’eq. differenziale notiamo subito che è impossibile che una soluzione di questo tipo sia accettabile perchè se usiamo un polinomio di grado N (quindi finito) al membro di sinistra avremo sempre un polinomio mi grado N-2 e al membro di destra sempre un polinomio di grado N. Questa osservazione ci fa escudere subito a priori questa soluzione; 2)Tentiamo con una serie POLINOMIALE !!!! Tentare con una serie polinomiale è rischioso in quanto bisogna accertarsi (ancora prima di consoscerla) che la nostra soluzione sia una funzione Analitica (va bene anche solo Analitica in senso locale, per le questioni citate precedentemente) quindi dire chè è analitica vuol dire che la mia x(t) ∈ C ∞ .... per 1 gli → → stati (− v ,− x) 1.1. LEGGI DI NEWTON 9 dire questo ci vuole un bel coraggio. Però assunta la nostra soluzione Analitica localmente possiamo fare dei conti: Tentiamo con la soluzione:x(t) = ∞ X cn tn (1.7) n=0 Abbiam detto che è analitica (per lo meno in un introrno sferico di 0), quindi ho tutte le derivate successive posso scrivere la relativa serie di Taylor: x(t) = ∞ X cn t n = n=0 ∞ X f (n) (0) n t n! n=0 (1.8) Poi dall’equazione differenziale ricavo direttamente quanto valgono le derivate successive: x(2) (0) x(n+2) (0) = −ω 2 x(0) .. . = −ω 2 x(n) (0) (1.9) Ora impongo le mie condizioni al contorno del problema: Se mettessi il mio oscillatore a t = 0 in una posizione iniziale x0 dall posizione di riposo della molla, con v0 = 0 allora è ovvio notare, (si sostituisce) che avrò solo le derivate PARI!!! x(2) (0) = −ω 2 x(0) x(4) (0) = −ω 2 x(2) (0) = ω 4 x0 ecc.... (1.10) Quindi la mia serie di potenze avrà solo i termini pari alternati di segno: x(n) = (−1)n ω 2n x0 =⇒ x(t) = x0 ∞ X (−1)n 2n 2n ω t 2n! n=0 (1.11) Questa scrittura è facilemnte riconoscibile ed è lo sviluppo di taylor del Coseno, quindi la mia x(t) per x0 = x0 e v0 = 0 al tempo t = 0 è la seguente: x(t) = x0 cos(ω t) (1.12) Se impostassimo le condizioni al contorno oposte: x0 = 0 e v0 = v0 al tempo t = 0 avremo solo le derivate dispari quindi la funzione soluzione sarebbe identica a quella appena scritta ma con un (2n+1). Questo sviluppo è quello tipico del seno, quindi se ho una condizione iniziale di questo genere la soluzione sarà: v0 x(t) = sin(ω t) (1.13) ω La condizione al contorno generale in cui x0 = x0 e v0 = v0 al tempo t = 0 darà come soluzione una combinazione linare tra le due soluzioni perchè proprio stando al metodo con cui abbiamo ricavato le derivate successive è intuitivo che possiamo separare le due diverse sommatorie (quella pari e quella con le derivate dispari) quindi la nostra x(t) sarà: v0 sin(ω t) + x0 cos(ωt) (1.14) x(t) = ω 10 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO 1.1.1 Equazioni differenziali notevoli Alcune equazioni differenziali spesso usate nei problemi fisici di questo corso e di cui è bene sapere la soluzione sono le seguenti: .. − • → x = 0 =⇒ x(t) = v0 (t − t0 ) + x0 ho un moto rettiline uniforme; .. 2 − • → x = −g =⇒ x(t) = − g2 (t − t0 )2 + v0 (t − t0 ) + x0 .. − • → x = −ωx =⇒ x(t) = x(t) = v0 ω sin(ω t) + x0 cos(ωt) Un’altra equazione differenziale notevole è quella relativa alle forze centrali: .. x → − x=− 3 ||x|| (1.15) Ma la risoluzione completa verrà trattata in seguito. 1.2 Lavoro ed Energia Dato il funzionale Newtoniano: .. . → − − → − m→ x = F (→ x,− x) (1.16) . − moltiplico per → x ambo i membri: .. . → − −. → −− − − m→ x→ x= F → x= F→ v (1.17) Ma il primo perzzo lo posso vedere come il risultato della derivazione della funzione composta: . 2 → −− d m→ − x = F→ v (1.18) dt 2 Da qui otteniamo due definizioni: . 2 → − La funzione composta trovata m 2 x viene definita come ENERGIA CINETICA e la si identifica con T T = . 2 m→ − x 2 (1.19) → −− Mentre la scritta F → v è un fattore che viene spesso definito come fattore di potenza della forza. Allora integrando tutto in funzione del tempo dovremmo ottenere una definizione di lavoro: Z t1 . Z t1 . Z t1 → − → − → − → T (t1 ) − T (t0 ) = T dt = P dt = F ·− v dt (1.20) t0 Che è proprio la definizone di lavoro. t0 t0 1.2. LAVORO ED ENERGIA 1.2.1 11 Lavori di forze puramente posizionali → − Dire che una forza è di tipo puramente posizionale vuol dire che la nostra F può essere scritta come: → − → − F = F (x) (1.21) Allora l’interpretazione che possiamo dare al lavoro di questa forza è la seguente: Z t1 → −→ F− v dt (1.22) t0 Se abbiamo una nostra particella che effettua un percorso lungo una linea orientata aperta γ allora proprio usando la definizo di integrale mi devo assicurare che la serie: ∞ X F (x(tn )) · v(tn ) · ∆t = n=1 ∞ X F (x(tn )) · ∆xn (1.23) n=1 quindi la serie dei lavori elemntari deve convergere. Il lavoro lungo la curva γ non dipende dalla sua parametrizzazione, quindi non dipende dal MOTO della particella a differenza dell’integrazione di T che è strettamente legata alla parametrizzazione della curva (o prevarieta0 regolare in quanto sono tutti definiti su insiemi normali semplicemente connessi ecc... ) su cui si integra. 1.2.2 Forme differenziali esatte Se stiamo lavorando con un campo di forze descritto da una forma differenziale esatta allora abbiamo che: ∂V − ∂x − → − =→ F (x) (1.24) F = −∇V = − ∂V ∂y − ∂V ∂z Il lavoro è quindi: Z Z → − − < F , d→ x >= γ x1 x0 → − → − → v − < F, → > V dt = V (γ(x0 )) − V (γ(x1 )) (1.25) ||− v || Oppure vedendo direttaemnte così notiamo che la struttura è un differenziale esatto: . . − → − → dV → ∂V dx ∂V dy ∂V dz − → − + + =− = V (1.26) F · v = −∇V − x = − ∂x dt ∂y dt ∂z dt dt → − in partica quello appena scritto non è altro che il rotore di F . Se la forma differenziale in esame è descritta da un campo irrotazionale in un dominio normale semplicemente connesso =⇒ho che la mia forma differenziale è un differenziale esatto, esistono i potenziali e posso essere scritti in funzioni ai punti iniziale e finale ella mia parametrizzazione. 12 1.3 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO Costanti del moto, “quantità conservata“ Velocemente, partendo dai risultati precedenti possimo esporre quindi il principio di conservazione dell’energia di un sistema meccanico: E := T + V E(t1 ) = E(t0 ) (1.27) Quindi ho che: T (t1 ) − T (t0 ) = −(V (x(t1 )) − V (x(t1 ))) T (t0 ) + V (x(t0 )) = T (t1 ) + V (x(t1 )) (1.28) Quindi è intuitivo notare che l’energia è una grandezza di questo tipo: E= − m→ v2 − − − x ) =⇒ E = E(→ v ,→ x ) N OT EV OLE! + V (→ 2 (1.29) Quindi io so che l’energia è una grandezza che trova la propria estrinsecazione − − nello spazio degli stati (→ v ,→ x ) Quindi il dominio di E è un sosttospazio vettoriale dello spazio degli stati. Con questa osservazione, che ora sembra banale e distaccata dal senso del discorso, nasce una grande idea che ci permette di ricollegare il discorso eseguito prima sui criteri di unicità del Pb. di Cauchy con la soluzione dell’equazione di Newton. I ragionamenti fatti precedentemente sul problema di Cauchy riguardavano funzianali del prim’ordine, mentre noi sappiano che l’equazione differenziale di Newton è una equazione diffirenziale di second’ordine. Sapere che l’energia si muove nello spazio degli stati ci assicura che conoscendo l’energia e le condizioni al contorno della nostra particella in − → la sua traiettoria è definita univocamente secondo il moviemnto cioè → v0 e − x 0 determinismo Laplaciano. Quindi nasce l’idea di risolvere l’eqzione di Newton tramite una funzione più semplice da trattare, cioè introducendo il concetto di Hemiltoniana di uno stato meccanico. L’Hemiloniana condensa energia cinetica e potenziale del sistema, quindi il suo ordine massimo è 1, perchè troviamo come derivata di ordine massimo, la velocità che compare nell’energia cinetica. Quindi essendo una eq. diff del prim’ordine possiamo ricondurci a tutte le considerazioni precedenti. Esempio: Caso di essitenza di un potenziale per spazi monodimensionali. Tipici esempi di questa specie sono la caduta del grave e la determinazione del potenziale elastico di una molla, vediamo in breve i due casi: Caduta del grave: F (x) = −m Z x1 dV (x) =⇒ V (x) = F (s)ds dx x0 Z x1 V (x) = −m −g dx = mgh x0 (1.30) 1.4. FORZE CENTRALI 13 Potenziale elastico della molla: F (x) = k(x − x0 ) = − Z x1 k(x − x0 ) dx = V (x) = − x0 1.4 dV (x) dx 1 k · (∆L)2 2 (1.31) Forze centrali → − Se F è forza centrale allora vuol dire che: f (x) → − x ||x|| (1.32) in più abbiamo che : Z V (x) = − f (r)dr per verificare che una forza conservativa osserviamo che: ∂V ∂V ∂V − dx, dy, dz = −dV ∂x ∂y ∂z (1.33) (1.34) Cioè sta a significare che il campo descritto dalla forza è irrotazionale. Lavorando in R3 quindi su un insimeme semplicemente connesso possiamo subito dire che la forma differenziale legata al campo gravitazionale è esatta questo implica che: Z → − − W = h F |d→ s i = V (γ(b)) − V (γ(a)) (1.35) γ Esempio: So che: − → − Gm1 m2 → r F = 3 − ||→ r || (1.36) Gm1 m2 − f (→ r)= → − r2 (1.37) allora la mia f (r) è : − V (→ r)= 1.5 Z Gm1 m2 Gm1 m2 dr = − → + cost → − − r2 r (1.38) Problema a 2 corpi Parte tutto dal principio di azione e reazione di Newton. Se A agische su B con una forza F , allora anche B asgeste su A con una formza F’ uguale ad F in modulo, diretta sulla concingente AB, ma opposta in verso. consideriamo 2 14 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO corpi, il corpo 1 e il corpo 2, voglaimo vedere se risciamo a trovare un potenziale di questo sistema meccanico: La forza che 1 applica a 2 è: → − − − → → → x1 − x2 x2 − F12 = f12 x1 − − → − → x1 − x 2 (1.39) Allor stesso modo la forza di 2 su 1 è: → − − − → → → x1 − x2 x2 − F21 = −f21 x1 − − → → x2 x1 − − (1.40) Eisiste il potenziale, quindi una roba fatta così: F12 ∇(x2 , y2 , z2 )V (x2 , y2 , z2 ) (1.41) F21 ∇(x1 , y1 , z1 )V ∼ (x1 , y1 , z1 ) (1.42) In pratica voglaimo che esitsta il differenziale esatto di questa forma differenziale: ( −→ −→ − − → − F12 d→ x 2 + F12 d→ x 1 = −dV F = −∇V = (1.43) −→ → −→ → − − F21 d x 2 − F21 d x 1 = −dV Ma questo è verificato perchè per il III o principio abbiamo che F12 = −F21 allora: −→ (x1 − x2 )d(x1 − x2 ) F12 d(x1 − x2 ) = f (|x1 − x2 |) |x1 − x2 | (1.44) Questa forma differenziale sappaimo che è esatta in un semplicemente connesso allora, eisste il fontenziale che è di questa forma: Z V (|x1 − x2 |) = − f (|x1 − x2 |)d(x1 − x2 ) (1.45) questo potenziale è legato alla coppia di elementi. 1.6 Conservazione del momento della quantità di moto L definiamo: . −−−−−−−−−−−−−−→ → − − p = m→ v = m x Quantità di Moto (1.46) Definiamo il momento della quantità di moto: . − − x L=→ x ×m→ (1.47) → − Definiamo il momento della forza F agente, come: . → − → − − L= M = → x ×F (1.48) 1.7. EQUAZIONI DI NEWTON PER N PUNTI 15 Se F è centrale notiamo che tutto si semplifica molto perchè: → − f (r) → → − − − x ×F = x ×→ x =0 r (1.49) allora il momento della forza è nullo quindi . → − L = 0 =⇒ L = costL è una costante del moto (1.50) Quindi il momento della quantità di moto si conserva ed è una costante del sistema meccanico soggetto ad una forza centrale. Come possiamo notare L è definito in questo modo: . . − − − L(x, → x)=→ x ×m→ x (1.51) Quindi L è una funzione il cui dominio è un sottoinsieme dello spazio degli stati. Un esempio per vedere la correlazione tra potenziale e spazio delle fasi è il seguente: Data una particella che si muove in un campo con potenziale oscillario V (x) = cos(x) definire lo spazio delle fasi: si può andare a gradi, verificando poco alla volta la traeittoria che definisce una certa variazioni di potenziale. Il seguente disegno chiarisce il concetto: INSERIRE DISEGNO Il punto L è detto il lagrangiano del sistema ed è un punto di equilibrio instabile. La nostra particella per percorrere il braccio AB del nostro diagramma delle fasi ci impiega un tempo t → ∞ questo lo si deduce dal teorema di esistenza ed unicità locale, infatti una volta arrivata in L la nostra particella che strada prende ? (ha 4 possibili strade, tra le quali nessuna è preferenziale). 1.7 Equazioni di Newton per N punti .. . . → −→ − − → −→ m1 xN = F1 (x1 , x1 , · · · , xN , xN ) .. . .. . . −→ − → →, · · · , x , − → mN xN = FN (x1 , − x 1 N xN ) (1.52) Ho un sistema di eq. differenzieali del secondo ordine accoppiate. Per risolvere questo problema di meccanica si usano le due ”leggi cardinali“ della dinamica che sono: a)Ammettiamo che la forza che agisce sulla particella j − esima è : X→ → − → − − int xj − xk int int =⇒ Fjk = −Fkj F j = F ext + F jk (|xj − xk |) j |xj − xk | (1.53) k6=k Prima legge cardinale: mv = X J mj → − xb = X mj · xj mtot j (1.54) 16 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DEL MOTO quindi posso definire come si muove il baricentro del mio sistema di punti: .. − m→ x = Rext (1.55) Questa legge è vera in quanto possimao vederla in questo modo: .. − m→ x= X Fjext + j XX j int Fj,k = X = X Fjext − XX Fjext XX j k6=j k j6=k + j j int Fk,j (1.56) k6=j Per la proprietà antisimmetrica delle sommatorie il temrine XX int Fj,k =0 j int Fk,j (1.57) k6=j quindi rimane solo: .. − m→ x= X Fjext (1.58) j Seconda legge cardinale: . → − − → L = M ext (1.59) infatti svolgendo i conti: . . X X X → − X − L= xj × → p j= xj × Fjext + xj × Fjint j j j (1.60) j Ma si dimostra ancora che la seconda parte è una sommatoria antisimmetrica e il termine con le forze interne va a zero rimanendo solo la somma dei momenti. Capitolo 2 Meccanica Lagrangiana Le equazione del moto di Newton abbiam visto che possiamo scriverle come: .. → − ∂V − m→ x = F (x) = − ∂x oppure scriverla come quazione nello spazio degli stati: ( . → − − x=→ v . → − m v = − ∂V (2.1) (2.2) ∂x Assumendo che : ∂ − m→ v = ∂v − 1 → mv 2 2 (2.3) Allora il sistema 2.2 possiamo riscriverlo come: . − m→ v=− d ∂T ∂V ∂V =⇒ =− ∂x dt ∂v ∂x (2.4) Definisco come Lagrangiana la funzione: L = T (v) − V )(x) (2.5) Allora: . → − → − x = v d ∂L dt . = → − ∂x ∂L ∂x (2.6) Vediamo la soluzione di un problema meccaico complicato, in modo normale (disaccoppiando le equazioni differenziali) e infine usando la meccanica lagrangiana. Si noterà che l’utilizzo della meccanica lagrangiana, è molto vantaggioso in questo tipo di problemi. DISACCOPPIANDO LE EQ. Studiare il modo di una particella immersa in un campo generato da una forza centrale. 17 18 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA − Ho il mio potenziale: V = V (||→ x ||) x La mia forza: F (r) = f (r) · ||x|| l’equazione di newton diventa (separando le componenti cartesiane): .. − x m→ x = f (||r||) · ||r|| .. − m→ y = f (||r||) · y (2.7) ||r|| Però queste equazioni sono poco esressive, sono difficili da disaccoppiare le mie variabili. Per disaccoppiarle potrei agire in questo modo: Per prima cosa definisco un sistema ri riferimento nuovo, che si muove col punto. avrò come basi del mio sitema un er ed un eθ . il mio er è definito in questo modo: cos θ er = (2.8) sin θ . . − − d er differenziando il versore risulta: la mia → x =→ r er + r dt . . → − . − → − d − θ sin θ → − sin θ er = . =θ = θ eθ → − cos θ dt θ cos θ (2.9) quindi ottenuamo che: . . . → − → − − x =→ r e r + r θ eθ (2.10) derivo: .. → − x . . .. . . .. . → . → − − → − → −→ − − − − = → r er + → r θ eθ + → r θ eθ + r θ eθ + r θ θ (−er ) . . .. .. . → → −2 − → − → − → − − = er ( r − r θ ) + eθ (2 → r θ +r θ ) (2.11) Le due parti,rappresentano ripettivamente l’accelerazione radiale e quella tangenziale. io devo trovare una cosa del tipo (proprio perchè sto ipotizzando che stiamo lavorando con una forza centrale) ( .. → − x θ= 0 .. (2.12) → − x = f (r) r quindi ottengo che: . .. . → − → − 2→ − r θ +r θ = 0 . .. → −2 → − → − r − r θ = f (r) . (2.13) .. . . → → − − → − − d (mr2 θ ) che altro non è r θ +r θ = dt Se sono molto bravo mi accorgo che 2 → che la derivata del momento angolare L !!! Quindi ricavo che L si conserva, le mie equazioni diventano: . . − → − l0 2 → mr θ = l0 θ = mr 2 =⇒ (2.14) .. .. 2 mrl l2 m→ − → − ∂V 0 r − m2 r4 = f (r) m r = − ∂r − mr0 3 2.1. DIMOSTRAZIONE DELLE EQUAZIONI DI LAGRANGE 19 Dove vediamo risultare un termine molto particolare: ∂ Vc (r) = − ∂r l02 mr3 (2.15) Che è noto come potenzile centrifugo. Ed è un potenziale semifittizzio che risulta dall’aver considerato il nostro sistema di riferimento inierziale, quando invece non lo è affatto. Meccanica Lagrangiana: Impostando il problema con le tipiche equazioni di lagrange possiamo notare che il tutto si riduce di molto. Sappiamo che L=T-V allora scriviamo tutto quello che entra in gioco: . 2 T = . . → − 1 −. 2 1 → − m− x→ x = m(→ r +r2 θ ) 2 2 (2.16) Imposto il sistema di equazioni di lagrange: d dt (m . → − r ) = mr2 θ − ∂r V (r) . − d 2 → dt (mr θ ) = 0 (2.17) Quindi il risultato notevole lagrangiano è che mi mette subito in evidenza qual è la quantità che si conserva. infatti mi esce subito nel sistema un: . → − d (mr2 θ ) = 0 dt (2.18) che mi dice subito che il momento angolare, si conserva. Nel caso precedente dovevamo essere bravi ad accorgerci a priori che l’espressione era proprio lo sviluppo della deirivata della funzione composta del momento angolare. 2.1 Dimostrazione delle equazioni di Lagrange Data la definizione di lagrangiana come: L=T −V (2.19) Possimao dire che effettivamente i sistemi di equazione lagrangiana corrispondo alle equzioni di Newton. Per la dimostrazione sarà necessario l’ausilio di alcuni cenni topologici e alcuni cenni di geometria differenziale inparticolar modo sul trattamento di pre-varietà e varità differenziabili. Il postulato che vogliamo raggiungere sono le equazioni di Elero-Lagrange, che nella loro forma standard sono espresse come: d dt ∂L . − ∂→ q i ! = ∂L ∂qi (2.20) 20 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA Vincoli Olonomi Per esempio il moto, di puro rotolamento, di una sfera è guidato da vincoli ben precisi. Alcuni di questi vincoli sono per esempio i seguenti: • d(C, piano) = cost.; • Vsf era + Vpiano = 0; Quindi un vincolo olonomo è un vincolo che applica una forza che può essere definita nel seguente modo: → − → − → − F 1( x 1, · · · , x N ) = 0 .. (2.21) . → − F (→ − − x ,··· ,→ x )=0 k 1 N Se sono in R3 Un sistema di due vincoli così descritti: ( → − → F (− x)=0 → − → − G( x ) = 0 (2.22) Di 3 DoF iniziale, il sistema mi blocca due piani, quindi mi costringe la particella a muoversi lungo il punto di intersezione che è un retta. Quindi imponendo due vincolo olonomi in R3 che definiscono ripettivamente 2 piani ho un moto della particella che è monodimensionale e avviene in pratica su una retta. 2.2 Un po’ di geometria differenzile Sia data S una varietà differenziabile di dimensione 3. Supponiamo che descriva una sfera, e che rappresenti un vincolo olonomo: → − → − F 1 (− x 1, · · · , → x N) = 0 (2.23) 2 2 2 x + y + z − R2 = 0 Ciò che si fa in queste situazione è effettuare un cambiamento di variabili e passare quindi ad una carta della mia varietà differenziale. L’insieme di tutte le carte che definiscono la mia varietà differenziale è detto Atlante e rappresenta la topologia usata per ambientare la mia varità differenziale. Parametrizziamo la nostra varietà nel modo seguente: x = q1 (2.24) p y = q2 z = R2 − (q12 + q22 ) In questo modo ho effettuato una parametriazzazione della mia varietà. Quindi ora dato un aperto V1 di partenza, ho una mappa x1 (q) che fa corrispondere punti dell’aperto V alla mia varietà. e poi ho una mappa x2 (q) che fa corrispondere punti sulla mia varietà a quelli dell’aperto U2 . Tutto questo funziona bene se x1 e x2 sono rappresentate da una matrice associata con determiante diverso da zero, quindi autovalori diversi da zero, quindi possibilità di invertire le mie mappature. 2.2. UN PO’ DI GEOMETRIA DIFFERENZILE 2.2.1 21 Cammini su varietà Definire un cammino su una varietà, data la parametrizzazione non è difficile, il punto sta nel definire in modo corretto la formula di immersione e poi quindi capire dove vanno cercate le grandezze fisiche rilevanti e come interpretare i risultati geometrici. Se abbiamo un cammino γ sulla varietà S la velocità come sappiamo rappresenta il vettore tangente a P ∈ S. L’insimeme dei vettori che soddisfano questa proprietà possono essere sono ortogonali e definiscono le derivate direzionali lungo i vettori coordinati. Le due derivate direzionali quindi identificano due vettori che formano la base del piano tangente alla varietà che fisicamente va interpretato come lo spazio delle velocità in P ∈ S . Ma quali sono le basi del mio piano? Sono le seguenti: Chiamo φ la parametrizzazione (o formula di immersione) di S secondo le variabili q1 e q2 quindi avrò una parametrizzazione così descritta: φ(q1 , q2 ) le basi che mi creano il campo vettoriale delle velocità sono le seguenti: e1 = ∂φ(q1 , q2 ) ∂φ(q1 , q2 ) e la sua ortonormale e2 = ∂q1 ∂q1 (2.25) Per dire che esiste il piano tangente e che esso ha le seguenti basi, dobbiamo imporre che e1 ed e2 siano almeno linearmente indipendenti (già la condizione di ortonormalità sarebbe un lusso indescrivibile). Questa condizione si presenta quando la matrice Jacobiana della nostra varietà differenziabile ha rango massimo quindi: − Se rankJac→ x φ(q1 , q2 ) è massimo =⇒ ∂φ(q1 , q2 ) ∂φ(q1 , q2 ) , lin.indip (2.26) ∂q1 ∂q2 Quindi ora è facile vedere la velocità di un qualunque punto appartente al cammino γ infatti la vedo come composizione lineare: . → − − v (t) =→ x= 2 X ∂φ(q1 , q2 ) i=1 ∂qi . → − qi (2.27) . − Anche l’energia cinetica può essere scritta in funzione delle q e delle → q. Sviluppando un po’ di conti: 1 → m(− v )2 2 = 2 2 . . X ∂φ(q1 , q2 ) → 1 → 1 X ∂φ(q1 , q2 ) → − − − mh− v |→ v i = mh qi | qk i = 2 2 i=1 ∂qi ∂qk k=1 = = m 2 2 X 2 X h i=1 k=1 . . ∂φ(q1 , q2 ) ∂φ(q1 , q2 ) → − | i− qi → qk = ∂qi ∂qk 2 . . . 1 X 1 −. t → − − q m ai,k → qi → qk = m → q A − 2 2 (2.28) k,i=1 In quasto caso la matrice A = {ai,k } è la matrice di trasferimento della forma quadratica associata. E’ una matrice molto importante e viene chiamata matrice cinetica 22 2.3 2.3.1 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA Alcuni Lemmi Utili: Lemma del binomio lagrangiano: Dimostriamo rigorosamente che la struttura del binomio lagrangiano corrisponde veramente ad una riscrizione nello spazio proiettivo, delle equazioni di newton. d ∂T ∂φ(q1 , q2 ) ∂T − = m→ a . − − ∂qi dt ∂ → ∂q i qi (2.29) Questa scrittura delle equazioni di newton sono molto potenti perchè ci permettono di capire buona parte dei parametri del nostro sistema meccanico dalla sola energia cinetica. Ed in più come abbiamo visto le velocità appartengono ad uno spazio vettoriale esterno alla nostra varietà, quindi noi dalla varietà possiamo dire cose che non appartengono alla nostra varietà. Tipo, un esempio banale è quello di verificare la curvatura dello spazio − tempo di Minkowsky, all’interno dello spazio − tempo stesso senza la necessità di guardare ”dal di fuori“ la nostra varietà differenziabile. 2.3.2 Lemma di scambio di cordinate Abbiamo che: d − ∂x d ∂x → − v) = (→ = a ∂qi dt ∂qi dt ∂x d ∂x d → − − v −→ v = ∂qi dt ∂qi dt P − so che → v = qi ui dove u = ∂v . − ∂→ q − d→ v → − v . → − q ! d ∂ → → − − − v v (2.30) dt ∂qi Quindi continuando a riscrivere vediamo che possiamo scambiare le coordinate: ∂φ(qi , qk ) → − a ∂qi = = ∂φ(qi , qk ) ∂φ(qi , qk ) d → d → d ∂φ(qi , qk ) − − (− v) v = −→ v = dt ∂qi dt ∂qi dt ∂qi ! − d ∂ → d→ v d → − → − − v . − v v (2.31) → − dt dt ∂qi q P − so che → v = qi ui dove u = ∂v . − ∂→ q Quindi continuando a riscrivere vediamo che possiamo scambiare le coordinate: Quindi ricordando a come è definita la velocità otteniamo che: ! 2 → − ∂ φ (qi , qk ) d ∂ v2 ∂ v → − a = − (2.32) . − ∂qi dt ∂ → 2 ∂q 2 i q i se moltiplico per la massa ho il binomio lagrangiano. 2.4 Dimostrazione della Lagrangiana Ora facciamo vedere che effettivamente le equazioni di lagrange sono una proiezione di quelle di newton sui vottori cordinati della nostra varietà. Supponiamo 2.4. DIMOSTRAZIONE DELLA LAGRANGIANA 23 si avere una varietà regolare 1 Ω ∈ Rn . Essendo regolare è sempre possibile definire con continuità la normale uscente. Ora considero un punto massivo di massa m vincolato alla superficie. Le equzioni che descrivono il moto del punto vincolato alla superficie sono le eq. di Newton in forma vettoriale: .. → − → − − m→ x= F + R (2.33) → − Dove R è la reazione del vincolo imposto dalla varietà. La direzione della rezione vincolare è diretta come la normale uscente dalla varietà ed è sempre ortogonale alla superficie. Proietto le equazioni di newton sulla varietà regolare facendo semplicemnte il prodotto scalare col vettore coordinato: .. → − ∂φ(qi , qk )qi → − → − ∂φ F +R · (m x) · ∂= ∂qi (2.34) → − Come detto prededentemente, la reazione vincolare R è sempre ortogonale alla superficie ed è quindi diretta come la normale uscente. Quindi il prodotto scalare tra la reazione vincolare e il vettore coordinato darà risultato nullo! Quindi posso semplificare la scrittura: .. → − ∂φ(qi , qk )qi → − ∂φ (m x) · F · ∂= ∂qi (2.35) Questo aspetto è molto importante. Sono partito con delle eqazuini in cui era presente la reazione vincolare. Ma io non la conosco la reazione vincolare, per conoscerla dovrei conoscere il moto quindi è un problema che si mangia la coda. Passando in coordinate generalizzate, come visto il termine legato alla reazione vincolare sparisce, rendendo risolvibile il problema di determinare il moto. Per far uscire le eq. di Eulero-Lagrange ora uso i lemmi presentati precedentemente, in particolare dal lemma del binomio lagrangiano otteniamo che: X ∂V ∂φk d ∂T ∂T = (2.36) . − − dt ∂ → ∂qi ∂φk ∂qi qi K Per definizione sappiamo che: → − F = −∇V = − ∂V ∂x1 .. . ∂V ∂xn (2.37) − Ma so che la mia funzione potenziale è una V = V (φ(→ q )) quindi sapendo che: ∂φ = − ∂qi ∂φ1 ∂qi .. . ∂φn ∂qi (2.38) 1 Una varietà, o più in generale dato un insisme Ω ∈ Rn allora ∂Ω è una superficie di dimensione n − 1, questa superficie è regolare se posso definire sempre in modo continuo la normale uscnete. 24 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA Allor posso scrivere al lagrangiana: d ∂T ∂L ∂T ∂V = . = . − − → − dt ∂ → ∂q ∂q i i qi ∂ qi (2.39) ma come detto precedentemnte T e V sono funzioni di φ allora posso sommare: d ∂T − V d ∂L ∂L = . . = − − dt ∂ → dt ∂ → ∂qi qi qi (2.40) che è l’equazione di Lagrange. 2.5 Paricella vincolata Se vincolo la mia particella, considerando vincoli olonomi perfetti, allora avro come risultati delle fore vincolari descritte in modo tale che: → − − vi=0 (2.41) h R (v) |→ quindi avremo che tutti i muovimento compatibili col vincolo devono soddisfare il fatto che: n X → − (v) → R ·− v =0 (2.42) i − Quindi deduco che R(v) ⊥→ v . In più notiamo che priettando le equazioni sui vettori coordianti, otteniamo ancora le equazioni di Lagrange, quindi di Newton: h→ − → − i ∂φ → − → − ∂φ → − → − ma = R + F ∼ ma = R + F (2.43) ∂qi ∂qi da qui ottengo: ∂T ∂V d ∂T =− . . − . − → − − dt ∂ → qi ∂ qi ∂→ qi (2.44) d ∂T ∂T ∂V =− . . − . − → − − dt ∂ → qi ∂ qi ∂→ qi (2.45) e ottengo ancora la lagrangiana. 2.6 Vincolo di Rigidità e di puro Rotolamento Il vincolo di RIGIDITA’ è un vincolo perfetto Dimostrazione: Si ricorda la definizione di vincolo perfetto: X (v) Fi · v i = 0 i (2.46) 2.7. TEOREMA SULLA COORDINATA CICLICA 25 Se abbiamo un’asta rigida, presi due punti i e k la loro distanza , qualunque cosa succeda (anche se esplode il mondo) rimande costante quindi: − − (→ xi−→ x k )2 = di,k = cost (2.47) derivo: . . → − → − → − → − 2( x i − x k ) · ( x i − x k ) = 0 (2.48) Questo conto banale inizia a dirmi cose molto sottili per esempio che distanza e velocità relativa sono ortogonali. Tra i punti i e k ci sarà una forza Fi,k che per il terzo principio di newton è uguale e contraria alla forza che k impone su i quindi ho che Fi,k = −Fk,i . Cerco di esplicitare la forza Fi.k e ottengo che: Fi.k = f xi − xk |xi − xk | (2.49) Parto da Fi,k = −Fk,i e moltiplico per la velocità: }| { z . . → − − →) . . → − → − (x − x )( x − x i k i k − →= F (v) (→ − − → =0 F i,k → xi + F k,i − x k i,k xi − xk ) = f |xi − xk | (2.50) La parte con sopra la parentesi graffa, è l’ipotesi inziale che noi abbiamo assunto per zero ! Quindi il vincolo è Perfetto: Il vincolo di ROTOLAMENTO è un vincolo integrabile Dimostrazione: Il mio sistema sarà così descritto: xi = xc + ri (sin[θ + αi ]) yi = R + ri (cos[θ + αi ]) (2.51) derivando e tenendo conto del fatto che: θ + αi = π ottengo che nel punto P ho che deve valere questa condizione affinchè si abbia un moto di puro rotolamento: ( . . → − → − d → − vp = (2.52) dt xi = R θ − xc d y = 0 i dt Il vincolo è facilmente integrabile perché: Z Z d d xi dt = R θi dt = Rθ dt dt I I questa equazione integrale è facilmente risolvibile. 2.7 Teorema sulla coordinata ciclica Se una coordinata è ciclica allora il momento relativo si conserva. (2.53) 26 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA Dimostrazione: La dimostrazione è banale infatti si basa su semplici definizioni: ∂L =0 ∂qi Se è ciclica la cordianta allora: d ∂L ∂L =0 . = − dt ∂ → ∂q i q (2.54) i Per definizione: pi = ∂L d =⇒ (pi ) = 0 ∂qi dt (2.55) Allora pi si conserva. 2.8 Teorema sull’energia di Jacobi Se la lagrangiana non dipende dal tempo, l’energia di Jacobi si conserva (è una conservante del sistema meccanico) Dimostrazione: Voglio dimostrare un teorema di conservazione dell’energia, allora un passo che potrei fare per iniziare la dimostrazione in modo furbo sarebbe quello di moltiplicare scalarmente la lagrangiana per la velocità. N X i=1 N . d ∂L X ∂L . → − → − qi qi . = − dt ∂ → ∂q i q i=1 (2.56) i Usando la notazione di Einstain per semplificare la digtura: . d ∂L . ∂L → → − − qi qi . = − dt ∂ → ∂qi q (2.57) i ! . .. ∂L d → ∂L ∂L − − qi −→ qi . . = → − → − dt ∂q i ∂ qi ∂ qi .. ∂L . . ∂L d d → − − → − qi pi =→ qi qi = (L) − . + → − dt ∂q dt i ∂ qi . → − qi (2.58) ∂L ∂t (2.59) Quindi alla fine ottengo una scrittura molto interessante. Raccogliendo tutti i termini d/dt ottengo che: . d → ∂L − qi pi − L = − dt ∂t (2.60) QUINDI se la lagrangiana non dipende dal tempo, il secondo membro di quell’equazione diventa nullo e ottengo che il termine: . . − − q ) =→ qi pi − L ε(q, → . − si conserva. Il termine ε(q, → q ) è definito come ENERGIA DI JACOBI. (2.61) 2.8. TEOREMA SULL’ENERGIA DI JACOBI 2.8.1 27 Energia di Jacobi per vincoli fissi e mobili Come vedremo qui di seguito, l’energia di Jacobi esprime effettivamente l’energia meccanica del sistema, infatti possiamo scrivere che: . − − ε(→ q ,→ q )=T +V (2.62) in quasi tutti i casi. Per i vincoli fissi questa scrittura è valida, mentre per i vincoli mobili vedremo si aggiungerà un termine in più: Vincoli Fissi: L’energia cinetica è esprimibile nel seguente modo (tramite l’usuale forma quadratica): T = 1 . . m aj,k qj qk 2 (2.63) Svolgendo qualche conto: . qi . ∂L i ∂T . =q . = 2T ∂ qi ∂ qi (2.64) Sostituisco alla lagrangiana la sola energia cinetica, perchè il potenziale non . dipende dalla velocità, quindi quando si deriva per qi va tutto a zero. . . . ∂T 2 . = 2T =⇒ T (λ q ) = λ T (q ) ∂ qi − ∂f (→ x) − · f (λx) = λα f (x) ⇐⇒ xi = αf (→ x) ∂xi − . d ∂L ∂f (→ x) − − f (λ→ x ) = αλα−1 f (→ x ) =⇒q i = · Pongo λ = 1 xi . = 2T =⇒ ∂xi dλ ∂ qi · =⇒ ε = 2T − T + T = T + V (2.65) · qi Quindi per vincoli fissi, l’energia di Jacobi è effettivamente una energia nel modo più classico in cui noi lo pensiamo, energia cinetica più potenziale. Vincoli Mobili: Nel caso di vincoli che dipendono dal tempo, l’energia cinetica non è più una forma quadratica. Se abbiamo: − − x =→ x (q, t) • → La velocità è esprimibile come: − − . . ∂→ x ∂→ x → − − v =→ x =q i + ∂qi ∂t (2.66) Sostituendo nella lagrangiana e derivando ottengo che : ε = T2 − T0 + V (2.67) Quindi c’è in più quella componente T0 che si sottrae all’energia cinetica. 28 2.8.2 CAPITOLO 2. MECCANICA LAGRANGIANA Importanti forme dell’energia cinetica L’0energia cinetica possiamo esprimerla in funzione alle diverse coordinate che consideriamo. Qui di seguito mettiamo il risultato di 3 importanti cambi di variabile: Polare - Cilindrico - Sferico: Polari: x = r cos θ y = r sin θ . (2.68) . Derivando si ottiene l’espressione di y e x e poi si determina l’espressione dell’energia cinetica: . T = . − → − m → ( r2 +r2 θ2 ) 2 (2.69) cilindriche: x = r cos θ y = r sin θ z=z . . (2.70) . Derivando si ottiene l’espressione di y , x e z e poi si determina l’espressione dell’energia cinetica: . . . − → − → − m → T = ( r2 +r2 θ2 + z 2 ) 2 (2.71) Sferiche: x = r sin φ cos θ y = r sin θ cos φ z = r cos θ . . (2.72) . Derivando si ottiene l’espressione di y , x e z e poi si determina l’espressione dell’energia cinetica: . . . − → − − → m → T = ( r2 +r2 θ2 +r2 sin2 θ φ2 ) 2 (2.73) Capitolo 3 Formalismo Hemiltoniano La meccanica lagrangiana, come visto nel capitolo precedente, permette di ricostruire le equazioni di Newton in modo molto più esplicito. Infatti alcuni problemi che con le equazioni di newton risultavono complicati e contorti, con la meccanica lagrangiana sono risultati lineari e semplici, proprio perchè permette esaltare le quantità conservanti del moto. Più di una volta negli esercizi e negli esempi soprattutto di meccnica celeste, scrive il lagrangiano del sistema pemette di mettere in luce subito che L si conserva e quindi fare subito le considerazioni fisiche del caso. Nel formalismo lagrangiano però la costruzione del modo nel diagramma degli stati avviene in modo abbastanza grossolano, infatti . lo spazio degli stati, determinato dalle coppie (q, q ) non è uno spazio vettoriale. Noi vogliamo che la rappresentazione in fase ci permetta di defrinire un campo vettoriale e quindi utilizzare tutte le proprietà legate a questo campo. Questo . usando come variabili indipendnenti non più (q, q ) ma (p, q) qundi posizione e momento. Per effettuare questo vedremo tra breve che ci sono dei problemi, in quanto bisognerà esplicitare una variabile in funzione delal sua derivata, ma questo problema è facilmente risolvibile usando la trasformata di Legendre. Hemilton per costruire le equazioni omonime, partì da degli studi sull’ottica. Infatti lui stava lavornado alla risucrittura delle equazioni dell’ottica, quando si accorse che le stesse eqazioni che governavano i fenomeni fisici ottici, andava pene pure per descrivere il moto dei pianeti e dei sistemi meccanici. Questa scoperta fu sensazionale e cambiò completamente il modo di vedere le cose. Soprattutto in meccanica quantistica la scoperta fu particolarmente importante, tanto che si potè iniziare a costruire una meccanica con idee ondulatorie. Una scrittura che funzionasse sia per una rappresentazione meccanica che ondulatoria. Noi ora tratteremo in modo sistematico l’applicazione delle equzioni di Hamilton per i sistemi di meccanica classica iniziando con la loro presentazione. 3.1 Presentazione delle equazioni di Hamilton Un modo standard per introdurre le equazioni di Hamilton è quello di passare dalle equazioni di newton, al formalismo lagrangiano per poi con la trasformata di Legendre passare alle nuove cordinate (p, q) dove p è la posizione e p è l’impulso, o meglio noto come momento: .. → − − − m→ x = F (→ x) (3.1) 29 30 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO dall’equazione di Newton, passo alla forma lagrangiana: d ∂L ∂L Derivo: . = dt ∂ qi ∂qi ∂ 2 L ..k ∂ 2 L . k ∂L q = . . q + . ∂qi ∂ qi ∂ qk ∂ qi ∂qk (3.2) 2 Si può notare che : ∂ q∂. ∂Lq. è la matrice cinetica Ai,k se voglio invertire le i k cordinate devo ammettere che quell’essiano sia invertibile quindi che valga la seguente relazione: .. . A q = G(q, q ) .. . . −1 q = A (q, q )G(q, q ) (3.3) Quindi riscrivendo le eq. di Newton: ( . → − p → − x= m . → − → − p= F . → − Se introduco la variabile: pi = . → − 1 ∂L . (q, q ) → − ∂q (3.4) ho troppe variabili !!! Come è definita i . − la → q ? Non lo posso sapere così all’istante, quindi introduco questo formalismo: . . − − Dichiaro indipendenti le variabili p e q e mi ricavo2 la → q . Ricavarsi la → q vuol . → − dire trovare una certa funzione f tale che q = f (p, q). Il sistema di condizioni diventa il seguente: . . → − pi = → − q = f (p, q) . → − ∂L . (q, q → − ∂q (3.5) (p, q)) i . − Per trovare la → q devo ricorrere all’ipotesi iniziale che la matrice A sia invertibile. Sotto questa condizione posso facilmente dire: pi = . . ∂L → − → − 1 . =⇒ p = A q =⇒ q = A p − ∂→ q (3.6) i Questo 2conto appena eseguito è completamente giustificato dal fatto che ∂ L det ∂ q. ∂ q. 6= 0 perchè A è definita posiva non degenere, avendo tutti autoi k valori λ 6= 0 Con solo queste considerazioni banali posso già dire che il mio scopo inziale di creare una rappresentazione in fase che sia definita in un campo vettoriale è sulla buona via, perchè posso notare che se definisco con H la funzione costruita nel seguente modo: H = T + V , facendo le derivate parziali ottengo che: . − ∂H → qi = ∂p i . (3.7) → − i p = − ∂H ∂qi 1 Le p avranno sempre l’indice alto, conferme alla notazione di Einstain. Se lo trovate in basso è perchè ho fatto un errore di battitura. 2 Già inizialmente avevamo detto fosse il nostro obbiettivo in quanto la rappresentazione in fase tramite p e q costituisce uno spazio vettoriale 3.1. PRESENTAZIONE DELLE EQUAZIONI DI HAMILTON 31 Le due derivate parziali sono del prim’ordine e mi costituiscono quelle che in fluidomeccnica sono chiamate LINEE DI FLUSSO, in fratica defiscono la tangente allo spazio delle fasi. Quindi per ogni punto dello spazio delle fai ho un vettore coordinato che mi indica direzione e verso della linee di equienergia costituita da un particolare stato meccanico, allora lo psazio delle fasi è uno spazio vettoriale. Poi si può verificarlo anche dal punto di vista algebrico, ma da quello fisico e che finalmente riusciamo ad aver definite direzione e verso delle linee di flusso. Un’altra fondamentale proprietà dello spazio delle fasi, nel caso Hemiltoniano, è quello di mantenere inviariate le aree per trasformazioni. Qualsiasi trasformazione temporale subisca una determinata area nello spazio delle fasi si avrà che Σt0 = Σt1 . Questa importante proprietà scende dal teorema di Lioville, che sarà dimostrato in generale più avanti. . − Come detto precedentemnte per trovare la nostra → q è necessario eseguire una inversione di cordinate un po’ particolare. Lo strumento matematico che ci permette di espremere questo passaggio algebrico è la trasformata di Legendre, prima di passare al caso Hemiltoniano si farà un breve accenno su questo tipo di trasformata. Trasfomata di Legendre: Se abbiamo una funzione f (x) = u(x) e vogliamo invertirla e trovare la g(u) = x(u) dobbiamo usare la trasformata di legendre. Differenziando la prima equazione: df = u dx = d(ux) − xdu d(f − ux) = −x du d(ux − f ) = x du (3.8) Definiamo Trasformata di Legendre G(u) la funzione: G(u) = (ux − f (x))|x=x(u) (3.9) Da cui si ottinene che la nostra x(u) è uguale a: x(u) = ∂G ∂u (3.10) Applicando il tutto al formalismo Hemiltoniano: pi = ∂L . − ∂→ q (3.11) Così definisco l’emiltoniana come: . . H(p, q) = pi qi −L(q, q , t)|q.i =q.i (pi ,qi ) (3.12) Differenzio: dH ∂H i ∂H ∂H dp + dqi + = ∂pi ∂qi ∂t ∂L ∂L . ∂L . . = dpi qi +pi d qi − dqi − . qi − dt = ∂qi ∂t ∂ qi . ∂L ∂L = qi dpi − dqi − dt ∂qi ∂t = (3.13) 32 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO Per il principio di identità escono le equazioni di HAMILTON: · · · ∂H ∂L =− ∂t ∂t ∂H ∂L =− ∂qi ∂qi ∂H . =q i ∂pi (3.14) (3.15) (3.16) Quindi ho che: . − − H = h→ p|→ q i−L (3.17) . − Dove la → q è una funzione di (p, q) quindi ora abbiamo tutto in funzione di p e q !!! Nel casi particolari dove non si sono vincoli, l’hemiltoniana è definita come: H=T +V (3.18) (3.19) 3.1.1 Esempi ES.1 Data la Lagrangiana scrivere l’Hemiltoniana: L= .2 m .2 (x + y ) − v(x, y) 2 (3.20) so che per definizione: ∂L . . . = m x =⇒ x= x ∂ . . ∂L py = . = m y =⇒ y = ∂y px = px m py m (3.21) (3.22) Riscrivendo l’Hemiltoniana: 1 2 − − − H(→ p ,→ q)= (p + p2y ) + V (→ q) 2m x (3.23) ES.2 Data la Lagrangiana scrivere l’Hemiltoniana: L= 3.1.2 .2 m .2 (r +r2 θ ) − v(r) 2 (3.24) Nozioni di Geometria Differenziale Il significato che prendono le equzioni di hamilton in Geometria Differenziale è molto interessante e qui di seguito verrà riassunto in breve: 3.1. PRESENTAZIONE DELLE EQUAZIONI DI HAMILTON 33 . − Sia data M la mia varietà, sia qi → → v ∈ Tx M conosco bene il significato delle . qi allora avrò che: − pi qi ∈ R quindi ho che → v → Rn (3.25) la collezione delle pi ∈ V ∗ è nel duale di V, perchè le mi e p sono funzionali lineari, quindi le p stanno nello spazio duale tangente alla varietà M cioè: p ∈ Tx∗ M . A questo punto abbiamo che p e q sono in due spazi molto diversi ma ISOMORFI ! 3.1.3 Spazio delle fasi → − − Lo spazio delle fasi ( P , → q ) ∈ D ⊂ R2n quindi posso pensarlo come un vettore − − − nelle componenti p e q. Quindi definisco → x = (→ p ,→ q ). Lo spazio lo penso come une vettore bidimensionale di 2 spazi. Detto questo io potrei pesnare di riscrivere le equazioni di Helmilton in un modo più contratto ed elegante. Un modo potrebbe essere il seguente: Date le eq. di Hamilton: · · . ∂H =pi ∂qi ∂H . =q i ∂pi − (3.26) (3.27) posso notare che: → − grad(H) = ∇H = ∂H ∂p1 .. . ∂H ∂pn ∂H ∂q1 .. . ∂H ∂qn (3.28) Ma sono in ordine inverso ! Quindi per riordinare le componenti uso la matrice simplettica: 0 −Idn En = (3.29) Idn 0 in questo modo vedo che applicando la matrice simplettica al vettore grandiente ottengo che: ! . . ! . q p → − 0 −Idn → − . . x = E ◦ ∇H = = (3.30) q Idn 0 −p 3.1.4 Parentesi di Poisson Sia dato il funzionale lineare f : T ∗ M → R che definisce una mia osservabile − (o variabile dinamica), supponiamo che sia del tipo: f = f (→ q , t). Per passare subito ad un esempio concreto, immaginiamo che la mia funzione f descriva 34 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO l’energia interna del mio sistema meccanico. Questa grandezza sappiamo che è una costante del moto quindi se effettuiamo la derivata totale in funzione del tempo questa sarà zero: df ∂f ∂f → − = + → v =0 − dt ∂t ∂ x . ∂f ∂f i ∂f . p + + qi = 0 ∂t ∂pi ∂qi ∂f ∂H ∂f ∂f ∂H − i + =0 ∂t ∂qi ∂pi ∂p ∂qi (3.31) Definiamo parentesi di poisson la scrittura X ∂f ∂H ∂f ∂H {f, H} = − i ∂qi ∂pi ∂p ∂qi i (3.32) In generale prese due funzionali f e g usando la matrice simplettica otteniamo che la definzione delle parentesi di poisson è così definita: X ∂f ∂g ∂f ∂g − i {f, g} = = (∇x f ) En (∇x g) (3.33) ∂qi ∂pi ∂p ∂qi i Se ho una generica f : R × T ∗ M → R allora psoso scrivere: ∂f df = + {f, H} dt ∂t (3.34) Si può notare che questa legge è strettamente legata ai commutatori usati in meccanica quantistica.3 L’algebra delle parentesi di Poisson Alcune proprietà algebriche fondamentali delle parentesi di Poisson: 1. {f, g} = −{g, f } Antisimmetria; 2. {αf1 + βf2 , g} = α{f1 , g} + β{f2 , g} Bilinearità; 3. {f, g1 g2 } = {f, g1 }g2 + g1 {f, g2 } Regola di Leibnitz; 4. {{h, f }, g} + {{g, h}, f } + {{f, g}, h} = 0 Regola di Jacobi; Le proprietà 1 - 2 e 3 sono facilmentente verificabili, un po’ meno intuitiva è verificare la Regola di Jacobi. La regola di Jacobi ha un senso geometrico molto profondo, che qui di seguito cercheremo di illustrare. Con la scrittura: {g, f } 3 Una (3.35) definiozne veloce di commutatore è la seguente: [A, B] = AB − BA allora [A, B] è un commutatore e ho che df = {f, H}. Anche le parentesi di Poisson possono essere viste dt come dei commutatori, l’esempio del proiettore pulsazione e del proiettore posizione è banale, infatti definendo in questo modo un funzionale a cui è associta l’ennupla della pulsazione e . → → un secondo funzionale a cui è associata la cordianta, alla fine posso scrivere − x = {− x , H} 3.1. PRESENTAZIONE DELLE EQUAZIONI DI HAMILTON 35 mi sta ad indicare che ho il mio campo vettoriale f, nella direzione del campo vettoriale faccio la derivata direzione di g, quindi in poche parole, ottengo un − D→ v g. Ora con un teorema un po’ particolare ai geometria dfferenziale mostriamo che quanto detto è vero: Teorema:l’identità di Jacobi può essere riescritta come: − − − − D→ u D→ v h − D→ v D→ u h = {h, {f, g}} (3.36) − dove {h, {f, g}} = D→ wh (3.37) Dimostrazione. → − − · D→ u h = h u |∇hi = 2n X ui i=1 2n X ∂h ∂xi ∂h ∂xi i=1 ! ! 2 X X X X ∂ ∂ h ∂h ∂vi ∂h uk uk vi vi = + uk ∂xk ∂x ∂x ∂x ∂x i k i k ∂xi i → − − · D→ v h = h v |∇hi = − − · D→ vh= u D→ vi k − − · D→ v D→ uh = X k,i i,k 2 vk ui k,i X ∂ui ∂h ∂ h + vk ∂xk ∂xi ∂xk ∂xi h,i (3.38) Ora sottraggo e ottengo che: − − − − (D→ u D→ v − D→ v D→ u )h = z X X i k }| !{ ∂vi ∂ui ∂h uk − vk ∂xk ∂uk ∂xi (3.39) La scrittura tra parentesi graffa però è ben evidente che è un’operatore differenziale lungo una linea di campo diversa dalle due precendenti, quindi questo è un campo vettoriale diverso e poso traquillamente scrivere: ! X ∂vi ∂ui − uk = D→ (3.40) − vk wh ∂xk ∂uk k 3.1.5 Parentesi di poisson Fondamentali Per la descrizione delle equazioni del moto ci sono alcune parentesi di poisson fondamentali che vale la pena citare: • {qj , qj } = 0 ; • {qj , qk } = 0 ; • {pj , pk } = 0 ; • {qj , pk } = δj,k ; 36 3.2 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO Gruppi ad un parametro, Flussi Sia F lo spazio delle fasi di un relativo sistema meccanico riferito alle coordinate → − − − x = (→ p ,→ q ) sia assegnata l’Hamiltoniana H = H(x) le soluzioni di questa . − hamiltoniana saranno nella forma:→ x = E∇H quindi abbiamo le equazioni di hamilton: . . ∂H ∂H − → − e poi → p=− q= ∂p ∂q (3.41) . − − In generale possiamo scrivere che se f = f (→ p ,→ q ) allora f = {f, H}. Dati i parametri iniziali al variare del tempo i punti nello spaizo delle fasi F si spostano ma lo fanno con una trasformazione che può essere generalizzata in questo modo: Φt : F → F , (t ∈ R) (3.42) Al variaire di t in R abbiamo quindi una famiglia di trasformazioni rispetto ad un parametro (benappunto t), famiglia indotta dalle equazioni del moto individuate dall’Hamiltoniana. Quindi la mia Hamiltoniana mi genera una famiglia di flussi nello spazio delle fasi F Se l’Hamiltoniana è indipendente dal tempo allora nello spazio delle fasi i punti non ”fluiscono” da nessuna parte quindi è intuitivo capire che i flussi ad un parametro, se H è indipendente dal tempo rappresentano un gruppo cioè: Φt+s = Φs ◦ Φt dove Φ0 = Id cioè F MF (Φ 0 )=1 (3.43) in questo modo allora è evididente che fissata una Hamiltoniana H questa genera una famiglia di flussi ad un parametro, dallo spazio delle fasi in se stesso. Però io posso considerare anche una Variabile dinamica nello spazio delle fasi. Fissare una variabile dinamica vuol dire avere un funzionale G : F → R tale che mi definisce un moto, quindi una equazione differenziale del tipo: . → − x = E∇G (3.44) . . ∂G ∂G → − − q= e poi → p=− ∂p ∂q (3.45) da cui derivano: A questa G allora posso far corrisponedere un flusso: ΦtG : F → F (3.46) allora si definisce G come il generatore del gruppo ad un parametro di trasforamzioni ΦtG nello spazio delle fasi. 3.3 Trasformazioni canoniche - puntuali estese ...completare 3.4. IL MOTO DEL PENDOLO SFERICO 3.4 37 Il moto del pendolo sferico Il moto del pendelo sferico è molto semplice. Qui di seguito vedremo di eseguire un ritratto in fase del potenziale effettivo. Per prima cosa valutiamo i gradi di libertà del sistema meccanico in esame: VALUTAZIONI GRADI DI LIBERTA’: supponendo che il grave sia considerabile puntiforme allora avrà 3 gradi di libertà in R3 . L’unico vincolo che agisce è quello relativo al filo, abbiamo quindi un totale di 2 DoF . SCRIVERE LA LAGRANGIANA: Considerando un sistema meccanico fatto in questo modo, è utilissimo considerare la lagrangiana scritta in cordinate sferiche. T = .2 . 1 .2 m(r +r2 θ +r2 φ sin2 θ) 2 (3.47) ...completare 3.5 Problema di Keplero, Vettore di LaplaceRunge-Lenz In questa sezione vedremo come Keplero è riuscito ad ottenere le sue equazioni per stilare le effemeridi dei pianeti nonostante non conoscesse minimamente le equazioni del moto, infatti le equazioni del moto si devono a Newton che è posteriore a Keplero. Il metodo è molto interessante è si basa su una osservazione di Copernico: Il raggio vettore spazi, in tempi uguali, aree uguali. Vedremo come questa osservazione risulterà fondamentale nel determinare le equzaioni dell’orbita4 . Una prima osservazione interessante che possiamo fare sin da subito riguarda il mancato “scattering“ delle orbite. Perchè le orbite sono chiuse? Perchè sono delle ellissi? Rispondere alla prima domanda non è affatto semplice come si potrebbe pensare. Dire che le orbite sono chiuse vuol dire che abbiamo 4 costanti del moto. Le prime tre sono semplici ed è quelle che definiamo noi sin dall’inizio: E, l, θ poi c’è una costante del moto instrinseca che è il così detto VETTORE DI → − LAPLACE che viene denotato come: C Per prima cosa esplicitiamo la lagrangiana di un sistema sottoposto a forza centrale, abbiamo che: T = . . 1 m(r2 +r2 θ2 ), 2 V (x) = − k |r| 2r (3.48) scrivo la lagrangiana: L= 4 Trovare di θ . . k 1 m(r2 +r2 θ2 ) + 2 r 2 |r| (3.49) le equazioni dell’orbita vuol dire trovare una funzione che esprima r in funzione 38 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO scrivo le equzioni di Lagrange: ( d ∂L dt ∂ r. . . d r) = mr2 θ −∂r V (r) dt (m . . d ∂L d ∂L 2 dt ∂ θ. = dt (m r θ ) = 0 = ∂θ = = ∂L ∂r (3.50) Dalla conservazione del momento angolare mi esce direttamente un potenziale di rotazione: . . . m r2 θ= l0 =⇒θ= l0 mr2 (3.51) l02 mr3 (3.52) quindi l’eq. del moto viene: .. − m→ r = −∂r V (r) + Per trovare il potenziale di rotazione integro: Z l2 l2 − 0 3 dr = 0 2 + c mr 2mr (3.53) detto questo per trattare il problema di keplero avremo a che fare con una nostra Lagrangiana fatta in questoa modo: L= . 2 1 → k m− q + 2 |q| (3.54) . L’energia totoale mi da una informazione diretta sull r: l2 1 .2 k E= mr + 0 2 − 2 2mr |r| s 2 K l2 . r= E+ − m r 2mr2 (3.55) (3.56) A qeusto punto a Keplero non interessava più minimante sapere la legge di Newton, lui si basava sul fatto che: s dr dr dt mr2 2 K l2 = = E+ − (3.57) dθ dt dθ l m r 2mr2 separo le variabili e ottengo che: Z r r1 mr 2 l Z dr q 2 m E+ K r − l2 2mr 2 = θ dθ (3.58) θ0 Dalla risoluzione dell’integrale (La scittura è integrabilissima) e dopo numerosi arrangiamenti risulta che: r= P 1 + E cos(θ − θ0 ) (3.59) 3.5. PROBLEMA DI KEPLERO, VETTORE DI LAPLACE-RUNGE-LENZ39 2 C Dove P = ml K e E = K . Bisogna ora fare il conto per bene e capire in che modo l’orbita sia perfettaemnte determinata. Riguardo a questo fatto, l’unicoa proposta che ha senso fare è che ci sia, oltre a E, l, θ una quarta costante del moto che non stiamo considerando. Questa infatti è l’eccentricità o il vettore di Laplace che permette effettivamente di avere una panoramica completa sul tutto. Vediamo ora la sua formalizzazione matematica. Partendo dal presupposto che : .. − m→ q=− k → − 3 q |q| (3.60) Osserviamo come si muove il vettore radiale nel tempo:5 . . ! . . . . → − − q |q|2 − q(q· q ) q |q|2 − q × (q× q ) d q q q→ q = −q 3 = = = 3 3 dt |q| |q| |q| |q| |q| . = q |q|2 |q| 3 . q × (q× q ) − |q| 3 . = . . q q .. q × (q× q ) − = − q ×L (3.61) 3 |q| |q| |q| |6 Ora integro e ottengo che: d dt Kq . q − ×L = 0 |q| (3.62) Allora la quantità fra parentesi sarà una costante. Questa costante rappresenta la quarta integrante del moto cioè il vettore di Laplace-Lenz-Runge e la indico con C che identifica la posizione del mio corpo immerso in un campo di forza centrale. . kq → C= +− q ×L (3.63) |q| Considero ora C 2 : |7 . C 2 = K 2 + (q l)2 + 2kl2 = K2 + |q| m 2l 2kl2 (E − K/ |q|) + m m |q| = K2 + 2El2 m 2El2 (3.64) m Quindi ora partendo dalla definzione del vettore di Laplace-Runge-Lenz data nella formula 3.59 determiniamo l’orbita: . kq q ×L = C − (3.65) |q| C2 = K2 + . − Elevo tutto al quadrato, → q e L sono ortogonali quindi scrivo direttamente il prodotto trai moduli: . 2 q 2 l = C 2 + K 2 − 2KC cos θ K 2l2 (E − ) = C 2 + K 2 − 2KC cos θ m r 5 Derivata 6 Perchè del modulo: |q| = q |q|3 7 Tenendo .. . p p . q·q d q 2 =⇒ dt q 2 = − 21 · (q 2 )−3/2 · 2q· q = − |q| 3 =mq . . → presente che q(q ×L) = L(q× − q)= l2 m (3.66) 40 CAPITOLO 3. FORMALISMO HEMILTONIANO Ora ho θ in funzione di r, ho l’orbita: 2ml2 k 2lE 2 − = C2 + K2 − − 2KC cos θ r m ml2 C − =1− cos θ rk K (3.67) (3.68) Quindi chiamando p = ml2 /k e E = c/a ho che l’orbita è definita in questo modo: r= P 1 + E cos θ (3.69) Ora potrei verificare chq questa è veramente una ellissi. Per esempio riconrdandone la definizione geometrica posso scrivere che l’equazione di un’ellissi in forma canonica è: 1 (r2 + 4c2 − 4rc cos θ) 2 ± r = 2a (3.70) Quindi ottengo che: a2 − c2 = ±ar + r cos θ = ar(1 + rc cos θ) = ar(1 + E cos θ) ac (3.71) quindi posso scrivere una equazione per il semiasse ! E 2 = 1 + pE − K P = =a E 1 − E2 (3.72) Quindi osservo una cosa interessante, l’energia del corpo, (che sia una particella, un pianeta ecc..) determina la sua orbita perchè ho la seguente dipendenza: E = −K a . Molto interessante è descrivere l’orbita in funzione ai punti critici della stessa orbita quindi in funzione all’afelio e al perielio, infatti posso scrivere: 1 P P P = − =q (3.73) 1 − E2 2 1−E 1+E dove: perielio = 3.6 P 1−E mentre af elio = P 1+E Scattering particellare - L’esperimento di Rutherford ...scriverlo Capitolo 4 Principi variazionali Per capire questo dobbiamo effettuare un postulato. Da osservazioni sperimentali possiamo postulare che in natura, i movimenti avvengono su traiettorie per cui l’azione è la minima possibile. Il mio problema si complica, perchè avrò un funzionale definito nello spazio delle curve, che da valori in R quindi dovrò trovare dei metodi di analisi che mi permettano di minimizzare questo funzionale. Il mio funzionale L(γ) ha quindi questa apparenza: L(γ) : U → R (4.1) Il grande problema dell’analisi che è presente in questo tipo di oggetti è i fatto che dim(U) = ∞ quindi diventa difficile lavorarci. I primi principi di minima azione sono quelli di Fermat e Mopertius. Fermat lo aveva intuito per i cammini ottici, mentre Mopertius lo aveva postulato per la meccanica. Alla fine la soluzione di questo grande problema si ha con la stesura delle equazioni di Eulero − Lagrange. La legge della riflessione e le equazioni di Fresnel: Dimostrare la legge di riflessione cioè che: θi = θr (4.2) è molto semplice. Infatti si prede la congiungente della sorgente col punto virtuale riflesso del ”riflesso“, quel cammino ottico lo so minimizzare perchè sono 2 punti quindi basta che traccio un segmente, poi specchio tutto, ottenndo una banale ugualianza tra tutti gli angoli. Ugualmente semplice è dimostrare la legge di Fresnel infatti, una volta scritta la configurazione geometrica del sistema si deriva tutto e si mette a zero. Dal punto di vista dell meccanica il principio di Mopertius assume lo stesso valore di quello di Fermat. L’interpretazione può essere fatta con questo paragone: è come se ci fosse un indice di rifrazione del MOTO e questo sia equivalente a: p n(x) = E − V (x) (4.3) 41 42 4.1 CAPITOLO 4. PRINCIPI VARIAZIONALI Principio di minima azione di Hamilton Sia dato il nostro insieme dei funzionali U definito nel seguente modo: U = {q(t), t ∈ [t0 , t1 ] : q(t0 ) = q (0) , q(t1 ) = q 1 } Posso definire il concetto di azione: Z S[q(t)] = t1 (4.4) . − L(q, → q , t) (4.5) t0 Il principio di minima azione di Hamilton enuncia che i moti presenti in natura sono quelli che minimizzano l’AZIONE quindi il funzionale S[q(t)]. Si dimostra . − che il funzionale azione è minimizzato quando e solo quando L(q, → q , t) rappresentano una soluzione dell’ equazione di Eulero-Lagrange. Il punto complicato infatti è proprio ora dimostrare la classe di funzioni de annullano il funzionale. Trovare il minimo di questo operatore non è facile e richede un minimo di conti. Per essere effettivamente certi che il mio q(t) sia una funzione di minimo del mio funzionale prendo una qualsiasi Q(t) definita in U ad estremi fissati. Se q(t) è veramente un minimo allora ho che: S[Q(t)] − S[q(t)] ≥ 0 (4.6) Pensando di prendere la mia Q(t) = q(t) + h(t) allora posso scrivere: S[q(t) + h(t)] − S[q(t)] ≥ 0 (4.7) ma h(t) è una funzione a valori vettoriali definita in uno spazio ∞−dimensionale allora devo stare attento ma posso ugualmente sviluppare con taylor ottenendo: S[q(t) + h(t)] − S[q(t)] = S[q(t)] + δS[h(t)] − S[q(t)] + o(h2 ) = δS[h(t)] + o(h2 )(4.8) Definisco la quantità δS(h) VARIAZIONE. Per minimizzare l’azione, è intuitivo pensare che la condizione da impostare sia: δS[h(t)] = 0 ∀h ∈ U (4.9) Quindi ora usando la definizione del principio di minima azione dato da Hamilton posso scrivere: Z t1 Z t1 . . . → − → → − → − − − − S[q(t) + h(t)] − S[q(t)] = L( q + h , q + h , t)dt − L(→ q ,→ q , t)dt = t0 Z t1 = t0 t0 ∂L . . hi ∂ qi − ∂L hi dt + o(h2 ) ∂qi (4.10) La parte lineare dell’incremento è detta DIFFERENZIALE di S. Ora da come è stata scritta è facile notare che quella è proprio la tipica espressione della lagrangiana. Ora per integrare posso pensare di fare una piccola integrazione per prati e scrivere la prima parte dell’integrale come: Z t1 Z t1 ∂L . ∂L ∂L d ∂L ∂L t1 hi dt = hi dt = . hi − . hi |t0 − . hi − ∂qi dt ∂ qi ∂qi ∂ qi ∂ qi t0 t0 Z t1 d ∂L ∂L = pi hi |tt10 − hi dt (4.11) . − dt ∂q ∂ q i i t0 4.1. PRINCIPIO DI MINIMA AZIONE DI HAMILTON 43 In questo modo ho riscritto il tutto in una fomra contratta e ben distinta. Nella prima parte compaiono i termini che sono in funzione degli estremi, mentre l’integrale rispecchia la parte centrale della curva. Il minimo si ha quando sia le condizioni al bordo che quelle centrali si annullano. Ora risvrivo il risultato della 4.11 in forma variazionale: ! Z t1 ∂L d ∂L t1 → − → − → − (4.12) δS[q(t)] = p δ q |t0 − dt δ( q ) . − − dt ∂ → ∂q t0 q − Vedere che il δ(→ q ) ha valore nullo agli estremi è molto semplice1 . Sapendo questo, la prima parte della nostra variazione si annulla, rimane solo l’integrale. Dobbiamo decidere quando il nostro funzionale si annulla. Quindi dato un δ(q) il nostro integrale sarà zero quando si annulla: ∂L d ∂L =0 . − − dt ∂ → ∂q q (4.13) cioè quando le soluzioni di questa equazione differenziale sono le equazioni di Lagrange. L’integrale che ci fornisce l’equazione differenziale è il seguente: ! Z t1 ∂L d ∂L → − =0 (4.14) dt δ q . − − dt ∂ → ∂q t0 q questa è la formula di Eulero lagrange per i minimi dei funzionali. LEMMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE: Sia I = [t0 , t1 ] ⊂ R e sia f (t) ∈ C 0 su I esiste almeno una g(t) : g(t0 ) = g(t1 ) per cui: Z f (t)g(t) dt = 0 I allora si ha che: f (t) ≡ 0 q.o. in I (4.15) Dimostrazione. Supponiamo f (t) 6= 0 in I =⇒∃t̄ ∈ I : f (t̄) 6= 0 =⇒∃δ > 0 : ∀t ∈ [t̄ − δ, t̄ + delta] ho che f (t) > 0. Usando l’arbitrarietà di la scelgo in modo tale che: 0 se t ∈ / [t̄ − δ, t̄ + δ] g(t) = (4.16) > 0 se t ∈ [t̄ − δ, t̄ + δ] Z t1 Z f (t)g(t) = t0 f (t)g(t) > 0 Assurdo ! I è in contraddizione con l’ipotesi inziale , per cui l’integrale Z f (t)g(t) dt = 0 I quindi f ≡ 0 q.o. t ∈ I 1 Basta sviluppare al prim’ordine con taylor si semplifica tutto. (4.17) 44 CAPITOLO 4. PRINCIPI VARIAZIONALI Con il Lemma appena dimostreato possiamo verificare un teoremino sulle variazioni: TEOREMA: Se q(t) è stazionario allora soddisfa la condizione per cui: ∂L d ∂L − . =0 ∂qi dt ∂ qi (4.18) Dimostrazione. Se abbiamo la nostra azione: Z t1 X fi (t)gi (t) dt = 0 t0 (4.19) i − Dato questo funzionale se gli applico il vettore → v e poi mi metto nella condizione di cercare il suo nucleo allora ho che : − − hα|→ v i = 0 ∀→ v =⇒ α = 0 (4.20) ottengo l’equazione di un piano. Se impongo che sia nullo l’integrale 4.19 per ogni gi allora per il lemma precedentemnte dimostrato ho che le fi = 0 quindi ∂L d ∂L . si ottiene fi rappresentano il mio funzionale nucleo ponendo le fi = ∂q − dt ∂ qi i la proposizone da cui si è partiti. 4.1.1 Principio di Mopertius Se sostituisco queste espressione: . L = p q −E Z t1 S[γ] = t0 . (p q )dt − Z t1 pi Z ∂L . ∂ qi t1 E dt = t0 (4.21) . q (p ) dt − E(t1 − t0 ) (4.22) t0 Ora il problema si pone quando devo effettuare la variazione di questo funzio-. nale. Il buon senso ci suggerisce il fatto che se effettuiamo una variazione su q effettuiamo una variazione anche sull’energia interna del sistema meccanico, il che è in contraddizione con il principio di conservazione dell’energia, che ci fa pensare ad E = cost. Questo problema in realtà non sussiste, si verifica che una . variazione su q non incide su E vedremo ora di seguito, in dettaglio, i passaggi: r r √ √ √ . m m vdt = dl (4.23) p q = 2T = 2 T T so che: T dt = 2 2 se considero il funzionale: Z p Z A[γ] = E − V (x) dt sostituisco A[γ] = 2 γ t1 t0 Z √ √ √ T T = 2m x(t1 ) √ T dl x(t0 ) A[γ] lo posso quindi scrivere come: A[γ] = S[γ] + E(t1 − t0 ) Ora differenzio il mio funzionale A[γ] Z ∂L ∂L − . δA[γ] = δS + E(δt1 − δt0 ) = dt + (pδq − Eδt)|tt10 (4.24) ∂q q ∂ 4.2. SPAZIO DELLE FASI ESTESO 45 trovare quando si annulla questo funzionale è semplice, come detto prima devono annullarsi contemporaneamente la parte centrale della curva dato dall’integrale e le condizioni al bordo. L’unica soluzione ammissibile è la seguente: ∂L ∂L ∂q − ∂ q. = 0 (4.25) pδq − Eδt = 0 Le due parti sono indipendenti e quindi devono annullasrsi contemporaneamente. Ora viene spontaneo chiedersi se esiste un funzionale tale che minimizzato mi dia le equazioni di Hamilton. Questo funzionale esiste ed è il funzionale di Hamilton-Jacobi : Z t1 . S[γ] = p q −H(p, q, t) dt (4.26) t0 infatti scrivendo le equazioni di Eulero-Lagrange per il funzionle scritto:2 . d ∂ ∂ . p q −H(p, q, t) − . (p q −H(p, q, t)) = 0 ∂qi dt ∂ q . . ∂ ∂ d p q −H(p, q, t) − . (p q −H(p, q, t)) = 0 ∂pi dt ∂ p (4.27) ottendno in questo modo le equazioni di Hamilton: − 4.2 ∂H d − pi = 0 ∂qi dt . q− ∂H =0 ∂p (4.28) Spazio delle fasi esteso Lo spazio delle fasi esteso M̃ è definito come M̃ = T ∗ M × R in questo modo se èprendiamo il funzionale azione descritto nel seguente modo: Z t1 Z . → − − S= (p q −H) dt = p d→ q − Hdt (4.29) t0 γ Questa è la forma di Poincarè-Cartan, con l’integrale curvilineo di II o tipo. quindi sono nella situazione di poter scrivere una variazione del tipo: X → − − pi dqi − Hdt = Xdx fi (x)dxi = F d→ x (4.30) se ora effettuo un cambio di variabili e passo dalle q → Q avrò che: ai dQi + bi dPi + kdt1 + · · · E in generale il seguente differenziale non rappresenta più equazioni di Hamilton. Quindi effettuata una trasformazione generica, questa non è detto che 2 si ricorda che dato un funzionale A[γ] = per il funzionale sono le seguenti: ∂f ∂xi − “R d ∂f . dt ∂ x γ ” . f (x, x) dt le equazioni di Eulero-Lagrange =0 46 CAPITOLO 4. PRINCIPI VARIAZIONALI porti eq. di Hamilton in eq. di Hamilton. Se prendo del funzionale, l’azione ridotta: Z t1 Z t1 . q p dt = Ldt − E(t1 − t0 ) t0 (4.31) t0 come detto prcendnetemente le parti rappresentanti le condizioni al bordo e la parte interna dell’azione devono annullarsi contemporanemente. Questo è facile da dimsotrare con un semplice ragionamento intuitivo. Dimostrazione. Ammettiamo di dividere il percorso che separa il punto A dal Punto B3 in 3 parti, la prima: [A 7→ C],la seconda [C 7→ D] e la terza [D 7→ B] dove C e D sono due punti appartenenti al cammino che separa A da B con la condizione che D, C 6= A, B. Supponiamo che nel primo e nell’ultimo la curva venga scelta in modo che sia soluzione delle equazioni id lagrange, mentre nel pezzo intermedio, la curva venga scelta in modo tale che non soddisfi alle eq. di Lagrange. Ma se vado a minimizzare il funzionale, io so che posso rendere l’azione totale minima (data dalle 3 curve uscenti dai 3 funzionali differenti) se tutti e 3 sono minimi. A questo punto è facile ottenere la condizione di Lagrange anche sull’integrale intermedio, basta applicargli la regola di minimizzazione di Eulero-Lagrange. Lo spazio delle fasi esteso, sostanzialmente isomorfo a R3 × R4 non sembra avere una geometria ancora ben definita (infatti ho detto sostanzalmente isomorfo .. e non ISOMORFO). La definizione della geometria dello spazio delle fasi esteso è un argomento molto ocmplesso e rientra nella trattazione delle condizioni di Lie, strettamente collegate da un punto di vista della geometria differenziale alla trattazione geometrica dello spazio tramite la forma integrale di P oincar − Cartan Un esempio molto usato è quello della rappresentazione dell’oscillaotre armonico. Nello spazio delle fasi gli stadi di un oscillatore arminico sono rappresentati da cerchi concentrici. Nello spazio delle fasi esteso, deventi un elicoide arrotolato intorno all’asse dei tempi. Se prendiamo un cammino γ Z Z t1 Z S1 . . dq dt dt q q S = (p −H)dt = p dt − Hdt = p −H ds = dt ds ds γ t S0 Z Z 0 = pdq − Hdt = pdq − H(p, q, t)dt (4.32) γ γ considerando ora la trasformazione q = q(P, Q, t) e p = p(P, Q, t) sostituisco: ∂q ∂q ∂q pdq − Hdt = p(P, Q, t) dQ + dP + dt − H(P, Q, t) = ∂Q ∂P ∂t Z = Adq + Bdp + Cdt (4.33) γ Quindi se l’ultimo funzionale scritto soddisfa le equazioni di Eulero-Lagrange allora minimi vanno mandati in minimi, quindi eq. di Hamilton, (tramite la 3 dove A, B ∈ M̃ R3 × R al posto di scrivere R4 per mettere meglio in evidenza il fatto che c’è una parte spaziale rappresentata da R3 con l’aggiunta di una coordinate temporlare identificata dal cartesiano R 4 scrivo 4.2. SPAZIO DELLE FASI ESTESO 47 trasformazione q = q(P, Q, t) , p = p(P, Q, t)) vengono mandate in equazioni di Hamilton. La condizone risulta quindi essere: Z A[γ] = Adq + Bdp + Cdt = P dQ − Kdt (4.34) γ Dove K rappresenta la nuova Hamiltoniana nelle cordinate trasformate. Questa appena enunciata è la condizione di Lie per le trasformazioni canoniche In una forma più estesa la condizione di Lie per le trasformazioni canoniche viene spesso enunciata nel seguente modo: pdq − Hdt = P dQ − Kdt + dF (4.35) In questo modo si può notare che i flussi Hamiltoniani trattati nel capitolo 3.3 sono una trasformazione canonica e mandano le eq. di Hamiltonin in eq. di Hamilton. 48 CAPITOLO 4. PRINCIPI VARIAZIONALI Capitolo 5 Crisi della Fisica Classica 5.1 Formalismo matematico della Rielatività Ristretta e Generale Nella fisica classica la definizione di punto materiale viene data in funzioni ad una terna di assi cartesiani ortogonali orientati. La posizione di un punto è definita univocamente se al pèunto associo 3 coordinate metriche. Il concetto di cordinata nasce da quello di proiezione ortogonale della posizone del punto sui 3 assi orintati, in questo modo definiamo 3 cordinate spaziali che definiscono univocamente la posizione del mio punto in questo caso in un A ⊆ R3 . Solitamente le cordinate sono fuinzioni del tempo perchè di solito il punto materiale si muove nel mio spazio. Non si muove “a caso” ma lo fa seguendo rigorosamente le equazioni di Newton: .. . → − − → − m→ x = F (→ x,− x) (5.1) → − questo se nello spazio c’è un singolo punto, se ci sono N punti allora la F sarà una funzione così descritta: . . → − → − → − →, · · · , − −→ F = F (− x1 , x x→ 1 N , xN ) (5.2) Come visto dalla meccanica razionale, l’equazione di Newton ci fornisce anche tutte le derivate successive del moto.1 5.2 Riferimenti Localmente Inerziali Esempi tipici di sistemi soggetti a forze e per esempio questo: → − → − − Fi = m→ g + F (· · · ) (5.3) questa descrizione è quella tipica di una particella immersa in un campo gravitazionale (quindi soggetta alla forza peso) e soggetta anche ad un’altra forza (che può assumere forme variegate) che per esempio è provocata dall’iterazione della particella con altre N particelle presenti nel sistema. Lavorare con un 1 Che è utile se dobbiamo risolvere l’eq differeziale utilizzando gli sviluppi in serie 49 50 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA sistema di riferimento Localmente inerziale vuol dire che io posso trascurare per esempio, l’effetto della forza perso e quindi avere la possibilità di studiare con precisione le iterezioni tra le particelle. Detto questo non abbiamo ancora definito un sistema localmente inerziale però abbiamo l’idea che questa condizione è molto utile e vantaggiosa per studiare determinati effetti fisici. Def: definiamo riferimento localmente inerziale un riferimento in cui le forze esterne al sistema sono trascurabili, quindi e un ambiente in cui è FACILE produrre PUNTI IN QUIETE. Poi sui sistemi di riferimento localmente inerziali posso sviluppare tutto il formalismo matematico necessario per spiegare le notazioni di misura e più in generale tutte le proprietà geometriche interne del mio spazio. Quindi io definisco una geometria a posteriori dell’ipotesi che il mio sistema sia localmente inerziale.2 Poi in un secondo tempo posso prendere le mie propeirtà gemetriche locali e tentare di genralizzarle non più solo nel locale e allora si otterranno teorie più generali com ben appunto la Relatività Generale Einstaniana. Da un punto di vista classico, il nostro sistema di riferimento di assi cartesiani ortogonali rimane invariante per rotazione e traslazione, cioè anche se io cambio Origine e Basi del mio spazio vettoriale ho sempre (nelle fisica classica e sull’ipotesi di sistemi localmente inerziali) invarianza delle leggi fisiche3 questo non è più vero nella Meccanica Quantisica in cui se noi definiamo per esempio il moto di una particella in una terna cartesiana destra, se effettuiamo un cambio di coordinate mettendoci per esempio (con una simmetria assiale) in una terna cartesiana sinistra CADE LA SIMMETRIA PER PARITA’ !!!!!! Quindi bisogna fare attenzione, usando un esempio spinto ma interessante potremmo dire: la nostra particella in moto, vedendosi allo specchio non riconosce se stesso, non vede più la stessa particella, ma una antiparticella, e di questo ci si occuperà più avanti dopo aver definito i postulati della Meccanica Quantistica. 5.3 Geometria Affine di dimensione 3 Sia A l’insieme a cui voglio dare questo formalismo matematico sia V 3 spazio lineare su R di D=3; Voglio trovare il legame tra A e V 3 : Dati P1 eP2 ∈ A la coppia ordinata P1 P2 = v ∈ V 3 ; Dato P1 e V , è univocamente definito P2 Se aggiungiamo un punto ho le seguenti coppie ordinate: dati (P1 , P2 , P3 ) ∈ V 3 ho : P1 P2 , P2 P3 , P1 P3 ∈ V 3 (5.4) Tra le coppie posso stabilire delle relazioni di: 1)P1 P2 + P2 P3 = P1 P3 2)Con (P1 P1 = 0) =⇒ (P1 P2 + P2 P1 = 0) =⇒ (P1 P2 = −P2 P1 ) 3)Esiste l’elemento neutro v + 0 = v 4)Se prendo α ∈ R =⇒ (α1 + α2 )v = α1 v + α2 v 5)Se α = 0 =⇒ αv = 0 Quindi se valgono queste ipotesi allora ho uno spazio lineare 4 Il fatto che lo spazio lineare sia di dimensione D = 3 vuol dire che esiste una base di vettori linearmente indipendenti: 2 Tipico esempio della relatività ristretta Galileiane 4 controllare se sulla sua dispensa ne mette altre. 3 Trasformazioni 5.3. GEOMETRIA AFFINE DI DIMENSIONE 3 51 Data la nostra base e1 , e2 , e3 ogni elemento di v può essere come combinazione lineare delle basi: v = v 1 e1 + v 2 e2 + v 3 e3 (5.5) dove (v 1 , v 2 , v 3 ) sono le coordinate di v nella base (e1 , e2 , e3 ) La notazione delal coordinata all’esponente può inizialmente trarre in inganno, ma si vedrà che quando si defineranno strumenti algebrici più complicati, questa notazione di indici sarà molto conveninete. In più possiamo dire che esiste il prodotto scalare hv1 |v2 i è: -)Bilineare rispetto al termine di destra e sinistra; -)Simmetrico hv1 |v2 i = hv2 |v1 i; -)Definito positivo: hv|vi ≥ 0 e ho che hv|vi = 0 ⇐⇒ v = 0 Se il nostro spazio è generato da 3 basi qualunque allora abbiamo che il prodotto scalare è definitoPin questo modo: P3 3 dati due vettori: v1 = 1 v1h eh e un secondo vettore: v2 = 1 v2h eh con eh ∈ V e V1h ∈ R allora ho che: hv1 |v2 i = 3 X v1h v2k heh |ek i (5.6) h,k=1 Dove heh |ek i = gh,k = (G)h,k è il tensore metrico di rango 2. Dato che il prodocco scalare è definito positivo, il tensore rappresenta una matricie simmetrica quindi: X (gh,k = gk,h ) =⇒ v h gh,k v h ≥ 0 ed è zero ⇐⇒ v = 0 (5.7) h,k Una matrice simmetrica ha autovalori positivi, quindi det(G) 6= 0 Però io posso scegliere delle basi del mio spazio che sono in un qualche modo più convenienti delle altre, per esempio se le basi in gioco sono vettori linermente indipendenti ortonormali allora ho che la mia definizio dei prodotto scalare si semplifica parecchio perchè il tensore metrico diventa la delta di kronecker quindi ho che: 1 0 0 heh |ek i = gh,k = δh,k =⇒ G = 0 1 0 = Id (5.8) 0 0 1 Definiamo ora per bene origine distanza dei punti del nostro spazio: Sia O l’origine del nostro sistema di assi ortogonali, se prendo la coppia: OP ∈ V 3 =⇒ OP = 3 X xh eh (5.9) h=1 xh è la cordinata del punto P rispetto alla base scelta. Se prendo due punti P1 P2 allora posso definire la distanza tra P1 e P2 la seguente scrittura: p hP1 P2 |P1 P2 i ≥ 0 (5.10) 52 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Scrivendo in forma esplicita la cosa: P1 P2 = P1 O + OP2 = OP2 − OP1 = 3 X (xh2 − xh1 )eh (5.11) h allora sostituendo nell’espressionae trovata precednetemente di prodotto scalare ho che: X (xh2 − xh1 )gh,k (xh2 − xh1 ) (5.12) h,k Banalmente se la base è ortonormale abbiamo che: il tensore metrico corrisponde alla delta di kronecker, quindi diventa balmente la norma euclidea: 2 d(P1 , P2 )2 = ||P1 P2 || = 3 X (xh2 − xh1 )2 (5.13) h,k Ora cambiando base e sistema di riferimento, tutto dovrebbe rimanere più o meno invariato, tranne le cordinate dei nostri punti. Però dovrebbe essere semplice trovare un formalismo matematico per passare dalla visione dei punti nel primo spazio, alla visione dei punti nel secondo spazio. Nel secondo spazio le basi del primo spazio le vedo come combinazioni lineari delle nuove basi: e0h = 3 X γhl el (5.14) l=1 Questo è un tipico cambio di base dove le coordinate γhl rappresentano gli elementi di una matrice (Γ) il cui determinate deve essere 6= 0 in quanto deve essere una trasformazione invertibile. Tra breve vedremo anche che il gruppo delle matrici invertibili rappresenta un Gruppo. Le coordinate del vecchio riferimento, viste nel nuovo sistema saranno: 3 X bl e l (5.15) l=1 Ora determino le cordinate punto P, nel nuovo sistema di riferimento: O0 P = O0 O + OP = OP − OO0 = † (5.16) La forma di OO’ so come è fatta, ma OP ce l’ho nelle vecchie cordinate, quindi devo espire tutto nelle nuove: 3 3 X X (Γ−1 )l,k e0h = (Γ−1 )l,k (Γ)h,k ek = el 1 1 OP = 3 X xl el = 1 3 X xl (Γ−1 )l,h e0h (5.17) l,h=1 Riprendendo la parte sopra: †= 3 X h=1 −bh e0h + 3 X l,h=1 l −1 x (Γ )l,h e0h = " X X h l # l −1 x (Γ h )l,k − b e0h (5.18) 5.3. GEOMETRIA AFFINE DI DIMENSIONE 3 Quindi ho trovato le mie nuove coordinate!! X X x0h = xl (Γ−1 )l,h − bh = l t (Γ−1 )h,l xl − bh 53 (5.19) l Cambierà anche il tensore metrico: 0 gh,k = he0h |e0k i = X γhl hel |ef iγkf (5.20) lf In modo compatto ho che: G0 = ΓG t Γ (5.21) Prendiamo la terna cartesiana ortogonale abbiamo che: Id = ΓΓt (5.22) la soluzione di questa equzione è: det(Id) = det(ΓΓt ) = det(Γ)2 =⇒ det(Γ) = ±1 (5.23) Quindi le possibili trasformazioni hanno determinante o 1 o -1. Le trasformazioni con det = 1 sono dette rotqazioni e tutte le matrici di questo tipo formaun un gruppo: SO3 Tutte le matrici con det=-1 che soddisfinino la contizione 1.22 sono dette Riflessioni. Esempio: Trovare la matrice R ∈ SO3 che soddisfa la seguente condizione: deve descrivere una rotazione in senso orario degli assi e1 ed e2 intorno all’asse e3 di un angolo α: cos α − sin α 0 (5.24) R(α) = sin α cos α 0 0 0 1 Da cui èp semplice trovare la matrice associata alle cordinate per α piccoli perchè le funzioni trigonometriche si semplificano parecchio 0 −1 0 Id + α 1 0 0 (5.25) 0 0 0 Questa formalizzazione matematica infatti sottolinea le difficoltà che si hanno a passare da una terna destra ad una terna sinistra. Questo discorso generico peròcon contempla la possibilità che i punti si possano muovere nello spazio quindi il formalismo ora introdotto va leggermente complicato in modo da far rientrare nelle cordinate che descrivono il nostro punto, anche una cordinata temporale. Questo problema è necessario risolverlo sin da subito perchè se abbiamo 2 sistemi localmente inerziali e da un sistema osserviamo i punti dell’altro li vediamo muoversi, in particolare si muovono di moto rettilineo uniforme. Quindi è necessario descrivere sin da subito il nostro punto nel tempo. Per avere un sistema omogeneo sulla cordinata temporale, devo avere orologi distribuiti nello spazio che siano sincoronizzati tra loro. Ma la condizione di sincronismo è come potremo vedere nella relatività Einstaniana è un concetto del tutto astratto, questa condizione non si può mai raggiungere. 54 5.4 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Luogo degli eventi Se consideriamo per semplicità di notazione: xo = ct (5.26) allora abbiamo anche la quarta cordianta temporale. I nostri punti ora sono definiti da un formalismo matematico che nelle cordinate di identificazione tiene conto anche della cordinata temporale. Il luogo degli eventi quindi, lo spazio-tempo assume dunque questa forma: (x0 − x0 )2 − 3 X (xh − xh ) = 0 (5.27) h=1 con x0 > x0 (5.28) Ora aggiungiamodelle specifiche temporali alla costruzione euclidea dello spazio. Quindi dobbiamo prendere la terna cartesiana + 1 oraologio. In tutti i sistemi di riferimento localmente inerziali però c’è una cosa comune, che servì per ispirare una metrica comune. La velocità della luce c è uguale in ogni sistema di riferimento localmente inerziale a cui noi facciam benappunto riferimento. Quindi ho una notazione di musura che mi viene suggerita dal campo elettromagnetico, infatti se so che la propagazione di un’onda elettromagnetica avviene per mezzo di una perturbazione oscillatoria ortogonale di un campo elettrico e di un campo magnetico, allora posso prendere come riferimento questo numero di oscillazioni, e quindi definire delle lunghezze d’onda ecc... Ora però bisogna costruire tutta la geometria affine per un campo a 4 dimensioni,definire le basi, definire la matrice associata al prodotto scalare, definire il tensore metrico e tutte le nozioni di distanza. Un particolare di cui bisonga tener conto ed è di fondamentale importanza è che per il caso a 3 dimensioni il prodotto scalare che era definito era definito positivo e non degenere. Questo mi rendeva invariante lo spazio perrotazione, inversione, e traslazione. Questo non posso più accettarlo in una descrizione dello spazio-tempo la cordianta temporale deve in un qualche modo staccarsi dalle altre e risaltare maggiormente. Per fare quasto prendo il prodotto scalare che avevo in R3 con tutte le proprietà a meno della sua positività. Il prodotto scalare è non degenere, quindi tutti i suoi autovalori sono diversi da zero, e ragiono sulla segnatura del prodotto scalare. Ragionare sulla segnatura vuol dire ragionare sui segni degli autovalori. Se la segnatura della mia matrice associata è del tipo: (+, −, −, −) allora assegndo per esempio il simbolo + all’autovalore che mi descrive il tempo e il segno meno agli autovalori della terna cartesiana, in qusto modo ho una stuttura di spazio tempo in cui gli assi cartesiani risultano ancora omognei tra di loro e la cordianta temporale risulta ben distinta dal tutto. quindi selgo gli assi in questo modo: he0 |e0 i = 1 heh |ek i = −δh,k con h = k 6= 0 (5.29) 5.4. LUOGO DEGLI EVENTI 55 In altri posti abbiamo tutti zero e la matrice è diagonale. Quindi la matrice associata al tensore metrico sarà: 1 0 0 0 0 −1 0 0 G0 = 0 0 −1 0 0 0 0 −1 (5.30) Definisco il tensore metrico come: (G)µ,ν = heµ |eν i = gµ,ν La matrice metrica quindi può essere acneh scritta come: 1 0 G0 = 0 −I (5.31) (5.32) se effettuo un cambio di base: e0µ = 3 X γµν eν (5.33) 0 Quindi se chiamo con Γ la matrice di cambio di base avrò che: G0 = ΓGΓt (5.34) Ma se partiamo da una base lonrentziana allora vogliamo che la matriche G soddisfi la seguente scrittura: G0 = ΓG0 Γt (5.35) Le matrici che soddisfano questa proprietà formano il gruppo di Lorentz. il mio punto P rispetto ad O avrò questa forma: X OP = xµ eµ (5.36) µ mentre se cambio cordinate e mi metto in O’ avrò che il mio punto P avrà queste cordinate (effettuo un cambio di base). I conti sono identici a quelli visti per caso a tre dimensioni, quindi possimao scrivere subito il risutato che sarà: O0 P = 3 X x0µ eµ (5.37) aµν xν − bµ (5.38) µ=0 quindi: x 0µ = 3 X ν=0 la distanza tra i due cnetri è sempre la solita: X OO0 = bµ eµ µ (5.39) 56 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA e la mia matrice A di cambio di base sarà: (A)µ,ν = aµν =⇒ A = (Γ−1 )t = (Γt )−1 (5.40) è simmetrica, diagonale e ha un sacco di proprietà. la matrice G0 è simmetia cquindi abbiamo anche che: G0 = (G0 )−1 . Da questo risulta semplice dimostrare che: AG0 At = G0 =⇒ A−1 (G0 )−1 (At )−1 = G0 =⇒ moltiplico per A e At G0 = AG0 At ma det G0 = 1 e det A = det At =⇒ (det A)2 = 1 =⇒ det A = ±1 quindi le matrici di cabio di base che sono ammesse per effettuare cabiamenti di coordinate lorentziani sono quelli con determiante ±1 in particolare noi considereremo le matrici A strutturate in questo modo A= 1 0 0 R (5.41) Dove A è una matrice 4×4 e R rappresenta il gruppo delle rotazioni. Le matrici di questo tipo definiscono il gruppo proprio delle trasformazioni di Lorentz. In particolare si considereranno le matrici con queste caratteristiche: det A = 1 A0,0 ≥ 1 (5.42) Da qui nascono le trasformate di lorentz infatti: Dimostrazione: Trascrivendo le trasformazioni di Lorentz speciali lungo l’asse x1 si ottiene che: 00 x = a00 x0 + a01 x1 01 x = a10 x0 + a11 x1 0 x 2 = x2 0 x 3 = x3 (5.43) a1 0 riscrvimo la seconda equazione: x 1 = a11 [x1 −w∼ x0 ] sistituendo con w∼ = − a10 1 da cui : a10 = −w∼ a11 sapendo che: α) (a00 )2 − (a01 )2 = 1 (5.44) β) (a10 )2 − (a11 )2 = (a00 a10 ) − (a01 a11 ) −1 (5.45) =0 (5.46) γ) ±1 dalla α segue che a00 = √1−w dato che consideriamo le trasfomate proprie di ∼2 lorentz quindi con A0,0 ≥ 1 escludiamo la soluzione col meno. Da considerazioni 5.4. LUOGO DEGLI EVENTI 57 simili si ottiene che: 1 1 − w∼2 −w∼ a01 = √ 1 − w∼2 1 a11 = √ 1 − w∼2 −w∼ a11 = √ 1 − w∼2 a00 = √ (5.47) (5.48) (5.49) (5.50) Si nota subito che la matriche è simmetrica e sostituendo nel sistema precedente di trasformazioni abbiamo le prime trasformazioni di Lorentz che descrivono i passaggi di corrdiante “SPECIALI” cioè solo quelli lingo l’asse x1 : x00 = √ 1 [x0 − w∼ x1 ] 1 − w∼2 x01 = √ 1 [−w∼ x0 + x1 ] 1 − w∼2 (5.51) tenendo conto che x0 è la cordinata temporale descritta nel seguente modo: x0 = ct si possono scrivere le trasformazioni di Lorentz in un modo decisamente più fisico: x0 = q 1 1− [x − wt] w2 c2 t0 = q 1 1− [t − w w2 c2 x ] c2 (5.52) poi gli altri assi non vengono toccati quindi abbiamo che: y0 = y z0 = z (5.53) Quindi se consideriamo due sistemi di riferimeno il primo in moto relativo − rispetto al secondo di M.R.U. con velotià → v allora ottengo il risultato notevole che l’orologio in moto rimane “indietro” rispetto a quello in queiete. Infatti riprendo la parte della trasfozione di lorentz rigurdante la cordinata temporale abbiamop proprio che i due tempi si trasformano nel seguente modo: 1 t0 = q 1− [t − w w2 c2 x ] c2 (5.54) quindi abbiamo un coefficiente di contrazione temporale che possiamo scrivere come: τ0 (5.55) τw = q 2 1 − wc2 infatti la cordinata temporale xo subisce una trasformazione del tipo: r w2 x0 = 1 − 2 · x00 c (5.56) Efetti direttaemnte misurabili della verità delle trasformate di Lorentz è la radiazione cosmica. Infatti noi sappiamo che la terra è continuamente “bombardata” da particelle cosmiche (che arrivano da molto lontano) quindi sono 58 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA particelle stabili come protoni ed elettroni, che a contatto con l’altmosfera si eccitano e danno vita a nuovi tipi di particelle, i pioni (π − ) un pione ha una vita media di decadimento molto breve e decade in un muone e in un antineutrino (il netrino salta fuori dalla conservazione dello spin). π − → µ− + νµ (5.57) i muoni a loro volta sono particelle con una vita media molto breve e tendono a decadere in un protone + un elettrono + un antineutrino legato alla formazione dell’elettrone. µ− → p + e− + νe (5.58) Queste particelle cosmiche viagginao a velocità che sono frazioni di c addiritc tura arrivano anche a 10 quindi sono velocità estrememente alte. Ovvimente per un riferimento centrato sul pione (o sul muone), noi siamo un sistema di riferimento localmente ineriziale e lui rispetto a noi è in moto di M.R.U. quindi la sua percezione spaziale si contrae e la nosta percezione temporale (nel suo riferimento) si DILATA ! Questo fa si che il muone arrivi sano e salvo a terra prima di decadere nelle suoi prodotti di decadimento. Si può banalmente dimostrare che due sistemi in moto tra loro di M.R.U. non mantegnono inalterata una trasformazione per traslazione: in praticolare le figure geomtriche non sono una conservante. x0 − w x1 x00 = q c 2 1 − wc2 x1 − w x0 x01 = q c 2 1 − wc2 (5.59) − In R avrò il mio x0 e il mio → x fissato; − In R’ avro il mio x’0 e poi le compoenti di → x avranno l’espressione tipica della trasformata di Lorentz. se esprimo le cordinate del mio punto in R’ in funzione dix0 ottengo che: r w w2 0 So che: x = 1 − 2 x00 + x1 sostituisco in x01 : c c q 2 ! r x1 − wc 1 − wc2 x00 + wc x1 w2 w 01 q x = = 1 − 2 x1 − x00 (5.60) 2 c c 1 − wc2 Posso definire una metrica e ottengo un risultato molto interessante: − Siano A e B due punti con x0 e → x ben definiti e fissati in R. In R’ si avrà che il punto e descritto dalle coordinate uscenti dalle trasformazioni Lorentz. 21 w2 0 1 1 2 2 2 2 3 3 2 d (A, B) = 1 − 2 (xA − xB ) + (xA − xB ) + (xA − xB ) (5.61) c 2 Ma il coefficiente 1 − wc2 è sempre minore di 1 !!!!! Quindi abbiamo una disugualinza importantissima: d0 (A, B) < d(A, B) (5.62) Le distanze, NON SI CONSERVANO, le figure geometriche euclidee non sono più invarianti nelle trasformazioni di Lorentz passando da un sistema di riferimento localmente inerziale all’altro. 5.5. LA MECCANICA RELATIVISTICA 5.5 59 La meccanica relativistica Definito il formalismo matematico e definiti i concetti di misura e prodotto scalare, possimao ora pensare a ricostruire la meccanica newtoniana in questo spazio, quindi definire le tetravelocit e le tetraaccelerazioni. Consideriamo sempre il nostro punto materiale in R e conmsideriamo l’incrementino nelle sue cordinate: d dx0 = cdt (5.63) dxh = xh dt dt − allora definiamo il nostro vettore → v come: d− → − x (t) (5.64) v (t) = → dt quindi la distanza tra due “eventi“ intesi come elementi dello spazio tempo, sarà: X − ds2 = c2 dt2 − (dxh )2 = dt2 (c2 − → v (t)2 ) (5.65) h Questo è valido se il sitema di riferimento è stato preso con basi lorentziane, altirmenti con basi generiche, compare in più solo il termine del tensore metrico (che in questo caso, non sarà più δi,k ) X ds2 = gµν dxµ dxν (5.66) µ,ν per trovare il ds ora basta integrare. Nel caso di basi lorentiane l’espressione è particolarmente semplice: q − v 2 (t) ds = dt c2 − → Z t q − v 2 (t) (5.67) s(t) = dt0 c2 − → 0 Per un qualsiasi tipo di riferimento avrò che: Z tX s(t) = gµν dxµ dxν (ma non manca qualche radice ?????) 0 (5.68) µ,ν Un’altra definizione importante che si introduce nella meccanica relativistica è il concetto di tempo proprio (o tempo invariante). Lo definiamo in questo modo: Z tr → − s(t) v 2 (t) τ (t) = = 1− (5.69) c c2 0 Da questa relazione notiamo infatti che τ (t) < t e bhe banalmente abbiamo che: τ (0) = 0 Ora posso quindi definire una VELOCITA’ A 4 componenti e UNA ACCELERAZIONE A 4 componenti!!! perchè rimetto tutto in funzione al tempo proprio. d µ x (τ ) = uµ (τ ) dτ d2 µ x (τ ) = aµ (τ ) dτ 2 (5.70) (5.71) 60 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Per punto in muovimento ho che: X dxµ dOPτ = eµ (τ ) dτ dt µ La le cordiante trasformate nel mio sistema riferimento saranno: X x0µ = aµν xν − bµ → Tetravettori X x0µ (τ ) = aµν xν (τ ) − bµ X dx0µ (τ ) X µ dxν = aν (τ ) = aµν uν u0µ (τ ) = dτ dt (5.72) (5.73) 1 5.6 Definizione di lunghezza e tempo proprio in V4 La nozione di lunghezza che ci viene suggerita dal prodotto scalare definito dal formalismo matematico in V 4 è la seguente: Z tp p ds = dt c2 − v 2 (t) da cui: S(t) = c2 − v 2 (t) dt (5.74) 0 Posso anche definire un tempo proprio a cui riportare tutti i miei tetravettori: Z tr S(t) v 2 (t) τ= = 1 − 2 dt (5.75) c c 0 In questo modo definisco la tetravelocità: dxµ = uµ (τ ) dτ (5.76) d2 xµ = aµ (τ ) dτ 2 (5.77) e la tetraaccelerazione: Osserviamo ad una trasformazione del sistema di assi come variano le componenti della tetravelocità. In primis bisogna notare che il sistema di coordinate al variaire del riferimento in funzione del tempo questo si trasforma con l’usuale matrice di trasformazione con la sola differenza che le componenti sono in funzione del tempo proprio. · x0µ (τ ) = aµν xν (τ ) − bµ (5.78) · La tetravelocità varierà con la stessa legge: · u0µ (τ ) = aµν uν Esplicitando le componenti della tetravelocità: µ dx (τ ) dxµ (τ ) dt dxµ (τ ) 1 µ u (τ ) = = = =† dτ dt dτ dt dτ τ =τ (t) dt (5.79) (5.80) 5.6. DEFINIZIONE DI LUNGHEZZA E TEMPO PROPRIO IN V 4 61 ma sappiamo bene per come è definito il tempo proprio che: t Z dt0 τ (t) = 0 p p dτ 1 − v 2 /c2 =⇒ = 1 − v 2 /c2 dt (5.81) Quindi sostituendo: †= dxµ (τ ) 1 q 2 dt 1 − v c(t) 2 (5.82) esplicitando le componenti: 0 dx (τ ) 0 u = (τ =τ (t)) dτ uh (t) = = τ =τ (t) h q c 2 1− vc2 qv 2 1− vc2 (5.83) La condizione che esce dal prodotto scalare è la seguente e vedremo che nelle successive trattazioni tornerà molto utile: hu|ui = (u0 )2 − 3 X (uh )2 = c2 (5.84) h=1 e come visto prima se le trasformazioni che si fanno sono di tipo lorentziano, le componenti della tetravelocità e della tetraposizione si trasformano seguendo la tipica legge di un cambio di base. 5.6.1 momento - quantità di moto - energia Lo studio in dettaglio delle compomenti del tetravettore quantità di moto è molto importante perchè dalla definizione della tetraquantità di moto ricavo tutte le espressioni legate all’energia di una particella di massa m 6= 0 ma anche poi vedremo che definiremo anche una quantità di energia e una quantità di moto per particelle di m=0, il che sembra del tutto insensato, ma prende senso nel formalismo postulatorio della meccanica relativistica, e successivamente nella meccanca quantistica di Schrodinger, Heisemberg e Dirac. Notiamo subito che definendo il tetramomento in questo modo: pµ = m uµ (5.85) per le proprietà di bilinearità del prodotto scalare, una condiuzione notevole che risulta subito è la seguente: hp|pi = m2 c2 (5.86) Questo ci permette di capire eventuali legami tra le varie componneti del tetramomento: 2 − (p0 )2 − |→ p | = m2 c2 (5.87) 62 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Quindi la componente temporale del tetramomento è legata al modulo delle sue componenti spaziali come:5 q mc 2 − 0 p | + m2 c2 = q p = |→ (5.88) 2 1 − vc2 5.6.2 Le equazioni del Moto Avendo il tetramomento è ora semplice calcolarci le componenti della tetraforza e quindi scrivere un’equazione di newton relativistica: duµτ = f µ (x, u) (5.89) dτ anche la tetraforza si trasforma con la solita matrice di trasformazione di lorentz: m f 0 = µ = aµν f ν (x, u) (5.90) Sfruttando la linearità dell’operazione di derivazione e la bilinearità del prodotto scalare otteniamo un risultato interessante: Dato che: huτ |uτ i = c2 allora questo implica che: d d huτ |uτ i = 0 = h uτ |uτ i = hfτ |uτ i = 0 (5.91) dt dt Quindi ottengo il risultato notevole che le componenti della tetraforza e della tetravelocità sono mutualmente ortogonali. Se le componeneti sono mutualmente ortogonali allora possiamo dire che la tetraforza è ortogonale alla tetravelocità e in generale diciamo che hfτ |uτ i = 0 Esplicitando il conto ottengo la relazione tra le compomenti della tetraforza: hf |uτ i = f 0 u0 − 3 X f h uhτ = 0 (5.92) h=1 sapendo che : u0 = p c 1 − v 2 /c2 e poi uh = p vh 1 − v 2 /c2 (5.93) questo implica che: 0 f = X f h vh q 2 c 1 − vc2 r 1− → − → v2 f ·− v 0 =⇒ f = 2 c c (5.94) La legge di trasformazione della tetraforza è sempre la solita legata al cambio base: f 0 µ = aµν f ν (x, u) (5.95) 0 La f dipende dalla velocità quindi ache tutte le altre compoennti dipenderanno − dalla velocità → v 5 In 0 verità nella trattazione q˛ ˛ manca una parte quella legata al fatto che p dal punto di vista 2 − → algebrico non è solo ˛ p ˛ + m2 c2 ma ci può essere anche un segno negativo e avere una q˛ ˛ 2 → forma del tipo: p0 = − ˛− p ˛ + m2 c2 questo risultato viene usato in meccanica quantistica per spiegare e trattare tutta la teoria sulle antiparticelle, cioè particelle di massa negativa. 5.6. DEFINIZIONE DI LUNGHEZZA E TEMPO PROPRIO IN V 4 5.6.3 63 ENERGIA: Il tetramomento da qunto detto fin’ora è quindi definito come: mc 0 p = q1− v2 c2 h p = h qmv 2 1− vc2 (5.96) − Se ho → p del mio punto materiale riesco a risalire alla velocità? Si perchè: X hu|ui = c2 =⇒ hp|pi = m2 c2 =⇒ (p0 )2 = m2 c2 + (ph )2 (5.97) L’energia è qundi definita come: r o E = cp = mc 2 1+ − |→ p| m2 c2 (5.98) Per il caso Non relativistico posso pensare che√|v| c cioè |p| mc quindi l’argomento della radice posso pensarlo come un 1 + E quindi sviluppabile in serie di Taylor: " !# 2 4 4 1 |p| 1 |p| |p| 2 E = mc 1 + − +o (5.99) 2 m2 c2 8 m4 c4 m4 c4 Cioè che mi interessano sono le variazioni di energia quindi il termine con mc2 si toglie e rimane la solita espressione dell’energia cinetica che ben conosciamo: ∆E = 1 − 2 1 |p| =⇒ m |→ v| 2m 2 (5.100) Ma se noi siamo interessati alla dinamica per esempio del campo elettromagnetico, allora siamo costretti a pensare di dover lavorare con oggetti la cui massa ha valore nullo. Se condiseriamo m = 0 possiamo facilmente vedere che non possiamo più metterci in una condizione non relativistica perchè l’unica velocità accessibile per oggetti di questo tipo è solo c. m = 0 =⇒ hp|pi = 0 (5.101) allora il tetramomento vrà diverse distinzioni in funzione a hu|ui: • Se hu|ui > 0 abbiamo un tetramomento di tipo TEMPO; • Se hu|ui = 0 abbiamo un tetramomento di tipo LUCE; • Se hu|ui = 0 abbiamo un tetramomento di tipo SPAZIO; − e abbiamo sempre che se p x0 = 0 =⇒hx|xi = − |→ x | < 0. → − o 2 2 2 Se m = 0 p = | p | E = c px + py + pz → − p quindi l’unica velocità accessibile − p| |→ per una particelal di massa nulla è c Se ho un vettore di tipo tempo tale che hu|ui > 0 riesco a trovare una trasformazione di lorentz tale che mi annulli tutte le componenti spaziali? Si è possibile Da cui ottengo insesorabilmente: v = c hu|ui > 0 tale che u0k = 0 hu|ui = (u0 )2 (5.102) 64 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Altro torema importante per i vettori di tipo spazio è il seguente: TEOREMA: ∃ semplre una trasformazione di Lorentz (A)µν tale che un tetravettore di tipo spazio si possa scrivere come : → − 2 hu|ui < 0 ottengo che u00 = 0 hu|ui = − p0 (5.103) per un teetravettore di tipo Luce con m>0 posso effetturare le usuali trasformazioni di Lorentz per esempio per mettermi nelle condizioni in cui: → − → − E (A)µν : p0 = 0 v 0 = 0 p00 = c (5.104) la trasformazione è semplice. Ma se m=0,on riesco più a trovare una condizione del genere. la mia particella, non è in quiete rispetto a nessun sistema di riferimento ma ha sempre velocità c. 5.6.4 La struttura della Tetraforza Analizzando la struttura della tetraforza possiamo notare che: dpµ = f µ hf |ui = 0 ⇐⇒ hu|ui = c2 dτ (5.105) Quello che ci proponiamo di fare è di analizzare il legame tra tra tetraforza e la velocità, supponiamo che ci sia un legame lineare, poi si potrà notare che questo tipo di legame è l’unico che mantiene il formalismo Lagrangiano. Siano u, f ∈ V 4 studiamo la famiglia degli isomorfismi :V 4 → V 4 . Assegnata una base {eµ } di V 4 le applicazioni lineari saranno: F (eν ) = Fνµ eµ (5.106) F (u) = uν F (eν ) = uν Fνµ eµ =⇒ F (u)µ = uν Fνµ (5.107) se prendo un u ∈ V 4 : Se effettuo un cambio di base ottengo che: e0ν = γνµ eµ u0µ = γνµ uν (5.108) F 0µν = γνλ aµσ Fλσ =⇒ f µ = uν Fνµ (5.109) PASSO POCO CHIARO: 5.7 Costruzione delle basi dell’elettromagnetismo Per definire la tetraforza in questo ambito è necessario introdurre il concetto di carica, secondo la forza di lorentz: f µ (x) = e [uν Fν µ(x)] (5.110) 5.7. COSTRUZIONE DELLE BASI DELL’ELETTROMAGNETISMO 65 per far tornare tutte le grandezze ed unità di misura definisco la tetraforza elettormangnetica come la scrittura precedente divisa per c. Alcune considerazioni importanti sui legami che si sono tra le varie componenti, possiamo farle analizzando la scrittura: hf |ui = 0 (5.111) hf |ui = f µ gµλ uλ = uν Fνµ gµλ uλ = 0 (5.112) da cui si ottiene: Ottengo una scrittura degna di nota, che mi identifica il campo elettromagnetico nella sua forma tensoriale: Fµλ = Fνµ gµλ (5.113) Sostuitendo nello sciluppo del prodotto scalare ottengo: uν Fνλ uλ = 0 =⇒ Fνλ = −Fλν (5.114) Dimostro che se vale uν Fνλ uλ = 0 allora vale Fνλ = −Fλν : 1 1 ν u Fνλ uλ + uλ Fλν uν = uν uλ (Fνλ + Fλν ) = 0 2 2 (5.115) Ora mostraimo la legge di trasformazione del tensore di campo, che è una tipica trasformazione di base di un tensore di rango due. 0 Fνλ = γνµ γλσ Fµσ (5.116) Dato il tensore di campo vado a vedere come è fatta la tetraforza: r − → − v2 d→ p 1 − 2 f h (x) = F h (x) =⇒ = F (x) c dt (5.117) La tetraforza si trasforma con la solita legge di trasformazione: f 0µ = uµ Fνµ (5.118) In riferimenti lorentziani questo diventa: 0 0 o0 0 0 Fνµ (x)gµλ = Fνλ (x) =⇒ Fνλ (x) g λλ = Fνλ (x) 0 Fνλ (x) = o Fνλ (5.119) (5.120) o g λλ Con g λλ = 1 se λ = 0 e −1 altimenti. Nel caso tensore di campo è fatta nel segunete modo: 0 −Ex −Ey Ex 0 Bz Fνµ = Ey −Bz 0 Ez −By −Bx elettromagnetico la matrice del −Ez By Bx 0 (5.121) 66 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Data la matrice di campo ora posso scrivere tutte le grandezze elettromagnetiche: r v2 1 − 2 f h (x) = F h (x) (5.122) c dove: fµ = eX ν µ e X ν Fνµ u Fν (x) = u c c gµν L’espressione della forza di Lorentz diventa quindi: r − − → − e c v2 → x , t) F = q · 1 − 2 E (→ c 1 − v2 c (5.123) (5.124) c2 → − → − → − 1→ − F =e E + v ×B c 5.8 (5.125) Il tetrapotenziale eletteomagnetico Ora suppngo che al mio campo tensoriale Fνµ sia associato un potenziale vettore → − A tale che: Fνµ (x) = ∂Aµ (x) ∂Aν (x) − ∂xν xµ (5.126) Si può dimostrare che la scruttura appena scritta soddisfa l’equazione differenziale: ∂Fµν ∂Fνλ ∂Fλµ + + =0 ∂xλ ∂xµ ∂xν (5.127) E’ facile verificarlo, infatti basta sostituire l’espressione 1.126 nella 1.127 e ottengo: ∂ 2 Aµ ∂ 2 Aν ∂ 2 Aλ ∂ 2 Aµ ∂ 2 Aν ∂ 2 Aλ − + − + − = 0 (5.128) ∂xν ∂xλ ∂xµ ∂xλ ∂xµ ∂xν ∂xλ ∂xν ∂xλ ∂xµ ∂xν ∂xµ ed è facile vedere che tutto si elide in qanto vale il torema di swartz per le derivate incrociate. Sapendo che il tensore che descrive il mio campo elettromagnetico è fatto come 1.121 allora è facile trovare le leggi di Maxwell basta sostituire le espressioni di prima: ∂F1,2 ∂F2,3 ∂F3,1 + + =0 ∂x3 ∂x1 ∂x2 (5.129) → − div B = 0 (5.130) cioè: → − ciclando con µ = 0 , ν = 1 e ρ = 2 ottengo le componenti del rotore di E : ∂Ey ∂Ex 1 ∂Bz − =− ∂x ∂y c ∂t (5.131) 5.9. LE EQUZIONI DI MAXWELL CON SORGENTE 67 ciclando per tutte le componenti ottengo: → − 1 ∂Bz rot( E )z = − c ∂t (5.132) allora → − → − 1 ∂A E = −∇V − c ∂t → − → − B = rot( A ) 5.9 (5.133) (5.134) Le equzioni di Maxwell con sorgente per avere una descrizione compledta della dinamica del campo elettromagnetico variabile è necessario far rientrare nelle equazioni delle onde, le sorgenti come cariche e densità di correnti. Il tutto può essere formalizzato dicendo: Z − d2 xρ(→ x , t) = qω (t) (5.135) ω Questa scrittura è assolutamente continua secondo la misurara di lebesgue, allora posso formalizzare il tutto: Z Z dqω (t) → − → → − − → − − =− n dσ j ( x , t) = − d3 x div( j (→ x , t)) (5.136) dt σω ω risolvendo si ottiene: ∂cρ(x, t) ∂j h (x, t) + =0 ∂t ∂xh (5.137) Che è la legge di continuità della quantità di carica. Le componenti della tetradensitàdicorrente sono: j 0 (x) = cρ(x) µ j (x) = (5.138) h j (x) per h:=1,2,3 ∂j µ (x) = Tµν (x) ∂xν ∂ρ(x, t) = −div(j) ∂t (5.139) integrando: Z qω (t) = ω ρ(x, t)d3 x =⇒ dω(t) =− dt Z → − − dσ h j |→ ni (5.140) σ(ω)R Se R → +∞ =⇒La sorgente descresce con un grado di r12 ma j è va a zero ancora più velocemente di r12 allora questo mi dice che se il campo è asintotico j → 0 abbastanza regolarmente da far tendere a zero anche tutto l’integrale, ottenendo: dQ =0 dt (5.141) 68 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Che è la legge di conservazionedella carica. → − − Ora posso considerare j → o |r12 | per |→ x | → +∞ penso a j e ρ come due tetravettori allora posso scrivere le componenti di j j 0 (x) = cρ(x) (5.142) j µ (x) = h j (x) per h:=1,2,3 e quindi per la conservazione di carica: ∂j µ (x) =0 ∂xµ (5.143) In un altro sistema di riferimento avrò ancora la stessa legge che però sarà scritta in funzione alla trasformazione di lorentz come: ∂j 0µ = 0 =⇒ j 0µ = aµν j ν (x) ∂x0µ (5.144) quindi quella appena scritta è una legge di variazione della densità di carica in funzionealal trasformazione di lorentz. in particolare le densità si trasformano con la legge tipica: j 00 = a0ν j ν (x) (5.145) quindi deduco che j 00 6= 0 quindi in un conduttore in moto c’è un fenomeno di magnetizzazzione. Appendici 69 70 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Un altro modo di vedere le trasfomate di Lorentz partendo da alcuni postulati assiomatici si può comunque arrivare a risultati di notevole interesse: 5.10 ASSIOMI DELLA RELATIVITA’ Assioma sui sitemi inerziali: Esistono dei sistemi di riferimento che diciamo inerziali, aventi la proprietà caratteristica che i copri non soggetti a forze si muovono rispettivamente ad essi di moto rettilineo uniforme. In sostanza i sistemi di riferimento Localmente inerziali (che sono quelli che vengono usati nello sviluppo della teoria della relatività speciale) sono sistemi in cui è paricolarmente semplice innescare moti rettilinei uniformi. Assioma di relatività: Tutti i sistemi di riferimento localmente inerizali che noi andiamo a considereare sono sullo stesso piano di importanza, nessuno è privilegiato rispetto agli altri. Grande assioma di costanza della velocità della luce: La velocità della luce 00 c00 è costante per qualsiasi osservatore su un generico sistema di riferimento K. Quindi Osservatori diversi in sistemi di riferimento localmente inerziali differenti (K, K’) osservano il propagarsi delle onde elettromagnetiche nel vuoto con la medesima velocità limite 00 c00 . Questo principio quindi non coinvolge più soltanto gli aspetti meccanici del sistenza ma da informazioni precise anche sulla propagazione delle onde elettromagnetiche. 5.10.1 Deduzione delle trasformazioni di Lorentz Posti questi assiomi diventa interessante studiare le leggi di trasformazione di coordinate che sussistono tra i vari sistemi di riferimento localmente inerziali. Viene spontane considerare come legge di trasformazione base una affinità, 71 72 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA quindi una trasformazione lineare (L) del tipo: 0 t = at + bx L= x0 = ct + dx (5.146) Imporre il fatto che la legge di trasformazione deva soddisfare una legge lineare è indotta dalle condizioni in cui stiamo lavorando. Abbiamo a che fare con tutti sistemi di riferimento localmente inerziali, quindi moti rettilinei devono essere mandanti in moti rettilinei, o da un punto di vista geometrico, rette nello spazio K devono essere mandate in rette nello spazio K’, quindi questo gisutifica in modo sommario, la scelta di prendere come trasformazione generale una di tipo lineare. Poi uso il principio di costanza della metrica relativistica, infatti il prodotto scalare hX 0 |X 0 i = 0 = c2 t2 −x2 questa metrica è idotta dall’obiettivo di far rimanere invariate le equazioni di Maxwell. In modo particolare, noi vogliamo scrivere una legge di trasfomazione tale che farria rimanere inalterate le onde luminose. Onde luminose sferiche, devono essere mandate in onde luminose sferichè. Da un punto di vista dello spazio tempo, significa che il cono di luce dello spazio K viene mandato in un cono di luce PROPORZIONALE, nel sistema K’. Matematicamente vuol dire che: · c2 t2 − x2 = φ(t)[c2 t02 − x02 ] 2 2 −1 2 · [c t − x ]φ(t) 2 02 02 =c t −x −1 · [c t − x ]φ(t) 2 02 2 2 (5.147) 02 (5.148) 2 (5.149) =c t −x da cui si deduce: φ(t) = φ(t)−1 =⇒ [φ(t)]2 = 1 dato che φ(0) = 1 per continuità considero φ(t) = 1 quindi: c2 t02 − x02 = c2 t2 − x2 (5.150) Nonostante siano passaggi banali sono stati applicati delle idee molto pariticolari. Per passare dalla formula 1.3 alla 1.4 è stato usato il principio di relatività per cui un sistema di riferimento loc. inzerziale è equivalente a tutti gli altri. Quindi non essendoci un sistema privilegiato, ho potuto scambiare gli indici e mette primata la metrica applicata all’antitrasformazione. Deduzione delle trasformazioni di lorentz: Cme detto prendo la mia trasfomazione lineare L : 0 t = at + bx L= x0 = ct + dx (5.151) L’invarianza della metrica mi dice che: t02 − x02 = 0 (5.152) quindi: · t2 (a2 − c2 ) − x2 (d2 − b2 ) + 2tx(ab − cd) = 0 2 2 2 2 · =⇒ (a − c ) = 1 ; (d − b ) = 1 ; (ab − cd) = 0 (5.153) (5.154) 5.11. LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO 73 Noto che le condizioni scritte sopra, specie la prima e la seconda, sono restizione indicate da una iperbole nel piano cartesiano. Per parametrizzare qeuste curve quindi potrebbe essere conviente usare la seguente formula di immersione: Dalla prima e dalla seconda ci dicono che eistono due angoli α e β per cui è possibile effettuare questo cambio di variabili: a = cosh α d = cosh β (5.155) c = sinh α b = sinh β Mentre la seconda pamaterizzazione potrebbe essere: a = − cosh α d = − cosh β c = sinh α b = sinh β (5.156) Considero la paraemtrizzazione con i segni positivi e verifico che ottengo le trasformazioni di lorentz. Dalla terza condizione (ab − cd) = 0 ottengo che: cosh α sinh β − sinh α cosh β = sinh(α − β) = 0 ⇐⇒ α = β (5.157) Sostituisco ora la parametrizzazione 1.10 nella forma della trasformazione lineare 1.6: ( t0 = (t cosh α + x sinh α) = cosh α (t + x tanh α) = √t−xv 1−v 2 x0 = t sinh α + x cosh α = cosh α (x + tanh α) = √x+tv 1−v 2 Nota: interpretando tanh α = −v otteniamo il tutto. Questa interpretazione è dovuta al fatto che: v è la velocità di traslazione di K’ rispetto a K. Ma la linea di base dello spazio K’ è x=0 che viene vista nell’altro sistema (stando alle trasformazioni di lorentza appena trovate) nelle coordinate x = (− tanh α)t. Ma questa retta deve coincidere nell’altro sistema di riferimento ad un moto rettiline del tipo x=vt , da ciò l’interpretazione di tanh α = −v quindi: 0 1 −v t t =γ (5.158) x0 −v 1 x Da cui: 0 t = γ(t − vx) 0 x = γ(x − vt) L= y0 = y z0 = z (5.159) L rappresenta la forma escplicita delle trasformate di lorentz speciali. Oppure L viene definito il boost di lorentz lungo l’asse x 5.11 LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO La metrica discende discende dalla nozione di distanza e di angolo. Infatti dei primi rudimenti di metrica possono essere posti fissando una distanza e un angolo quindi un prodotto scalare: hx|yi = ||x|| ||y|| cos ϑ (5.160) 74 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA ma possiamo anche partire dalle definizioni di prodotto scalare come una applicazione g : V × V → R 1. Bilineare; 2. hx|xi = ||x|| ≥ 0 ed è nullo ⇐⇒x = 0; 3. Se hx|yi = 0 =⇒x⊥y ; Di particolare interesse nella metria dello spazio tempo è quello di considerare una base del nostro spazio-tempo che sia ortonormale quindi: g(ei , ej ) = δi,j (5.161) Il prodotto scalare che rappresenta la metrica nello spazio-tempo non è definito positivi, ma ha indice di inrzia r=1 , ha autovalori tutti negativi tranne 1 e ha segnatura del tipo + , - , - , -. La matrice rappresentativa del prodotto scalare è: 1 0 0 0 0 −1 0 0 (5.162) G= 0 0 −1 0 0 0 0 −1 5.11.1 Vettori di tempo tempo - spazio - luce Il prodotto scalare definisce una matrica nello spazio tempo. Se dobbiamo misurare una lunghezza nello spazio tempo allora: → − − − h→ x |→ x i = c2 t 2 − l 2 (5.163) → − dove l 2 = x2 +y 2 +z 2 il luogo dei punti per cui l2 = c2 t2 è quello che costruisce il cono di luce. Quindi tutti i vettori per cui è vera qeusta condizione si dicono vettori di tipo luce. I vettori di tipo tempo e spazio inceve si distinguono per il fatto che nel primo caso s2 > 0 quindi c2 t2 − l2 > 0 mentre quelli di tipo spazio : c2 t2 − l2 < 0. Vettori di tipo tempo e spazio hanno delle propeità interessanti, per esempio, per ogni vettore di tipo tempo esiste sempre un sistema di riferimento in cui il vettore presenta solo la componente temporale e annulla quella spaziale, così per il vettori di tipo spazio, esiste sempre un sistema di riferimento in cui la componente temporale è nulla e rimangono solo quelle spaziali. 6 6 Immaginare che sistemi di riferimento con queste proprietà esistano sempre per ogni vettore di tipo tempo e spazio è abbastanza intuitivo. Secondo le leggi di trasformazione di lorentz gli assi del sistema in muovimento K’ vengono visti dal sistema K come inclinati verso la bisettrice del primo quadranti di un certo angolo α legato alla velocità v del sistema K’. Quindi per un vettore di tipo tempo, basta scegliere il sistema K’ in modo tale che abbia una velocità adeguata che la distorsione delll’asse t passi sopra al nostro vettore, in questo modo il vettore in quel sistema di riferimento ha ovviamente compomenti spaziali nulle, stesso discorso per i vettori di tipo spazio solo che il ragionamento viene fatto al sotto la bisettrice. In questo modo scegliendo la velocità del sistema mobile K’ posso annullare componenti spaziali di vettori timelike e componenti temporali di vettori spacelike. Tutto questo ragionamento viene notevolmente semplificato se il lettore fa un piccolo disegnino di come il sitema mobile compare nel sistema fisso, scegli un vettore di tipo tempo, e scegli v in modo tale che la distorsione dell’asse ct sia tale da intersecare il punto di applicazione del vettore 5.11. LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO 5.11.2 75 Trattazione della particella libera in ambito relativistico La lagrangiana in abito relativistico, a questi livelli consideriamo di postularla. Per fattori di simmetria postuliamo che la nostra lagrangiana della particella libera sia: r v2 2 (5.164) L = −mc 1 − 2 c trovo il momento coniugato: p= ∂L mv . = q 2 ∂q 1 − vc2 Prendo l’espressione dell’energia generalizzata di Jacobi: r mv v2 2 E =p·v−L= q · v + mc 1 − 2 = mc2 γ 2 c 1 − vc2 (5.165) (5.166) 76 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Calcolo Tensoriale Sia V 4 Lo spazio tempo caratterizzato con la seguente segnatura: V 4 (+ − −−). Di notevole importanza sono le applicazioni lineari da V → R che possono rappresentare grandezze fisiche continui in intorni di V 4 . A questo punto è interessante andare a studiare anche il duale di V, che solitamente viene indicato come V ∗ cioè l’insieme di tutti i funzionali lineari su V . Dato F ∈ V ∗ e data una base {eh } in V, f è univocamete identificato: fh = f (eh ) per h = 1, 2, · · · , n (5.167) Per un u ∈ V avremo che: f (u) = fh uh (5.168) E’ subito intuitivo stabilire una base di V ∗ che sarà costituita dai funzionali ∼ lineari { e h } tali che: ∼ eh (ek ) = δh,k (5.169) Gli elemnti di u ∈ V vengono detti Vettori Controvarianti mentre gli elemnti f ∈ V ∗ sono detti Vettori Covarianti, uh e fh sono le componenti di questi vettori una volta fissata la base (eh ). Cambiando la base con una trasformata di lorentz otteniamo che le componenti cambiano seguendo la tipica legge di cambio di base: e0k = γkh eh (5.170) sapendo che fk0 = f (e0k ) ho che : f (e0k ) = γkh fh (5.171) poi le u si trasformeranno con la solita legge: u0k = akh uh (5.172) con Γ = (AT )−1 I vettori della base del duale si trasformano in modo analogo con la matrice di trasformazione: ∼0 ek= ∼ γkν e ν (5.173) Le applicazioni si trasformano nell’usuale modo: f (e0h ) = fµ0 = γµν fν 77 (5.174) 78 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Le basi del duale si possono dare nel seguente modo una volta fissate quelle su V4 ∼µ ∼µ e ∈ V ∗ =⇒ e (eν ) = δµ,ν = δνµ (5.175) ∼µ f = fµ e ⇐⇒ f (eν ) = fν (5.176) Per vedere bene il legame di V col suo duale possiamo analizzare la scrittura: hu|viuh gh,k v k (5.177) σ λ σ f(v) (u) = hv|ui = v gσλ u = f(v)λ = v gσλ = f (eλ ) (5.178) quindi note le componenti dell’elemento v, posso costruire il funzionale lineare. 5.11.3 notazioni del tensore metrico inverso (G)µν = gµν −1 (G )µν = g (5.179) µν (5.180) Questa è la tipica notazione: v σ = g σλvλ (5.181) L’indice sotto identifica un funzionale lineare quindi una componente covariante, mentre l’indice in alto identifica una componente controvariante quindi un vettore di V 4 . Ora analizzando il prodotto scalare si può notare che: hv|ui = v σ gσλ uλ = f(v) (u))Vλ uλ (5.182) ma possimao vedere anche con le componernti covarianti: Vλu = V σ gσλ = V σ uσ uσ = gσλuλ =⇒ hv|ui = Vσ g (5.183) σλ uλ Dove la matrice g µν è definita come: o o −1 1 0 µν g = =G=G 0 1 5.11.4 (5.184) (5.185) Applicazioni multilineari Se sono nel caso di avere una funzione di più variabili u1 , u2 , · · · , uN allora entra in gioco il concetto di applicazione MULTILINEARE che verrà chiamata TENSORE. Fissata la base in V (spazio dei miei vettori controvarianti) allora definisco il mio funzionale multilineare come: f (u1 , · · · , un ) = Th1 ,··· ,hn uh1 1 · · · uhnn (5.186) Le componenti del tensore f sono date dalla seguente matrice: Th1 ,··· ,hn = f (e1 , · · · , en ) (5.187) 5.11. LA METRICA PSEUDOEUCLIDEA NELLO PSAZIO TEMPO 79 se effettuo un cambio di base: 1 n Tµ0 1 ···µn = γµν1 · · · γµνn fν1 ,··· ,νn (5.188) questa è la tipica legge di trasformazione dei tensori covarianti di rango quattro . φ Ora supponiamo sia data l’applicazione V −→ R V è il mio spazio tempo allora preso un x ∈ V ho che x 7→ φ(x). Fissata la base in V {eµ } allora posso fare uan serie di considerazioni: x = xµ eµ =⇒ φ(x0 , x1 , x2 , x3 ) =⇒ φ : R4 → R (5.189) Se cambio la base e passo ad un riferimento comunque lorentziano ottengo che: x = x0µ e0µ =⇒ φ0 (x00 , x01 , x02 , x03 ) = φ0 (x0 , x1 , x2 , x3 ) (5.190) la base si trasforma e diventa e0µ = γνµ eν quindi le coordinate si trasformano di conseguenza: x0µ = aµν xν per funzioni a più variabili non è così banale il cambio di base, è molto complicato. Però fissata la base in V 4 questo videnta isomorfo a R4 quindi potrei scrivere: (A−1 )λσ x0σ = (A−1 )λν (A−1 )νµ xµ = xλ (5.191) Da cui: φ0 (x00 , x01 , x02 , x03 ) = = φ0 (A−1 )0ν x0ν , (A−1 )1ν x0ν , (A−1 )2ν x0ν , (A−1 )3ν x0ν = = φ(x0 , x1 , x2 , x3 ) 5.11.5 (5.192) Analizzando le sue derivate Vediamo ora come risultano scritte le derivate parziali: − − − − ∂φ(→ x ) ∂xν ∂φ(→ x ) −1 ∂φ0 (x0 ) ∂φ(→ x) ∂φ0 (→ x) −1 = = (A ) = (A ) = νλ λν ∂x0λ ∂xν ∂x0λ ∂xν ∂xν ∂x0λ Se il campo ammette potenziale scalare le derivate parziali identificano le componenti covarianti di un campo vettoriale: Tµ0 (x0 ) = ∂φ0 ∂φ −1 ∂φ = (A )νµ = γµν ν = γµν Tν = Tµ0 (x0 ) 0µ ν ∂x ∂x ∂x (5.193) questo risultato è concorde col fatto che: dφ = Tν (x)dxν (5.194) PEZZO OSCURO: é indipendente dalla base scelta e le dxν sono le componenti controvarianti di un vettore (?). Più in generale le derivate di un campo tensoriale rispetto a xµ da luogo ad un nuovo tensore corredato da un ulteriore indice µ di covarianza (?...ma non era controvariante) per uan questione di notazione dico: φ(x)/ν = ∂φ(x) ∂xν (5.195) 80 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA allora se scrivo: φ0 (x0 )/λ = γλν φ(x)/λ (5.196) Se prendiamo un esempio di campo tensoriale molto simile a quello usato per descrivere il campo elettromangetico: Tν1 ,ν2 ,··· ,νk (x) 7 (5.197) Il tensore si trasforma segunedo la tipica legge di trasformazione: Tν0 1 ,··· ,νn (x) = γνµ11 · · · γνµkk Tµ1 ,··· ,µk (x) (5.198) Rifacendo gli stesso passaggi fatti per il campo scalare: Tν0 1 ,··· ,νk /λ (x0 ) = ∂Tν0 1 ,··· ,νk (x0 ) = γνµ11 · · · γνµkk Tµ1 ,··· ,µk /σ (x) ∂x0λ (5.199) I cambi di coordinate sono dei diffeomorfismi quindi nel caso generale tensoriale la descrizione è molto complicata. Qiuello appena visto vale solo per basi lineari. Allora posso scrivere la relazione tra V e V ∗ che risulta: Fµν g µσ g λν = F σλ 5.12 (5.200) Il tensore di Levi-Civita e flusso Q.D.M. Il tensore di levi civita è un simbolo matematico usato nel calcolo tensoriale con lo scopo di alleggerire la notazione. La sua definizione completa è la seguente: 1 Per permutazioni pari di 1 2 3 4 5 ... −1 Per permutazioni dispari di 1 2 3 4 5 ... (5.201) ijlmno.. = 0 Se due o più indici sono uguali noi analizzeremo solo per il caso a tre indici. In questo caso particolare, quello più usato nella meccanica del continuo, possiamo vedere delle interessanti proprietà: ijl Ahi Akj Aml = det(A)hkm (5.202) da cui si ricava che : det(A) = pqr ijl Api Aqj Arl 6 (5.203) Relazioni di Kronaker per un indice condensato: ijl lkm = ijl kml = (δik δjm − δim δjk ) (5.204) Relazione di Kronaker per due indici condensati: ijl kjl = (δik δjj − δij δjk ) = 3δik − δjk = 3δik − δik = 2δik 7 che (5.205) è molto simile al tensore di rango due Fµν (x) usato nel campo elettromagnetico 5.13. TENSORE DI FLUSSO DI QUANTITÀ DI MOTO 81 Relazione di Kronaker per tre indici condensati: ijl ijl = (δii δjj − δij δji ) = 9 − 3 = 6 = 3! (5.206) Teorema: Sia A matrice generica e sia φ un parametro infinitesimale, allora: det(1 + φA) = 1 + φT rA (5.207) Proof. det(1 + φA) 5.13 1 [ijl hkm (δih + φAih )(δjk + φAjk )(δlm + φAlm )] = 6 1 ijl hkm [δih δjk δlm + φ(δih δjk Alm + δih Ajk δlm + Aih δjk δlm )] = = 6 1 = ijl [ijl + φ(ijm Alm + ikl Ajk + hjl Aih ) = 6 δjk δih δlm Alm + Ajk + Aih = 1 + φT rA (5.208) = 1+φ 3 3 3 = Tensore di flusso di quantità di moto Supponendo di aver dimostrato la relazione per le derivate sostanziali ottengo che : ∂ Df − (ρf ) + div(ρf → v)=ρ ∂t Dt (5.209) ∂ (ρvi ) + ∂j (ρvi vj ) = −∂i p + pgi ∂t (5.210) ∂ p (ρvi ) + ∂j (ρ[vi vj + δij ]) = pgi ∂t ρ (5.211) definisco la grandezza : p Πij = vi vj + δij ρ 5.14 (5.212) Leggi di trasformazione Un vettore polare, in un sistema di riferimento ortogonale si trasforma con la seguente legge: Xi0 = Rih Xh (5.213) Allor stesso modo si può notare che un tensore di rango 2 passando dal sistema di rifentimo R a R’ (in cui i sistemi sono strettamente ortogonali) le componenti di matrice si trasfomano con l’usuale legge: Tij0 = Rih Rjk Thk (5.214) 82 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA mentre un tensore di rango 3: 0 Tijl = Rih Rjk Rlm Thkm (5.215) e così per qualunque tensore di rango superiore che si trasforma da un sistema ortogonale ad un altro. Queste leggi di trasformazione sono essenziali perchè dato un oggetto che ancora non è ben identificato, osservando la sua legge di trasformazione possiamo classificarlo come tensore. Quindi da ora in poi definiremo tensore un qualunque oggetto geometrico che si trasforma con la legge sopra esposta. Possiamo introdurre ora il concetto di prodotto tensore. Definire in modo generico il concetto di prodotto tensore è molto complicatoe qui di seguito, per completezza, se ne darà solo un accenno. Partiremo con la trattazione del problema banale della trasformazione del tensore T ij inteso come T ij = ui v j applicando la legge di trasformazione dei tensori di rango due se effettivamente (come poi si noterà) il tutto si trasforma con quella legge allora è possibile intuire l’esistenza di un’operzione tensoriale che chiamiamo prodotto tensore e che ha la propeità tale che: Sia T tensore a m indici e Γ un tensore a n indici, allora: T ⊗ Γ è un tnesore a n+m indici DEFINIZIONE: CASO GENERALE: Siano V e W due spazi vettoriali generici. Definisco quindi prodotto tensoriale tra lo spazio V e lo spazio W la coppia (V ×W, ⊗) dove ⊗ è un’applicazione bilineare tale che, data una qualsiasi separazione del tipo: · : V × W → L deve esistere un unico isomorfirmo ϕ : (V ⊗ W ) → L cioè V, W : dim(V ) = n dim(W ) = m =⇒ Se (V × W, ⊗) : ∀ V × W ∃! φ : v · w = φ(V ⊗ W ) Allora: (V × W, ⊗) è prodotto tensore e la dimensione dello spazio è n+m Si può mettere in evidenza che il fatto che lo spazio definito da (V × W, ⊗) ha effettivamente dimensione n+m ed in più si può mettere in luce meglio il ruolo che ha l’unicità dell’isomorfismo ϕ, ma dato che è solo un accenno ..... tale rimane. CASO BREVE-SEMPLICE Mi limito a lavorare in spazi generati da basi ortonogonali quindi ho che le leggi di trasformazione sono date dalla usuale geometria: x0i = Rij xj (5.216) dove R è una matrice di rotazione ortogonale e quindi d’ora in poi i conti saranno semplificati tenendo conto che: R−1 = Rt =⇒ RRt = 1 (5.217) ma det R = det Rt e per il th. di Binet det(RRt ) = det R det Rt = det 1 cioè (det R)2 = 1 =⇒det R = ±1 Conosco la legge di trasformazione dei tensori di rango due: Tij0 = Rih Rjk Thk (5.218) 5.14. LEGGI DI TRASFORMAZIONE 83 Ora definisco il mio tensore di rango due nel seguente modo: Siano ui ∈ U e vj ∈ V : Tij = ui vj (5.219) come si trasforma questo oggetto ? Da un punto di vista morale mi aspetto che un genrico tensore dato da: Tij00 = u0i vj0 sia effettivamente Tij0 quindi svolgento i conti: T 00 = u0i vj0 = Rih uh Rjk vk = Rih Rjk uh vk = Rih Rjk Thk = Tij0 (5.220) quindi u · v si trasforma nel modo usulae dei tensori ed in particolare raggiongo la stesa definizione del tensore di partenza. Allora posso dire che: Tij ∈ (U ⊗ V ) (5.221) Questa definizione è bruttissima. E’ molto meglio quella del caso generale. Regola del Quoziente Sia vi ∈ V vettore e sia uj ∈ U vettore allora se vale: vi = Tij uj ∀uj ∈ U =⇒ Tij è tensore di rango due Proof: Parto sempre dalla legge di trasformazione: vi = Tij0 u0j (5.222) tale che: vi0 = Rih vh u0j = Rjk uk (5.223) allora: −1 vi = Rhi vi0 = Tij Rkj u0k moltiplico per Ril (5.224) −1 −1 Ril Rni vi0 = Ril Tij Rkj u0k (5.225) −1 Tenendo conto del fatto che: Ril Rni = Rli Rni = Rli Rni = δln 0 0 δnl vl0 = Rli Rkj Tij u0k =⇒ vl0 = Tlk uk (5.226) 0 0 ma la relazione a cui siamo raggiunti : vl0 = Tlk uk deve valere per ipotesi per 0 ogni u ∈ U allora l’espressione Tlk dovrà essere sempre possibile scriverla come: 0 Tlk = Ril Rjk Tij (5.227) ma questa è la legge di trasformazione di un tensore di rango due. Allora Tij sotto le ipotesi inziali è sempre un tensore di rango due. q.e.d La regola del quoziente è di fondamentale importanza nell’analisi tensoriale. Infatti possiamo subito esplicitare una banale applicazione. Sfruttando semplicemente il teorema appena esposto è intuitivissimo dimostrare che il tensore degli sforzi è effettivamente un tensore e ha rango due: 84 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA Si può dimostrare il carattere isotropo della pressione, cioè definendo lo sforzo agente (quindi definendo la normale n) o lo sforzo subito (allora definendo n = -n) si era arrivati a definire la seguente grandezza: − − fi (→ x , n) = fi (→ x) (5.228) quindi indipendente dalla direzione della normale. La grandezza fi che è una forza di volume fu definita nel seguente modo: fi (x, n) = σij vj (5.229) dove sia definito il mio volume V e vj ∈ ∂V vettore genrico! Allora mi riconduco alle ipotesi del teorema del quoziente appena dimostrato. Ho fi che un vettore, e vi ∈ ∂V un vettore generico, allora per il teorema σij esiste ed è un tensore di rango due. Lo definisco come Tensore degli sforzi Tensori Simmetrici ed Antisimmetrici Come sempre partiamo dal presupposto che noi lavoriamo sempre in sistemi ortogonali, quindi aventi tutte le proprietà prima definite. Cercare delle relazioni tensoriali, vuol dire cercare delle leggi di trasformazioni la cui forma rimanga inalterata da un sistema di riferimento all’altro! Questo, in precedenza, ci ha permesso addirittura di definire un tensore (in funzione alla sua legge di trasformazione) e successivamente di calssificarne il rango. La regola del quoziente, che in precedenza è stata enunciata per tensori di rango due, è possibile generalizzarla a qualsiasi rango, quindi ecco perchè è importante avere delle relazioni invarianti nei vari sistemi di riferimento. Un modo diverso ed elegante di affrontare questo problema sarebbe quello di effettuare le classificazioni in modo astratto lavorando in modo generale come si è accennato nel primo caso di definizione del prodotto tensoriale. Qui di seguito definiamo un tensore simmetrico usando le leggi invarianti di trasformazione: S è tensore di rango due simmetrico se: 0 Sij = Rih Rjk Shk (5.230) h e k sono indici muti e posso rinominarli a piacere. Effettuo questa rinominazione: h = k e k = h 0 Sij = Rik Rjh Skh (5.231) ora uso la simmetria di del tensore Shk per ritornare alla solita legge di trasformazione 0 0 Sij = Rik Rjh Skh = Rik Rjh Shk = Sji (5.232) q.e.d. S è tensore di rango due anti-simmetrico se: Aij = −Aji (5.233) 5.14. LEGGI DI TRASFORMAZIONE 85 Questa proprietà la si mette in evidenza come la precedente: A0ij = Rih Rjk Ahk = Rik Rjh Akh = −Rik Rjh Ahk = −Aji (5.234) q.e.d. Avere a disposizione le definizioni di tensore simmetrico e antisimmetrico permette ora di raggiungere dei risultati di importanza rilevante. Per esempio di seguito è presentata la decomposizione di un tensore di rango due nelle sue componenti simmetriche e antisimmetriche. Sia T un tensore del secondo ordine, allora è possibile scrivere: T=S+A (5.235) dove S è un tensore del second’ordine simmetrico mentre A è anch’esso un tensore del second’ordine però antisimmetrico. Questa decomposizione è unica. Proof: Possiamo notare che una decomposizione che funziona è la seguente: Tij = 1 1 [Tij + Tji ] + [Tij − Tji ] 2 2 (5.236) Dove la prima parte è simmetrica mentre la seconda parte rappresenta la parte antisimmetrica. Manca la dimostrazione che questa decompiosizione è unica. q.e.d. Sia T un tensore del secondo ordine, allora è possibile decomportlo in parte simmetrica , antisimmetrica più una parte isotropa rappresentata da un tensore a traccia nulla: 1 1 2 1 Tij = (5.237) Tij + Tji − Tll δij + [Tij − Tji ] + Tll δij 2 3 2 3 Un tensore si dice isotropo se mantiene la stessa forma in qualsiasi sistema di riferimento. Proof: I tensori istropi sono quelli multimpli della delta di Kroneker quindi sia a scalare allora: a(δij ) = aRih δhk Rjk = aRik Rik = a(δij ) q.e.d. (5.238) 86 CAPITOLO 5. CRISI DELLA FISICA CLASSICA 5.15 Spigazione del landau pagina 35 L= t2 Z S = t1 Z t2 = 1 mv 2 2 1 mv 2 dt =⇒ δS = pδq|tt21 + 2 (5.239) Z t2 t1 ∂L d ∂L − . ∂q dt ∂ qi δq dt = .. − −m → x dt = 0 (5.240) t1 Z t1 t2 .. − m→ x dt = . 1 → m− x |tt12 = 0 = assurdo per m<0 2 (5.241)