Malte e calcestruzzi
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Malte e calcestruzzi
Appendice A Malte e calcestruzzi Le malte e i calcestruzzi sono i materiali più utilizzati nel campo delle costruzioni. Sul piano formale si tratta in entrambi i casi di “materiali compositi” nei quali sono distinguibili su diversa scala, una matrice e delle particelle di rinforzo. Le matrici “leganti”, che ospitano le particele di rinforzo, sono costituite da polveri finissime ottenute da processi di cottura e macinazione di rocce e terre naturali e sono catalogate come: gesso, calce aerea, calci idrauliche, cemento Portland e cemento alluminoso. I rinforzi o aggregati sono elementi lapidei talvolta indicati come inerti. Se la dimensione massima degli aggregati non supera i 5 mm (si sta, cioè, utilizzando la sabbia come ingrediente lapideo) il materiale risultante prende il nome di malta; se, invece, la dimensione massima dell’aggregato supera i 5 mm (normalmente la granulometria di ghiaie e pietrisco soddisfa questo requisito), il conglomerato è chiamato calcestruzzo. Le malte e i calcestruzzi vengono prodotti miscelando acqua, cemento ed elementi lapidei. Gli elementi lapidei indicati anche come inerti o aggregati sono materiali di origine naturale scelti sostanzialmente per l’alta resistenza meccanica. Sul piano pratico gli aggregati sono silicati geologici scelti da depositi localmente disponibili. Va da sé che le composizioni possono essere molto variabili stante il fatto che si tratta di esempi relativamente impuri e complessi di silicati cristallini introdotti nel Paragrafo “Ceramici – Materiali Cristallini” del Capitolo 11. Le rocce ignee o magmatiche sono esempi di tali materiali. Igneo indica semplicemente “solidificato dallo stato fuso”, il che implica che le rocce solidificate rapidamente possono avere frazioni significative di materiale allo stato non cristallino come i vetri di silice introdotti nel Paragrafo “Vetri – Materiali non cristallini” del Capitolo 11. L’autore di questa appendice è il Prof. Alberto D’Amore. 526 Appendice A Malte e calcestruzzi A.1 Aggregati Comunemente gli aggregati sono una combinazione di sabbia e ghiaia. Se ne parla spesso come “inerti” per sottolinearne la non-reattività con gli altri ingredienti (acqua, polvere di cemento, additivi ecc.). In effetti la reattività degli aggregati è abbastanza documentata sia per quanto riguarda le porzioni a base di silice amorfa che quelle di silicati impuri o mal cristallizzati. Si tratta di una reattività indesiderata, naturalmente, che crea generalmente fenomeni espansivi precursori di fessurazioni diffuse e conseguente indebolimento delle strutture. I meccanismi chimico-fisici alla base della reattività degli inerti non sono ben chiari. È provato tuttavia che il sodio e il potassio presenti nell’ambiente (acqua salmastra) e nei cementi stessi sono gli elementi più aggressivi per gli aggregati e che la scelta di opportune classi di cementi (per esempio i cementi Portland a basso tenore di alcali o pozzolanici, che saranno classificati in seguito) attenua notevolmente i fenomeni espansivi determinati dalla “reattività degli inerti”. La sabbia rappresenta gli aggregati nei quali nessuna particella ha dimensioni superiori ai 5 mm. Se si usa solo sabbia il materiale risultante prende il nome di malta. Se, invece, le dimensioni dell’aggregato superano i 5 mm parleremo di ghiaia (o pietrisco). In tal caso il conglomerato è chiamato calcestruzzo. Sabbia e ghiaia rappresentano una grossa aliquota degli inerti comunemente utilizzati nei calcestruzzi e sono contraddistinti dalla loro origine naturale, ovvero sono reperibili tal quali. Sono utilizzati largamente anche i cosiddetti inerti artificiali quali la sabbia da frantoio e il pietrisco ottenuti per macinazione da rocce lapidee, nonché provenienti da lavorazioni industriali (loppa di altoforno, argilla espansa ecc.). Sul piano pratico la combinazione di ghiaia (o pietrisco) e sabbia determina un’ampia distribuzione nelle dimensioni delle particelle, favorendo con ciò un alto “grado di riempimento” degli aggregati rispetto all’impasto di acqua e cemento, con ciò riducendo sensibilmente il costo unitario del conglomerato. La Figura A.1 illustra chiaramente questo concetto per quanto si tratti di una “vista” bidimensionale. In realtà lo spazio è più efficientemente “riempito” se le dimensioni delle particelle sono distribuite in un grosso intervallo: le particelle fini riempiono gli interstizi tre le particelle più grandi. In tal modo, generalmente, la combinazione di particelle grosse e fini rappresenta il 60-75% del volume totale del calcestruzzo. Le dimensioni relative di ghiaia e sabbia possono essere misurate e controllate attraverso setacci standard aventi maglie via via decrescenti, sovrapposti e messi in vibrazione. Figura A.1 Il riempimento del volume del calcestruzzo con gli aggregati è facilitato da un’ampia distribuzione delle dimensioni delle particelle. Gli aggregati piccoli riempiono gli interstizi tra le particelle più grandi. Naturalmente, la figura si riferisce a uno schema bidimensionale. Appendice A Tabella A.1 Malte e calcestruzzi 527 Granulometria di una sabbia. Frazioni passanti da stacci standard a d (mm) 0.075 0.15 0.30 0.59 1.19 2.38 4.76 a passante (Kg) % in peso 11.75 21.15 28.20 25.85 49.35 54.05 44.65 5 9 12 11 21 23 19 Risultati della separazione mediante setacciatura con stacci di diversa luce di maglia, d, delle frazioni granulometriche di una sabbia comune. In tal modo si ottiene la distribuzione delle dimensioni delle particelle ovvero delle loro frazioni relative al totale della massa analizzata. I risultati di un processo di setacciatura sono riportati nella Tabella A.1 per una sabbia comune. La curva granulometrica si costruisce riportando la percentuale in peso, P, degli aggregati passanti a tutti i setacci ≤ d in funzione dell’apertura d del vaglio così come riportato nella Figura A.2. Distribuzione granulometrica ottimale Per realizzare un conglomerato con la massima densità possibile, quindi con il minor contenuto di vuoti interstiziali tra i singoli granuli, la curva granulometrica del sistema solido (cemento + aggregato) deve seguire l’equazione di Fuller e Thompson: ⎛ d⎞ P = 100 ⎜ ⎟ ⎝ D⎠ 1/ 2 (A.1) dove P è la percentuale di materiale passante allo staccio con apertura d e D è il diametro dell’elemento lapideo più grosso. Se il sistema cemento + aggregato soddisfa l’Equazione A.1 si realizza il massimo assortimento dimensionale nel quale gli elementi più fini sono allocati nei vuoti interstiziali di quelli medi e Figura A.2 Distribuzione cumulativa delle singole frazioni granulometriche di una sabbia comune così come riportato nella Tabella A.1. 528 Appendice A Malte e calcestruzzi Figura A.3 Distribuzione tipica delle particelle di aggregato (si noti la scala logaritmica per le dimensioni delle particelle passate attraverso le maglie del setaccio). In ordinata è rappresentata la distribuzione cumulativa. questi ultimi si dispongono a loro volta nei vuoti esistenti tra i granuli più grossi. Nella Figura A.3 sono riportate le distribuzioni granulometriche di una serie di inerti, così come indicato, assieme alla polvere cementizia. Tuttavia, un calcestruzzo che soddisfa l’Equazione A.1 proprio per il denso impacchettamento è scarsamente lavorabile, quindi l’Equazione A.1 è stata modificata introducendo un parametro A che tiene conto della lavorabilità richiesta: ⎛ d⎞ P = A + (100 − A) ⎜ ⎟ ⎝ D⎠ 1/ 2 (A.2) Il parametro A (8 ≤ A ≤ 14) aumenta al crescere della lavorabilità e se si passa da aggregati tondeggianti a quelli di forma irregolare. Di fatto, l’aumento di lavorabilità, in assenza di additivi, si può ottenere aumentando il contenuto d’acqua e, con esso, il volume di pasta cementizia che ingloba gli inerti, come vedremo. Inoltre, poiché a parità di volume di inerti, gli aggregati di forma irregolare offrono più resistenza al moto rispetto agli aggregati tondeggianti, la fluidizzazione degli impasti con aggregati irregolari comporta una maggiore richiesta d’acqua. Nella pratica comune la scelta di D tiene conto dei seguenti vincoli: (a) D ≤ 25% della sezione minima della struttura; (b) D ≤ distanza tra i ferri di armatura diminuita di 5 mm; (c) D ≤ 30% spessore del copriferro (per evitare che tra casseri e ferri sia ostruito il passaggio del calcestruzzo). La curva granulometrica ottimale riferita al solo aggregato può essere ottenuta dall’Equazione A.2 conoscendo la percentuale di cemento (C): ⎛ d⎞ A (100 − A) ⎜ ⎟ ⎝ D⎠ P= 100 − C 1/ 2 −C 100 (A.3) In un calcestruzzo, combinando più aggregati granulometricamente diversi è possibile ottenere un aggregato misto molto vicino a quello ottimale. Infatti, gli aggregati normalmente reperibili risultano o eccessivamente fini (sabbia) o eccessivamente grossi (ghiaia) per poter soddisfare da soli ai requisiti granulometrici dell’aggregato ottimale (Equazione A.2). Il processo di miscelazione degli aggregati non è banale. Viene qui di seguito sinteticamente illustrato. Sulla base delle curve granulomentriche dei tre aggregati (filler calcareo, sabbia e ghiaia) riportati nella Figura A.3 e dalla granulometria del cemento, è possibile calcolare le frazioni di massa con cui Appendice A Malte e calcestruzzi 529 miscelare i quattro componenti al fine di ottenere la curva granulometrica ottimale descritta dall’Equazione A.1 mediante una procedura di minimizzazione degli scarti quadratici medi. Indichiamo con x le frazioni di massa e con P il valore del passante. I pedici c, fc, s e g indicano rispettivamente il cemento, il filler calcareo, la sabbia e la ghiaia. Per ogni valore della dimensione degli stacci d valutiamo le differenze: c1 = xc Pc1 + x fc Pfc1 + xs Ps1 + xg Pg1 − 100 (d1 D) 0.5 c2 = xc Pc2 + x fc Pfc2 + xs Ps2 + xg Pg2 − 100 (d2 D) 0.5 (A.4) ... cN = xc PcN + x fc PfcN + xs PsN + xg PgN − 100 (dN D) 0.5 in cui i pedici 1, …, N indicano le varie dimensioni degli stacci. I valori di x1, x2, x3 e x4 che rendono ottima la miscela dei quattro componenti sono stati calcolati N minimizzando la funzione ∑ ci rispetto a x1, x2 e x3, tenendo conto che i =1 N ∑ xi = 1 i =1 e che 0 ≤ xi ≤ 1. I risultati dell’analisi sono riportati nella Figura A.4. Per il caso in esame i valori di ottimo di x1, x2, x3 e x4 sono, rispettivamente, 0.0628, 0.0188, 0.212 e 0.706. A.2 Leganti I leganti sono materiali in polvere che mescolati con acqua formano una pasta plastica e lavorabile capace di indurire nel tempo. Distinguiamo: 1. leganti aerei: possono indurire soltanto in aria (gesso, calce); 2. leganti idraulici: possono indurire anche in acqua (calce idraulica, cemento). Si distinguono quattro tipi di cemento: Portland (trattato estensivamente nei paragrafi successivi), pozzolanico, d’altoforno, alluminoso. Le calci idrauliche sono di gran lunga meno importanti, ma non si può fare a meno di ricordare che le più ardite costruzioni subacquee dei Romani furono possibili grazie a questi materiali. Figura A.4 Rappresentazione grafica del processo di ottimizzazione della distribuzione granulometrica degli inerti a partire da dalle distribuzioni dei costituenti rappresentate nella Figura A.3. Si noti la scala logaritmica per le dimensioni delle particelle passate attraverso le maglie del setaccio. In ordinata è rappresentata la distribuzione cumulativa, P . 530 Appendice A Malte e calcestruzzi Gesso Il gesso d’opera si ottiene dalla pietra di gesso (o gesso naturale), il solfato di calcio biidrato (CaSO4·2H2O), per riscaldamento a circa 150 °C, una temperatura intermedia tra quella di trasformazione completa del gesso naturale in emidrato (128 °C) e la temperatura di trasformazione (163 °C) dell’emidrato in solfato anidro (CaSO4). Le reazioni di trasformazione sono di equilibrio per cui si ottiene di una miscela di emidrato, CaSO4·1/2H2O, e anidrite (solfato di calcio anidro), CaSO4. Sul piano pratico, ai fini delle proprietà cementanti la forma più attiva è rappresentata dall’emidrato e la cottura a 150 °C assicura che il gesso d’opera sia costituito essenzialmente da emidrato e da piccole quantità di anidrite solubile, eventualmente formatasi nei punti del reattore in cui i parametri che governano l’equilibrio eterogeneo, come la pressione del vapor d’acqua e la temperatura possono favorire la formazione del solfato anidro a partire dall’emidrato (la disuniformità del profilo termico nel forno, per esempio, fa sì che localmente la temperatura possa raggiungere i 163 °C). Il gesso d’opera così ottenuto reagisce con l’acqua di impasto (circa il 70% del suo peso) dando luogo alla forma stabile nel sistema CaSO4-H2O, ovvero di nuovo il solfato di calcio biidrato, CaSO4·2H2O, la cui morfologia aghiforme crea un network continuo che “dilata” durante la presa e l’indurimento a differenza della calce aerea, che, come vedremo, subisce una contrazione netta con l’indurimento. Il gesso è ovviamente sensibile all’acqua per via della dissociazione ionica del solfato di calcio che determina di fatto una soluzione diluita di acido solforico che intacca e corrode il ferro. La sua resistenza meccanica si trova nell’intervallo 10-20 MPa. Calce La calce aerea si ottiene per cottura di rocce calcaree a circa 1000 °C secondo la reazione CaCO 3 → CaO + CO2 (A.5) L’ossido di calcio CaO (calce viva) così ottenuto può essere messo in commercio tal quale. Per essere utilizzato come legante, esso deve essere posto in contatto con l’acqua per formare l’idrossido di calcio, Ca(OH) 2 (calce spenta), capace di indurire a contatto con l’aria per effetto della precipitazione dei cristalli di CaCO3 per la reazione dell’idrossido di calcio con l’anidride carbonica. La resistenza meccanica è dell’ordine di una decina di MPa. Il processo di presa della calce aerea è dovuto all’evaporazione dell’acqua di impasto, mentre l’indurimento al processo chimico di carbonatazione secondo la reazione: Ca(OH)2 + CO2 → CaCO3 + H2 O (A.6) A causa dell’evaporazione dell’acqua si assiste a un ritiro sostanziale della malta con formazione di crepe e fessurazioni. L’aggiunta di sabbia limita i fenomeni di ritiro formando un network indeformabile e favorisce la formazione di pori che consentono la penetrazione dell’aria e l’azione di carbonatazione da parte della CO2 in essa presente. Cemento Portland Nel Paragrafo A.1 abbiamo discusso degli aggregati quali costituenti dominanti del calcestruzzo. Il calcestruzzo può ritenersi a tutti gli effetti un “materiale composito”, con due fasi grossolanamente distinguibili: una fase dispersa costi- Appendice A tuita dagli aggregati, e una matrice che ingloba gli aggregati, costituita dai prodotti di idratazione del cemento. Il cemento lega insieme le particelle per formare un corpo rigido. Nei calcestruzzi si utilizza il cemento Portland (così nominato perché nell’isola di Portland in Inghilterra i rilievi rocciosi hanno il caratteristico colore del prodotto sintetico) un calcio-alluminosilicato ottenuto da una di miscela di rocce calcaree e argillose sottoposte a cottura a 1000 °C e opportunamente macinate (clinker). Esistono cinque varietà di cemento Portland come sintetizzato nella Tabella A.2. Le differenze riguardano essenzialmente le concentrazioni relative dei quattro minerali contenenti calcio alle quali corrispondono caratteristiche tecniche peculiari. Nella tecnologia dei cementi, i minerali contenenti calcio sono indicati con una notazione contratta così come riportato nel dettaglio della Tabella A.2. La matrice cementizia è formata dall’addizione di acqua alla polvere di cemento appropriata. La dimensioni della particelle della polvere cementizia sono relativamente piccole se confrontate con quelle degli aggregati più fini (Figura A.3). È intuitivo che la variazione delle dimensioni delle particelle di cemento può influenzare fortemente la velocità alla quale il cemento si idrata. Particelle più fini hanno superfici esposte più estese a parità di massa impiegata, dunque “consumano” più acqua di idratazione nell’unità di tempo sicché appare che la velocità di idratazione delle polveri fini è più alta rispetto a polveri più grossolane. È proprio il processo di idratazione che indurisce il cemento e produce il legame chimico tra la matrice e le particelle di aggregato. I meccanismi alla base dell’idratazione dei cementi sono molto complessi coinvolgendo simultaneamente processi reattivi e diffusivi non isotermi. Si suppone, infatti, che in un primo stadio l’idratazione avvenga per la dissoluzione dei composti anidri nella fase acquosa i cui composti idrati precipitano formando uno strato superficiale sulla particella di cemento. Per cui occorrono tempi via via più lunghi perché l’acqua diffonda verso l’interno della particella ancora anidro. Qui i prodotti vengono depositati localmente invece di vagare e precipitare in soluzione a causa della diminuita mobilità ionica. La diffusione dell’acqua è ancor più ostacolata per cui, da un lato si comprende come questo processo possa avvenire su scale temporali molto lunghe (anni) dall’altro si registra che la probabilità che una sostanziale aliquota di cemento (il core delle particelle) resti anidra è piuttosto elevata. La complessa composizione dei cementi Portland fa intuire che la chimica dei processi di idratazione è altrettanto complessa. Le principali reazioni di idratazione e i relativi prodotti sono riportati nella Tabella A.3. Dunque una pasta idrata di cemento Portland è formata da una miscela di tobermorite, idrossido di calcio, alluminati, solfo alluminati e allumino ferriti di calcio idrati. Data la complessità della composizione del cemento la reazione dei suoi costituenti con l’acqua obbedisce a cinetiche differenti. Senza entrare in dettaglio nei meccanismi di reazione, la Figura A.5 illustra qualitativamente come le scale temporali per un’idratazione completa differiscano sostanzialmente per i quattro costituenti principali del cemento Portland. Per esempio C3S e C2S raggiungono un’idratazione pressoché completa negli anni mentre C3A e C4AF maturano in pochi giorni. Questa reattività “differenziale” determina le proprietà tecnologiche degli impasti. Infatti le proprietà reologiche (la fluidità e/o lavorabilità) sono praticamente dipendenti dagli incipienti processi di idratazione di C3A e C4AF, mentre le proprietà strutturali e/o meccaniche del cemento dipendono sostanzialmente dall’idratazione di C3S e C2S. Nella stessa Figura A.5 è, infatti, riportato l’andamento della resistenza a compressione col tempo che ha un’evoluzione cinetica intermedia tra le sigmoidi rappresentative dell’idratazione di C3S e C2S. Malte e calcestruzzi 531 532 Appendice A Tabella A.2 Malte e calcestruzzi Composizione dei cementi Portland. Composizionea (% in peso) Tipo ASTMb I II III IV V Caratteristiche C3 S C 2S C3A C4AF Altro c Standard Ridotto calore di idratazione e buona resistenza ai solfati Alta resistenza iniziale (accoppiata con alto calore di reazione) Basso calore di reazione (più basso di II e specialmente indicato per grandi strutture) Resistenza ai solfati (migliore di II e specialmente utilizzato per strutture marine) 45 44 27 31 11 5 8 A 9 7 53 19 11 9 8 28 49 4 12 7 38 43 4 9 6 a Notazione contratta in uso nella tecnologia dei cementi: C3S = 3CaO·SiO2, C2S = 2CaO·SiO2, C3A = 3CaO·Al2O3 , C4AF = 4CaO·Al2O3·Fe2O3 . b Americam Society for Testing and Materials. c Essenzialmente ossidi semplici (MgO, CaO, ossidi alcalini) e CaSO 4. Fonte: R. Nicholls, Composite Construction Materials Handbook, Prentice Hall, Inc. Henglewood Cliffs, N.J. 1976. I silicati di calcio idrati, prodotti delle reazioni di C3S e C2S sono strutturalmente simili per cui vengono genericamente indicati come C-S-H (Calcium-SilicateHydrate). Come abbiamo visto sono questi composti i responsabili delle proprietà strutturali del cemento, ovvero dello sviluppo “lento” della consistenza meccanica. Al contrario le reazioni di idratazione di C3A e C4AF sono piuttosto veloci, al punto che è necessario un loro rallentamento, poiché i prodotti delle reazioni non solo non contribuiscono consistentemente allo sviluppo di proprietà meccaniche, ma anzi producono alluminati idrati che riducono rapidamente la lavorabilità dell’impasto aumentandone la rigidità (questo fenomeno ha a che fare con lo sviluppo di un network consistente che esibisce un vero e proprio yield stress). Il processo di rallentamento avviene ad opera del gesso, che viene introdotto all’atto della macinazione del clinker. Le sue diverse forme di aggregazione (CaSO4·2H2O-gesso biidrato, CaSO4-anidrite, CaSO4·1/2H2O-emidrato) regolano la cinetica del fenomeno di presa attraverso la formazione sulla superficie di C3 A di una pellicola di ettringite (un trisolfo alluminato di calcio, C3A·3CaSO4·H32) che maschera le particelle e le rende meno permeabili all’acqua determinando un progresso regolare della presa. L’ettringite scompare dopo un giorno per effetto delle reazioni con gli alluminati idrati dunque rappresenta Tabella A.3 1. 2. 3. 4. 5. a Principali reazioni di idratazionea del cemento Portland. 2C3S + 6H → 3Ch + C3S2H3 2C2S + 4H → Ch + C3S2H3 C3A + 10H + CsH2 → C3ACsH12 C3A + 12H + Ch → C3AChH12 C4AF + 10H + 2Ch → C6AFH12 (tobermorite) Notazione contratta in uso nella tecnologia dei cementi: C3S = 3CaO·SiO2, C2S = 2CaO·SiO2, C3 A = 3CaO·Al2O3, C4AF = 4CaO·Al2O3·Fe2O3, H = H2O, Ch = Ca(OH)2, Cs = CaSO4. Fonte: R. Nicholls, Composite Construction Materials Handbook, Prentice Hall, Inc. Henglewood Cliffs, N.J. 1976. Appendice A C3 S C 4AF C 2S 1 10 100 Tempo, giorni Resistenza meccanica Grado di idratazione C3 A 1000 un intermedio di reazione la cui eventuale presenza a tempi lunghi indica che sono intervenuti fenomeni anomali quali particolari interazioni con l’ambiente (questo argomento, però, esula dall’ambito nel quale si intende circoscrivere questa appendice). Tuttavia i processi in gioco sono molto più complessi di quanto accennato. È bene ricordare, infatti, che i processi su menzionati dipendono fortemente del rapporto competitivo tra le cinetiche di idratazione di C3A e quelle di cristallizzazione del gesso. In particolare, se dal clinker si è ottenuto C3A particolarmente “lento” a idratarsi e il gesso è prevalentemente presente come emidrato, si assiste alla cristallizzazione preferenziale del gesso con il fenomeno ben noto della falsa presa. La falsa presa ha un costo addizionale sia in termini di aumento dei processi di miscelazione meccanica (peraltro sufficienti a “rompere” il network formato dal gesso cristallizzato e a ripristinare la lavorabilità dell’impasto) sia relativamente a un aumento del rapporto acqua/cemento che normalmente va a scapito delle proprietà meccaniche e della durabilità del cemento. Il gesso ha, poi, anche un effetto accelerante sulle reazioni di idratazione dei silicati (responsabili delle proprietà meccaniche del cemento indurito), pertanto il suo dosaggio ottimale risponde simultaneamente alle esigenze di evitare la presa rapida rallentando l’idratazione di C3A e C4AF, da un lato, e accelerare i processi di indurimento dei silicati, dall’altro. Riassumendo, in seguito alle reazioni complesse di idratazione della polvere cementizia, si produce un volume di prodotti idrati che vanno a occupare gli spazi che erano occupati dall’acqua, con un progressivo consolidamento dell’impasto, prima con la presa e poi con l’indurimento. Per un’idratazione completa del cemento occorre un quantitativo d’acqua pari al 25% della massa del cemento, stechiometricamente. Tuttavia questo rapporto acqua/cemento (a/c = 0.25), è insufficiente per una buona lavorabilità dell’impasto per cui si arriva anche al 30-35%. L’aggiunta di aggregati, poi, non fa che aumentare le “richiesta d’acqua” cosicché il rapporto in peso acqua/cemento raggiunge valori di 0.40-0.50 per le malte e fino a 0.80 per il calcestruzzo. È bene, a questo punto, rimarcare un concetto importante in relazione alle proprietà di un impasto cementizio. Per quanto complesse, le reazioni di idratazione dei cementi “conservano” sostanzialmente i volumi in gioco. Se ad esempio un kg di polvere di cemento viene miscelato con 0.5 l di acqua (a/c = 0.5), i volumi in gioco sono (1/3.15) dm3 + 0.5 dm3 (essendo la massa volumica del cemento pari a 3.15 kg/dm3). Ebbene, a valle del processo di indurimento, il volume consolidato sarà proprio V = 0.82 dm3. Analogamente, il volume di una pasta cementizia con un rapporto a/c = 0.6 sarà (1/3.15 + 0.6) = 0.92 dm3. La sostanziale differenza tra il primo e il secondo impasto sta nelle diverse proprietà mecca- Malte e calcestruzzi 533 Figura A.5 Le cinetiche di idratazione dei quattro costituenti mineralogici del cemento Portland (curve piene) e l’evoluzione temporale della resistenza a compressione (curva tratteggiata). 534 Appendice A Malte e calcestruzzi niche e nella diversa durabilità del cemento. Infatti, l’eccesso di acqua rispetto al valore stechiometrico (a/c = 0.25), in condizioni ideali di idratazione completa delle particelle, non produce altro che pori all’interno del manufatto. Tali pori “possono” restare riempiti d’acqua o “svuotarsi” a misura del grado di connettività (percolazione) del network di pori capillari che si generano durante il processo di indurimento e in funzione del grado di evaporazione dell’acqua stessa. La frazione volumetrica dei pori capillari non è irrisoria, in nessuna delle applicazioni “reali” dei cementi, come vedremo tra breve. Relazioni struttura-proprietà a. Sforzi residui Le reazioni rappresentate nella Tabella A.3 sono tutte esotermiche pur se con valori diversi del calore di reazione. Globalmente, tenendo conto degli ammontare relativi e del calore di reazione dei costituenti il cemento, viene liberata una quantità di calore di circa 120 Kcal/Kg di polvere di cemento. L’esotermia delle reazioni di idratazione va tenuta nella giusta considerazione anche alla luce delle discussioni relative a Capitolo 7 e tenendo in conto i principi generali dei fenomeni di trasporto termico. Ricordando la regola aurea che “un corpo più è grande più è adiabatico”, si può intuire che per gettate di piccola dimensione (ovvero manufatti in cui il rapporto superficie di scambio/volume sia relativamente grande) il calore sviluppato può essere facilmente smaltito. Inoltre l’eventuale aumento di temperatura che ne consegue può addirittura presentarsi come un fenomeno positivo, quando, per esempio, i climi freddi potrebbero rallentare le cinetiche dei processi di idratazione. Al contrario, per opere di grandi dimensioni lo sviluppo di calore e la bassa diffusività termica del calcestruzzo devono essere opportunamente tenuti in conto alla luce della problematica relativa agli sforzi residui. Come abbiamo visto nel Capitolo 7 (in merito alla tempra del vetro) gli sforzi residui si sviluppano all’interno di un manufatto a causa dei gradienti di temperatura generati dai transitori termici. La loro entità può essere tale da eguagliare la resistenza meccanica del manufatto, nel qual caso si innescano fenomeni di frattura. Per motivi di scambio termico con l’esterno il “core” del manufatto risulta molto più caldo e con velocità di idratazione più elevate che in periferia (un processo auto catalitico che aumenta la potenza termica generata dalle reazioni di idratazione). Nei primi tre giorni la rapidità del processo di idratazione determina un fronte di indurimento che propaga dal centro verso l’esterno. Nel frattempo l’esaurirsi delle reazioni di idratazione determina un abbassamento della temperatura con “ritiri differenziali” che generano sforzi residui interni di natura tensile sulle superfici del manufatto, la cui entità può causare l’innesco di fratture che oltre a determinare una diminuzione netta della resistenza meccanica rappresentano “cunei” preferenziali per lo sviluppo di processi di degrado atmosferico. Successivamente l’effetto skin-core si inverte. La superficie del manufatto va in compressione e l’interno in trazione (laddove può causare fessurazioni non visibili e pertanto più pericolose) a causa dalla maggiore contrazione subita dalla parte interna dovuta al più alto differenziale di temperatura da smaltire. In base alla trattazione qualitativa appena accennata si può comprendere che gli sforzi residui sono una complessa combinazione del prodotto tra la “cinetica” con cui si sviluppa la rigidezza di un manufatto, anche non vincolato, e le deformazioni differenziali originate dai gradienti termici associati ai fenomeni transitori di scambio termico. La complessità della fenomenologia non esclude la possibilità che il problema possa essere trattato quantitativamente ed è bene sottolineare che si fa sempre più pressante, nell’ingegneria delle strutture, lo Appendice A Tabella A.4 Composizione della pasta indurita dei cementi Portland. Composizione volumetrica Composto n = Vi /V C-S-H 0.50-0.60 Idrossido di calcio 0.20-0.25 Solfoalluminati di calcio idrati Alluminati di calcio idrati 0.15-0.20 sviluppo di metodiche di modellazione attraverso l’utilizzo di codici di calcolo agli elementi finiti (FEM). Questi metodi possono fornire a grandi linee gli strumenti decisionali per la scelta della matrice cementizia più opportuna (ivi incluso il suo dosaggio, c) per una specifica applicazione. Nella pratica comune, nel caso di strutture massive si sceglie un cemento a basso calore di idratazione al fine di mantenere il rischio di fessurazione entro determinanti limiti pur impiegando un dosaggio di cemento abbastanza alto per ottenere un calcestruzzo sufficientemente coesivo e pompabile. Una pasta di cemento Portland completamente idratata ha una composizione volumetrica di solidi come riportato nella Tabella A.4. Nella tabella non sono considerati i pori capillari e i vuoti (accidentali e intenzionali) che saranno oggetto di una specifica discussione nella sezione successiva. Le interazioni tra le diverse fasi del cemento Portland sono di tipo van der Waals (come nei polimeri), pertanto, come abbiamo visto nel Capitolo 6, le proprietà elastiche dall’impasto cementizio dovrebbero risultare blande rispetto ai materiali omogenei ordinari (metalli, ceramici), nei quali dominano i legami di tipo primario. Dunque le forze attrattive di van der Walls non giustificano, da sole, il valore del modulo elastico che per il Portland è nell’intervallo 10-40 GPa. Talvolta vengono invocate le “forze di contatto”, ma queste potrebbero contribuire certamente a dare una spiegazione della maggiore resistenza meccanica a compressione (come quando si prova a “comprimere” un mucchietto di sabbia, che, pur essendo inconsistente elasticamente, esibisce uno yield stress apparente non nullo). Piuttosto, la pasta cementizia è di per sé un composito particellare le cui proprietà elastiche e ultime dipendono dalla natura delle particelle di rinforzo dalla loro forma e dalla frazione volumetrica. Le “zone di transizione” tra le fasi costituiscono la fase percolativa (ovvero, la matrice del composito, dominata da interazioni deboli, eccesso di vuoti, pori capillari, acqua interstratica ecc.) che ingloba a sua volta gli elementi costituenti del cemento ovvero C-S-H, idrossido di calcio, solfoalluminati di calcio idrati e alluminati di calcio idrati i cui moduli elastici sono dominati da legami di tipo primario. In sintesi, mentre la complessità della struttura di un cemento impedisce di utilizzare la trattazione classica dei compositi per risalire quantitativamente alle sue proprietà elastiche, allo stesso tempo la mera esistenza di legami secondari nella zona di transizione associata all’elevato rapporto di forma delle particelle (si pensi alla struttura aghiforme del C-S-H) giustifica qualitativamente l’elevato modulo elastico del cemento indurito (esattamente come avviene nei compositi a matrice polimerica rinforzati con fibre corte con elevato rapporto l/d). Tra gli elementi “inglobati” dalla zona di transizione va considerata senz’altro l’aliquota di cemento inaccessibile all’acqua. Nell’ottica di catalogare “le fasi disperse” del composito, una fase significativa è rappresentata dal volume dei pori come una fase a modulo elastico nullo. La pasta cementizia può essere considerata come un composito particellare che, data la geometria dei costituenti, ha un elevato grado di riempimento. Nella Figura A.6 è Malte e calcestruzzi 535 536 Appendice A Malte e calcestruzzi Figura A.6 Rappresentazione schematica della struttura di un cemento idrato in relazione al rapporto a/c. rappresentata schematicamente la “struttura” di un cemento idratato a due diversi valori del rapporto a/c. La figura illustra schematicamente come i prodotti dell’idratazione vadano a occupare gli spazi precedentemente occupati dall’acqua e, per quanto schematicamente, chiarisce l’origine dei pori capillari, rappresentativi di quell’aliquota dello spazio non occupata dai prodotti di idratazione rappresentati nella loro natura fibrosa. Gli aggregati influiscono sulle proprietà tecnologiche dei conglomerati cementizi sia allo stato fresco che indurito. La forma, l’ammontare e la distribuzione delle particelle di aggregato influenzano le caratteristiche reologiche del conglomerato fresco incidendo direttamente sul rapporto acqua/cemento. I gradienti termici che si sviluppano soprattutto nelle opere di grandi dimensioni, dovuti alla esotermia dei processi di idratazione, sono ridotti dalla presenza degli aggregati che in quanto inerti funzionano da volano termico. Allo stato indurito l’influenza degli aggregati sulle proprietà meccaniche (resistenza, rigidezza ecc.) del conglomerato non è straordinaria poiché le proprietà meccaniche dei costituenti il composito (il filler e la pasta cementizia) non differiscono di molto (nel Capitolo 12 abbiamo visto invece che nelle vetroresine e nelle carboresine i moduli elastici e le resistenze di fibre e matrici possono differire di 2-3 ordini di grandezza). Nello specifico, mentre una pasta indurita di cemento Portland può avere un modulo elastico compreso tra 10 e 40 GPa in un conglomerato standard il modulo elastico può avere valori nell’intervallo 40-60 GPa. Per quanto riguarda la resistenza a compressione, essa è dominata dalla fase cemento ancora una volta perché questa rappresenta la fase continua del composito. Nel cemento sono presenti micro e macro difetti la cui natura e distribuzione statistica determina la resistenza a compressione dell’intero conglomerato. Un fattore determinante per la durabilità del calcestruzzo è poi rappresentato dal coefficiente di espansione termica lineare che, come è facile intuire, è il risultato di una media sulle frazioni volumetriche degli aggregati e della pasta cementizia. Tuttavia la pasta cementizia presenta un CETL non molto dissimile da quello degli aggregati e in media il calcestruzzo ha un CETL di circa 10·10–6 °C–1 che paragonato con quello dell’acciaio nelle strutture armate (12·10–6 °C–1) chiarisce perché i principali costituenti il cemento armato “lavorano” bene insieme. A questo proposito, nel Capitolo 7 abbiamo visto come, a causa della dilatazione termica, nelle strutture vincolate possano insorgere sforzi grandi quanto lo sforzo di rottura. Allo stesso modo, sforzi di natura termica possono insorgere tra materiali accoppiati con diverso CETL. La sostanziale equivalenza dei coefficienti di espansione termica assicura che il fenomeno di fatica termica dovuto alle escursioni diurne e stagionali della temperature sia abbastanza remoto all’interfaccia tra i ferri di armatura e il conglomerato cementizio. Appendice A Tabella A.5 Coefficiente di espansione termica lineare. CETL (°C–1) × 106 Matrice cementizia Aggregati silicei Aggregati calcarei Acciaio b. 10 11 5 12 Porosità I pori capillari, di dimensioni comprese tra 0.01 e 5-6 mm rappresentano lo spazio non riempito dai componenti solidi della pasta di cemento idrata. Il volume dei pori Vp dipende dalla distanza originale tra le particelle di cemento anidro nella pasta di cemento miscelata di fresco (cioè dal rapporto a/c) e dal grado di idratazione α, cioè dalla frazione di cemento idrato secondo la relazione: Vp = 100 ⋅ a − 36.15 ⋅ α c (A.7) Con questa formula empirica Vp rappresenta i litri di vuoti per ogni 100 Kg di cemento. Si osservi che per un cemento con rapporto a/c = 0.5, perfettamente idratato (α = 1) il volume dei pori è circa 15 litri. Ne consegue che la frazione volumetrica di pori capillari (n = Vp /Vtot) è n 15/82 0.20. A questa frazione di pori va aggiunta la porosità allocata all’interno delle particelle solide che formano la pasta di cemento (la porosità del gel) che ammonta al 28% del volume occupato dalle particelle solide della pasta cementizia (che non può essere sostanzialmente modificata), e l’aliquota di vuoti d’aria intenzionali in forma di microbolle inseriti per conferire al calcestruzzo migliori capacità di resistere ai fenomeni dilatativi ad opera del ghiaccio. L’Equazione A.5 mostra come la porosità capillare può essere significativamente modificata attraverso il rapporto acqua-cemento (a/c) e/o il grado di idratazione, cioè la frazione di cemento idratato. Ciò è importante alla luce del fatto che la resistenza del cemento è funzione forte del volume dei pori capillari, come vedremo in seguito. Per effetto della presenza dei pori e vuoti d’aria la pasta di cemento è capace di trattenere grandi quantità d’acqua a seconda dell’umidità dell’ambiente e della porosità della pasta stessa. Quando i pori non sono connessi tra loro (segmentazione dei pori) il cemento è impermeabile. La condizione di impermeabilità all’acqua si raggiunge in tempi tanto maggiori quanto più elevato è il rapporto a/c. Con a/c = 0.55 occorre 1 mese per l’impermeabilità, con a/c = 0.7 non si ha mai impermeabilità. L’impermeabilità è un fattore primario per assicurare la durabilità della pasta di cemento, perché riduce l’impatto degli agenti aggressivi ambientali. La permeabilità del cemento diminuisce esponenzialmente con Vp = Vp(α, a/c). c. Stabilità dimensionale La pasta di cemento indurita non è dimensionalmente stabile al variare dell’umidità relativa U.R. L’evaporazione dell’acqua nell’intervallo 95% < U.R. < 100% comporta lo svuotamento dei pori capillari più grossi (> 50 nm) senza che si abbia ritiro. Quando U.R. scende al di sotto del 95%, si ha l’evaporazione dell’acqua contenuta nei pori di dimensioni 10-50 nm provocando il ritiro. L’unico modo per ridurre il ritiro causato dall’essiccazione è quello di ridurre Vp, attraverso una riduzione di a/c e un aumento di α. Malte e calcestruzzi 537 538 Appendice A Malte e calcestruzzi Figura A.7 Resistenza meccanica in funzione del rapporto a /c e del tempo trascorso dalla miscelazione. Si osservi che la correlazione tra i dati dovrebbe essere di tipo esponenziale in accordo con l’Equazione A.8. Qui le linee di collegamento tra i punti sono solo una “guida” per discernere un trend. RC 70 60 50 40 30 20 3 giorni 7 giorni 28 giorni 90 giorni 10 0 0.45 0.50 0.55 0.60 0.65 ac a /c d. Resistenza meccanica dei cementi Come abbiamo visto qualitativamente nella Figura A.5, le reazioni di idratazione di C3S, C2S danno luogo alla formazione di C-S-H che è la fase che più di ogni altra contribuisce alle caratteristiche meccaniche di un cemento. La resistenza meccanica aumenta col tempo trascorso dalla miscelazione. Nel merito si osservi la Figura A.7 relativa a test sperimentali effettuati in un intervallo di 90 giorni. Mediamente dopo 3 giorni si raggiunge il 30% della resistenza di riferimento presa a 28 giorni. In 7 giorni si raggiunge il 60%, e dopo un anno il 120-140%. Questi valori sono indicativi anche perché la resistenza meccanica dipende dal rapporto a/c che come abbiamo visto “regola” la distribuzione e l’ammontare dei pori. In pratica l’aumento del rapporto a/c aumenta il volume dei pori e diminuisce la sezione “utile” resistente, diminuendo la resistenza meccanica. La seguente relazione empirica correla il volume dei pori con la resistenza: ( ) Rc = K ⎡Vs Vp + Vs ⎤ ⎣ ⎦ n (A.8) La combinazione delle Equazioni A.7 e A.8 fornisce l’Equazione A.9: Rc = K ⎡⎢Vs ⎣ (100 ⋅ a c − 36.15 ⋅ α + V )⎤⎦⎥ s n (A.9) dove n = 3, K = 250 MPa, Vs è il volume del cemento idrato e Vp il volume dei pori. Si osservi la “sensibilità” dell’Equazione A.9 al rapporto a/c. Piccole diminuzioni di a/c comportano elevati aumenti di Rc. e. Resistenza meccanica del calcestruzzo Le proprietà del calcestruzzo dipendono dalla matrice cementizia. Pertanto, si assume per convenzione di riferire le proprietà del calcestruzzo al tempo di 28 giorni dalla miscelazione. Il calcestruzzo è caratterizzato dall’avere una scarsa resistenza a trazione e in ogni caso minore della resistenza a compressione. Nella Tabella A.6 sono riportati gli intervalli dei valori delle proprietà elastiche e di resistenza della matrice cementizia e degli aggregati. Appendice A Tabella A.6 I costituenti del calcestruzzo. Proprietà meccaniche Cemento Elementi lapidei Modulo elastico E (GPa) Resistenza a compressione Rc (MPa) 20-30 20-100 30-40 80-250 Benché gli aggregati occupino dai 2/3 ai 3/4 del volume del calcestruzzo, la resistenza meccanica è governata come in ogni composito particellare dalla matrice cementizia che ha proprietà meccaniche inferiori rispetto all’aggregato. In merito alle proprietà elastiche, tenuto conto che il cemento è la matrice che ingloba gli elementi lapidei, e che le due fasi sono macroscopicamente distinguibili, l’applicazione dei modelli utilizzati per i compositi può condurre a una correlazione quantitativa tra le proprietà elastiche e la struttura del conglomerato (quest’ultima descritta, nei modelli su menzionati, dalla frazione volumetrica e dalla forma dei filler lapidei, dal loro grado di impacchettamento massimo teorico e dalle proprietà elastiche delle due fasi costituenti). In relazione al rapporto a/c, minore è la porosità capillare della matrice cementizia e maggiore sarà la resistenza meccanica a compressione del calcestruzzo. La relazione empirica che segue dà conto della dipendenza esponenziale della resistenza con il volume dei pori: RC = R0C ⋅ e − bp (A.10) R0C rappresenta il valore ideale di resistenza in assenza di pori. Più utilmente, poiché il valore del volume dei pori dipende da a/c (fissato il livello di idratazione) si ha: RC = K1 ⋅ K 2 − a c (A.11) dove K1 e K2 sono costanti empiriche che dipendono dal tempo trascorso dalla miscelazione. A tal proposito si osservi che aggregati più grossi e quindi con minore superficie specifica richiedono meno acqua di impasto a pari lavorabilità e quindi a parità di dosaggio di cemento consentono di avere calcestruzzi con Rc maggiore. D’altra parte, i calcestruzzi con aggregati di frantumazione presentano una migliore resistenza meccanica a trazione e a flessione rispetto a quelli alluvionali per la migliore aderenza tra aggregato e matrice cementizia (a causa della maggiore superficie esposta). Le seguenti relazioni legano la resistenza a trazione Rt e la resistenza a flessione Rf con Rc: R f = K fc Rc½ (A.12) Rt = K tf Rf (A.13) La resistenza a trazione del calcestruzzo va considerata alla luce del fatto che le variazioni di umidità nell’ambiente inducono delle deformazioni nel calcestruzzo, che è poroso. Sono più critiche le diminuzioni di umidità che comportano un ritiro e quindi, in un sistema vincolato (quale può essere una struttura in calcestruzzo) sforzi di trazione. Malte e calcestruzzi 539 540 Appendice A Malte e calcestruzzi Figura A.8 Realizzazione dello slump test. f. Lavorabilità del calcestruzzo Un impasto cementizio ottimale deve essere lavorabile e nel contempo non segregabile. I tempi di sedimentazione sono inversamente proporzionali alle dimensioni medie delle particelle di aggregato, fissata la viscosità del mezzo sospendente (regolata dal rapporto a/c). I processi di segregazione (altamente indesiderati) determinano una disomogeneità nella composizione degli aggregati del calcestruzzo con le particelle “grandi” accumulate sul fondo della struttura e un possibile “affioramento” di acqua in superficie (bleeding). D’altra parte, è abbastanza intuitivo che la segregazione e il bleeding siano tanto più remoti quanto più la distribuzione delle particelle si avvicina a quella ottimale. In queste condizioni il calcestruzzo può essere più o meno fluido o più o meno “lavorabile” in dipendenza del rapporto a/c. La lavorabilità indica la capacità del calcestruzzo di scorrere e di riempire le casseforme. Per la determinazione della lavorabilità si fa ricorso allo slump test, illustrato nella Figura A.8. Un recipiente tronco-conico (il cono di Abrams) alto 30 cm, riempito di impasto viene sollevato in modo che la massa fluida si disponga secondo una configurazione individuata dall’altezza H. Lo “slump = 30-H” è l’abbassamento che il calcestruzzo subisce una volta sollevato il cono. Con questo test si classificano 5 classi di consistenza (lavorabilità) dei calcestruzzi. Alla classe di consistenza S1 corrisponde un calcestruzzo appena umido, alla classe S5 un calcestruzzo superfluido. La classificazione è riportata nella Tabella A.7 e fa riferimento a normative UNI, così come indicato. Supposto che la curva granulometrica dell’aggregato rispetti le condizioni di ottimo, la quantità di acqua richiesta per avere una certa classe di consistenza cresce all’aumentare della classe di consistenza (da S1 a S5), al diminuire del diametro massimo D (l’aggregato più piccolo presenta un rapporto S/V maggiore) e passando da una aggregato alluvionale tondeggiante a uno di frantumazione (la superficie irregolare presenta maggiore attrito e il rapporto S/V è più elevato). Tabella A.7 Classi di consistenza dei calcestruzzi. (Slump) UNI EN 12350-2 Classe S1 S2 S3 S4 S5 (t. umido) (plastico) (semifluida) (fluida) (superfluida) Abbassamento al cono da 10-40 mm da 50-90 mm da 100-150 mm da 160-210 mm ≥ 220 mm Appendice A g. Degrado del calcestruzzo Il calcestruzzo è un materiale durevole. Tuttavia esso è soggetto a molteplici fattori di degrado (chimici, fisici, meccanici) che, sotto certe condizioni, possono compromettere la capacità portante di un’intera struttura. Non entreremo nel dettaglio di questi processi. Citeremo sinteticamente ciascuna delle tipologie di degrado. Per esempio, i processi di carbonatazione, descritti dalla reazione A.6, ad opera della CO2 atmosferica, determinano un abbassamento del pH da 13 a 9 nell’intorno dei ferri di armatura distruggendone il film di passivazione, e in presenza di O2 e H2O, causando corrosione generalizzata. Non meno importanti sono le aggressioni chimiche ad opera di cloruri, solfati (SO4–2) e solfuri (S–2) e alcali (Na+, K+). I cicli di gelo e disgelo possono essere dirompenti a causa degli effetti dilatativi connessi con la formazione di ghiaccio. In tal caso la struttura viene sottoposta a fatica con sforzi ciclici di natura tensile. Tali fenomeni possono essere minimizzati diminuendo il rapporto a/c dato che con esso diminuisce anche l’acqua normalmente presente nei pori capillari della matrice cementizia. Inoltre l’inclusione di bolle d’aria (ad opera di tensioattivi) crea vie preferenziali di fuga per l’acqua che sta ghiacciando. Il degrado meccanico è connesso con l’esercizio della struttura, sottoposta perennemente a vibrazioni e accidentalmente a eventi catastrofici che includono i terremoti. Tutti questi fenomeni (fisici, chimici, meccanici) sono classificati e con essi le tipologie di calcestruzzi più idonee. Altri cementi Il cemento pozzolanico si ottiene miscelando fino al 50% (circa) di clinker del cemento Portland con la pozzolana, una roccia vulcanica composta da silicati, silice e alluminosilicati in gran parte non cristallizzati. Lo stato di non-equilibrio di questi componenti e il loro carattere acido determinano la reattività della pozzolana (un materiale di per sé incapace di esplicare azioni “leganti”) con l’idrossido di calcio in presenza di acqua, già a temperatura ambiente, con formazione di silicati e alluminati idrati in tutto simili ai prodotti di idratazione cemento Portland. Poiché nel cemento pozzolanico la calce viene fornita dalle reazioni di idratazione del cemento Portland, segnatamente da C2S e C3S (Tabella A.3), ne consegue che, in linea di principio, un cemento pozzolanico è più lento a maturare di un cemento Portland, anche se nel giro di un anno può esibire una resistenza meccanica maggiore. L’utilizzo dei cementi pozzolanici è legato alle particolari prestazioni in servizio. Il cemento pozzolanico esibisce una particolare resistenza al dilavamento a causa della bassa percentuale di idrossido ci calcio (“consumato” dalle reazioni di idratazione della pozzolana). Inoltre, la quantità di calore sviluppata dai cementi pozzolanici è più bassa di quella del corrispondente cemento Portland utilizzato nella miscela. In pratica, la frazione di riduzione del calore globalmente svolto durante le reazioni di idratazione, rispetto al cemento Portland, è pari a circa la metà della frazione di pozzolana impiegata. Per esempio in un cemento pozzolanico al 50% di clinker di Portland il calore di idratazione è circa il 75% di quello del cemento Portland corrispondente. Le reattività di qualunque materiale con idrossidi di calcio, in presenza di acqua, viene denominata attività pozzolanica e si registra in quei materiali naturali o artificiali, come le ceneri volanti (fly ash) prodotte nelle centrali termiche, in cui siano predominanti lo stato amorfo e l’alta superficie specifica dei costituenti (fonti intrinseche di reattività). Proprietà idrauliche latenti (ovvero la reattività con acqua) possono essere esplicate, altresì, dalle scorie di altoforno, anch’esse utilizzate largamente allo stato non cristallizzato. La miscelazione delle scorie con Malte e calcestruzzi 541 542 Appendice A Malte e calcestruzzi clinker di Portland (30-70%) dà luogo ai cementi di altoforno. Anche in questo caso il contenuto complessivo dell’idrossido di calcio è relativamente limitato. Tuttavia, in questo caso la quantità di idrossido di calcio è regolata sostanzialmente dalla percentuale di Portland utilizzato nella miscela (e non dalla reattività con l’idrossido della scoria). Sicché, si può affermare che i calcestruzzi confezionati con cementi d’altoforno presentano anch’essi una buona resistenza alle acque dilavanti. Sia il cemento pozzolanico che quello d’altoforno presentano anche una buona resistenza alle acque solfatiche, cioè quelle acque che contengono disciolte discrete quantità di solfati, come ad esempio l’acqua marina. Il cemento alluminoso (o calcio-alluminoso) è un cemento a rapido indurimento che si ottiene per cottura di bauxite e calcare. È stato usato in passato anche in costruzioni importanti, ma per la sua sensibilità ai climi caldi (il decadimento delle proprietà meccaniche) il suo utilizzo è sconsigliato, in generale, per applicazioni strutturali. Recentemente con il cemento calcio-alluminoso si è prodotto un cemento denominato MDF (macro-defect-free). Il cemento MDF è in realtà un composito a matrice polimerica che si caratterizza per l’elevata resistenza a trazione (100-150 MPa) e può essere ottenuto in forma di lastre o tubi mediante operazioni unitarie di processo tipiche dei polimeri (calandratura, hot stamping, estrusione). Riepilogo Le malte e i calcestruzzi sono i materiali più ampiamente utilizzati nelle costruzioni. Abbiamo potuto constatare il loro livello di complessità in termini di relazioni proprietà-struttura. In entrambi i casi si tratta di materiali multifasici. Nel calcestruzzo si distinguono macroscopicamente una fase inglobata (gli inerti) e una matrice. La distribuzione delle dimensioni delle particelle degli elementi lapidei gioca un ruolo dominante nei calcestruzzi sia allo stato fresco che indurito e la sua definizione ottimale risponde ai requisiti di massimo riempimento (minor costo) compatibile con la lavorabilità e le prestazioni meccaniche per una data applicazione. Nel calcestruzzo le prestazioni meccaniche e la durabilità, sono dominate dalla matrice cementizia attraverso il rapporto acqua/cemento. Grazie alle sue caratteristiche, il cemento dispone di notevoli possibilità di sviluppo legate sia all’evoluzione generale dei materiali inorganici sia a quella dei materiali compositi. Il legame del cemento con altri materiali come i polimeri organici (cementi MDF) e i filler inorganici, ecc., può migliorare in modo significativo alcune proprietà fondamentali del prodotto finito orientando la ricerca verso più alti livelli di resistenza, durabilità e tenacità. Il cemento si presenta come un materiale che si adatta molto bene alle necessità future legate all’ambiente, dove il riciclo sarà una delle esigenze fondamentali. Bibliografia Nicholls R., Composite Construction Materials Handbook, Prentice Hall, Inc. Henglewood Cliffs, N.J. 1976. Kett I. “Engineering Concrete: mix design and test methods”, CRC Press LLC (USA), (2000) ISBN 084932277-4. Collepardi M., Scienza e tecnolgia del calcestruzzo, Hoepli, Milano, 1991. Coppola L., Concretum, McGraw-Hill, Milano, 2007. Brisi C., Chimica Applicata, Levrotto e Bella. Alfani R., Colombet P., D’Amore A., Rizzo N., Nicolais L., “Effect of temperature on thermo-mechanical properties of Macro-Defect-Free cement-polymer composite”, J. Materials Science 34 (1999) 5683-5687.