Secondo capitolo - Equi
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Secondo capitolo - Equi
Maurizio Mos Ispettore Ferrando Era una bella occasione 1 Seconda parte 2 Giovedì, 16 aprile La primavera era rimasta sul mare, al di là dei monti e i grigi lombardi piani avevano evidentemente deciso di dare il meglio per meritarsi i versi di Carducci. Il cielo era di un uniforme color piombo e ai lati dell'autostrada la nebbia limitava a poco più di cento metri lo sguardo sui campi di un triste beige, dove le cascine avevano la luce ancora accesa. Anche le temperature s'erano adeguate al paesaggio, così che quando s'era fermato a un autogrill Ferrando era stato lieto di aver portato il Burberry. Addio alle passeggiate e alle foto primaverili nel Parco... Ma non era solo il clima a minacciare i suoi piani. Quella mattina era partito da poco e stava raggiungendo l'autostrada quando gli era arrivata la telefonata di Tallone: nella notte a Cuggiono c'era stato un altro omicidio, sicuramente attribuibile a Santi. Il cadavere era stato fatto a pezzi e la vittima era un altro membro della famiglia Bentivoglio: il patriarca, Agostino Bentivoglio. Ferrando doveva raggiungere direttamente la cittadina e il luogo del delitto e prendere contatto con il tenente Pavia, che stava dirigendo le indagini in sito. Probabilmente ci avrebbe trovato anche il magistrato incaricato e il colonnello Sperandio e il capo della Mobile aveva ritenuto necessario sprecare cinque minuti buoni in raccomandazioni e istruzioni. «Ha visto che avevo ragione? - pontificò Tallone - è stato il pazzo. Vada e collabori con i Carabinieri, indagini congiunte, quel matto interessa anche noi. Mi raccomando, tenga per lei le sue solite intuizioni e si attenga ai fatti, specie se avesse la fortuna di poter parlare con il colonnello, va bene?, e si ricordi che là lei mi rappr...rappresenterà la Squadra Mobile. Mi sente?» «Sì, sì, certo.» in realtà aveva allontanato il cellulare per non farsi beccare da una pattuglia della Stradale che gli era arrivata alle spalle mentre telefonava e guidava. Doveva decidersi per il viva voce... ma tanto non era che passasse il tempo al telefono mentre era in macchina. Più concretamente stava pensando che Santi si muoveva in fretta: in due giorni o pressappoco era venuto al mare, aveva trovato e ammazzato Mariagrazia, era tornato su e aveva fatto fuori Agostino. Niente male per un pazzo maniaco. «Se si trova in difficoltà non esiti a telefonarmi - aveva continuato Tallone, con l'aria di considerare logico che Ferrando finisse nei guai - se potrò verrò su di persona o manderò il dottor Capitani.» 3 Infine gli aveva comunicato l'indirizzo del luogo del delitto e aveva chiuso la comunicazione con tutta una serie di “...mi raccomando” e “...mi faccia sapere”. §§§ Guidato dal navigatore, Ferrando si destreggiò tra autostrade, tangenziale e superstrade e infine si immise nella viabilità ordinaria. Tutto attorno si stendevano campi bruni screziati di verde pallido e gruppi di alberi dai colori velati dalla nebbia. Qua e là la macchia rossa o gialla di un trattore si muoveva piano sobbalzando sul terreno e i suoi fari schermati dalla foschia erano brevi chiazze giallastre. Poco dopo superò l'ennesima rotonda e obbedendo alla voce del congegno (con cui talvolta si litigava), imboccò una secondaria e poi un'altra che si perdeva nella campagna. Un paio di chilometri più in là uno sfarfallio di luci blu lo informò che era arrivato alla scena del nuovo delitto dell'Uomo con l'ascia, come sarebbe stato ribattezzato in giornata da una televisione locale. Nome ben scelto, d'effetto e perciò ripreso prontamente da tutti i media. Dalla strada asfaltata una carrareccia, che correva dritta su un rilevato, forse un vecchio argine, tagliando i campi, portava a una casa colonica posta al margine di un pioppeto, a un centinaio di metri dal bivio. La carrareccia era sbarrata da una FIAT della Polizia Municipale e da un paio di agenti e assediata da una decina di auto e furgoni dei media e una piccola folla di cronisti. C'erano anche una dozzina di curiosi. Nonostante fossero passate ormai ben più di quattro ore dal ritrovamento del cadavere la cascina era ancora attorniata da auto dei Carabinieri e mezzi del 118 e i militari si aggiravano tutto intorno. Uno dei due agenti della P. M., una donna bruna sui trentacinque anni che portava i gradi di ufficiale, vedendo che si preparava a girare gli fece segno di fermarsi e si accostò al finestrino. «La strada è chiusa, non può passare.» «Sono della Polizia, Squadra Mobile – le spiegò Ferrando mostrandole la tessera – mi aspettano.» «Capisco, allora vada pure, la casa è là in fondo.» aggiunse, un po' inutilmente. «Grazie.» «Di nulla, dovere.» «Il cadavere è ancora là?» «Non saprei, ma non ho visto passare il carro funebre. Però non so dirle di preciso. I Carabinieri non ci hanno fatto nemmeno avvicinare e il colonnello ha ordinato di mandarci a dirigere il traffico.» 4 Il tono della voce e l'espressione del viso della donna... un viso piacevole, abbronzato, con occhi azzurri molto chiari, insoliti in una bruna, lasciava chiaramente capire il suo disappunto per essere stata spedita a dirigere il traffico e la sua antipatia per l'ufficiale che l’aveva allontanata. D'altra parte Investigativa dell'Arma e Squadra Mobile erano restii ad ammettere i Vigili Urbani nel piccolo club delle indagini per omicidio. «Sa com'è – rispose vago – a volte pensiamo di essere i soli a poter girare intorno a un cadavere.» «Non dico di no, ero sovrintendente in Polizia, sono stata due anni nella Mobile a Parma, ma non credo di essere mai stata così brusca con chi cercava di rendersi utile.» «Era nella Mobile?, una collega allora.» «Beh sì... grazie... - la ragazza sembrò sorpresa e lieta del suo riconoscimento – Ratti, Marina Ratti.» aggiunse poi tendendogli la mano. «Giulio Ferrando, piacere – le sorrise lui stringendole la mano - se è ancora qui quando ritorno ci risentiamo.» «A dopo.» Sotto gli occhi invidiosi dei curiosi e dei giornalisti (che si precipitarono attorno all'ex sovrintendente per sapere chi aveva fatto passare) Ferrando imboccò la carrareccia e raggiunse la casa. Era una grande casa colonica, una vera cascina lombarda con un corpo principale con un piano terra e un primo piano destinato ad abitazione e due corpi laterali, stalle e fienili, disposte a 90° rispetto all'edificio principale: l'insieme formava una vasta aia chiusa su tre lati. Fermò l'auto ai margini dell'aia, mostrò i documenti a un carabiniere e fu ammesso alla presenza del colonnello. Era fermo davanti all'ingresso della casa, con accanto due ufficiali e due civili: erano, avrebbe saputo poco dopo, il medico legale e il sostituto procuratore, quest'ultimo con un loden verde con il piegone dietro come Ferrando non vedeva da anni. Corpulento, imponente nel soprabito d'ordinanza, alto berretto infogliato d'oro, il colonnello Sperandio aveva la voce seccata e i modi bruschi di chi non ritiene di dover perdere tempo con un semplice funzionario «Oh sì, lei è l'ispettore... Ferrante... no, Ferrando, giusto?, è venuto a prendere i documenti e a seguire queste indagini, ricordo la telefonata del dottor Tallone. Come ho detto al suo dirigente lei è il benvenuto ma questi casi riguardano l'Arma. Più tardi potrà parlare con il tenente Pavia, diciamo verso le quattro. Vada pure.» concluse con un gesto di congedo, aspettandosi probabilmente che Ferrando scattasse sugli attenti sbattendo i tacchi con il canonico “comandi”. 5 «I rilievi ormai sono finiti, vero?, bene, più tardi darò un'occhiata intorno – disse senza muoversi, come se il colonnello non avesse parlato, ficcandosi in bocca il suo solito mezzo toscano e voltandogli a mezzo le spalle. Il fatto era che lui non aveva il carattere che gli facesse sopportare un simile modo di fare – intanto andrò a togliermi qualche dubbio in paese. Lei è il tenente Pavia credo - beh, era l'unico tenente, lì... congratulazioni per l'acuta deduzione - Ferrando, Giulio Ferrando.». «Infatti... piacere.» il tenente Pavia pareva avere difficoltà a esprimersi. «Piacere mio tenente. Ecco, le lascio il mio numero di cellulare – gli disse porgendogli il biglietto da visita. Non poteva metterlo contro il suo colonnello forzandolo a un appuntamento diverso da quello stabilito dall'arrogante ufficiale – mi chiami appena può dedicarmi una mezz'ora. Arrivederci a tutti.» Con un cordiale gesto di saluto generale voltò le spalle al gruppetto ignorando il colonnello (il cui colorito stava pericolosamente virando al vinaccia) e si avviò verso la sua auto. In realtà non gli pareva utile rimanere lì: le uniche informazioni interessanti (quando il morto era diventato tale e come l'assassino l'aveva sorpreso) le avrebbe avute in seguito. E in fondo non servivano a molto, il mistero secondo lui era altrove. Perché quel che gli interessava davvero era saperne di più su quella storia familiare e se il presunto assassino aveva potuto scoprire, magari dall'anagrafe del comune, dove era emigrata anni prima, quando lui era dentro, Maria Grazia. «Già di ritorno? Scacciato anche lei?» l'ex sovrintendente gli era andata incontro esitante. Ferrando aveva fermato un po' bruscamente la sua auto (in effetti il colonnello l'aveva irritato più di quanto volesse ammettere) accanto alla FIAT della Polizia Municipale ed era sceso avvicinandosi alla donna mentre spegneva il mezzo toscano. Poche donne ne apprezzano l'aroma... puzza per molte. «Più o meno: non credo di essere riuscito molto simpatico al colonnello.» Le raccontò sommariamente come erano andate le cose e concluse spiegandole che aveva bisogno di informazioni sulle famiglie coinvolte nella storia. Inoltre voleva sapere se Matteo Santi poteva aver avuto la possibilità di scoprire all’anagrafe del comune dove era emigrata Mariagrazia Bentivoglio. O in alternativa come poteva aver saputo dov'era emigrata la vecchia signora. «Sbaglio o è convinto che le cose non siano semplici come dicono i Carabinieri? - chiese la donna fissandolo tra il perplesso e l’interessata – ma 6 credo che il sindaco sia la persona più indicata: facciamo così, mi lasci il suo numero, appena rientro le parlo. Ha già trovato un albergo?» «Ho prenotato ieri sera: Da Mariuccia, vado a lasciare la borsa e vengo in paese. Ecco, le lascio il mio numero.» completò allungandole il suo biglietto da visita che la donna prese e studiò attentamente. «Va bene... le telefonerò. A dopo.» «Ancora una cosa... ho visto la casa, mi pare una casa colonica di una volta: deve essere in grado di ospitare due o tre famiglie. La vittima ci viveva da solo?» «Da qualche anno. Era rimasto solo, la moglie mi pare sia morta due o tre anni fa. Ormai della famiglia Bentivoglio credo non rimanga più nessuno.» «Ma si sapeva che Santi era a piede libero e si accaniva contro le famiglie: non hanno pensato a proteggerlo, specie considerato che viveva solo?» «Sì, giusto... - l'ex poliziotta parve imbarazzata e allo stesso tempo pareva pregustare qualcosa – ma pare, per come me l'hanno detta, che all'inizio il colonnello Sperandio non credesse molto a tutta la faccenda. Il maresciallo di qui mi ha detto che voleva mettere degli uomini a sorvegliare la cascina ma quello gli ha negato il permesso. Era convinto che dopo i primi due omicidi Santi, spaventato da tutti i carabinieri che giravano in zona, fosse scappato.» concluse con una specie di maligna soddisfazione. Ferrando ringraziò l'ex collega, ritornò alla sua auto e si avviò verso il suo albergo, perso da qualche parte tra quei campi dove filari di pioppi dalle foglie tremolanti apparivano tra la nebbia come cortei di smilzi fantasmi. Il navigatore lo dirottò lungo un'altra strada e poi su una strada più larga e trafficata, infine su una terza strada. Finalmente dopo un po' vide emergere dalla foschia quella che sulle prime gli sembrò un'altra casa colonica con a lato le solite costruzioni da lavoro, stalle e fienile. Attorno alcune villette piuttosto belle circondate da giardini e alti muri di recinzione e un lungo capannone. Era l'albergo che cercava, Da Mariuccia. Attraverso un grande cancello entrò in un immenso parcheggio e fermò l'auto accanto all'ingresso dell'albergo, che aveva una specie di tettoia stile U.S.A. che proteggeva la porta. Accompagnato da una poco opportuna musica che si spandeva tutto attorno da degli altoparlanti collocati strategicamente, guadagnò la piccola hall, dove si trovò inaspettatamente immerso in un'atmosfera cosmopolita. Alla reception tre giapponesi stavano parlando in inglese con un'addetta, poco più in là un tedesco imprecava nella sua lingua dentro a un cellulare e una coppia francese usciva ridendo dal bar. Il colore locale era rappresentato da tre tizi chiaramente del posto appoggiati al banco dello 7 stesso bar che evidentemente, in quelle lande inospitali, fungeva da punto di aggregazione. Il fatto era, gli spiegò poco dopo un'impiegata prendendo nota delle sue generalità, che gli alberghi della zona risentivano molto del traffico del nemmeno tanto vicino aeroporto della Malpensa. Avevano clienti che venivano da tutto il mondo e si fermavano una o due notti in attesa del loro volo. Era per quello che l'albergo offriva anche un servizio navetta con tre pulmini, per portare i clienti all’aeroporto e viceversa e il posteggio custodito per chi, arrivato lì con la sua auto, doveva prendere l'aereo e tornare giorni o magari settimane dopo. Dell'inconsueto via vai di gente da tutto il mondo Ferrando ebbe un'indiretta conferma poco dopo nella sua camera, ricavata in una dependance, una villetta simile alle altre intorno, a cinquanta metri dal corpo principale. Era bella e ben arredata, con un bel bagno e la televisione aveva in memoria oltre alle emittenti italiane la BBC, la CNN, la NBC, Al Jazira, Antenne2 e tre impronunciabili canali tedeschi. E guardare la televisione pareva essere la sola occupazione ragionevole da quelle parti, rifletté tra sé contemplando dalla finestra i lembi di nebbia srotolarsi lenti tutto intorno. Sistemate le sue cose riprese l'auto e s'avviò verso il paese (cittadina?). Era quasi l'una e la ragazza alla reception gli aveva detto, peraltro non molto convinta (forse non voleva favorire la concorrenza), che, se non gradiva pranzare lì da loro, nella piazza del paese avrebbe trovato un buon ristorante. Fuori la giornata s’era fatta più luminosa. Il sole cercava di farsi strada nella nebbia che pareva alzarsi verso un cielo che da grigio piombo stava virando a un grigio tenue: bene. Ripercorse la strada di prima, notando ora che a lato scorreva una larga roggia contornata da grandi alberi che stavano coprendosi di verde. Però, doveva ammettere che non era male... Al bivio piegò a destra e dopo un paio di chilometri, superati alcuni capannoni entrò a Cuggiono, dove la via s'incuneò tra le vecchie case del centro (storico?) tutte con due o tre piani al massimo, a parte un paio di nuove costruzioni che spiccavano sgradevoli tra i vecchi edifici. Poco dopo la via si allargava in una piccola piazza sbilenca dove nessun lato era parallelo o ortogonale a un altro. Una grande chiesa dalla matrice barocca incombeva sulle macchine in sosta, qualche passante pareva affrettarsi verso casa e sulla soglia di un paio di bar i clienti si salutavano ad alta voce. Stava scendendo dall'auto che aveva posteggiato tra le altre (c’era il disco orario?, oh beh, caso mai l’ex collega gli avrebbe tolto la multa… forse) quando gli suonò il cellulare. 8 «Sono il sindaco, Lidia Ferro.» gli annunciò la voce della prima cittadina di Cuggiono. «Sindaco buongiorno. Sono appena arrivato in paese. Sono in piazza, piazza… in centro insomma – tagliò corto imbarazzato - sto andando a mangiare: se ha tempo posso invitarla a pranzo?» «Grazie ma devo andare a casa, mi aspettano in famiglia. Grazie comunque. Senta, alle tre ho una riunione all'associazione culturale dove sono presidente, potremmo vederci lì un po' prima. Le andrebbe bene verso le due e mezza?» «Va bene, mi dica dove.» Il sindaco glielo spiegò e lui si rese conto che era a due passi dalla piazza, in uno dei bassi edifici lungo la strada che aveva percorso arrivando. Poi si salutarono e Ferrando andò a un ristorante sulla piazza, L'oro del Ticino, per un pranzo leggero. Da un mese, spinto da sua figlia e dalla Cinzia, l'una all'oscuro delle pressioni dell'altra ma concordi nel fine di farlo digiunare, s'era messo a dieta: la sua... figura, diciamo così, stava assumendo un profilo preoccupante. Tre quarti d'ora dopo passeggiava per la cittadina, il mezzo toscano di nuovo tra i denti, in attesa dell'ora dell'incontro. Il tempo pareva volersi mettere al meglio: il cielo stava schiarendosi sempre più, mutando gradatamente in un azzurro tenue. Dalle laterali o dai passi carrai delle case, alcune delle quali sembravano ex cascine e svelavano aie e cortili ben tenuti, si vedevano lembi di nebbia distendersi sui campi che circondavano l'abitato e svanire lentamente. Doveva ammettere che quella foschia che velava lo sguardo e il paesaggio non era spiacevole: donava una specie di fascino misterioso all'ambiente. C'era poca gente in giro e le poche persone che lo incontravano lo squadravano con aria diffidente. La cosa lo stupì. La cittadina era a meno di un'ora dal centro di Milano, probabilmente gran parte dei suoi abitanti lavorava nella metropoli: perché quella diffidente curiosità da paese perso nelle campagne? D'accordo che con i suoi quasi cento chili su due metri di altezza, impermeabile lungo e cappellaccio da Passator Cortese attirava l'inquieta attenzione di chi lo incontrava, figura sconosciuta e quasi minacciosa nelle strade semi-deserte. Ma Ferrando si aspettava che gli abitanti, abituati al vivere milanese, avessero la distaccata indifferenza dei cittadini. La spiacevole spiegazione gli venne poco dopo in un bar dove era entrato per un caffè, accolto dalle occhiate piene di sospetto di quattro o cinque clienti e del barista. 9 Alla televisione un canale locale trasmetteva un “speciale” da Cuggiono. Sullo schermo scorrevano immagini del paese, della casa del delitto e una vecchia foto di Matteo Santi, grande, grosso e accigliato, e i cronisti commentavano le dichiarazioni rilasciate dagli inquirenti sui terribili delitti. Mentre il sostituto, Renzo Graziani, aveva adottato una linea cauta, il colonnello Guglielmo Sperandio, circondato da un bosco di microfoni e un reggimento di giornalisti, s'era lanciato in dichiarazioni allarmanti. Secondo l'ufficiale c'erano elementi che facevano temere che il folle stesse perdendo il controllo e rappresentasse una minaccia per tutti gli abitanti. I Carabinieri avrebbero pattugliato il territorio ma il colonnello raccomandava a tutti di non uscire alla sera, anzi di chiudersi in casa con il buio e... Maledetto idiota! Furibondo uscì dal bar, ritornò verso la piazza e risalì la strada: ormai erano le due e mezza, tempo di raggiungere il sindaco. La sede dell'associazione era poco più in là, c'era passato davanti senza saperlo entrando in paese: una specie (gli parve) di chiesetta sconsacrata con la porta che si apriva pericolosamente a filo strada. Lì Ferrando trovò non solo il sindaco ma, ovvia conseguenza delle dichiarazioni del colonnello, una piccola folla, una specie di riunione ristretta di Giunta allargata a un paio di funzionari. C'erano tre assessori, il comandante della Polizia Municipale, che era poi l'ex poliziotta che lui aveva conosciuto la mattina, l'avvocato civico. In più c'erano il sostituto Graziani e il tenente Pavia. Era stato inviato lì dal suo colonnello, tenne a precisare l’ufficiale, come “osservatore”. E Ferrando non capì se il suo era umorismo o stolida obbedienza. Lidia Ferri era una elegante quarantenne con un sorriso che anche in quelle circostanze si rivelava dolce e amichevole e la voce pacata. Ma dietro quella dolcezza si intuiva una forte risoluzione e la volontà di governare la situazione nel migliore interesse per il suo paese. Le dichiarazioni incaute del colonnello rischiavano di gettare nel panico la popolazione, osservò subito il sindaco rivolgendosi al sostituto e al tenente, specie chi abitava nelle case isolate e nelle fattorie. Non dubitava che vi fossero fondati motivi per temere che Santi si stesse trasformando in un maniaco omicida, anche se al momento colpiva ancora solo gli appartenenti alle famiglie Santi - Bentivoglio, ma lanciare certi allarmi era molto imprudente. «Non possiamo gettare nel panico la popolazione parlando di un pazzo serial killer senza offrire qualcosa che serva a contenere il panico.» concluse. 10 Il sostituto e il tenente si barcamenarono in vaghe osservazioni (in fondo loro non c'entravano nulla, aveva combinato tutto il geniale colonnello) e alla discussione si unirono un paio di assessori e l'avvocato civico. Ferrando si estraniò e indugiò a riflettere sulla faccenda. Ma non conosceva troppi elementi fondamentali della vicenda, ammise con se stesso, guardandosi intorno incuriosito. I muri dell'ex chiesetta erano coperti da bacheche con avvisi sociali e da manifesti di eventi organizzati dall'associazione, sorprendentemente attiva e, a giudicare dalle foto, molto seguita dagli abitanti. Peccato che il locale, ampio e ben tenuto, fosse un po' freddo ma d'altra parte pensare a mettere il riscaldamento lì... ma magari uno di quegli aggeggi che usano i bar e che mettono anche nelle chiese? «Lei cosa ne pensa ispettore?» La domanda del sindaco lo riportò all'attualità: a quanto pareva il dibattito s'era concluso o quanto meno interrotto con un nulla di fatto e ora i convenuti andavano in cerca di qualcun altro da coinvolgere nella discussione. «Non penso molto, a dire il vero – esordì cauto: lì si rischiava di fare notte senza che lui riuscisse a sapere quel che gli interessava – non conosco ancora troppi elementi. Quel che so è che il delitto avvenuto da noi presenta alcuni punti oscuri che mi fanno pensare che non sia così semplice.» «Cioè?» chiese il magistrato perplesso. Non molto alto, magro, una barbetta rada appena accennata, aveva evidentemente fatto in tempo ad andare a casa a cambiarsi e ora era infagottato in una insolita giacca country style con tasche e tasconi che gli dava quasi l’aspetto di un vagabondo ladro di polli. «La vittima pare abbia fatto entrare lei stessa il suo assassino e l'abbia fatto accomodare senza timore in soggiorno, dove poi è stata aggredita e uccisa. Quindi non temeva il suo visitatore. Inoltre da come l'assassino ha sistemato le parti anatomiche nel cassonetto parrebbe che più che occultarle abbia voluto farle trovare. Assurdo, diciamolo pure. Anche se magari si può pensare che un maniaco, in qualche distorto modo, abbia potuto pensare di lanciare così un messaggio. O magari che abbia obbedito all'inconscio desiderio di farsi catturare: non è raro nei serial killer che paiono sfidare la Polizia. Ma soprattutto non capisco come Santi abbia potuto rintracciare la sua vittima dopo tanti anni. Quando la Bentivoglio se ne andò da qui lui era in prigione: come ha saputo dove era andata? Aveva parenti o amici che possono averlo informato?» 11 «Per quel che ne so nessuno voleva più aver a che fare con lui – spiegò concisamente il sindaco – parenti, amici... nessuno. Non saprei proprio come potrebbe aver saputo dove era andata...» «Volevo sapere una cosa sul primo delitto: quando Salvi uccise la sua prima vittima, vent'anni fa, perché la fece a pezzi?» «Questo posso dirglielo io – rispose il sostituto – da quel che si disse voleva far sparire il corpo dandolo in pasto ai maiali. Una cosa orrenda, ma lui contava sul fatto che la sua vittima doveva partire il giorno dopo per andare da dei parenti in Germania, cosa nota a molti. Così la sua sparizione sarebbe stata collegata al viaggio. Infatti fece sparire dalla casa i bagagli già pronti. Il delitto avvenne nel mattatoio della casa colonica e quindi non ebbe problemi con il sangue.«Cosa andò storto?» chiese Ferrando. «Un puro caso – spiegò il sostituto – ho controllato il fascicolo: quella mattina il custode dei maiali arrivò prima del solito per motivi suoi e così fece in tempo a trovare molti resti, tra cui la testa, non ancora mangiati dalle bestie.» «Comunque fu un agire da pazzo: oltretutto avrebbe solo rimandato la scoperta della sparizione della sua vittima.» osservò l’avvocato civico con aria di sufficienza. Alto, stempiato, un po’ pingue, il volto rubizzo, indossava una giacca simile a quello del sostituto che addosso a lui lo faceva sembrare un vero gentiluomo inglese di campagna. «Sì, ma così si sarebbe pensato che era sparita in viaggio.» si sentì in dovere di osservare il comandante della polizia municipale, guadagnandosi un’occhiataccia dell’avvocato che poi la ignorò ostentatamente. Cosa diavolo aveva?, si chiese Ferrando meravigliato: la ragazza aveva fatto un’osservazione giusta. Ma forse c’era della ruggine tra loro. «Torniamo all’attualità – stabilì il sostituto – lei ispettore è sicuro che la sua morta non possa essere stata uccisa da altri che ce l’avessero con lei?» «Per ora non è emerso nulla: la donna era benvoluta dalla gente del paese, che la descrivono solare e amichevole con tutti. C'è un particolare curioso: oltre a diversi preziosi e al personal l'assassino ha rubato il cellulare della vittima, vecchio e di nessun valore per un ricettatore. Questo mi fa pensare che in quel telefono ci possa essere qualcosa di pericoloso per l'assassino. Abbiamo richiesto i tabulati del traffico degli ultimi tre mesi ma sa bene che ci vogliono diversi giorni per averli. E poi dovremo verificare tutti i numeri.» 12 «Come dire che lei non crede a un pazzo omicida ma pensa a un omicidio premeditato - osservò scettico il tenente Pavia – ma quali alternative ci fornisce?, lei stesso ha detto che la vittima era benvoluta da tutti.» «Non lo so, mi limito a tener presente degli elementi che mi lasciano perplesso.» «Cioè ritiene che l'assassino che ha colpito da voi sia un altro che per caso ha usato lo stesso metodo di Santi.» L'avvocato comunale era di nuovo intervenuto e aveva fatto la sua osservazione con aria di sufficienza. No, non era una persona simpatica, tutto considerato. «Io non ritengo nulla – sorrise Ferrando – ma sarebbe veramente un bel caso se due assassini differenti colpissero quasi contemporaneamente e nello stesso modo e per di più la stessa tipologia di vittime. Perché penso che anche gli altri morti, quelli recenti intendo, siano stati uccisi...» «Allo stesso modo.» concluse per lui il sostituto. «Allora anche per lei Santi è l’assassino.» si sentì di concludere il tenente. «Non lo so ma so che rimane la stessa domanda – replicò lui evitando di rispondere – come ha fatto Santi, appena uscito di prigione, a trovare l’indirizzo di Mariagrazia Bentivoglio, andata via di qui mentre lui era dentro? Può averlo saputo da qualcuno?, mi pare difficile, se parenti e amici non avevano più contatti con lui. Ha chiesto all'anagrafe?, per caso avuto tempo di controllare?» la domanda era per il comandante della Municipale. «Dopo che me ne ha parlato stamattina ho fatto una prima ricerca– rispose l'ex sovrintendente – e nessuno ricorda richieste simili all’anagrafe. D’altra parte Santi ha una figura caratteristica e inoltre molti degli impiegati più anziani lo riconoscerebbero ancora: non sarebbe passato inosservato.» «E allora temo che abbiamo un problema.» concluse Ferrando, strappando un sospiro di apprensione al sindaco e un altro difficilmente interpretabile al sostituto. «Cosa conta di fare ora?» gli chiese a sorpresa il tenente. «Non lo so – ammise Ferrando – so solo che tra qui e giù da noi ci sono in tutto... quanti?, quattro morti?, tutti delle famiglie Santi - Bentivoglio, tutti uccisi con le stesse modalità e tutti nelle ultime settimane. Bisogna dire che il nostro assassino si dà da fare. Però almeno per l'omicidio compiuto da noi ci sono troppi punti poco chiari.» «Comunque non negherà che il punto prioritario sia trovare Santi.» questionò il tenente Pavia. «Che Santi sia da trovare è indiscutibile.» concordò Ferrando. 13 Su questo punto tutti si dissero d'accordo (ma no?, ma pensa te...) e la riunione si sciolse con il vago impegno di rivedersi l'indomani o, nel caso di novità, a chiamata del sindaco. Erano tutti sulla porta, frammisti ai soci dell'associazione che stavano arrivando per la riunione, quando a Ferrando venne in mente una cosa. «Ma quanti sono i membri delle famiglie ancora in vita?» «Ne conosciamo tre, che abitano tutti nei dintorni – gli rispose Pavia – ma a dire il vero sono lontani dall'asse principale delle famiglie, cugini di terzo grado o qualcosa di simile. Sono comunque eredi e li abbiamo messi sotto sorveglianza, Santi non potrà arrivare a loro.» Sembrava molto sicuro... «E Santi, nella sua folle idea di avere le terre, vorrebbe ucciderli per entrare in possesso della villa e di tutto il resto?» chiese l'avvocato comunale. «Non saprei: come ho detto sono ormai parenti lontani dall'asse principale della famiglia e in teoria, se Santi non fosse… insomma se non fosse l’assassino, non potrebbero sottrargli nulla dell’eredità.» spiegò il sindaco. «Forse sono un rompipalle – premise conciliante Ferrando – ma c'è modo di avere un quadro generale delle due famiglie?, tanto per vedere se da qualche parte c'è qualcun altro che Santi potrebbe voler uccidere.» «Giusto, molto giusto – approvò il sostituto entusiasta. Quasi che Ferrando gli avesse dato una dritta su dove si trovava il Santo Graal - è possibile fare una ricerca accurata all'anagrafe?, magari controllando rami collaterali, figlie o nipoti che si sono sposate e hanno cambiato cognome...» «Certo – assicurò il sindaco – Marina puoi pensarci tu?» «Ma questa villa, tutte queste terre che Santi vorrebbe avere - intervenne Ferrando - sono davvero di così gran valore?» «Assolutamente sì – gli assicurò il sindaco – le terre si estendono su molti ettari e sono terreni sia agricoli che edificabili, e la villa è una grande costruzione del “700 che si affaccia sul Naviglio di Leonardo. E' da ristrutturare ma solo quella vale milioni. Se ci aggiunge i terreni parliamo di una vera fortuna. I beni accumulati dalle due famiglie in oltre due secoli… no, direi quasi tre secoli di storia.» «Il Naviglio di Leonardo?» chiese Ferrando perplesso. «Certo, è qui vicino, a un paio di chilometri – gli spiegò il sindaco, lieta di poter illustrare pregi e ricchezze del suo comune – è ancora in buone condizioni ed è il naviglio progettato da Leonardo Da Vinci per conto di Ludovico il Moro. Lei sa che Leonardo ha operato parecchio da queste parti, pensi anche alla piazza di Vigevano...» «Quella la conosco, molto bella.» 14 «Cuggiono ha diversi piccoli gioielli – continuò il sindaco sempre più entusiasta – domattina dopo le nove venga a trovarmi in comune: è a villa Mimbelli, una bellissima costruzione del “700 con un parco all'inglese ricco di molte essenze arboree esotiche e certo tra i più belli d'Italia... e non siamo solo noi di qui a dirlo ma anche...» «Signor Galli!» La comandante della Municipale l'aveva interrotta chiamando a gran voce un uomo sui settanta, media statura, che passava dall'altra parte della strada. L'uomo di fermò con fare interrogativo e Ratti gli andò vicino. «Signor Galli, ha saputo cosa è successo... ancora?» «Allude all'ultimo omicidio?, certo, e allora?» L'uccisione con seguente smembramento del decano (quando era in vita) del clan Bentivoglio non pareva averlo sconvolto più di tanto. Guardava la donna in divisa con aria tra il perplesso e lo scocciato. «Non pensa di dover... di dover stare in guardia?, il signor Galli ha sposato una figlia di Agostino Bentivoglio.» spiegò poi agli altri che s'erano avvicinati. «Mia moglie è morta da venti anni e abbiamo sistemato tutte le cose con il notaio a quell'epoca. Ormai non c'entro più con... con quella gente.» concluse, con l'aria di non avere una grande stima di “quella gente”. «Ma Santi potrebbe pensarla diversamente, non crede?» «Proteggeremo il signor Galli, ma se non è coinvolto negli assi ereditari non credo corra pericoli.» intervenne Pavia con aria incerta ma conciliante. In fondo Ferrando lo capiva: certo anche lui doveva fare i conti con la carenza di personale e mezzi e impegnarne anche per uno non proprio in pericolo... Ma il suo colonnello non aveva detto che Santi stava diventando un pericolo per tutti? «Non ho bisogno di protezione, state tranquilli – rispose Galli. Aveva l'aria del vecchietto ostinato dei vecchi film western – casa mia ha un bel muro intorno, finestre con le grate e non apro mai senza aver prima guardato chi suona alla TV a circuito chiuso.» «Ecco ispettore, se vuole avere notizie sulle famiglie Santi Bentivoglio il signor Galli è la persona ideale – il sindaco era intervenuta ricordando la richiesta di notizie sulla storia delle due famiglie – l'ispettore Ferrando della Squadra Mobile... il signor Galli.» aggiunse in una tardiva presentazione. «Piacere ispettore – Galli gli aveva allungato una mano magra ma con una stretta ancora forte – ma non so proprio cosa potrei dirle.» 15 «Mi piacerebbe saperne un po' delle due famiglie, chi erano, come hanno fatto fortuna e chi era Santi – gli spiegò Ferrando – come è nato tutto questo insomma.» «Se è tutto qui... ma ora devo andare... - Galli aveva sbirciato un vecchio cronometro d'oro della Longines che avrebbe fatto la felicità di un collezionista... come Ferrando - senta, perché non viene da me dopo cena? Ho una grappa, una grappa da far fischiare le orecchie. Non lo dica al comandante, qui, ma la faccio io, nella mia cascina dopo Induno. Le piace la grappa?» «Certo – lo rassicurò Ferrando – facciamo verso le nove e mezza?» «Direi che va bene.» da come aveva subito accettato di farsi rompere le scatole da un estraneo Galli doveva annoiarsi parecchio la sera e una chiacchierata con un questurino doveva apparirgli un buon diversivo. L'appassionato delle grappe gli diede l'indirizzo di casa, era nel paese (località?) di Robecchetto, dove era anche l'albergo di Ferrando, salutò tutti e se ne andò a passo svelto. §§§ Mezz'ora dopo Ferrando fermava l'auto lungo una stretta strada secondaria che fiancheggiava la sponda sinistra del decantato Naviglio di Leonardo Da Vinci. Marina Ratti gli aveva spiegato come raggiungerlo con dovizia di particolari (e aveva aggiunto che proprio lì c'era anche un ristorante veramente raccomandabile) e lui, dopo essersi perso tre volte in quelle strade tutte uguali, era arrivato allo storico canale. Era curioso di vedere sia il corso d'acqua che la villa per la quale (oltre che per le terre) Santi aveva intrapreso lo sterminio delle due famiglie. Il Naviglio era largo una cinquantina di metri e l'acqua, di un bel grigioverde, vi scorreva frusciando dolcemente lungo le alzaie di pietra grigia e contro il pilone di un elegante e ben tenuto ponte a due arcate, tinteggiato di beige e giallino, che scavalcava il canale. Sull'altra sponda, appena al di là del ponte, c'era una rustica trattoria che fece venire in mente a Ferrando (del tutto impropriamente, era ben diversa) la trattoria dove Don Camillo monsignore giocava a carte. Diversi tavoli erano sistemati sotto un grande bersò che pareva promettere ombra e ristoro dalla calura estiva per il pranzo del mezzogiorno e fresche e piacevole cene nelle sere d'agosto. Una strada secondaria, costeggiata la trattoria, proseguiva tra macchie di alberi e villette perdendosi nella campagna. Sull'alzaia di destra invece si stendeva una stradina ben tenuta che fiancheggiava il Naviglio, accompagnandolo verso valle e verso monte. 16 Ferrando indugiò qualche momento sul ponte: davanti alla trattoria tre anziani, piantati in mezzo alla secondaria, lo scrutavano sospettosi mentre quasi sotto di lui un pescatore stava immobile, la canna protesa sull'acqua. Il cielo s'era fatto chiaro, di un azzurro slavato ma non sgradevole e il sole pallido illuminava di una luce morbida villette, boschi e canale. Ferrando indugiò un po', poi percorse il ponte e ignorando i diffidenti indigeni si incamminò lentamente lungo la stradina sull'alzaia, risalendo il Naviglio. Ferrando, se non propriamente nato, era cresciuto in campagna, nel paesino di suo padre, disteso in una valle boscosa tagliata da un fiume dove bambino inventava giochi e avventure ed era andato a pescare. Forse fu per quello che si trovò inaspettatamente rilassato e tranquillo camminando piano lungo il canale. Attorno i boschi stavano coprendosi di verde, le alzaie parevano uno scenario da film e il fruscio della corrente più che romperlo sottolineava il silenzio. Cento metri dopo, dall'altra parte del Naviglio, dalla parte dove aveva lasciato l'auto, c'erano alcune villette, tra cui l'edificio che ospitava il ristorante decantato dall'ex collega. Dal corpo principale, che al piano terra si apriva sul panorama del canale con grandi vetrate, dei gradoni ricavati nel terreno scendevano verso il Naviglio, con spazi per tavoli e un barbecue, ideali per cene estive. Poco più in là la mole di una bella villa settecentesca posta sul culmine di un piccolo rilievo, la villa che Santi avrebbe voluto avere, dominava il canale. Era circondata da una folta macchia di alberi e un'elegante scalinata scendeva verso il canale come una cascata di pietra bianca dalle sinuose volute fino a un breve prato che finiva sull'alzaia. Scalinata e prato erano abbastanza ben tenuti, nonostante il chiaro stato di abbandono della villa, così come gli alberi attorno alla scalinata. Forse qualcuno veniva periodicamente a fare qualche lavoro per cercare di conservare per quanto possibile villa e parco. Poco più a monte una minuscola darsena vuota testimoniava che, una volta, eleganti barche partivano per raggiungere altri imbarcaderi o portavano alla villa gli ospiti. Pareva quasi di vedere ancora i padroni di casa scendere lo scalone per accoglierli quando sbarcavano sul prato. A dire il vero Santi sarà stato anche matto ma quella villa sarebbe piaciuta anche a Ferrando. Proseguì lungo il Naviglio nella luce dolce del pomeriggio, respirando contento l'aria profumata di primavera: stava proprio bene e proseguì curioso di vedere come si sviluppava il canale. Superò quella che gli sembrò una specie di cava, poi una lieve curva e duecento metri dopo si fermò di nuovo. Dall'altra parte del Naviglio una bella casa di campagna biancheggiava tra gli alberi e vicino al canale una tettoia fungeva da ricovero a una vecchia chiatta. Un'altra era a secco sul prato vicino. Erano due vecchie chiatte dalla prua rotonda e i fianchi larghi, 17 il fondo piatto, che una volta dovevano percorrere lentamente il canale portando merci o ghiaia. A poppa parevano avere o aver avuto un motore ma forse in origine erano tirate da cavalli o buoi che percorrevano le alzaie. Chissà perché a nessuno era venuto in mente di rimetterle in sesto e trasformarle in battelli turistici con cui portare la gente su e giù per il Naviglio. Doveva essere bello, nei pomeriggi e nelle sere estive, muoversi lentamente sull'acqua, nell'aria profumata, in quella campagna ben tenuta. Qualcosa che si muoveva tra le piante e l'erba attirò la sua attenzione: erano lepri!, almeno tre lepri che correvano... e in alto, sul ramo di un albero, un paio di scoiattoli le osservava con aria scettica! Che roba, a venti chilometri o quanti erano da Milano, tentacolare megalopoli del nord, una scena da campagna disneyana. A ben guardare era proprio un bel posto. Il sole stava calando e refoli di foschia si stavano distendendo sul Naviglio e sui campi vicini, donando alla scena un'atmosfera quasi magica e sognante. Peccato, ammise ritornando sui suoi passi, si stava facendo tardi e doveva recuperare la macchina e trovare l'albergo. Ripercorse piano la strada sull'alzaia ma dopo poco rallentò e si fermò in mezzo alla stradina. Era davanti alla villa. Al di là del Naviglio la sua scala biancheggiava sempre alla luce del sole pallido al tramonto e tra i grandi alberi scuri la sua mole incombeva sempre sulle acque del canale. Ma non era stata la scalinata o la facciata della villa ad aver fatto fermare Ferrando: sul prato tra l'alzaia e la costruzione una figura umana, nera e massiccia, era immobile, le spalle al Naviglio. Indossava un lungo impermeabile o soprabito nero, in testa aveva una specie di cappellaccio (simile a quello di Ferrando, a dire il vero) pure nero e guardava la villa. La guardava con una strana intensità, quasi che avesse per lui un significato speciale. Ferrando era fermo da qualche secondo quando la figura nera parve intuire la sua presenza e si voltò verso di lui. La luce stava calando e a quella distanza il viso dell'uomo era solo una macchia chiara ma Ferrando fu certo che lo stava guardando. Ora che s'era voltato il poliziotto si rese conto che nella sinistra stringeva quella che aveva tutta l'apparenza di un'accetta. Non poteva esserne sicuro ma non riusciva a immaginare cos'altro potesse essere. Rimasero a guardarsi da una parte all'altra del Naviglio, Ferrando il mezzo toscano stretto tra i denti, le mani affondate nelle tasche dell'impermeabile, immobile quanto l'uomo in nero che a sua volta era rimasto nella stessa posizione che aveva assunto quando s'era voltato. Era una situazione assurda. 18 L'uomo davanti alla villa aveva tutta l'apparenza dell'Uomo con l'ascia ma ne pareva una specie di immagine simbolica: Ferrando dubitava che un assassino se ne andasse davvero in giro con un pastrano nero e un'accetta in mano. E tuttavia l'uomo era là, immobile, nero e minaccioso, proprio davanti alla villa che sognava di possedere. Che senso aveva? Aveva trovato lì il suo rifugio? Poteva essere, ma dove mangiava? Saccheggiava pollai e conigliere? Rubava nelle case o nei negozi, nella notte? Possibile e tuttavia... Rimase a guardarlo, fermo in riva all'alzaia. Certo poteva prendere il cellulare, chiamare i Carabinieri o la Municipale e intanto mettersi a correre, ritornare all'auto e cercare da che parte si arrivava all'ingresso della villa. Sentiva il peso e la forma della Beretta, sotto alla giacca: se necessario avrebbe potuto difendersi. Ma non si mise a correre, non prese il cellulare: rimase lì, fermo, le mani in tasca, con una strana sensazione. La sensazione che tutto fosse sbagliato. Una specie di farsa. Perché gli pareva illogico che l'Uomo con l'ascia se ne stesse a guardarlo calmo e tranquillo (anche se da un pazzo ci si può aspettare tutto). Perché trovava inaccettabile che il pazzo se ne andasse in giro come il protagonista di un B- movie del terrore (ma magari s'era messo i primi abiti che poteva aver trovato nella sua condizione di latitante). Perché non conosceva i luoghi e prima di trovare l'ingresso della villa quello poteva essere arrivato a Varese (ma se avesse chiamato i caramba quelli sarebbero arrivati alla svelta e certo loro li conoscevano i luoghi...). Ma era soprattutto perché vedersi lì davanti l'Uomo con l'ascia non aveva senso che non fece nulla ma rimase immobile a fissarlo, curioso di vedere cosa avrebbe fatto. Da parte sua l'uomo in nero rimase a fissarlo ancora per un minuto buono poi parve stringersi nelle spalle, quasi fosse perplesso, si voltò e si incamminò verso la villa. Risalì piano la scala, a metà esitò e parve voltarsi indietro, e Ferrando avrebbe giurato che s'era stretto ancora nelle spalle, e infine sparì nell'edificio. Da parte sua Ferrando si voltò e proseguì piano lungo l'alzaia. Tutta quella faccenda non... Insomma, aveva un maniaco che ritrova vent'anni dopo una sua vittima senza poter sapere dov'era; un serial killer che vaga attorno alla sua cittadina, dove tutti lo conoscono e ammazza a destra e sinistra; un pazzo che si veste come il personaggio di uno scadente film horror, con pastrano nero e ascia e se ne sta fermo davanti alla villa dei suoi sogni incurante di un tizio che si ferma a guardarlo dall'altra parte del canale... 19 Assurdo. Pure i morti erano morti, e morti fatti a pezzi, proprio come Santi aveva ucciso la sua prima vittima. Possibile che un altro squilibrato avesse iniziato a uccidere allo stesso modo proprio i membri (quelli rimasti) delle due famiglie? No, inaccettabile. Attraversò il ponte (anche quello era di Leonardo Da Vinci?, doveva chiederlo al sindaco), raggiunse la sua macchina, mise in moto, attivò il navigatore e nel grigiore della sera che stava calando partì lentamente diretto al suo albergo. Aveva molte cose cui pensare e nessuna logica né piacevole. 20