Secondo capitolo - Equi

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Secondo capitolo - Equi
Maurizio Mos
Ispettore Ferrando
Era una bella occasione
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Seconda parte
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Giovedì, 16 aprile
La primavera era rimasta sul mare, al di là dei monti e i grigi lombardi piani
avevano evidentemente deciso di dare il meglio per meritarsi i versi di
Carducci. Il cielo era di un uniforme color piombo e ai lati dell'autostrada la
nebbia limitava a poco più di cento metri lo sguardo sui campi di un triste
beige, dove le cascine avevano la luce ancora accesa. Anche le temperature
s'erano adeguate al paesaggio, così che quando s'era fermato a un autogrill
Ferrando era stato lieto di aver portato il Burberry. Addio alle passeggiate e
alle foto primaverili nel Parco...
Ma non era solo il clima a minacciare i suoi piani.
Quella mattina era partito da poco e stava raggiungendo l'autostrada
quando gli era arrivata la telefonata di Tallone: nella notte a Cuggiono c'era
stato un altro omicidio, sicuramente attribuibile a Santi.
Il cadavere era stato fatto a pezzi e la vittima era un altro membro della
famiglia Bentivoglio: il patriarca, Agostino Bentivoglio. Ferrando doveva
raggiungere direttamente la cittadina e il luogo del delitto e prendere
contatto con il tenente Pavia, che stava dirigendo le indagini in sito.
Probabilmente ci avrebbe trovato anche il magistrato incaricato e il
colonnello Sperandio e il capo della Mobile aveva ritenuto necessario
sprecare cinque minuti buoni in raccomandazioni e istruzioni.
«Ha visto che avevo ragione? - pontificò Tallone - è stato il pazzo. Vada e
collabori con i Carabinieri, indagini congiunte, quel matto interessa anche
noi. Mi raccomando, tenga per lei le sue solite intuizioni e si attenga ai fatti,
specie se avesse la fortuna di poter parlare con il colonnello, va bene?, e si
ricordi che là lei mi rappr...rappresenterà la Squadra Mobile. Mi sente?»
«Sì, sì, certo.» in realtà aveva allontanato il cellulare per non farsi beccare
da una pattuglia della Stradale che gli era arrivata alle spalle mentre
telefonava e guidava. Doveva decidersi per il viva voce... ma tanto non era
che passasse il tempo al telefono mentre era in macchina. Più
concretamente stava pensando che Santi si muoveva in fretta: in due giorni
o pressappoco era venuto al mare, aveva trovato e ammazzato Mariagrazia,
era tornato su e aveva fatto fuori Agostino. Niente male per un pazzo
maniaco.
«Se si trova in difficoltà non esiti a telefonarmi - aveva continuato Tallone,
con l'aria di considerare logico che Ferrando finisse nei guai - se potrò
verrò su di persona o manderò il dottor Capitani.»
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Infine gli aveva comunicato l'indirizzo del luogo del delitto e aveva chiuso
la comunicazione con tutta una serie di “...mi raccomando” e “...mi faccia
sapere”.
§§§
Guidato dal navigatore, Ferrando si destreggiò tra autostrade, tangenziale e
superstrade e infine si immise nella viabilità ordinaria. Tutto attorno si
stendevano campi bruni screziati di verde pallido e gruppi di alberi dai
colori velati dalla nebbia. Qua e là la macchia rossa o gialla di un trattore si
muoveva piano sobbalzando sul terreno e i suoi fari schermati dalla foschia
erano brevi chiazze giallastre. Poco dopo superò l'ennesima rotonda e
obbedendo alla voce del congegno (con cui talvolta si litigava), imboccò
una secondaria e poi un'altra che si perdeva nella campagna. Un paio di
chilometri più in là uno sfarfallio di luci blu lo informò che era arrivato alla
scena del nuovo delitto dell'Uomo con l'ascia, come sarebbe stato
ribattezzato in giornata da una televisione locale. Nome ben scelto, d'effetto
e perciò ripreso prontamente da tutti i media. Dalla strada asfaltata una
carrareccia, che correva dritta su un rilevato, forse un vecchio argine,
tagliando i campi, portava a una casa colonica posta al margine di un
pioppeto, a un centinaio di metri dal bivio. La carrareccia era sbarrata da
una FIAT della Polizia Municipale e da un paio di agenti e assediata da una
decina di auto e furgoni dei media e una piccola folla di cronisti. C'erano
anche una dozzina di curiosi. Nonostante fossero passate ormai ben più di
quattro ore dal ritrovamento del cadavere la cascina era ancora attorniata
da auto dei Carabinieri e mezzi del 118 e i militari si aggiravano tutto
intorno.
Uno dei due agenti della P. M., una donna bruna sui trentacinque anni che
portava i gradi di ufficiale, vedendo che si preparava a girare gli fece segno
di fermarsi e si accostò al finestrino.
«La strada è chiusa, non può passare.»
«Sono della Polizia, Squadra Mobile – le spiegò Ferrando mostrandole la
tessera – mi aspettano.»
«Capisco, allora vada pure, la casa è là in fondo.» aggiunse, un po'
inutilmente.
«Grazie.»
«Di nulla, dovere.»
«Il cadavere è ancora là?»
«Non saprei, ma non ho visto passare il carro funebre. Però non so dirle di
preciso. I Carabinieri non ci hanno fatto nemmeno avvicinare e il colonnello
ha ordinato di mandarci a dirigere il traffico.»
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Il tono della voce e l'espressione del viso della donna... un viso piacevole,
abbronzato, con occhi azzurri molto chiari, insoliti in una bruna, lasciava
chiaramente capire il suo disappunto per essere stata spedita a dirigere il
traffico e la sua antipatia per l'ufficiale che l’aveva allontanata.
D'altra parte Investigativa dell'Arma e Squadra Mobile erano restii ad
ammettere i Vigili Urbani nel piccolo club delle indagini per omicidio.
«Sa com'è – rispose vago – a volte pensiamo di essere i soli a poter girare
intorno a un cadavere.»
«Non dico di no, ero sovrintendente in Polizia, sono stata due anni nella
Mobile a Parma, ma non credo di essere mai stata così brusca con chi
cercava di rendersi utile.»
«Era nella Mobile?, una collega allora.»
«Beh sì... grazie... - la ragazza sembrò sorpresa e lieta del suo
riconoscimento – Ratti, Marina Ratti.» aggiunse poi tendendogli la mano.
«Giulio Ferrando, piacere – le sorrise lui stringendole la mano - se è ancora
qui quando ritorno ci risentiamo.»
«A dopo.»
Sotto gli occhi invidiosi dei curiosi e dei giornalisti (che si precipitarono
attorno all'ex sovrintendente per sapere chi aveva fatto passare) Ferrando
imboccò la carrareccia e raggiunse la casa. Era una grande casa colonica,
una vera cascina lombarda con un corpo principale con un piano terra e un
primo piano destinato ad abitazione e due corpi laterali, stalle e fienili,
disposte a 90° rispetto all'edificio principale: l'insieme formava una vasta
aia chiusa su tre lati. Fermò l'auto ai margini dell'aia, mostrò i documenti a
un carabiniere e fu ammesso alla presenza del colonnello. Era fermo
davanti all'ingresso della casa, con accanto due ufficiali e due civili: erano,
avrebbe saputo poco dopo, il medico legale e il sostituto procuratore,
quest'ultimo con un loden verde con il piegone dietro come Ferrando non
vedeva da anni.
Corpulento, imponente nel soprabito d'ordinanza, alto berretto infogliato
d'oro, il colonnello Sperandio aveva la voce seccata e i modi bruschi di chi
non ritiene di dover perdere tempo con un semplice funzionario
«Oh sì, lei è l'ispettore... Ferrante... no, Ferrando, giusto?, è venuto a
prendere i documenti e a seguire queste indagini, ricordo la telefonata del
dottor Tallone. Come ho detto al suo dirigente lei è il benvenuto ma questi
casi riguardano l'Arma. Più tardi potrà parlare con il tenente Pavia, diciamo
verso le quattro. Vada pure.» concluse con un gesto di congedo,
aspettandosi probabilmente che Ferrando scattasse sugli attenti sbattendo i
tacchi con il canonico “comandi”.
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«I rilievi ormai sono finiti, vero?, bene, più tardi darò un'occhiata intorno –
disse senza muoversi, come se il colonnello non avesse parlato, ficcandosi
in bocca il suo solito mezzo toscano e voltandogli a mezzo le spalle. Il fatto
era che lui non aveva il carattere che gli facesse sopportare un simile modo
di fare – intanto andrò a togliermi qualche dubbio in paese. Lei è il tenente
Pavia credo - beh, era l'unico tenente, lì... congratulazioni per l'acuta
deduzione - Ferrando, Giulio Ferrando.».
«Infatti... piacere.» il tenente Pavia pareva avere difficoltà a esprimersi.
«Piacere mio tenente. Ecco, le lascio il mio numero di cellulare – gli disse
porgendogli il biglietto da visita. Non poteva metterlo contro il suo
colonnello forzandolo a un appuntamento diverso da quello stabilito
dall'arrogante ufficiale – mi chiami appena può dedicarmi una mezz'ora.
Arrivederci a tutti.»
Con un cordiale gesto di saluto generale voltò le spalle al gruppetto
ignorando il colonnello (il cui colorito stava pericolosamente virando al
vinaccia) e si avviò verso la sua auto. In realtà non gli pareva utile rimanere
lì: le uniche informazioni interessanti (quando il morto era diventato tale e
come l'assassino l'aveva sorpreso) le avrebbe avute in seguito. E in fondo
non servivano a molto, il mistero secondo lui era altrove.
Perché quel che gli interessava davvero era saperne di più su quella storia
familiare e se il presunto assassino aveva potuto scoprire, magari
dall'anagrafe del comune, dove era emigrata anni prima, quando lui era
dentro, Maria Grazia.
«Già di ritorno? Scacciato anche lei?» l'ex sovrintendente gli era andata
incontro esitante.
Ferrando aveva fermato un po' bruscamente la sua auto (in effetti il
colonnello l'aveva irritato più di quanto volesse ammettere) accanto alla
FIAT della Polizia Municipale ed era sceso avvicinandosi alla donna mentre
spegneva il mezzo toscano. Poche donne ne apprezzano l'aroma... puzza
per molte.
«Più o meno: non credo di essere riuscito molto simpatico al colonnello.»
Le raccontò sommariamente come erano andate le cose e concluse
spiegandole che aveva bisogno di informazioni sulle famiglie coinvolte
nella storia. Inoltre voleva sapere se Matteo Santi poteva aver avuto la
possibilità di scoprire all’anagrafe del comune dove era emigrata
Mariagrazia Bentivoglio. O in alternativa come poteva aver saputo dov'era
emigrata la vecchia signora.
«Sbaglio o è convinto che le cose non siano semplici come dicono i
Carabinieri? - chiese la donna fissandolo tra il perplesso e l’interessata – ma
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credo che il sindaco sia la persona più indicata: facciamo così, mi lasci il suo
numero, appena rientro le parlo. Ha già trovato un albergo?»
«Ho prenotato ieri sera: Da Mariuccia, vado a lasciare la borsa e vengo in
paese. Ecco, le lascio il mio numero.» completò allungandole il suo biglietto
da visita che la donna prese e studiò attentamente.
«Va bene... le telefonerò. A dopo.»
«Ancora una cosa... ho visto la casa, mi pare una casa colonica di una volta:
deve essere in grado di ospitare due o tre famiglie. La vittima ci viveva da
solo?»
«Da qualche anno. Era rimasto solo, la moglie mi pare sia morta due o tre
anni fa. Ormai della famiglia Bentivoglio credo non rimanga più nessuno.»
«Ma si sapeva che Santi era a piede libero e si accaniva contro le famiglie:
non hanno pensato a proteggerlo, specie considerato che viveva solo?»
«Sì, giusto... - l'ex poliziotta parve imbarazzata e allo stesso tempo pareva
pregustare qualcosa – ma pare, per come me l'hanno detta, che all'inizio il
colonnello Sperandio non credesse molto a tutta la faccenda. Il maresciallo
di qui mi ha detto che voleva mettere degli uomini a sorvegliare la cascina
ma quello gli ha negato il permesso. Era convinto che dopo i primi due
omicidi Santi, spaventato da tutti i carabinieri che giravano in zona, fosse
scappato.» concluse con una specie di maligna soddisfazione.
Ferrando ringraziò l'ex collega, ritornò alla sua auto e si avviò verso il suo
albergo, perso da qualche parte tra quei campi dove filari di pioppi dalle
foglie tremolanti apparivano tra la nebbia come cortei di smilzi fantasmi.
Il navigatore lo dirottò lungo un'altra strada e poi su una strada più larga e
trafficata, infine su una terza strada.
Finalmente dopo un po' vide emergere dalla foschia quella che sulle prime
gli sembrò un'altra casa colonica con a lato le solite costruzioni da lavoro,
stalle e fienile. Attorno alcune villette piuttosto belle circondate da giardini
e alti muri di recinzione e un lungo capannone.
Era l'albergo che cercava, Da Mariuccia. Attraverso un grande cancello
entrò in un immenso parcheggio e fermò l'auto accanto all'ingresso
dell'albergo, che aveva una specie di tettoia stile U.S.A. che proteggeva la
porta. Accompagnato da una poco opportuna musica che si spandeva tutto
attorno da degli altoparlanti collocati strategicamente, guadagnò la piccola
hall, dove si trovò inaspettatamente immerso in un'atmosfera cosmopolita.
Alla reception tre giapponesi stavano parlando in inglese con un'addetta,
poco più in là un tedesco imprecava nella sua lingua dentro a un cellulare e
una coppia francese usciva ridendo dal bar. Il colore locale era
rappresentato da tre tizi chiaramente del posto appoggiati al banco dello
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stesso bar che evidentemente, in quelle lande inospitali, fungeva da punto
di aggregazione.
Il fatto era, gli spiegò poco dopo un'impiegata prendendo nota delle sue
generalità, che gli alberghi della zona risentivano molto del traffico del
nemmeno tanto vicino aeroporto della Malpensa. Avevano clienti che
venivano da tutto il mondo e si fermavano una o due notti in attesa del loro
volo. Era per quello che l'albergo offriva anche un servizio navetta con tre
pulmini, per portare i clienti all’aeroporto e viceversa e il posteggio
custodito per chi, arrivato lì con la sua auto, doveva prendere l'aereo e
tornare giorni o magari settimane dopo.
Dell'inconsueto via vai di gente da tutto il mondo Ferrando ebbe
un'indiretta conferma poco dopo nella sua camera, ricavata in una
dependance, una villetta simile alle altre intorno, a cinquanta metri dal
corpo principale. Era bella e ben arredata, con un bel bagno e la televisione
aveva in memoria oltre alle emittenti italiane la BBC, la CNN, la NBC, Al
Jazira, Antenne2 e tre impronunciabili canali tedeschi. E guardare la
televisione pareva essere la sola occupazione ragionevole da quelle parti,
rifletté tra sé contemplando dalla finestra i lembi di nebbia srotolarsi lenti
tutto intorno.
Sistemate le sue cose riprese l'auto e s'avviò verso il paese (cittadina?). Era
quasi l'una e la ragazza alla reception gli aveva detto, peraltro non molto
convinta (forse non voleva favorire la concorrenza), che, se non gradiva
pranzare lì da loro, nella piazza del paese avrebbe trovato un buon
ristorante.
Fuori la giornata s’era fatta più luminosa. Il sole cercava di farsi strada nella
nebbia che pareva alzarsi verso un cielo che da grigio piombo stava virando
a un grigio tenue: bene. Ripercorse la strada di prima, notando ora che a
lato scorreva una larga roggia contornata da grandi alberi che stavano
coprendosi di verde. Però, doveva ammettere che non era male...
Al bivio piegò a destra e dopo un paio di chilometri, superati alcuni
capannoni entrò a Cuggiono, dove la via s'incuneò tra le vecchie case del
centro (storico?) tutte con due o tre piani al massimo, a parte un paio di
nuove costruzioni che spiccavano sgradevoli tra i vecchi edifici. Poco dopo
la via si allargava in una piccola piazza sbilenca dove nessun lato era
parallelo o ortogonale a un altro. Una grande chiesa dalla matrice barocca
incombeva sulle macchine in sosta, qualche passante pareva affrettarsi
verso casa e sulla soglia di un paio di bar i clienti si salutavano ad alta voce.
Stava scendendo dall'auto che aveva posteggiato tra le altre (c’era il disco
orario?, oh beh, caso mai l’ex collega gli avrebbe tolto la multa… forse)
quando gli suonò il cellulare.
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«Sono il sindaco, Lidia Ferro.» gli annunciò la voce della prima cittadina di
Cuggiono.
«Sindaco buongiorno. Sono appena arrivato in paese. Sono in piazza,
piazza… in centro insomma – tagliò corto imbarazzato - sto andando a
mangiare: se ha tempo posso invitarla a pranzo?»
«Grazie ma devo andare a casa, mi aspettano in famiglia. Grazie
comunque. Senta, alle tre ho una riunione all'associazione culturale dove
sono presidente, potremmo vederci lì un po' prima. Le andrebbe bene verso
le due e mezza?»
«Va bene, mi dica dove.»
Il sindaco glielo spiegò e lui si rese conto che era a due passi dalla piazza, in
uno dei bassi edifici lungo la strada che aveva percorso arrivando. Poi si
salutarono e Ferrando andò a un ristorante sulla piazza, L'oro del Ticino,
per un pranzo leggero.
Da un mese, spinto da sua figlia e dalla Cinzia, l'una all'oscuro delle
pressioni dell'altra ma concordi nel fine di farlo digiunare, s'era messo a
dieta: la sua... figura, diciamo così, stava assumendo un profilo
preoccupante.
Tre quarti d'ora dopo passeggiava per la cittadina, il mezzo toscano di
nuovo tra i denti, in attesa dell'ora dell'incontro.
Il tempo pareva volersi mettere al meglio: il cielo stava schiarendosi sempre
più, mutando gradatamente in un azzurro tenue. Dalle laterali o dai passi
carrai delle case, alcune delle quali sembravano ex cascine e svelavano aie
e cortili ben tenuti, si vedevano lembi di nebbia distendersi sui campi che
circondavano l'abitato e svanire lentamente. Doveva ammettere che quella
foschia che velava lo sguardo e il paesaggio non era spiacevole: donava una
specie di fascino misterioso all'ambiente.
C'era poca gente in giro e le poche persone che lo incontravano lo
squadravano con aria diffidente. La cosa lo stupì. La cittadina era a meno di
un'ora dal centro di Milano, probabilmente gran parte dei suoi abitanti
lavorava nella metropoli: perché quella diffidente curiosità da paese perso
nelle campagne? D'accordo che con i suoi quasi cento chili su due metri di
altezza, impermeabile lungo e cappellaccio da Passator Cortese attirava
l'inquieta attenzione di chi lo incontrava, figura sconosciuta e quasi
minacciosa nelle strade semi-deserte. Ma Ferrando si aspettava che gli
abitanti, abituati al vivere milanese, avessero la distaccata indifferenza dei
cittadini.
La spiacevole spiegazione gli venne poco dopo in un bar dove era entrato
per un caffè, accolto dalle occhiate piene di sospetto di quattro o cinque
clienti e del barista.
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Alla televisione un canale locale trasmetteva un “speciale” da Cuggiono.
Sullo schermo scorrevano immagini del paese, della casa del delitto e una
vecchia foto di Matteo Santi, grande, grosso e accigliato, e i cronisti
commentavano le dichiarazioni rilasciate dagli inquirenti sui terribili delitti.
Mentre il sostituto, Renzo Graziani, aveva adottato una linea cauta, il
colonnello Guglielmo Sperandio, circondato da un bosco di microfoni e un
reggimento di giornalisti, s'era lanciato in dichiarazioni allarmanti.
Secondo l'ufficiale c'erano elementi che facevano temere che il folle stesse
perdendo il controllo e rappresentasse una minaccia per tutti gli abitanti. I
Carabinieri
avrebbero pattugliato il territorio ma il colonnello
raccomandava a tutti di non uscire alla sera, anzi di chiudersi in casa con il
buio e...
Maledetto idiota!
Furibondo uscì dal bar, ritornò verso la piazza e risalì la strada: ormai
erano le due e mezza, tempo di raggiungere il sindaco.
La sede dell'associazione era poco più in là, c'era passato davanti senza
saperlo entrando in paese: una specie (gli parve) di chiesetta sconsacrata
con la porta che si apriva pericolosamente a filo strada. Lì Ferrando trovò
non solo il sindaco ma, ovvia conseguenza delle dichiarazioni del
colonnello, una piccola folla, una specie di riunione ristretta di Giunta
allargata a un paio di funzionari. C'erano tre assessori, il comandante della
Polizia Municipale, che era poi l'ex poliziotta che lui aveva conosciuto la
mattina, l'avvocato civico. In più c'erano il sostituto Graziani e il tenente
Pavia. Era stato inviato lì dal suo colonnello, tenne a precisare l’ufficiale,
come “osservatore”. E Ferrando non capì se il suo era umorismo o stolida
obbedienza.
Lidia Ferri era una elegante quarantenne con un sorriso che anche in quelle
circostanze si rivelava dolce e amichevole e la voce pacata. Ma dietro quella
dolcezza si intuiva una forte risoluzione e la volontà di governare la
situazione nel migliore interesse per il suo paese.
Le dichiarazioni incaute del colonnello rischiavano di gettare nel panico la
popolazione, osservò subito il sindaco rivolgendosi al sostituto e al tenente,
specie chi abitava nelle case isolate e nelle fattorie. Non dubitava che vi
fossero fondati motivi per temere che Santi si stesse trasformando in un
maniaco omicida, anche se al momento colpiva ancora solo gli appartenenti
alle famiglie Santi - Bentivoglio, ma lanciare certi allarmi era molto
imprudente.
«Non possiamo gettare nel panico la popolazione parlando di un pazzo
serial killer senza offrire qualcosa che serva a contenere il panico.»
concluse.
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Il sostituto e il tenente si barcamenarono in vaghe osservazioni (in fondo
loro non c'entravano nulla, aveva combinato tutto il geniale colonnello) e
alla discussione si unirono un paio di assessori e l'avvocato civico.
Ferrando si estraniò e indugiò a riflettere sulla faccenda. Ma non conosceva
troppi elementi fondamentali della vicenda, ammise con se stesso,
guardandosi intorno incuriosito. I muri dell'ex chiesetta erano coperti da
bacheche con avvisi sociali e da manifesti di eventi organizzati
dall'associazione, sorprendentemente attiva e, a giudicare dalle foto, molto
seguita dagli abitanti. Peccato che il locale, ampio e ben tenuto, fosse un
po' freddo ma d'altra parte pensare a mettere il riscaldamento lì... ma
magari uno di quegli aggeggi che usano i bar e che mettono anche nelle
chiese?
«Lei cosa ne pensa ispettore?»
La domanda del sindaco lo riportò all'attualità: a quanto pareva il dibattito
s'era concluso o quanto meno interrotto con un nulla di fatto e ora i
convenuti andavano in cerca di qualcun altro da coinvolgere nella
discussione.
«Non penso molto, a dire il vero – esordì cauto: lì si rischiava di fare notte
senza che lui riuscisse a sapere quel che gli interessava – non conosco
ancora troppi elementi. Quel che so è che il delitto avvenuto da noi
presenta alcuni punti oscuri che mi fanno pensare che non sia così
semplice.»
«Cioè?» chiese il magistrato perplesso.
Non molto alto, magro, una barbetta rada appena accennata, aveva
evidentemente fatto in tempo ad andare a casa a cambiarsi e ora era
infagottato in una insolita giacca country style con tasche e tasconi che gli
dava quasi l’aspetto di un vagabondo ladro di polli.
«La vittima pare abbia fatto entrare lei stessa il suo assassino e l'abbia fatto
accomodare senza timore in soggiorno, dove poi è stata aggredita e uccisa.
Quindi non temeva il suo visitatore. Inoltre da come l'assassino ha
sistemato le parti anatomiche nel cassonetto parrebbe che più che occultarle
abbia voluto farle trovare. Assurdo, diciamolo pure. Anche se magari si
può pensare che un maniaco, in qualche distorto modo, abbia potuto
pensare di lanciare così un messaggio. O magari che abbia obbedito
all'inconscio desiderio di farsi catturare: non è raro nei serial killer che
paiono sfidare la Polizia. Ma soprattutto non capisco come Santi abbia
potuto rintracciare la sua vittima dopo tanti anni. Quando la Bentivoglio se
ne andò da qui lui era in prigione: come ha saputo dove era andata? Aveva
parenti o amici che possono averlo informato?»
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«Per quel che ne so nessuno voleva più aver a che fare con lui – spiegò
concisamente il sindaco – parenti, amici... nessuno. Non saprei proprio
come potrebbe aver saputo dove era andata...»
«Volevo sapere una cosa sul primo delitto: quando Salvi uccise la sua prima
vittima, vent'anni fa, perché la fece a pezzi?»
«Questo posso dirglielo io – rispose il sostituto – da quel che si disse voleva
far sparire il corpo dandolo in pasto ai maiali. Una cosa orrenda, ma lui
contava sul fatto che la sua vittima doveva partire il giorno dopo per
andare da dei parenti in Germania, cosa nota a molti. Così la sua sparizione
sarebbe stata collegata al viaggio. Infatti fece sparire dalla casa i bagagli già
pronti. Il delitto avvenne nel mattatoio della casa colonica e quindi non
ebbe problemi con il sangue.«Cosa andò storto?» chiese Ferrando.
«Un puro caso – spiegò il sostituto – ho controllato il fascicolo: quella
mattina il custode dei maiali arrivò prima del solito per motivi suoi e così
fece in tempo a trovare molti resti, tra cui la testa, non ancora mangiati
dalle bestie.»
«Comunque fu un agire da pazzo: oltretutto avrebbe solo rimandato la
scoperta della sparizione della sua vittima.» osservò l’avvocato civico con
aria di sufficienza.
Alto, stempiato, un po’ pingue, il volto rubizzo, indossava una giacca
simile a quello del sostituto che addosso a lui lo faceva sembrare un vero
gentiluomo inglese di campagna.
«Sì, ma così si sarebbe pensato che era sparita in viaggio.» si sentì in dovere
di osservare il comandante della polizia municipale, guadagnandosi
un’occhiataccia dell’avvocato che poi la ignorò ostentatamente. Cosa
diavolo aveva?, si chiese Ferrando meravigliato: la ragazza aveva fatto
un’osservazione giusta.
Ma forse c’era della ruggine tra loro.
«Torniamo all’attualità – stabilì il sostituto – lei ispettore è sicuro che la sua
morta non possa essere stata uccisa da altri che ce l’avessero con lei?»
«Per ora non è emerso nulla: la donna era benvoluta dalla gente del paese,
che la descrivono solare e amichevole con tutti. C'è un particolare curioso:
oltre a diversi preziosi e al personal l'assassino ha rubato il cellulare della
vittima, vecchio e di nessun valore per un ricettatore. Questo mi fa pensare
che in quel telefono ci possa essere qualcosa di pericoloso per l'assassino.
Abbiamo richiesto i tabulati del traffico degli ultimi tre mesi ma sa bene che
ci vogliono diversi giorni per averli. E poi dovremo verificare tutti i
numeri.»
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«Come dire che lei non crede a un pazzo omicida ma pensa a un omicidio
premeditato - osservò scettico il tenente Pavia – ma quali alternative ci
fornisce?, lei stesso ha detto che la vittima era benvoluta da tutti.»
«Non lo so, mi limito a tener presente degli elementi che mi lasciano
perplesso.»
«Cioè ritiene che l'assassino che ha colpito da voi sia un altro che per caso
ha usato lo stesso metodo di Santi.»
L'avvocato comunale era di nuovo intervenuto e aveva fatto la sua
osservazione con aria di sufficienza.
No, non era una persona simpatica, tutto considerato.
«Io non ritengo nulla – sorrise Ferrando – ma sarebbe veramente un bel
caso se due assassini differenti colpissero quasi contemporaneamente e
nello stesso modo e per di più la stessa tipologia di vittime. Perché penso
che anche gli altri morti, quelli recenti intendo, siano stati uccisi...»
«Allo stesso modo.» concluse per lui il sostituto.
«Allora anche per lei Santi è l’assassino.» si sentì di concludere il tenente.
«Non lo so ma so che rimane la stessa domanda – replicò lui evitando di
rispondere – come ha fatto Santi, appena uscito di prigione, a trovare
l’indirizzo di Mariagrazia Bentivoglio, andata via di qui mentre lui era
dentro? Può averlo saputo da qualcuno?, mi pare difficile, se parenti e
amici non avevano più contatti con lui. Ha chiesto all'anagrafe?, per caso
avuto tempo di controllare?» la domanda era per il comandante della
Municipale.
«Dopo che me ne ha parlato stamattina ho fatto una prima ricerca– rispose
l'ex sovrintendente – e nessuno ricorda richieste simili all’anagrafe. D’altra
parte Santi ha una figura caratteristica e inoltre molti degli impiegati più
anziani lo riconoscerebbero ancora: non sarebbe passato inosservato.»
«E allora temo che abbiamo un problema.» concluse Ferrando, strappando
un sospiro di apprensione al sindaco e un altro difficilmente interpretabile
al sostituto.
«Cosa conta di fare ora?» gli chiese a sorpresa il tenente.
«Non lo so – ammise Ferrando – so solo che tra qui e giù da noi ci sono in
tutto... quanti?, quattro morti?, tutti delle famiglie Santi - Bentivoglio, tutti
uccisi con le stesse modalità e tutti nelle ultime settimane. Bisogna dire che
il nostro assassino si dà da fare. Però almeno per l'omicidio compiuto da
noi ci sono troppi punti poco chiari.»
«Comunque non negherà che il punto prioritario sia trovare Santi.»
questionò il tenente Pavia.
«Che Santi sia da trovare è indiscutibile.» concordò Ferrando.
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Su questo punto tutti si dissero d'accordo (ma no?, ma pensa te...) e la
riunione si sciolse con il vago impegno di rivedersi l'indomani o, nel caso di
novità, a chiamata del sindaco.
Erano tutti sulla porta, frammisti ai soci dell'associazione che stavano
arrivando per la riunione, quando a Ferrando venne in mente una cosa.
«Ma quanti sono i membri delle famiglie ancora in vita?»
«Ne conosciamo tre, che abitano tutti nei dintorni – gli rispose Pavia – ma a
dire il vero sono lontani dall'asse principale delle famiglie, cugini di terzo
grado o qualcosa di simile. Sono comunque eredi e li abbiamo messi sotto
sorveglianza, Santi non potrà arrivare a loro.»
Sembrava molto sicuro...
«E Santi, nella sua folle idea di avere le terre, vorrebbe ucciderli per entrare
in possesso della villa e di tutto il resto?» chiese l'avvocato comunale.
«Non saprei: come ho detto sono ormai parenti lontani dall'asse principale
della famiglia e in teoria, se Santi non fosse… insomma se non fosse
l’assassino, non potrebbero sottrargli nulla dell’eredità.» spiegò il sindaco.
«Forse sono un rompipalle – premise conciliante Ferrando – ma c'è modo di
avere un quadro generale delle due famiglie?, tanto per vedere se da
qualche parte c'è qualcun altro che Santi potrebbe voler uccidere.»
«Giusto, molto giusto – approvò il sostituto entusiasta. Quasi che Ferrando
gli avesse dato una dritta su dove si trovava il Santo Graal - è possibile fare
una ricerca accurata all'anagrafe?, magari controllando rami collaterali,
figlie o nipoti che si sono sposate e hanno cambiato cognome...»
«Certo – assicurò il sindaco – Marina puoi pensarci tu?»
«Ma questa villa, tutte queste terre che Santi vorrebbe avere - intervenne
Ferrando - sono davvero di così gran valore?»
«Assolutamente sì – gli assicurò il sindaco – le terre si estendono su molti
ettari e sono terreni sia agricoli che edificabili, e la villa è una grande
costruzione del “700 che si affaccia sul Naviglio di Leonardo. E' da
ristrutturare ma solo quella vale milioni. Se ci aggiunge i terreni parliamo
di una vera fortuna. I beni accumulati dalle due famiglie in oltre due
secoli… no, direi quasi tre secoli di storia.»
«Il Naviglio di Leonardo?» chiese Ferrando perplesso.
«Certo, è qui vicino, a un paio di chilometri – gli spiegò il sindaco, lieta di
poter illustrare pregi e ricchezze del suo comune – è ancora in buone
condizioni ed è il naviglio progettato da Leonardo Da Vinci per conto di
Ludovico il Moro. Lei sa che Leonardo ha operato parecchio da queste
parti, pensi anche alla piazza di Vigevano...»
«Quella la conosco, molto bella.»
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«Cuggiono ha diversi piccoli gioielli – continuò il sindaco sempre più
entusiasta – domattina dopo le nove venga a trovarmi in comune: è a villa
Mimbelli, una bellissima costruzione del “700 con un parco all'inglese ricco
di molte essenze arboree esotiche e certo tra i più belli d'Italia... e non siamo
solo noi di qui a dirlo ma anche...»
«Signor Galli!»
La comandante della Municipale l'aveva interrotta chiamando a gran voce
un uomo sui settanta, media statura, che passava dall'altra parte della
strada. L'uomo di fermò con fare interrogativo e Ratti gli andò vicino.
«Signor Galli, ha saputo cosa è successo... ancora?»
«Allude all'ultimo omicidio?, certo, e allora?»
L'uccisione con seguente smembramento del decano (quando era in vita)
del clan Bentivoglio non pareva averlo sconvolto più di tanto. Guardava la
donna in divisa con aria tra il perplesso e lo scocciato.
«Non pensa di dover... di dover stare in guardia?, il signor Galli ha sposato
una figlia di Agostino Bentivoglio.» spiegò poi agli altri che s'erano
avvicinati.
«Mia moglie è morta da venti anni e abbiamo sistemato tutte le cose con il
notaio a quell'epoca. Ormai non c'entro più con... con quella gente.»
concluse, con l'aria di non avere una grande stima di “quella gente”.
«Ma Santi potrebbe pensarla diversamente, non crede?»
«Proteggeremo il signor Galli, ma se non è coinvolto negli assi ereditari non
credo corra pericoli.» intervenne Pavia con aria incerta ma conciliante.
In fondo Ferrando lo capiva: certo anche lui doveva fare i conti con la
carenza di personale e mezzi e impegnarne anche per uno non proprio in
pericolo... Ma il suo colonnello non aveva detto che Santi stava diventando
un pericolo per tutti?
«Non ho bisogno di protezione, state tranquilli – rispose Galli. Aveva l'aria
del vecchietto ostinato dei vecchi film western – casa mia ha un bel muro
intorno, finestre con le grate e non apro mai senza aver prima guardato chi
suona alla TV a circuito chiuso.»
«Ecco ispettore, se vuole avere notizie sulle famiglie Santi Bentivoglio il
signor Galli è la persona ideale – il sindaco era intervenuta ricordando la
richiesta di notizie sulla storia delle due famiglie – l'ispettore Ferrando
della Squadra Mobile... il signor Galli.» aggiunse in una tardiva
presentazione.
«Piacere ispettore – Galli gli aveva allungato una mano magra ma con una
stretta ancora forte – ma non so proprio cosa potrei dirle.»
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«Mi piacerebbe saperne un po' delle due famiglie, chi erano, come hanno
fatto fortuna e chi era Santi – gli spiegò Ferrando – come è nato tutto questo
insomma.»
«Se è tutto qui... ma ora devo andare... - Galli aveva sbirciato un vecchio
cronometro d'oro della Longines che avrebbe fatto la felicità di un
collezionista... come Ferrando - senta, perché non viene da me dopo cena?
Ho una grappa, una grappa da far fischiare le orecchie. Non lo dica al
comandante, qui, ma la faccio io, nella mia cascina dopo Induno. Le piace la
grappa?»
«Certo – lo rassicurò Ferrando – facciamo verso le nove e mezza?»
«Direi che va bene.» da come aveva subito accettato di farsi rompere le
scatole da un estraneo Galli doveva annoiarsi parecchio la sera e una
chiacchierata con un questurino doveva apparirgli un buon diversivo.
L'appassionato delle grappe gli diede l'indirizzo di casa, era nel paese
(località?) di Robecchetto, dove era anche l'albergo di Ferrando, salutò tutti
e se ne andò a passo svelto.
§§§
Mezz'ora dopo Ferrando fermava l'auto lungo una stretta strada secondaria
che fiancheggiava la sponda sinistra del decantato Naviglio di Leonardo Da
Vinci. Marina Ratti gli aveva spiegato come raggiungerlo con dovizia di
particolari (e aveva aggiunto che proprio lì c'era anche un ristorante
veramente raccomandabile) e lui, dopo essersi perso tre volte in quelle
strade tutte uguali, era arrivato allo storico canale. Era curioso di vedere sia
il corso d'acqua che la villa per la quale (oltre che per le terre) Santi aveva
intrapreso lo sterminio delle due famiglie.
Il Naviglio era largo una cinquantina di metri e l'acqua, di un bel
grigioverde, vi scorreva frusciando dolcemente lungo le alzaie di pietra
grigia e contro il pilone di un elegante e ben tenuto ponte a due arcate,
tinteggiato di beige e giallino, che scavalcava il canale.
Sull'altra sponda, appena al di là del ponte, c'era una rustica trattoria che
fece venire in mente a Ferrando (del tutto impropriamente, era ben diversa)
la trattoria dove Don Camillo monsignore giocava a carte. Diversi tavoli
erano sistemati sotto un grande bersò che pareva promettere ombra e
ristoro dalla calura estiva per il pranzo del mezzogiorno e fresche e
piacevole cene nelle sere d'agosto. Una strada secondaria, costeggiata la
trattoria, proseguiva tra macchie di alberi e villette perdendosi nella
campagna. Sull'alzaia di destra invece si stendeva una stradina ben tenuta
che fiancheggiava il Naviglio, accompagnandolo verso valle e verso monte.
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Ferrando indugiò qualche momento sul ponte: davanti alla trattoria tre
anziani, piantati in mezzo alla secondaria, lo scrutavano sospettosi mentre
quasi sotto di lui un pescatore stava immobile, la canna protesa sull'acqua.
Il cielo s'era fatto chiaro, di un azzurro slavato ma non sgradevole e il sole
pallido illuminava di una luce morbida villette, boschi e canale. Ferrando
indugiò un po', poi percorse il ponte e ignorando i diffidenti indigeni si
incamminò lentamente lungo la stradina sull'alzaia, risalendo il Naviglio.
Ferrando, se non propriamente nato, era cresciuto in campagna, nel paesino
di suo padre, disteso in una valle boscosa tagliata da un fiume dove
bambino inventava giochi e avventure ed era andato a pescare.
Forse fu per quello che si trovò inaspettatamente rilassato e tranquillo
camminando piano lungo il canale. Attorno i boschi stavano coprendosi di
verde, le alzaie parevano uno scenario da film e il fruscio della corrente più
che romperlo sottolineava il silenzio. Cento metri dopo, dall'altra parte del
Naviglio, dalla parte dove aveva lasciato l'auto, c'erano alcune villette, tra
cui l'edificio che ospitava il ristorante decantato dall'ex collega. Dal corpo
principale, che al piano terra si apriva sul panorama del canale con grandi
vetrate, dei gradoni ricavati nel terreno scendevano verso il Naviglio, con
spazi per tavoli e un barbecue, ideali per cene estive. Poco più in là la mole
di una bella villa settecentesca posta sul culmine di un piccolo rilievo, la
villa che Santi avrebbe voluto avere, dominava il canale. Era circondata da
una folta macchia di alberi e un'elegante scalinata scendeva verso il canale
come una cascata di pietra bianca dalle sinuose volute fino a un breve prato
che finiva sull'alzaia. Scalinata e prato erano abbastanza ben tenuti,
nonostante il chiaro stato di abbandono della villa, così come gli alberi
attorno alla scalinata. Forse qualcuno veniva periodicamente a fare qualche
lavoro per cercare di conservare per quanto possibile villa e parco. Poco più
a monte una minuscola darsena vuota testimoniava che, una volta, eleganti
barche partivano per raggiungere altri imbarcaderi o portavano alla villa gli
ospiti. Pareva quasi di vedere ancora i padroni di casa scendere lo scalone
per accoglierli quando sbarcavano sul prato. A dire il vero Santi sarà stato
anche matto ma quella villa sarebbe piaciuta anche a Ferrando.
Proseguì lungo il Naviglio nella luce dolce del pomeriggio, respirando
contento l'aria profumata di primavera: stava proprio bene e proseguì
curioso di vedere come si sviluppava il canale.
Superò quella che gli sembrò una specie di cava, poi una lieve curva e
duecento metri dopo si fermò di nuovo. Dall'altra parte del Naviglio una
bella casa di campagna biancheggiava tra gli alberi e vicino al canale una
tettoia fungeva da ricovero a una vecchia chiatta. Un'altra era a secco sul
prato vicino. Erano due vecchie chiatte dalla prua rotonda e i fianchi larghi,
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il fondo piatto, che una volta dovevano percorrere lentamente il canale
portando merci o ghiaia. A poppa parevano avere o aver avuto un motore
ma forse in origine erano tirate da cavalli o buoi che percorrevano le alzaie.
Chissà perché a nessuno era venuto in mente di rimetterle in sesto e
trasformarle in battelli turistici con cui portare la gente su e giù per il
Naviglio. Doveva essere bello, nei pomeriggi e nelle sere estive, muoversi
lentamente sull'acqua, nell'aria profumata, in quella campagna ben tenuta.
Qualcosa che si muoveva tra le piante e l'erba attirò la sua attenzione: erano
lepri!, almeno tre lepri che correvano... e in alto, sul ramo di un albero, un
paio di scoiattoli le osservava con aria scettica! Che roba, a venti chilometri
o quanti erano da Milano, tentacolare megalopoli del nord, una scena da
campagna disneyana. A ben guardare era proprio un bel posto.
Il sole stava calando e refoli di foschia si stavano distendendo sul Naviglio
e sui campi vicini, donando alla scena un'atmosfera quasi magica e
sognante.
Peccato, ammise ritornando sui suoi passi, si stava facendo tardi e doveva
recuperare la macchina e trovare l'albergo. Ripercorse piano la strada
sull'alzaia ma dopo poco rallentò e si fermò in mezzo alla stradina.
Era davanti alla villa. Al di là del Naviglio la sua scala biancheggiava
sempre alla luce del sole pallido al tramonto e tra i grandi alberi scuri la sua
mole incombeva sempre sulle acque del canale. Ma non era stata la
scalinata o la facciata della villa ad aver fatto fermare Ferrando: sul prato
tra l'alzaia e la costruzione una figura umana, nera e massiccia, era
immobile, le spalle al Naviglio. Indossava un lungo impermeabile o
soprabito nero, in testa aveva una specie di cappellaccio (simile a quello di
Ferrando, a dire il vero) pure nero e guardava la villa. La guardava con una
strana intensità, quasi che avesse per lui un significato speciale.
Ferrando era fermo da qualche secondo quando la figura nera parve intuire
la sua presenza e si voltò verso di lui. La luce stava calando e a quella
distanza il viso dell'uomo era solo una macchia chiara ma Ferrando fu certo
che lo stava guardando. Ora che s'era voltato il poliziotto si rese conto che
nella sinistra stringeva quella che aveva tutta l'apparenza di un'accetta.
Non poteva esserne sicuro ma non riusciva a immaginare cos'altro potesse
essere.
Rimasero a guardarsi da una parte all'altra del Naviglio, Ferrando il mezzo
toscano stretto tra i denti, le mani affondate nelle tasche dell'impermeabile,
immobile quanto l'uomo in nero che a sua volta era rimasto nella stessa
posizione che aveva assunto quando s'era voltato.
Era una situazione assurda.
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L'uomo davanti alla villa aveva tutta l'apparenza dell'Uomo con l'ascia ma
ne pareva una specie di immagine simbolica: Ferrando dubitava che un
assassino se ne andasse davvero in giro con un pastrano nero e un'accetta
in mano.
E tuttavia l'uomo era là, immobile, nero e minaccioso, proprio davanti alla
villa che sognava di possedere. Che senso aveva? Aveva trovato lì il suo
rifugio? Poteva essere, ma dove mangiava? Saccheggiava pollai e
conigliere? Rubava nelle case o nei negozi, nella notte? Possibile e tuttavia...
Rimase a guardarlo, fermo in riva all'alzaia.
Certo poteva prendere il cellulare, chiamare i Carabinieri o la Municipale e
intanto mettersi a correre, ritornare all'auto e cercare da che parte si
arrivava all'ingresso della villa. Sentiva il peso e la forma della Beretta,
sotto alla giacca: se necessario avrebbe potuto difendersi.
Ma non si mise a correre, non prese il cellulare: rimase lì, fermo, le mani in
tasca, con una strana sensazione. La sensazione che tutto fosse sbagliato.
Una specie di farsa.
Perché gli pareva illogico che l'Uomo con l'ascia se ne stesse a guardarlo
calmo e tranquillo (anche se da un pazzo ci si può aspettare tutto).
Perché trovava inaccettabile che il pazzo se ne andasse in giro come il
protagonista di un B- movie del terrore (ma magari s'era messo i primi
abiti che poteva aver trovato nella sua condizione di latitante).
Perché non conosceva i luoghi e prima di trovare l'ingresso della villa
quello poteva essere arrivato a Varese (ma se avesse chiamato i caramba
quelli sarebbero arrivati alla svelta e certo loro li conoscevano i luoghi...).
Ma era soprattutto perché vedersi lì davanti l'Uomo con l'ascia non aveva
senso che non fece nulla ma rimase immobile a fissarlo, curioso di vedere
cosa avrebbe fatto.
Da parte sua l'uomo in nero rimase a fissarlo ancora per un minuto buono
poi parve stringersi nelle spalle, quasi fosse perplesso, si voltò e si
incamminò verso la villa. Risalì piano la scala, a metà esitò e parve voltarsi
indietro, e Ferrando avrebbe giurato che s'era stretto ancora nelle spalle, e
infine sparì nell'edificio.
Da parte sua Ferrando si voltò e proseguì piano lungo l'alzaia. Tutta quella
faccenda non...
Insomma, aveva un maniaco che ritrova vent'anni dopo una sua vittima
senza poter sapere dov'era; un serial killer che vaga attorno alla sua
cittadina, dove tutti lo conoscono e ammazza a destra e sinistra; un pazzo
che si veste come il personaggio di uno scadente film horror, con pastrano
nero e ascia e se ne sta fermo davanti alla villa dei suoi sogni incurante di
un tizio che si ferma a guardarlo dall'altra parte del canale...
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Assurdo.
Pure i morti erano morti, e morti fatti a pezzi, proprio come Santi aveva
ucciso la sua prima vittima. Possibile che un altro squilibrato avesse
iniziato a uccidere allo stesso modo proprio i membri (quelli rimasti) delle
due famiglie? No, inaccettabile.
Attraversò il ponte (anche quello era di Leonardo Da Vinci?, doveva
chiederlo al sindaco), raggiunse la sua macchina, mise in moto, attivò il
navigatore e nel grigiore della sera che stava calando partì lentamente
diretto al suo albergo. Aveva molte cose cui pensare e nessuna logica né
piacevole.
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