Testo_P. Bisignano - Pie Discepole del Divin Maestro

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Testo_P. Bisignano - Pie Discepole del Divin Maestro
Alle Pie Discepole del Divin Maestro - Appunti
RITIRO MENSILE
Non lasciate mancare a questo mondo
un raggio della divina bellezza
I.
Perché questo titolo? L’ho scelto guardando al mondo di oggi, alla situazione dell’umanità. Basti
pensare agli interventi di Papa Francesco, non ultimo, il Messaggio Urbi et Orbi di quest’anno, per coglierne la
complessità, le contraddizioni, l’operare del mysterium inmiquitatis contro l’opera di Cristo – la nuova
creazione -, contro i suoi discepoli e contro l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Ciò che stiamo
vivendo è un vero profondo misterioso cambiamento della nostra stagione storica che coinvolge le culture, i
popoli, le tradizioni, il rapporto con il sacro e con Dio, il futuro, le generazioni, la persona prima di tutto. Le
parole del titolo sono tratte dal messaggio finale dell’Esortazione Apostolica Vita Consecrata (n. 109) e
riflettono la passione di Giovanni Paolo II: “Amare questa nostra epoca, per salvarla!”; è la passione per
l’evangelizzazione unita alla consapevolezza della responsabilità della Chiesa nei riguardi degli uomini e delle
donne – dei giovani in particolare - che popolano una società, in trasformazione al di là dell’immaginabile.
“Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per
evangelizzare”, aveva ripetuto con forza Paolo VI nella Esortazione Apostolica Evangelii Nuniandi (EN 14;
cf.GS 1). Tutti ne siamo coinvolti, ciascuno secondo il dono ricevuto nel disegno di Dio. Anche noi, quindi, da
persone consacrate. Evangelizzare con gioia, ripete Papa Francesco, la gioia di evangelizzare (cf.Udienza
Generale, 22 maggio 2013).
Qual è la nostra prima responsabilità? Nel gemito di Papa GPII - quello espresso appunto nel titolo – è
racchiuso quanto la Chiesa si attende da noi e viene indicata la strada che il Signore, che ci ha chiamati per
nome, vuole percorriamo, non per la nostra realizzazione, ma per servire i fratelli e le sorelle ed essere per loro,
in comunione con tutto il Popolo di Dio, luce e sale (cf. Mt 5, 13-16). È la strada dell’ oblazione”, resa visibile
nel dono totale di noi per amore. L’ “uscire” di cui parla con soave energia Papa Francesco è il darsi, come fa il
pastore che dona la propria vita per le pecore e Maria ai piedi della Croce. Noi siamo noi stessi se usciamo da
noi stessi per vivere con la gente e portare a tutti la buona notizia che Dio li ama. Direbbe Paolo, come ha
scritto a Timoteo: “Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo, aiutato dalla forza di Dio”,ma, allo steso
tempo, gli raccomanda di ravvivare il dono ricevuto, la chiamata alla Sequela di Cristo (2 Tim 1, 6.8)..
Mi permetto offrirvi questi pensieri che tormentano l’animo, nella fede e con senso di impotenza. Non
basta rinnovare il volto delle nostre istituzioni e renderlo più conforme agli orientamenti che modellano la
nostra società. Lo Spirito ci spinge a porci in sintonia con il Vangelo, con l’insegnamento di Gesù, a seguirlo e,
stando in Lui, andare: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”(Gv 20, 21). Siamo tutti missionari
in una cultura sempre più incomprensibile e ignota, come erano ignote le culture dei popoli raggiunti dai nostri
missionari. Lì, tra quei popoli è nata la Chiesa con un proprio volto perché erano diventati, quel popolo,
sospinti dall’amore di Cristo diffuso nei loro cuori (cf. 2Co 5, 14).
Comprendiamo veramente il significato e il peso di queste realtà? Il mondo di oggi ha bisogno di Cristo
e del Vangelo e di vedere, testimoniata nella vita dei cristiani, la nuova società che fiorisce sulla radice del
Mistero della Pasqua, in cui è racchiuso l’amore del Padre che abbraccia tutti. E Noi, come persone consacrate,
siamo chiamate ad esserne un segno limpido e profetico, nella Chiesa e nella società, servendo come Cristo, il
Signore e lo Sposo. Ha scritto Papa Giovanni Paolo II: La dedizione a Dio delle persone consacrate, che dà
volto di pienezza al quotidiano, è luce che “illumina il cammino dell’esistenza umana: i cristiani hanno bisogno
di trovare in voi cuori purificati che nella fede, “vedono Dio”, persone docili all’azione dello Spirito che
camminano spedite nella fedeltà al carisma della chiamata e della missione” (VC 109) . Le persone consacrate,
partecipi dell’agape divina, leggiamo ancora nell’Esortazione, lasciandosi conquistare da Lui (Fil 3, 12) si
dispongono a divenire in certo modo, un prolungamento della sua umanità (VC 76), cioè di Cristo Redentore,
“il più bello dei figli dell’uomo” (Sal 45, 3), Via Verità e Vita. Le persone consacrate sono nella Chiesa
“memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù” (VC 22).
II
In questa luce, penso vada visto l’Anno della Vita Consacrata!
: L’appello del Papa, lo ripeto, rivela le responsabilità della vita consacrata nella Chiesa per la
realizzazione del disegno di Dio: un disegno di amore che si compie solo con il metodo dell’amore, su cui si
fonda ogni esistenza donata. “Il codice genetico del dono: l’avvincente bellezza della vita consacrata”
(Francesco Lambiasi Vescovo, Omelia 2 febbraio 2010).
Gustare le realtà custodite in questi testi vibranti di passione per il Vangelo, durante l’Anno della Vita
Consacrata - e, se vogliamo, nel XX anniversario del Sinodo, 1994 - . riscalda il cuore nella gioia e nella
gratitudine per essere stati chiamati, nonostante i nostri limiti e peccati, a vivere questo tempo di grazia e di
sofferenza dell’umanità, di conquiste e di attese, di nuove prospettive di vita nella pace e nella giustizia. Nella
preghiera, fatti voce di ogni creatura, chiediamo , uniti a Maria, il dono della “povertà in spirito” (Mt 5, 3):,
perché solo se si è poveri di spirito si può essere partecipi della creatività dello Spirito e si è in grado di
collaborare con Cristo Signore e con l’uomo e la donna di ogni popolo e cultura. Una prima condizione,
tuttavia, è avere nel cuore la Chiesa e l'umanità. La Chiesa. perché ogni carisma di vita consacrata è un dono di
Cristo Signore fatto alla Chiesa (cf. MR 5) e solo in essa ogni Istituto comprende la propria identità e la
missione specifica. L'umanità, perché siamo partecipi della missione di Cristo che abbraccia tutti: La radice è
sempre e solo l'amore del Padre, che ogni nostro gesto e opera intende esprimere e rivelare, creando lo spazio di
un incontro rigeneratore e di comunione con Lui.
“Fratelli, cosa dobbiamo fare?” hanno chiesto agli Apostoli quanti avevano udito il discorso di Pietro a
Pentecoste e ne avevano accolto il messaggio. Pietro rispose: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare
nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,
38). La stessa domanda possiamo porcela gli uni gli altri e indirizzarla a Papa Francesco. La risposta la
troviamo certamente nei suoi vari interventi riguardanti la vita consacrata, ad esempio nel lungo incontro con i
Superiori Generali; la troviamo soprattutto nella sua Lettera Apostolica scritta a noi aprendo l’Anno della Vita
Consacrata.
Leggendo la Lettera Apostolica, mi è parso di trovare nella sua prima parte alcuni dati che permettono di
comprendere meglio il nostro cammino, il suo dinamismo, le sue caratteristiche e, in particolare, la sua
originalità nella comunione armoniosa delle diversità, quindi la sua bellezza (pulcrum = unum in varietate). Il
testo di Papa Francesco si apre con la ormai famosa espressione di Giovanni Paolo II: “Voi non avete solo una
gloriosa storia da ricordare e da raccontare; avete una grande storia da costruire. Guardate al futuro, nel quale lo
Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi” (Vita Consecrata 110). Papa Francesco la fa sua e vede
qui indicati gli obiettivi per l’Anno della Vita Consacrata che permettono poi di scandire i nostri passi nel
quotidiano (cf. seconda e terza parte della Lettera); Sono: guardare il passato con gratitudine (la memoria) –
vivere il presente con passione – abbracciare il futuro con speranza. Sono aspetti diversi della nostra
vocazione e ambiti del nostro cammino di crescita nell’amore a Dio e nell’amore al prossimo. Vanno visti
quindi come una unità, in modo inseparabile cioè.
III. I tratti e la dinamica del nostro cammino,
1.
Guardare il passato con gratitudine
Il primo tratto caratterizzante la vita cristiana, e nostra vita consacrata in particolare, è la memoria. Vi è
non poca difficoltà, va detto subito, anche in noi, a comprendere il significato e il valore spirituale e sociale
della memoria perché viviamo in un oggi spesso senza radici, in cui si è indebolito il senso storico come
componente della propria esistenza ed evento educativo di crescita. Si corre così il rischio di diventare
prigionieri di un presente inquieto, senza spessore e futuro.
Il fare memoria è una operazione educativa, plasmatrice ad opera dello Spirito e nostra, nella fedeltà a
Dio e all’amore del prossimo.
Per comprendere il valore e il vero significato delle nostre origini, come Famiglie religiose, a cui fa
riferimento Papa Francesco nella sua Lettera, abbiamo bisogno di entrare nel mistero della memoria biblica e
lasciarci guidare dalla Parola di Dio perché il fare memoria rientra nel cammino della storia della salvezza e
rivela, nel vissuto, il perché dei carismi dei fondatori (cf, MR 5). Pensiamo all’esperienza della memoria come
avviene nella celebrazione degli avvenimenti della vita del popolo di Dio: “Ricordati, Israele...”. Non si tratta
solo di conoscenza della storia; è una reale partecipazione del Popolo di Dio ad essa che ci fa sentire,
nonostante le nostre fragilità e infedeltà, parte di questa storia e suoi costruttori con il Signore della vita,
consapevoli che continua a svolgersi nell’oggi, con l’impegno di tutti noi, ciascuno secondo la propria
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identità e competenza, nel disegno di salvezza del Padre che abbraccia tutti e tutto: persone, popoli,
generazioni, tempi, creato.
Credo che, a questo scopo, un prezioso libro di formazione siano proprio i Salmi. Penso, ad esempio,
ai Salmi che compongono il piccolo Hallel (113-118, in particolare Grande Hallel,- la solenne preghiera
litanica di rendimento di grazie -, il Salmo 136 pregato da Gesù con gli Apostoli nell’ultima Cena: il Salmo fa
memoria, nella lode, delle opere di Dio e ripete di continuo che tutto è a motivo del suo amore per il suo
popolo: Lodate il Signore perché è buono: eterna è la sua misericordia. – Rendete grazie al Signore, perché è
buono, perché il suo amore è per sempre”. Dio non dimentica il suo popolo, ma si ricorda di lui e ne ha cura
come un padre ed una madre: “Il ricordarsi da parte di Dio è un evento attivo e creativo: quando egli si ricorda,
vuol dire che egli fa sorgere una situazione nuova, cambia tutto; quando egli si ricorda, pensa all’alleanza, crea
legami, li rinnova” (......).
Commuove pensare che, mentre Gesù e gli Apostoli, cantavano il Salmo 136, stava compiendosi la
più grande opera d’amore salvifico del Padre in Gesù - nel quale abitava in pienezza lo Spirito Santo -, nella
sua passione, morte e risurrezione. Essa riguardava l’intera umanità e non solo il popolo eletto.
Nella liturgia monastica cantano il Sal 136 ogni domenica, Pasqua settimanale, a Nona (Liturgia delle
Ore).
La comunità dei credenti lascia risuonare dentro di sé le parole del Salmo – perché grande è il tuo
amore per noi -, e tutti, uniti nel suo nome, lo cantano mentre vanno tra la gente ad annunziare la buona novella
e a servire i fratelli, certi della sua presenza, del suo amore fecondo, del suo continuo operare nella Chiesa – “la
sua casa siamo noi!”, (Eb 3, 6) - e nei popoli. Anche le nostre Famiglie religiose lo testimoniano, perché
sgorgano dalla contemplazione del mistero di Cristo Crocifisso, come ci ha scritto Giovanni Paolo II (cf. VC
23).
Ho provato una grande gioia nel ripercorrere queste realtà e nel meditarle, perché mi facevano
comprendere in una nuova luce il mio Fondatore e la famiglia nata da lui per opera dello Spirito. Ha detto Gesù
con la sua autorità di Verbo Incarnato: “Il Padre mio opera sempre, ed anch’io opero” (Gv 517). Come la
Chiesa ha compreso tutto questo riferendosi agli Istituti religiosi? Il documento Mutuae Relationes lo ha
precisato ai Vescovi e ai Superiori Maggiori: “Gli stessi doni, immessi dallo Spirito, sono precisamente voluti
da Cristo e per loro natura diretti alla compagine del corpo, per vivificarne le funzioni e le attività”.
Chi è. pertanto, il mio Fondatore, Sant’Eugenio de Mazenod? Egli è un dono voluto da Cristo” per il
bene della Chiesa, per l’evangelizzazione dei più abbandonati..
Chi è don Alberione, chi sono Don Bosco, il Cottolengo, don Orione, e i molti altri fondatori e
fondatrici nella comunione della Chiesa? Sono altrettanto doni o carismi pensati e voluti da Cristo Signore
perché la Chiesa sia meglio attrezzata per ogni opera buona, in ordine alla missione affidatale: “Andate in tutto
il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15; cf. LG 46). Una conferma per voi, per tutta la
numerosa famiglia paolina, è l’onorificenza che Paolo VI ho voluto dare a don Alberione morente, la Croce
“pro Ecclesia et Pontifice”!.
Vi è una peculiarità riguardo alla “grata memoria” di questi doni che sono le persone dei fondatori
con le loro famiglie religiose : è la sua capacità di ravvivare il dono ricevuto per viverlo nell’oggi come
“esperienza dello Spirito che si sviluppa e cresce camminando con la Chiesa Corpo di Cristo in perenne crescita
(MR 11): camminando con Papa Francesco in piena comunione con lui.
Non ci si ferma: non esiste lo Stop! -, tanto meno non si restaura il passato.
Quando parliamo di memoria storica alla luce della Parola di Dio ci incontriamo sempre con una
presenza viva che non tramonta, ma che continua ad agire nella storia dell’uomo. Ed è questa presenza che
fonda la fede e la speranza, sentendoci amati e chiamati, a cooperare, oggi, con Dio nelle modalità proprie alla
nostra vocazione e ai tempi. Fare memoria è un dato/carattere costitutivo della vita nello Spirito del
discepolo, figlio di Dio. Il Magnificat di Maria è la più limpida spiegazione di cosa voglia dire fare memoria. E
come dinanzi all’agire di Dio sgorghi dal cuore un cantico di lode, di gratitudine e di gioia contagiosi.
Su questo sfondo, rileggiamo qualche passo della Lettera Apostolica:
 , “Il primo obiettivo (dell’anno della VC), ha scritto Papa Francesco, è guardare il passato con
gratitudine. Ogni nostro Istituto viene da una ricca storia carismatica. Alle sue origini è presente
l’azione di Dio che, nel suo Spirito, chiama alcune persone alla sequela ravvicinata di Cristo, a tradurre
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il Vangelo in una particolare forma di vita, a leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, a
rispondere con creatività alle necessità della Chiesa”.
 Raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità, così come per rinsaldare l’unità
della famiglia e il senso di appartenenza dei suoi membri... Tutto è istruttivo e insieme diventa appello
alla conversione. Narrare la propria storia è rendere lode a Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni.
Fare memoria delle nostre origini è rinnovare/prendere coscienza della presenza e dell’azione di Dio
Padre, oggi, per mezzo di Cristo Signore come Pastore, guida, sostegno del suo popolo. Nel dono dei carismi
dei fondatori Egli viene incontro ai bisogni della Chiesa e dell’umanità. Allo stesso tempo, risponde alle
nuove esigenze del Popolo di Dio cresciuto in età e nella comprensione del mistero di Cristo e del disegno del
Padre (cf. Ef 1, 3-14; 3, ).
 Se non ci si educa nel fare memoria, ruminando la Parola di Dio e ripercorrendo la storia della salvezza,
ci si può privare del senso e della certezza della presenza di Dio nella nostra storia, in quella che stiamo
vivendo con tutta l’umanità, e, quindi, non saper cogliere, non vedere il suo operare, non udire i suoi
inviti alla corresponsabilità che qualifica la nostra dignità di persone. In questo modo, a poco a poco, ci
si estranea dal disegno di Dio, ci si allontana dalla corrente della vita.
 La perdita o l’indebolimento del senso storico, nella fede operosa, produce un impoverimento della
persona e della stessa società, delle comunità cristiane. Il Maligno, mi dicevo, sa dove colpire per
renderci sempre più fragili e quindi manovrabili: divide dalle origini e dal vissuto fecondo nell’amore,
dal grande numero di testimoni che hanno operato tenendo lo sguardo fisso su Gesù (cf. Eb 12, 1).. Egli
sa solo dividere e mentire, ingannare e far abitare il buio come se fosse il luogo della vera luce! “Padre
santo, custodiscili nel tuo nome, quelli che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” (Gv 17,
11) , custodiscili dal maligno (v, 15).
2. Vivere con passione il presente.
Vivere il presente, in cui opera lo Spirito - è un altro tratto della vita del discepolo di Cristo.
Non siamo esperti riproduttori del passato e delle sue nostalgie, ma viviamo con l’uomo di oggi, in una
società in continua evoluzione, dilaniata dagli egoismi collettivi che hanno posto al centro della società il
denaro e non l’uomo.
Due le parole-chiave per vivere il presente con passione: fedeltà (memoria) e creatività. Lo Spirito ci
conduce ad abitare il presente nella fedeltà a Dio e nella fedeltà all’uomo e con la creatività dell’amore
diffuso nei nostri cuori (Rm 5, 5; cf. Religiosi e promozione umana, 1980).
Vivere il presente con passione domanda di credere nel profondo di noi – e non solo con l’intelligenza che Dio è Amore e che sta operando nella nostra società “per salvare”: “La tua arte è salvare” (Giovanni
Papini).
Ma cosa significa per Dio “amare”? È Gesù a rivelarcelo; infatti, Nessuno conosce il Padre se non il
Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. (Mt 11, 25-17). Ed è Lui a rivelarci il mistero dell’amore del
Padre. Apriamo il Vangelo - come faremo sempre più in preparazione al Giubileo della Misericordia - e
contempliamo la vita del Signore che ci ha chiamati: è Lui la risposta!. Lasciamoci, inoltre, aiutare dal
grande nugolo di testimoni che popolano il popolo di Dio: coloro che ci hanno preceduto e quanti, uomini e
donne, condividono l’oggi della storia umana con semplicità e fede, nel quotidiano, fino al dono della propria
vita nel martirio.
Come vivere il presente con passione? La domanda ritorna. Ci poniamo in ascolto, facendone oggetto
di riflessione e di preghiera, di quanto scrive a noi Papa Francesco. Ho scelto alcuni passi della Lettera
Apostolica:
 La grata memoria del passato ci spinge, in ascolto attento di ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa, ad
attuare in maniera sempre più profonda gli aspetti costitutivi della nostra vita consacrata.

La domanda che siamo chiamati a rivolgerci in questo Anno è se e come anche noi ci lasciamo
interpellare dal Vangelo;se esso è davvero il “vademecum” per la vita di ogni giorno e per le scelte che
siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e domanda di essere vissuto con radicalità e sincerità.
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
I nostri Fondatori e Fondatrici hanno sentito in sé la compassione che prendeva Gesù quando vedeva le
folle come pecore sbandate senza pastore. Come Gesù, mosso da questa presenza del Signore (cfr
Perfectae caritatis,15).

Vivere il presente con passione significa diventare “esperti di comunione”, «testimoni e artefici di quel
“progetto di comunione” che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio»[2]. In una società dello
scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle
disuguaglianze, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il
riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore,
permetta di vivere rapporti fraterni.
Abbiamo bisogno di silenzio interiore. Abbiamo bisogno di lasciare che la Parola faccia la verità in
noi e la si accolga come Parola di Dio che genera vita e ci fa essere noi stessi nel dono della nostra vita tra la
gente di oggi.
“Con passione!”: la passione è un fuoco interiore che ci porta a vivere da persone consacrate con il popolo di
Dio alla mensa della Parola e del Pane e ad operare insieme, con audacia, nella società senza lasciare nulla di
intentato per “risvegliare il mondo” con Papa Francesco.
3.
Abbracciare il futuro con speranza
Alle due parole–chiave precedenti – fedeltà e creatività - ne va aggiunta una terza: cammino, cammino
verso il compimento; l’impegno, infatti, ha una meta: “fare di Cristo il cuore del mondo”, cioè “ricapitolare
tutto in Cristo”, quale punto di armonia, pietra angolare, roccia. Un cammino accompagnato dalla
preghiera:..”nell’attesa che si compia la beata speranza, e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”, come
preghiamo nella Liturgia.
Quando il presente perde il suo dinamismo interiore di futuro e la sua forza profetica diventa una
prigione che soffoca la vita, ingannando con gli idoli fatti dall’uomo che hanno occhi e non vedono, orecchie e
non sentono, piedi e non camminano: sono senza una meta e senza futuro! Di conseguenza, anche per la vita
consacrata, si guardano, con l’arte della lamentazione, i numeri, le età che avanzano, opere che si devono
chiudere oppure costruire per sentirci ancora forti e vivi!
Partecipi della compassione di Cristo, siamo invitati a farci carico del vissuto opaco, spento e senza
prospettive, per seminare vita nei cuori, portare speranza, mostrare un raggio di luce, indicare una strada e la
meta del cammino. La nostra gioia è vedere la vita riprendersi e sbocciare. Il segreto: Credere anche se
possiamo “accendere nel buio solo una candela”, come faceva Martin Luther King. L’amare senza risparmio i
fratelli e le sorelle, che incontro o a cui sono inviato, è questa piccola luce contagiosa. La dimensione profetica
della vita consacrata innesca un dinamismo di vita che lascia nello stupore per la sua creatività e concreta
vicinanza alle persone, quale opera dell’uomo e dello Spirito. Come Maria.
Memoria grata, presenza appassionata e creativa, cammino coinvolgente “guardando al futuro nel quale
lo Spirito vi proietta”: ecco come dare un volto di feconda bellezza all’Anno della Vita Consacrata che concorra
ad orientare la vita dell’uomo e della donna di oggi.
Ascoltiamo ancora Papa Francesco.:
 La speranza di cui parliamo non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto
la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12) e per il quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37). È questa la speranza che
non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una grande storia nel futuro, al
quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci spinge lo Spirito Santo per
continuare a fare con noi grandi cose.
IV.
Le Pie Discepole del Divin Maestro
“Non lasciate mancare a questo mondo un raggio della divina bellezza1”: questa è la nostra missione.
L’Esortazione di Giovanni Paolo II paragona la vita consacrata ad un albero dai molti rami che affonda le sue
radici nel Vangelo. E spiega la funzione nella Chiesa di ciascuna sua forma, dalla vita eremitica, alla vita
monastica, apostolica, secolare, e alle nuove forme di vita evangelica (VC 5-12.62). Ciascuna delle famiglie dei
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nostri fondatori è uno di questi rami. La comunione, inoltre, tra i diversi Istituti “manifesta visibilmente, quali
tralci dell’unica Vite, la pienezza del Vangelo dell’amore” (VC 52). Benedetto XVI ha definito i carismi dei
fondatori una “esegesi vivente della Parola di Dio” (Discorso, 2 febbraio 2008) e spiegava:.....
Ho pensato a voi, cercando di cogliere un qualcosa del vostro dono carismatico per vivere, in
comunione con voi, il presente con passione, guardando al futuro ben radicati nel Vangelo, con i nostri
fondatori. Mi sembrava vedervi nella Chiesa memoria dell’Eucaristia, del Mistero pasquale, un prezioso
aiuto al popolo di Dio nel vivere la propria vita come storia di salvezza e dare un volto di bellezza, di
armonia al nostro stare insieme, alle celebrazioni del mistero di Cristo. Ci riportare nel cuore della
Chiesa, dove la parole di Gesù. “Fate questo in memoria di me”, ci radunano attorno alla mensa della
Parola e del Pane. invitandoci a vivere la vita, come diceva Edith Stei, in maniera eucaristica (citazione...)
e nell’amore al prossimo.
Ha scritto un mio confratello scomparso recentemente, il Card. Francis George, negli anni in cui era
Vicario Generale: “Lo “spirito” di un Fondatore trova la sua sorgente in una grazia (charis) che gli è donata.
Come ogni grazia è un dono personale. Ma, poiché egli ha fondato un istituto pubblico nella Chiesa, la grazia
ricevuta implica conseguenze di grande portata. I suoi “discepoli” abbracciano un modo di vivere e di vedere
che deriva in qualche modo dalla sua visione, dalla sua opera, dalla grazia della sua vita, o che è ispirato ad
esse. Per questo si può parlare di un “carisma collettivo”, di una visione propria ad un gruppo».
Vi è un particolare, tuttavia, che mi ha sempre accompagnato da quando vi ho conosciute, ancora negli
anni 60 a Firenze, quando venivo a celebrare e, la sera, per la Benedizione Eucaristica. Il particolare è quanto
don Alberione ha voluto apporre accanto al tabernacolo, soprattutto quella parola che racchiudeva la sua
esperienza: Da qui voglio illuminare., Vi ringrazio, per questo dono.
Non temete
Io sono con voi
Di qui voglio illuminare
Abbiate il dolore dei peccati
Nolite timere / Ego vobuscum sum/
Ab hinc illuminare volo / cor poenitens tenete
Da qui voglio illuminare: non è rivelazione del “luogo” di nascita della Famiglia Paolina? Non è il nostro
programma di vita? Non fa di voi memoria, nella Chiesa, dell’Eucaristia quale fonte, modello e culmine
della vita dei discepoli e di ogni comunità cristiana, della vita nello Spirito? Il pensiero è andato al mio
fondatore, Sant’Eugenio de Mazenod, che, generato alla vita nuova in un Venerdì Santo nel bacio del
Crocifisso, dall’Eucaristia traeva luce, forza, audacia apostolica in un rapporto di comunione semplice e
fiduciosa. Ho pensato al santo Eymard, fondatore dei Sacramentini, che era stato novizio tra gli Oblati e aiutato
dal mio fondatore nella realizzazione della sua vocazione. Ho pensato all’Enciclica di Giovanni Paolo II:
Ecclesia de Eucaristia..
Continuiamo ad andare da Lui, a discorrere con Lui, ad ascoltarlo, a soffrire con Lui per il
Vangelo, ad offrire la nostra vita. Alla sua scuola, uniti a Papa Francesco, impareremo, con cuore amante, a
trasformare la memoria in memoriale, a vivere il presente impregnato dalla passione dell’amore, a camminare
spediti con i fratelli e le sorelle verso il compimento della storia, cercando fin d’ora ad operare per la pace e la
giustizia e a farci abitanti delle periferie esistenziali quali deserti che aspettano vita e luce.
Maria, Regina degli Apostoli, Madre della Chiesa e dell’umanità, ci custodisca e ci accompagni tra i
popoli per offrire loro il Figlio Suo: Egli è “Vultus Misericordiae”, il volto della Misericordia del Padre.
Roma. 2 maggio 2015
P. Sante Bisignano omi
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