Il senso della profondità La prospettiva centrale
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Il senso della profondità La prospettiva centrale
Il senso della profondità La visione della profondità è un fenomeno ottico tale per cui gli oggetti ci appaiono via via più piccoli man mano che si allontanano dal nostro occhio e sfuggono verso l'orizzonte. Vediamo ad esempio in questo viale alberato come man mano gli alberi rimpiccioliscono e le fronde sembrano diventare più basse. Come conseguenza di questo effetto, linee che sappiamo essere parallele, come i solchi di un campo arato o i binari, tendono ad accorciare sempre più le distanze tra loro mentre corrono all’infinito verso un punto immaginario all'orizzonte. Creare un disegno che suggerisca il senso della profondità e della prospettiva significa quindi trovare una simbologia geometrica che permetta alla nostra mente di interpretare il disegno, che è bidimensionale, secondo i segnali visivi dell’esperienza del mondo reale, che è tridimensionale. Cerchiamo inconsapevolmente di vedere ciò che già conosciamo e di disegnare come il cervello “vede”, in altre parole utilizziamo modelli astratti che nella loro semplice struttura siano facilmente riconducibili alla realtà. Vediamo un esempio: le linee che vediamo in figura riassumono la struttura spaziale del castello. L’abitudine del nostro cervello a interpretare la realtà ci induce a vedere sempre in modo significativo gli schemi astratti. La prospettiva centrale Nella prospettiva centrale con un solo punto di fuga, le linee parallele tra loro, ma perpendicolari all’osservatore convergono idealmente in un unico punto all’orizzonte. Le linee verticali sembrano decrescere in altezza, invece le linee parallele alla terra rimangono orizzontali e parallele, ma sembrano avvicinarsi sempre più l’una all'altra, fino a confondersi con l’orizzonte. Elementi principali della Prospettiva Punto di Vista (PV): Punto dove s’immagina l’occhio dell’osservatore. Piano di terra o Geometrale (T): Piano sul quale si trova l’oggetto da rappresentare. Quadro o Piano Prospettico (Q): Piano perpendicolare al piano geometrale posto tra l’oggetto e il PV; è su di esso che si forma l’immagine in prospettiva dell’oggetto. Punto Principale (PP): Proiezione ortogonale del punto di vista sul quadro che indica la distanza dell’osservatore dal quadro. Punto di Stazione (PS): proiezione ortogonale del punto di vista sul piano geometrale. Linea di Terra (LT): linea d’intersezione tra il piano geometrale e il quadro prospettico. Linea di Orizzonte (LO): linea parallela alla Linea di terra che si trova sul quadro prospettico e su cui si trova il PP. La sua distanza dalla linea di terra indica l’altezza dell’occhio dell’osservatore. Raggi visuali: rette che congiungono il PV con i punti che costituiscono l’oggetto da rappresentare. Le regole d’oro della prospettiva: 1. tutte le rette parallele hanno lo stesso punto di fuga; 2. tutte le rette parallele tra loro ma perpendicolari al quadro hanno punto di fuga nel punto principale PP; 3. tutte le rette parallele al quadro (e quindi alla linea di terra) restano anche in prospettiva parallele al quadro; 4. tutte le rette verticali (perpendicolari al geometrale) restano verticali anche in prospettiva. In tutte le civiltà l’uomo ha sempre cercato di rappresentare la realtà per trasmettere ciò che il suo occhio percepiva. Il problema della rappresentazione su un piano di oggetti tridimensionali è sempre stato sentito ed è alla base della geometria descrittiva. Nel corso dei secoli architetti e pittori, artisti e matematici hanno accumulato un enorme patrimonio di conoscenze geometriche e sebbene il pensiero corra subito ai grandi pittori del Rinascimento quando si parla di tecniche prospettiche, il cammino che ha portato a capolavori dell’arte ha avuto inizio nell’antica Grecia. Alla base delle regole geometriche della visione è l’ottica in virtù della corrispondenza che è possibile istituire tra retta e raggio visivo. Euclide nel 300 a.C. nel suo trattato sull’Ottica definisce il modello visivo basato su tre elementi fondamentali 1. l’occhio che vede 2. l’oggetto visibile 3. la luce che illumina le cose Euclide in tal modo introduce il concetto di cono visivo, definendolo quale figura compresa dai raggi visivi “avente il vertice nell’occhio e la base al margine dell’oggetto visto“, formulando al contempo una teoria della rappresentazione dove i raggi visuali vengono immaginati come fuoriuscenti dall’occhio verso l’oggetto. La rappresentazione dello spazio nel Rinascimento Il Rinascimento costituisce il periodo più significativo per gli studi sulla rappresentazione prospettica; in questo periodo artisti e matematici, cercano di superare l’empirismo della prospectiva communis medioevale mettendo a punto le regole precise per la rappresentazione del reale, esposte in una serie di trattati sistematici. Il termine prospectiva perde il significato medievale di scienza dell’ottica e della luce per passare a indicare invece il metodo grafico per raffigurare la profondità spaziale. Gli artisti medievali avevano risolto il problema della rappresentazione dello spazio in modi empirici e intuitivi. I loro procedimenti non scaturivano dall’intersezione dei raggi visuali con il piano di quadro, ma erano basati su esperienze pratiche e attuati direttamente sul piano di rappresentazione. Dal Rinascimento in poi la prospettiva è quindi usata per rappresentare nel piano oggetti disposti in uno spazio tridimensionale. È nel Rinascimento che tra le cose e lo spazio che le contiene s’instaura un’identità razionale: non solo le cose ma anche il vuoto può essere misurato. Tutto è rigorosamente riferito a uno spazio matematico dove ogni cosa stabilisce delle precise relazioni con l’intorno. Leon Battista Alberti (1404 – 1472) è il primo a codificare le regole della costruzione prospettica. Nel trattato “De Pictura” (1435 – 1436) definisce le regole della “costruzione legittima” (cioè della proiezione centrale con punto di distanza). Alberti suddivide la prospettiva in: “perspectiva naturalis” o “communis”, ossia la scienza della visione; “perspectiva artificialis” o “pingendi”, ossia la scienza della rappresentazione. L’impianto teorico delle tecniche per la costruzione della prospettiva venne completato da Piero della Francesca (1416-1492) che oltre ad essere un grandissimo pittore fu anche un buon matematico, al punto di essere definito dal Vasari “il miglior geometra che fusse dei tempi suoi”. Egli compilò nel 1475 il De prospectiva pingendi che costituisce il primo trattato illustrato organico della prospettiva rinascimentale. Opera emblematica (di tutto il ‘400) è la Flagellazione di Piero della Francesca. L’impianto prospettico è rigoroso a tal punto che è possibile desumere con assoluta precisione la planimetria urbana in cui si svolge la scena. Essa, infatti, descrive uno spazio architettonico classico, scandito dal pavimento lastricato che rende lo spazio perfettamente misurabile. Le linee che descrivono la profondità guidano lo sguardo verso l’episodio principale del racconto. (Per visualizzare la restituzione planimetrica clicca su La Flagellazione) LE APPLICAZIONE DELLA PROSPETTIVA IN ARCHITETTURA All’inizio del 500 i metodi di rappresentazione si moltiplicano, i punti di vista assumono posizioni sempre più svincolate dall’altezza dell’occhio umano, alla ricerca di nuovi effetti. Il gusto del tempo si avvale dell’ormai raggiunta grande abilità dell’uso delle tecniche prospettiche attraverso viste dal basso, dall’alto e a volo d’uccello, immagini fortemente scorciate, illusioni spaziali esasperate. La dimestichezza degli artisti con le regole prospettiche non si fa sentire solo nelle rappresentazioni figurative ma influisce grandemente anche sui canoni architettonici. Sono esemplari i mirabili artifici ottici di Francesco Borromini, nella galleria prospettica di Palazzo Spada a Roma o la chiesa di S. Maria presso S. Satiro in Milano in cui lavorò Bramante. DONATO BRAMANTE - Chiesa di Santa Maria presso San Satiro - Milano L’illusione è perfetta. Si entra nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro, a Milano e sembra che, dietro l'altare, ci sia un grande spazio, un’abside regolare, ben completata da colonne e decorazioni. Invece no, non è così: ma l’inganno dura a lungo e per accorgersi che si tratta solo di un’illusione ottica bisogna arrivare proprio vicino all’altare, quasi toccare con mano: dietro l’altare non si passa, c’è poco meno di un metro di spazio. Insomma, l’abside che vedete nelle foto nella realtà non esiste. L’artefice di questa meraviglia, di questo inganno prospettico è uno dei nostri più grandi architetti, Donato Bramante. Come è intuibile, dietro a questo strano capolavoro c'è una necessità pratica: al momento di costruire la chiesa, la diocesi non ebbe i necessari permessi. Lo spazio ridotto, anzi annullato, avrebbe ormai richiesto un altro progetto oppure reso impossibile l’opera; Bramante invece accettò la sfida e riportò in scala le stesse misure che aveva previste in origine. E difatti la finta abside realizzata misura 97 centimetri invece dei 9 metri e 70 previsti nel disegno originale; e da questo impedimento Bramante è riuscito a trarre un capolavoro inaspettato. FRANCESCO BORROMINI Finta prospettiva della galleria di Palazzo Spada (1652-53) La galleria di Palazzo Spada a Roma evidenzia la tendenza a utilizzare in modo originale le regole prospettiche per ottenere artifici ottici e percettivi che esaltano l’effetto della profondità spaziale anche nelle opere architettoniche. Francesco Borromini finge uno spazio più profondo del reale, mediante il metodo della prospettiva accelerata: solo dopo aver percorso la galleria, ci si accorge dello scarto tra le dimensioni reali e quello percepite. L’artificio è basato sulla progressiva convergenza concreta e non solo prospettica degli elementi architettonici verso i punti di fuga. L’illusione prospettica è ottenuta cioè con l’effetto ottico di abbassare progressivamente la cornice sopra le colonne e contemporaneamente alzare gradualmente il livello del pavimento: le colonne diventano più corte, le volte cassettonate, con le relative cornici, diventano più basse, il pavimento si eleva di quota. L’effetto è sorprendente: la suggestione di profondità spaziale è almeno di tre volte superiore al reale (8 m.)