Quell`ebraismo americano bello e dannato

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Quell`ebraismo americano bello e dannato
VOICES DI ALESSANDRA FARKAS
Quell’ebraismo americano bello e dannato
Un libro di fotografie di Marc Asnin recupera dalla memoria collettiva della città
i personaggi dimenticati della ‘Kosher Nostra’, la mafia ebraica di New York
NEW YORK – Gli ebrei americani non
sono solo registi famosi, finanzieri di
Wall Street e premi Nobel. A sfatare
una volta e per tutte gli stereotipi ci
pensa Uncle Charlie (Contrasto) il
nuovo e provocatorio libro di fotografie in bianco e nero firmato dal fotografo newyorchese Marc Asnin che
per oltre 30 anni ha seguito lo zio
poverissimo, drogato, tatuato e schizofrenico, ultimo testimone di un microcosmo ebraico in estinzione – quello
della Brooklyn malavitosa del secolo
scorso – per nulla esplorato dalla letteratura moderna.
Su tutto il libro – che l’autorevole critico del New York Times Michael Kimmelman definisce ‘unico e toccante’ – Foto Ella Asnin
aleggia il fantasma della cosiddetta ‘Kosher Nostra’, la mafia ebraica molto
potente in America fino agli anni ‘50. “Mio
nonno Joe Henschke, padre di mia madre
Esther e del fratello minore Charlie, era un
mafioso”, rivela Asnin, “non un pesce grosso
ma un manovale al servizio dei Gambino, il
famigerato clan di Cosa Nostra. Era un
giocatore d’azzardo alcolizzato, che non
credeva nell’istruzione e non consentì ai figli di finire la scuola”.
In che modo suo nonno si avvicinò
alla mafia italiana?
“Credo l’abbia fatto come atto di ribellione
contro i suoi genitori, askenaziti osservanti
emigrati dalla Germania a Williamsburg
dove aprirono un’attività come sarti. Gli askenaziti americani non sono solo ricconi
aristocratici e intellettuali come i Sulzberger del New York Times. Tanti di loro erano
boss mafiosi – basti pensare a Meyer Lansky,
Bugsy Siegel e Abe Bernstein – e persino campioni di boxe“.
Gente che non passava il tempo a studiare il Talmud e la
Torah, insomma.
“I leader di Kosher Nostra erano coinvolti in attività criminali quali omicidi, estorsioni, contrabbando, prostituzione e traffico di droga.
Nonno era un semplice galoppino, incaricato dai boss di gestire il
gioco d’azzardo delle carte per le strade allora malfamate di Brooklyn. Comprava il giornale solo per vedere il risultato delle corse.
Sua moglie Nettie, che è vissuta nel terrore dei nazisti, era la vera
ribelle della famiglia”.
In che senso?
“Nonna veniva da una famiglia tedesca ultraortodossa e sposando
Joe Henschke andò contro il volere dell’intero clan. Era attratta da
mio nonno perché era l’antitesi dell’uomo ebreo che aveva sempre
conosciuto. Era bello, ruvido e dannato, ma finì anche per tradirla,
dandole una vita da incubo visto che sperperava ogni guadagno in
donne, alcool e bische e fu arrestato più volte”.
Che effetto ha avuto questo comportamento sui figli?
“A sei anni, mia madre era costretta dal
padre a fare la fila nei negozi di alcolici
per comprargli il whisky. A 12 fu arrestata dalla polizia perché trovata ad aiutare il padre nel gioco d’azzardo. Nonostante zio Charlie, ragazzo precoce e
talentuoso, fosse stato ammesso in uno
dei più prestigiosi licei della città, nonno
gli vietò di iscriversi. Dopo averlo
strappato dall’adorata scuola ebraica,
Joe annunciò la festa del suo Bar
Mitzvah che non ebbe mai luogo solo
per intascarsi i soldi dei regali. Un trauma che zio Charlie non superò mai”.
Eppure finì per sposarsi tre volte
ed ebbe addirittura cinque figli.
“Quattro dei suoi cinque figli furono
dati in affido famigliare dai servizi sociali. Zio Charlie ha trascorso gli ultimi trenta
anni della sua vita da recluso, diventando il
fantasma di se stesso. Prima dell’avvento del
Medicare, non poteva neppure pagarsi le
medicine perché privo di mutua”.
Che fine ha fatto il resto della famiglia?
“Mamma, che era la cocca di suo padre, era
molto più forte e volitiva del fratello e riuscì
a trovare la propria strada tra mille difficoltà, grazie anche all’aiuto delle due zie paterne, donne forti e indipendenti che le fornirono un modello femminile positivo. L’unico
dei tre figli di Joe che è riuscito a finire il
liceo è Frankie, il fratello minore”.
Perché un libro affollato non da vincitori ma da vinti?
“M’interessava raccontare sogni infranti e
delusioni, opportunità mancate e sconfitte.
Il mio stile è nudo e crudo? Certo. Ma
quella è stata per decenni l’amara realtà per tantissimi ebrei americani, non solo mio zio”.
Il libro è ambientato in una Brooklyn molto diversa da quella di oggi.
“La famiglia di mia madre è cresciuta a Green Avenue, nel cuore di
Bedford Stuyvesant. Quando il quartiere, un tempo solo bianco,
diventò completamente nero, zio Charlie è rimasto. Mentre tutte le
altre famiglie ebree della zona negli anni 50 fuggirono nei suburbs,
lui fu l’unico bianco a resistere tra i poverissimi afroamericani che
affluivano dagli stati razzisti del Sud”.
Che cosa ha detto suo zio Charlie del libro?
“E’ molto orgoglioso di vedersi trasformato da vittima invisibile in
eroe ascoltato, ma i suoi figli mi hanno tolto il saluto. Per quanto
mi riguarda, sono fiero delle mie radici ebraiche dure e grezze, a
differenza di mio padre, un fotografo di moda che per fare carriera ha voluto rinnegare la propria origine e non vuole più guardarsi indietro”.
SHALOM NOVEMBRE 2012 39