Il Sole 24 Ore 13 settembre De Nicola
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Il Sole 24 Ore 13 settembre De Nicola
LA MANO VISIBILE Meglio l'Auditel che i politici in sala di regia TELEDIPENDENZE - La visione del film «Videocracy» e la sua influenza sul pensiero di Franceschini Alessandro De Nicola Da cittadino sono interessato alla competizione per la leadership del Partito democratico. È la più grande formazione d'opposizione, candidata naturale a guidare il governo se dovesse riuscire a battere la semiInvincibile Armada oggi in carica. È quindi interessante sapere che cosa pensa chi un domani potrebbe essere primo ministro del Belpaese. Dario Franceschini non è una persona parca di dichiarazioni e questa settimana, entusiasmato dalla visione del film Videocracy, in cui l'Italia viene simpaticamente descritta come un circo abitato da dementi teledipendenti, ha elargito una summa del suo pensiero. A proposito di valori: «La società ha sposato totalmente i principi del mercato: competizione a tutti i costi. Ma non è una competizione in cui vince il migliore. Vince il più spregiudicato». Riguardo ai modelli di comportamento inculcati dalla televisione: «Viene trasmessa l'idea che studiare e sacrificarsi sia del tutto inutile. Lo confermano i numeri: abbiamo la metà dei laureati rispetto a Francia, Germania e Gran Bretagna; e siamo sotto la metà della media Ue per i laureati di prima generazione». Ecco il mondo del lavoro: i giovani «si affidano alle reti di protezione sindacali, familiari, politiche. E trova più facilmente un posto il figlio di famiglia, anziché chi ha curricula straordinari e master all'estero ma s'imbatte sempre in qualcuno che gli passa davanti». Infine il mercato televisivo: «Sospendiamo le rilevazioni Auditel per i programmi d'informazione, dai telegiornali ai talk-show. Che senso ha misurare chi ha vinto la gara dei tg? Il criterio della quantità a scapito della qualità trascina tutti verso il basso. Di questo passo, rivedremo Corona nudo sotto la doccia ogni sera». Tralascio il resto. A me Franceschini dà l'impressione di essere come Bruto, di cui Cesare disse «non sa quello che vuole ma lo vuole fortemente». In effetti, se le cose stanno come afferma lui, la società non ha sposato i valori del mercato, ma li ha ribaltati. Nell'economia di mercato, infatti, la concorrenza e la cooperazione fanno sì che vinca il migliore e si accresca il benessere sociale. Inoltre, il nostro ritardo sul numero dei laureati è storico e rispetto a 30 anni fa il gap con gli altri paesi è diminuito: che senso ha attribuirlo al Gabibbo? Quanto al familismo e alle reti di protezione, qui ci azzecca in pieno e nell'intervista dice che il Pd dovrà premiare il merito e rompere tale immobilismo. Finora le proposte che ho sentito da lui sono di alzare le tasse per chi guadagna di più, sospendere indiscriminatamente le riduzioni di forza lavoro, rigettare cambiamenti non unanimemente approvati dai sindacati, rifiutare concorrenza nella scuola e nell'università. Se ora fa sul serio, lo vedremo. Dulcis in fundo, l'Auditel. L'abolizione servirebbe a far sì che commissioni di burocrati politicizzati avrebbero il potere di decidere i programmi a prescindere dagli ascolti (già lo fan troppo ora) e le imprese non saprebbero come investire denaro in pubblicità. Sembra un po' come quelli che vogliono abolire il Pil per misurare la qualità della vita. Bella idea, ma se i soldi non danno la felicità, figuriamoci la miseria: meglio conoscere la misura della ricchezza nazionale, così come il numero degli ascoltatori. Aumentare la concorrenza e privatizzare la Rai sembra un'idea più pratica. Insomma, se vuole innalzare il suo share di gradimento è bene che il segretario dei Democratici cambi un po' registro. E non c'è bisogno di mettersi nudo sotto la doccia, ovviamente.