Antologia 2007

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Antologia 2007
I poeti lavorano di notte
Quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
Come falchi notturni od usignuooli
Dal dolcissimo canto
E temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
conFanno ben più rumore
Di una dorata cupola di stelle
Alda Merini
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ANTOLOGIA
III° CONCORSO LETTERARIO
“MAESTRO RASA CALOGERO”
2007
A CURA DI
SALVATORE IMBURGIA
ANTONIO LEONE
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UN ILLUSTRE E SAGGIO POETA POPOLARE
MAESTRO RASA CALOGERO
Nacque l’8 ottobre 1918 a S. Cristina Gela (PA), una delle cinque colonie
albanesi di Sicilia. Perse il padre in tenera età e frequentò nel suo paese le
scuole elementari. Notato dal Parroco per la sua vivace intelligenza, fu
mandato a continuare gli studi presso il seminario “S.Maria dei Padri
Brasiliani” a Mezzojuso (PA). Scoppiata la seconda guerra mondiale venne
destinato a Rodi, nell’Egeo. Quando le sorti della guerra volsero a sfavore
dell’alleata Germania, fu prigioniero dei tedeschi per due anni e dopo
molteplici avversità riusci a ritornare in patria. Nel 1947 inizio a lavorare a
Cerda dove conobbe e sposò Vincenza Anzalone dalla quale ebbe 4 figli.
Nel febbraio 1948 vinse il concorso magistrale e iniziò il suo lavoro di
maestro a Cerda.
Diede inizio alla sua produzione poetica in dialetto
con l’intento di salvaguardare dall’oblio i proverbi,
espressioni di saggezza popolare. I suoi primi
scritti(“L’Onorevuli mancanti”, e “Li cumizi di
chiusura”) sono costituiti su di essi.
I temi ricorrenti nela sua poesia sono: l’amore per
il lavoro che svolgeva (Lu maestru , Addiu a la
scola,); il ricordo accorato del terribile periodo di
prigionia(Ricordu di la prigionia, Pani spartutu), il
rifiuto di ogni forma di totalitarismo ed il rispetto
per la democrazia (Li dui Napuliuna, lu guvernu
semu nui, ); e ancora: L’attenzione verso i semplici oggetti della vita
quotidiana (Lu chiovu, La zappa, La Pignata); la descrizione affettuosa ed
attenta di quello che egli considerava il “suo paese” (Ministoria di Cerda, La
chiazza, Malluta, Casteddazzu); cantò inoltre le glorie cerdesi: La Targa
Florio Picchì l’ann’a livari ?, A cacocciula)
Il maestro Rasa definì le sue poesie “spigolature umilissime” ma, in effetti,
egli riusci non solo a parlare con cori di profonda umanità ed interiorità, ma
anche di autentica poesia.
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ZAPPA E FAUCI
ZAPPA: sugnu jttata intra st’agnuni,
Nuddu mi cerca, nudddu mi viri:
l’omu mudernu e superbuni
a chiddu chi voli travagghiari
ci dici: unni vai cu ‘ssu zappuni?
Chi-si pazzu? O di pocu vidiri?
La machina fatti, oh zuccuni!
Chidda ora ci voli: un c’è chi fari!
FAUCI: E l’aiu a diri iu cummari?
Li terri tutti abbannunati!
Finiu lu metiri e pisari!
Finiu la festa di l’estati!
Tutti ora si nni vannu amari
Pi farisi viriri e guardari,
trebbi, metitrebi e tratturi,
né zappa, né fauci: un ’nni parrari!
RASA CALOGERO
Per gentile concessione della famiglia Rasa
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Associazione culturale
“La Nuova Compagnia CITTA’ DI CERDA”
GRUPPO FOLK I CARRITTIERI
Aderente Federazione Italiana Tradizioni Popolari
ENTE DI IV° CLASSE ACCREDITITATO PRESSO LA
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
UFFICIO NAZIONALE SERVIZIO CIVILE
BREVE STORIA E CURRICULUM
DELL’ ASS. CULTURALE
“LA NUOVA COMPAGNIA CITTA’ DI CERDA”
& GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI”
L’associazione Culturale folkloristica “LA NUOVA COMPAGNIA
CITTA’ DI CERDA” ha una costituzione abbastanza recente essendo
nata ufficialmente nel 1998 , anche se fino a quella data gli stessi soci
fondatori si erano presi l’impegno dello studio folcloristico della
nostra società cerdese, partecipando con successo a varie
manifestazioni cittadine siciliane e internazionali.
Ripropone nei suoi costumi, il vestiario festivo dei popolani fine
settecento primi ottocento, risalendo fino alla dominazione spagnola
di cui la società cerdese ne ha subito l’influsso. Cerda è nata
direttamente dalla dominazione spagnola da cui ne prende il nome,
essendo un marchesato del dominio spagnolo del XVI secolo.
Le loro performances consistono in balli e tarantelle popolari che
riproducono il lavoro dei campi e della primaria attività locale che fin
dai primi secoli di vita della comunità cerdese è stata quella di
viaggiatori o di “carrettieri”
Cerda originariamente era denominata “FONDACO NUOVO” o
“TAVERNA NUOVA”, perché era il punto d’incontro di tutti i
carrettieri che viaggiavano verso Palermo o l’entroterra siciliano.
Per questo motivo il gruppo Folk della Nuova Compagnia si chiama
“I CARRITTIERI”
Un ballo tipico del gruppo folk, è il ballo della cordella che è
originario delle Madonie e viene riproposto dai soci in svariate figure.
Esso rappresenta nella sua esibizione, il continuo evolversi della vita
con le sue vicissitudini. nell’arco dell’anno; infatti vi sono 24 cordelle
tenute da dodici coppie di ballerini a simboleggiare i dodici mesi
dell’anno.
Anticamente veniva rappresentato nelle cerimonie nuziali come rito
propiziatorio, dove i ballerini, a ritmo della tarantella intrecciavano
una cordella legata ad un palo, che poi con la stessa abilità dovevano
sciogliere
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L’associazione ha animato diverse manifestazioni della rinomata
sagra del carciofo di Cerda, che ogni anno viene festeggiata il 25
aprile, organizzando per tale occasione un festival di gruppi
folcloristici che ogni anno riscuote sempre maggiore successo e
prestigio, In questa manifestazione si sono avvicendati diversi gruppi
folcloristici di rilievo, diventando una tappa importante per ogni
gruppo folk.
Mensilmente pubblica un giornalino “L’OPINIONE” che tratta le
cronache di Cerda e delle Basse Madonie, e articoli vari di cultura e
vita dell’associazione.
MANIFESTAZIONI DI MAGGIOR RILIEVO
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98 Bivona: raduno folk “Sagra della Pesca”
Maggio 98 e 99 Cerda: festa di San Giuseppe sagra della Sfincia.
99-2002: Ideazione e Realizzazione del Museo etno-storico del
Comune di Cerda.
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Il progetto realizzato con fondi comunali è stato interamente elaborato
ed eseguito dall’associazione. Suo obbiettivo principale era fornire una
testimonianza viva dei costumi, dell’artigianato e dei modi di vita dello
scorso secolo. Il museo, inserito all’interno di una palazzina di tre piani
lungo la via principale del paese, è stato strutturato prevedendo la
realizzazione di tre spazi diversi ma ideologicamente collegati. Si sono
ricostruiti all’interno dell’edificio le abitazioni di una famiglia borghese
dell’ottocento, curando la struttura degli appartamenti, dalle pareti
all’arredamento, al vestiario. Sono state ricostruite interamente una
camera da letto, un salone. La seconda sezione dell’edificio è stata
destinata a contenere tutti gli attrezzi da lavoro del secolo scorso,
secondo precise coordinate: attrezzi da cucina, da lavoro nei campi,
attrezzatura dei mestieri. L’ultimo piano dell’edificio e’ stato diviso: da
un lato si e’ pensato di allestire mostre temporanee a ciclo continuato di
arte contemporanea e artigianato artistico, cercando in tal modo di dare
possibilità ai giovani artisti di avere uno spazio a loro disposizione e che
permettesse loro la fruizione dei propri lavori.
Parte dell’area dell’ultimo piano è stata dedicata alle mostre
storiche.
Sono state realizzate le seguenti mostre:
Cerda: la sua storia attraverso le foto.
I Florio: Storia di una famiglia.
La targa Florio. Le emozioni, i ricordi, e la ricchezza di un mondo che
fu…
Info: http://www.comune.cerda.pa.it/ museo etno-storico.
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25 aprile 98-99-00,01-02 Cerda: Organizzazione della “SAGRA DEL
CARCIOFO”.
1999: Organizzazione corsi di tradizioni popolari alle scuole
elementari di Cerda .
23.05.99 Trabia: “Sagra del Nespolo”.
29.05.99 Cerda: festa della Legalità
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Agosto 99 Cerda: Realizzazione della commedia “L’Aria del
Continente” di Martoglio, inserita all’interno del programma “Estate
Cerdese”
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27.08.99 Naso: Festival internazionale del folk
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08.12.99 Cerda: festa dell’Immacolata
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25.04.00: intervento alla trasmissione televisiva di RAI 2 “LA VITA
IN DIRETTA” in occasione della XIX sagra del carciofo
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28.07.00 Caltabellotta (AG): Festa di San Lorenzo
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21 08.00 Cerda: Organizzazione “Estate Cerdese”
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22.08.00 Cerda: Ideazione e Realizzazione dello Spettacolo “50 anni di
musica italiana” I° edizione, inserito nella programmazione “Estate
Cerdese”.
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26.08.00 Cerda: Sagra della salsiccia
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07.09.00 Cerda: Festa della Madonna dei Miracoli
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16-17. 09.00 Monaco di Baviera (Germania): Partecipazione in qualità
di rappresentanti dell’ Italia all’ “OCTOBER FEST” , sfilata per le vie
del centro di Monaco ed esibizione ufficiale all’interno del “Circo
Krone”
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21.09.00 Termini Imerese: Estate degli anziani
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Settembre-Ottobre 2000: Festa della Provincia nei comuni di
Sclafani Bagni – Borgetto – Campofelice di Roccella .- CerdaRoccapalumba
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“La Nuova Compagnia” viene inserita fra gli 8 gruppi del circuito
dell’ A.A.P.I.T. di Palermo
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Agosto 2001Cerda: Ideazione e Realizzazione dello spettacolo “Polvere
di Stelle” inserito nella programmazione “Estate Cerdese”
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20.agosto 2001 fino al 30.agosto 2001 Polonia: Tournèe
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05.11.2001 -Finale di Pollina: Sagra dell’olio
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Agosto 03: ideazione e realizzazione della I° “Fiera Mercato” del
Comune di Cerda: la manifestazione, articolatasi in tre giornate, ha
previsto la realizzazione di 50 stand occupati da artigiani provenienti da
tutta la Sicilia. La fiera si è articolata in diverse sezione: Artigianato in
ferro -legno- vetro ; Artigianato- artistico; eno-gastronomia- Arte e
arredamento.
Le giornate sono state scandite con la programmazione di tre serate musicali
di tema diverso: jazz; afro-brasiliane con la partecipazione del gruppo di
capoiera “Zumbì” di Palermo; musica leggera con il gruppo
“Sturmuntruppen” di Palermo.
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Agosto 03: Organizzazione del I° Gemellaggio del Comune di Cerda
con il gruppo folk portoghese della città di Lamego
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19 -30 Agosto 2002 Portogallo: tournèe a Lamego
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Ottobre 2002 Piedimonte Etneo: Partecipazione al “GALA’
INTERNAZIONALE” di Piedimonte Etneo (CT)
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2003-2005: Ideazione e Realizzazione del giornale “L’Opinione”,
periodico di attualità, cultura e informazione. Registrato presso il
tribunale di Termini Imerese n° 04/05 R.Per.: mensile culturale
curato e finanziato interamente dall’associazione. Tiratura 5.000 copie.
Il circuito entro cui avviene la diffusione gratuita e’ quello dei comuni
aderenti all’ “Unione dei Comuni della Bassa Valle del Torto”
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27 Maggio 2003 Collesano: Festa Maria SS. Dei Miracoli
03. Agosto 2003 Atina (Fr): partecipazione al XXV° festival
internazionale del folklore.
04 – 12 Agosto. 2003 Romania: torunèe a Cluj Napoca
19. Agosto 2003: gemellaggio con il gruppo folk Katerinca di
BRNO (rep. CEKA) con progetto finanziato dalla Comunità
Europea sul tema: “Delinquenza. Cerchiamo di Capire”.
19 – 24 Agosto .2003: Ideazione e Realizzazione del 1° Festival
Internazionale del folklore “BASSA VALLE DEL TORTO”
08.02.2004 Agrigento: Partecipazione alla 59° edizione della sagra del
“Mandorlo in fiore”, in collaborazione con l’istituto Goethe di Palermo,
nell’ambito del progetto “I CAVALIERI VIRTUALI”
25 APRILE 2004 Cerda: Partecipazione alla XXIII sagra del carciofo
29 MAGGIO - 01 GIUGNO 2004 Lussemburgo: Partecipazione alla
manifestazione “I CAVALIERI VIRTUALI” in collaborazione con il
“GOETHE INSTITUT” di Palermo Diretto dal Prof. Paul Eubel,
tenutasi presso Wiltz (Lux).
Aprile - Settembre 2004 : Collaborazione con
l’ agenzia
“Aereoviaggi” di Palermo per la realizzazione di una serie di spettacoli
folk presso diverse strutture alberghiere.
08.10.04: Collaborazione con il museo “Pro Targa Florio” di Cerda,
diretto da Antonio Catanzaro, per il 10° raduno del “Bugatti Club Italia”
26.DIC.2004: Ideazione e realizzazione del 1° Concorso Letterario
nazionale “MAESTRO RASA CALOGERO” con il patrocinio, della
Presidenza dell’A.R.S., dell’AAPIT e del C.N.A
Dicembre 2004: Ideazione e Realizzazione del Libretto “Cerda, la sua
Storia per le vie” a cura di Ermelinda Imburgia.
Dicembre 2004: Ideazione e realizzazione del libretto “Storie, due anni
di Opinione” in allegato al numero di Dicembre del periodico
L’Opinione, a cura di Antonio Leone e Daniela Cappadonia.
2004: Accreditamento al Servizio Civile Nazionale come classe quarta
per la realizzazione di attività culturali.
06.02.05 Agrigento: Partecipazione alla LX Sagra del “Mandorlo in
Fiore”
Aprile 2005: Ideazione e realizzazione del libretto “Carciofostory” in
allegato al numero di Aprile del periodico l’Opinione, a cura di Antonio
Leone e Daniela Cappadonia.
19.04.05- 23.04.05 : Stoccarda: realizzazione spettacolo folk in
occasione dei festeggiamenti per i sessant’anni dell’azienda Wurth,
incontro con Reinhold Wurth. Direzione del Goethe Institut di
Palermo.
18.DICEMBRE.2005: Realizzazione II° CONCORSO LETTERARIO
Maestro Rasa Calogero, con il patrocinio del Presidente A.R.S.
dell’A.A.P.I.T. PALERMO E CGIL DI PALERMO
07.MAGGIO.2006 realizzazione del progetto “PRIMAVERA
SICILIANA. TRA AUTO E FOLK” finanziato dall'assessorato al
Turismo della Regione Sicilia, in occasione del centenario della
TARGA FLORIO.
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01.08.2006 viaggio in Francia nei paesi Baschi “ LA BASTIDE
CLARENCE” per festival internazionale folkloristico.
20.agosto 2006 ospitalità e scambio culturale con gruppo basco della
Francia ESPERANZA
22.agosto 2006 Aliminusa realizzazione festival folk internazionale
10 12.2006 partecipazione e realizzazione del progetto VIAGGIO
NEL
MONDO
DELLA
FANTASIA
del
comune
di
ROCCAPALUMBA finanziato dalla Regione Sicilia
18.12.2006 realizzazione III° concorso letterario MAESTRO RASA
CALOGERO finanziato dall'Assessorato alla cultura della Regione
Sicilia.
25.APRILE 2007 Realizzazione raduno folk ed esibizione nella
XXVI sagra del carciofo di Cerda
25 APRILE 2008 GESTIONE GENERALE DELLA XXVII
SAGRA DEL CARCIOFO
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ASSOCIAZIONE CULTURALE “LA NUOVA COMPAGNIA”
&
GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI”
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PRESENTAZIONE
Il premio letterario dedicato al Maestro Rasa Calogero, giunto
alla sua IV edizione, anche quest’anno, ha fatto scrivere una
pagina indimenticabile e significativa per Cerda e la sua storia,
conferendo alla nostra cittadina prestigio, credibilità e visibilità
esterna, per il richiamo che ha suscitato non solo dalla Sicilia,
ma da tutta l’Italia, e anche dall’estero.
L’ Associazione Culturale, unica nel suo genere a Cerda, è
soddisfatta dell’evento, riuscito anche grazie alle importanti
sponsorizzazioni, come il patrocinio dell’Assessorato ai beni
culturali dell’ARS e della Provincia di Palermo –
Ci dispiace non potere mensionare tra i patrocini quello del
comune di Cerda, quello a cui teniamo di più, ma per svariati
motivi in nessuna edizione, è stato possibile apporre il logo del
comune. Spero nella sensibilità delle future amministrazioni
affinchè prendano in considerazione questo evento culturale,
dando il giusto inquadramento tra le cose più importanti.
Al 1° bando, nessuna credeva alla buona riuscita del concorso,
in seguito, grazie all’impegno di alcuni soci a cui si deve dare
merito, il concorso prendeva una piega di rilevanza nazionale.
Tra i partecipanti vi sono stati numerosi personaggi di spicco
nel mondo della cultura e non nuovi a questo tipo di concorso.
Altrettanto importante è la pubblicazione di questa antologia
che racchiude le opere dei partecipanti dell’edizione precedente
che testimonia l’enorme successo ottenuto e la risonanza
dell’evento.
Un vivo ringraziamento va a tutti i partecipanti al concorso, e
un arrivederci alla V° edizione.
IL PRESIDENTE
SALVATORE IMBURGIA
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NARRATIVA
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1°classificato
IL VIAGGIATORE
di FRANCESCO TROCCOLI
Camminando lungo la spiaggia guardava il mare.
Non riusciva a staccare lo sguardo da quella massa grigia increspata da sottili vene
verdi che sembravano pulsare ad ogni incedere delle stanche onde dell’alba.
Nei rari momenti in cui le resistenze della sua mente di navigatore galattico non
erano sconfitte dall’ipnotica potenza dell’immagine di quel mondo, si chiedeva se
sarebbe mai riuscito a tornare a casa.
Quasi dubitava ormai di averla, una casa; nei dieci secoli terrestri di viaggi attraverso
lo spazio non aveva trascorso in essa più che una minima frazione di quel tempo che
aveva speso per la sua ricerca.
E comunque di quella casa a milioni di anni luce da lì, non gli importava ormai più
niente; da quel mondo solitario e pulito non se ne sarebbe andato mai, se solo avesse
potuto decidere del proprio futuro senza doverne rendere conto al Comando di
Viaggio.
Ma il richiamo vocale automatico che gli risuonava internamente non aveva pietà:
“Viaggiatore, la tua ricerca sarà fruttuosa. Abbiamo bisogno di nuovi mondi”.
Né sarebbe servito implorare pietà a un trasmettitore iper-luce conficcato nella
coscienza, che ogni giorno gli ricordava d’essere una delle infinite appendici di una
centrale di comando collocata nella moribonda zona dell’Universo da cui proveniva,
e il cui unico scopo era l’individuazione di pianeti da rendere idonei per la
colonizzazione.
Erdun partecipava così alla selezione di nuovi mondi abitabili, su cui trasferire i
miliardi di suoi simili che vivevano nella massa di stelle morenti e pianeti congelati
delle galassie più esterne dell’Universo.
Era la prima volta dall’inizio dell’esplorazione del cosmo che non desiderava tornare
indietro e fare rapporto al Signore Superiore.
Era la prima volta che desiderava dimenticare la sua natura di essere plasmatico e
rimanere per sempre nella dolce prigione di quel corpo solido di carne, sangue ed
ossa, esemplare tipico di una in particolare tra le mille specie senzienti solide della
galassia, la specie umana.
Stava ancora guardando il mare e decise in un istante, all’improvviso, di infrangere le
regole e muoversi in modo non razionale e non utile alla missione; si diresse in fretta
verso l’acqua, il cui odore salmastro invadeva già da alcuni minuti le cavità nasali di
quel corpo straordinariamente complesso e sensibile.
Non poteva sottrarsi, non era in grado e non voleva resistere all’infinita gamma di
impulsi che aggredivano quel fragile involucro di pelle e inebriavano la sua perfetta
mente aliena fino a stordirla, drogandola di desiderio.
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Sensazioni, emozioni, segnali elettrici intensissimi, cui non era in grado a quel tempo
di dare un nome.
Seguì un incerto sentiero erboso tra le dune verdi e scese fino alla riva; la raggiunse,
si inchinò e toccò l’acqua.
Per la prima volta prestò così attenzione al numero di estremità che si diramavano da
una delle due lunghe appendici di cui era dotato il corpo che abitava da pochi minuti;
erano cinque, e un indigeno di quel mondo, cui aveva chiesto dell’energia, gli aveva
insegnato a produrre il suono con cui chiamare questa e quelle: “cibo” e “dita”.
Erdun aveva sentito un segnale interno strano di fronte allo sguardo amichevole
dell’indigeno disposto ad aiutarlo senza chiedere nulla in cambio, e gli era piaciuto.
A dirla tutta, si era anche vergognato di non sapere rispondergli, di non sapere usare
quella primitiva funzione materiale che produceva vibrazioni percepibili dell’etere,
utilizzate per comunicare.
Infilò quelle “dita” nell’acqua, e le portò poi verso l’orifizio centrale, mobile e
sinuoso, della parte alta pensante di quel corpo, la parte in cui sentiva più potente la
capacità di interagire con l’ambiente esterno, e in cui avvertiva di essere più presente
in quell’involucro.
Avvertì un altro segnale, una sensazione nuova, che all’inizio lo terrorizzò.
Aveva già collaudato molti organismi solidi nei pianeti che aveva avuto occasione di
conoscere, ma quello umano si rivelava senza ombra di dubbio il più incomprensibile
e affascinante.
Il contatto con l’acqua irruppe nel patrimonio delle sue conoscenze fisiche di essere
etereo privo di sensi per natura, ma ai sensi adattato per necessità, ora sulla terra
come in passato su decine di altri pianeti.
Fu preso da convulsioni: sentì quelle che riconosceva come le parti interne di quel
corpo contrarsi e poi dilatarsi, e poi ancora contrarsi, e distendersi nuovamente, e così
ancora molte volte, fino a provare infine un senso di sollievo che gli era ignoto fino a
quel momento.
Il sapore, l’odore.
Non poteva dare un nome a quelle sensazioni umane, tra le migliaia che aveva
provato girovagando per il cosmo, ma iniziava ad avere ben chiara la differenza tra di
esse.
Imparava in fretta, come nelle precedenti missioni.
Ma questa volta tutto era diverso; questa volta l’intensità dei segnali percepiti era
straordinaria, e soprattutto, quei segnali sembravano sempre originarne altri.
Si trasformavano.
Come nel sistema di Aldebaran la luce dei pianeti più lontani dai due soli cessa
d’esser rossa e diventa blu nell’arco dello stesso giorno, sulla terra le sensazioni
dell’essere vivente umano cessavano di essere quel che erano state e cedevano il
posto ad altri segnali, molto più complessi, ed apparentemente privi di una causa
riconoscibile.
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Fu quel che accadde anche in quel momento; al sapore, dell’acqua, subentrò un senso
di euforia incontrollata, mai provato in precedenza su nessuno dei pianeti esplorati.
Questo mondo è incomprensibile. Cammino da ore e so di essere diverso, ad ogni
passo. Cambio di continuo. Questo corpo solido si trasforma, sempre, anche quando
è fermo. Non sono io a imporre all’esterno la mia volontà; è invece l’ambiente che
influenza questo organismo. Sono come impotente. Sento di avere bisogno di ogni
parte dell’immagine che vedo fuori di me. O meglio, sento di desiderarla. Nonostante
questo corpo sia solido, sembra che la sua sensibilità alla luce sia persino superiore
a quella che ho nella mia forma plasmatica, cui ho dovuto rinunciare ancora una
volta, su questo mondo di pietra. Ogni parte di questo involucro di pelle è sensibile,
comunica con l’aria che lo sfiora, la sente, e poi la rifiuta, o la prende. E per quanto
io mi sforzi, su questi fenomeni non ho facoltà di controllo alcuno.
Conosceva già le emozioni più elementari, le aveva apprese nei suoi viaggi ed anche
in forma plasmatica, nel suo mondo.
Ma sulla terra era diverso; lì, e in quell’organismo, esse nascevano all’improvviso, ed
erano sconvolgenti.
Sul suo pianeta non si usava parlare; la comunicazione tra individui avveniva solo in
un modo, attraverso veloci onde elettromagnetiche di pensiero.
Il suo pianeta, il nostro pianeta.
Non sarebbe possibile dire di più, in questo testo scritto. La scrittura stessa è un nonsenso, nel nostro mondo, ed è solo grazie all’amicizia che ho instaurato con un
umano nostro prigioniero, che mi ha insegnato ad usare questi segni che io non posso
vedere, che riesco a permettere che tu, umano, possa leggere quanto sto ora
scrivendo, con il suo aiuto, per raccontare la breve storia di mio fratello Erdun sul tuo
pianeta, la Terra.
Sento forte questa energia che mi assale; entra in me attraverso due vie parallele.
“Occhi” li chiamano qui. Il suono che descrive questa parola si realizza con la
stessa cavità che mi ha consentito questa particolare conoscenza dell’acqua.
Conosco l’acqua, ne abbiamo sul mio pianeta, ma non ho mai avuto modo prima di
toccarla con questi potenti organi sensoriali, né di percepire un immagine esterna
come fosse dentro di me.
Mio fratello Erdun continuò a camminare.
A quei tempi la conoscenza del pianeta terra non era sviluppata come lo è oggi; ma
lui, in preda all’euforia incontenibile che le sensazioni permesse da quel corpo gli
regalavano, si illuse per un sol momento di essere ormai esperto del vostro mondo ed
entrò in quella grande massa d’acqua.
Ad un tratto capì.
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Capì che l’aria espulsa dall’acqua che violentemente penetrava e invadeva i suoi
polmoni era indispensabile per i processi vitali terrestri; capì che l’interazione tra
viventi sul vostro pianeta è molto complessa, quando, dopo che lo avevano tirato
fuori di lì, vide, poco prima di chiudere gli occhi, il volto di un essere diverso ma
appartenente alla stessa specie che lo toccava e gridava, implorandolo di rimanere in
vita.
Forse un giorno, quando la pace sarà stata fatta, potremo permetterci di rivelare ai
terrestri che il corpo di Erdun, che essi seppellirono nella sabbia di quel tratto di
costa, fu per lui solo un veicolo, e che mio fratello è vivo e vegeto.
Ma io non capisco più mio fratello.
Erdun mi ha appena comunicato di voler tornare sulla terra ed io lo giudico un folle
per questa decisione.
Sostiene di voler tornare laggiù per cercare quell’essere diverso che gridava al suo
corpo umano esanime… quella “donna”, è così che l’ha chiamato.
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II° classificato
INLEIS
di FRANCESCO DONATO
Logorati dall’inesorabile trascorrere del tempo, dei miei
ricordi non restano che precarie visioni sospese, che non
hanno né il coraggio di emergere limpidamente, né la
disperazione
di
lasciarsi
cadere
irrimediabilmente
nell’oblio.
Ogni tanto la mia memoria ne lascia riaffiorare qualcuno,
così come questa austera scogliera che si insinua nel mio
mare, permette che un piccolo fiore delicato dai colori
vivaci ogni tanto possa farsi breccia tra la scompiglio
selvaggio della vegetazione che la riveste.
Tanti uomini rischierebbero di cadere in acqua pur di
raccoglierlo, ma per me non è così. So che è meglio
lasciarlo lì dove sta, anche a non darsi pace. Tanto
prima o poi arriverà l’inverno e se lo porterà via.
E i miei ricordi restano lì, proprio come il piccolo
fiore.
Ma accolgo comunque con intensa commozione queste fugaci
visioni che si liberano eteree dalla mia antica memoria.
Perché, a parte quel giorno, esse sono le uniche cose che
mi legano ancora al mio passato.
Eppure, di esso, solo un sentimento ha sfidato e vinto
l’avvicendarsi frenetico del giorno e della notte.
E con immutata percezione ancora oggi consente a qualche
malinconica lacrima che si sgancia dai miei occhi di
confondersi con le acque che hanno saputo accogliermi.
Non so più cosa significhi provare odio, amore, rabbia,
felicità. Conosco solo il rimpianto.
Rimpianto perché quel giorno oltre a perdere il senso
della vita, persi la vita stessa.
Perché poco importa che oggi sia una Sirena, un essere
puro e maestoso, ricoperto di fascino e mistero quanto di
delicate squame brillanti, questa non era la mia vita. E
forse era meglio morire.
Ma non seppi dire no.
Rivivo quel giorno nella mia mente da quasi due secoli
ormai. Il sole assalito da enormi nuvoloni neri, il mare
di Chianalea che va in collera come un cane al quale
viene pestata la coda, e quella barca che non vuole
proprio saperne di spuntare all’orizzonte.
Tutto è vivo e nitido dentro me.
I bambini che correvano verso casa, i vecchi pescatori ai
quali supplicavo parole di conforto, il sole scialbo
dell’alba seguente.
La barca fu ritrovata abbandonata nelle acque di Bagnara.
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Così mi dissero e così persi il senso della vita. Proprio
sul più bello.
Non l’avrei più rivisto.
In preda alla disperazione cercai aiuto, ma ero sola,sola
più che mai e soprattutto non ero vista di buon occhio.
Aspettavo un bambino dal mio uomo, ma non ero ancora
sposata, e questo costituiva un peso troppo grande per la
mia famiglia, per la sua famiglia, per il prete che non
volle nemmeno aprirmi quando bussai a pugni chiusi contro
la sua porta.
Una sola via, quella estrema mi si aprì travolgendomi con
impetuosa determinazione.
Pensai al mio bambino, l’avrei fatto nascere in quei
pochi passi che mi separavano dal baratro, se solo avessi
potuto.
Poi l’impatto violento con l’acqua.
Il buio.
Sentivo
la
morte
sopraggiungere,
ma
era
tutto
estremamente dolce.
Provai l’ineluttabile necessità di abbandonarmi. Compresi
che qualcosa stava accadendo.
Non so ancora oggi cosa di preciso, ma accadde e niente
fu più lo stesso.
Nel solenne silenzio dei fondali, percepii delle voci
armoniose pronunciare il mio nome e il soave intercedere
di centinaia di luccichii mi accompagnò verso quello che
era un mondo del tutto fantastico.
Di fronte a me danzavano, disegnando ammalianti figure
nelle acque abissali, un numero imprecisato di sirene. La
loro pelle era bianca come la neve, i loro capelli lisci
e biondi come antiche divinità ed i loro seni rotondi
come il sole d’agosto.
Tra di esse, spiccava una per la particolare bellezza e
per i lunghi capelli neri che arrivavano a sfiorare le
squame dorate della sua coda. Mi si avvicinò mentre le
altre continuavano a nuotarmi intorno e mi rivelò di
chiamarsi Inleis.
Mi implorò di non aver timore, perché anche se nessuno le
aveva mai viste, loro abitavano quelle acque da molto
tempo, ancor prima che le navi dei Calcidesi dell’isola
di Eubea le solcassero.
Mi disse che il mio uomo non era morto e che presto
sarebbe tornato, ma che non mi avrebbe potuto più
rivedere.
Forse solo di un sogno si trattava, ma credetti alle sue
parole e fui presa dallo sconforto. Mi chiese se io
volessi ancora rivederlo, ed io risposi si. Fortemente
si.
Allora lo rivedrai mi disse, anche se lui non dovrà mai
rivedere te.
18
Il mio cuore si riempì comunque di gioia ed il mio
pensiero corse al bambino che portavo in grembo e del
quale non sentivo più la presenza. Inleis mi lesse dentro
e mi disse che per rivedere il mio bambino mi sarebbe
bastato tirar fuori la testa dall’acqua, e lanciare uno
sguardo a quel fiore delicato che germoglia ogni tanto
tra le erbacce.
Inleis sparì e da allora non la rividi più. Il silenzio
degli abissi divenne da allora la mia unica compagnia e
lo scintillio delle mie squame argentate l’unica fonte
lucente che accompagna ancora oggi le mie notti.
Qualche giorno dopo, mentre cominciavo a prendere
coscienza della mia nuova condizione, da una delle barche
che tagliavano la superficie, giunse una voce che
riconobbi subito.
Risalii velocemente a pochi metri dall’imbarcazione e,
restando a pelo d’acqua, lo rividi.
La sua espressione affranta e la consapevolezza di non
poter far nulla fecero si che le mie lacrime silenziose
tornassero a nutrire le acque del mio mare.
Avrei voluto chiamarlo, saltargli tra le braccia, ma ero
solo una Sirena, e il posto di una Sirena è tra le
profonde acque del mare.
Lo rividi per giorni e giorni, la sua visione valeva
molto più di quell’assurdo compromesso al quale ero
scesa.
Il suo viso tornava a risplendere sotto il sole di
primavera e non appariva più crucciato, ma io ne restavo
rallegrata, perché così l’avrei sempre voluto vedere.
Finchè sarebbe stato possibile.
Ben presto mi sfuggì la percezione del tempo che scorreva
spietato, ma presumo fossero passati una decina di anni
quando il mio cuore fu ad un passo dallo spezzarsi
definitivamente.
Lo vidi nuovamente mentre sistemava le reti, come aveva
sempre fatto, ma stavolta sulla barca non era solo, ma
con un bambino. Un bambino con due occhi troppo azzurri
per non essere suo figlio. Scoppiai a piangere ed il
bimbo sembrò notare qualcosa dal momento che guardava
fisso con la bocca aperta verso me e ad un certo punto
alzò la manina per indicare qualcosa al papà. Fuggii via.
Via per sempre.
Avevo perso il senso della vita per la seconda volta, ma
continuai a desiderare fortemente la sua visione, anche
se sapevo che al di fuori di queste acque vi erano gli
occhi di un’altra donna che sospiravano per lui.
Ma lui era un pescatore, ed io avevo la fortuna di
vederlo e di amarlo mentre faceva ciò per cui era nato.
Poi cominciai a non vedere più la sua barca. Pensai
stesse male, il mio animo si logorava lentamente. Avrei
19
pagato non so cosa per sapere, ma non fu difficile
materializzare quell’orribile presentimento.
E infatti non lo rividi mai più.
Se proprio doveva morire, avrei preferito fosse successo
in mare.
Nel mio mare, nel suo mare. E anche lui forse lo avrebbe
desiderato.
L’ultima volta che versai lacrime di gioia, fu un mattino
nel quale il sole era particolarmente lento a spuntare e
un ragazzo dagli occhi immensamente azzurri remava sulla
barca che portava il mio nome inciso sulle fiancate.
Ho accompagnato con il mio canto il lavoro di suo figlio,
dei suoi nipoti, dei nipoti dei suoi nipoti. Adesso la
“Chiara” non solca più le mie acque.
Ne resta solo lo scheletro abbandonato sotto la
scogliera.
Non è altro che un mucchio di legna ammuffita logorata
dal tempo e dal sole, ma ogni tanto a guardarla mi si
apre uno squarcio nella memoria, pressappoco come quando
alzo gli occhi e sulla scogliera vedo il solito
fiorellino delicato che trova sempre la forza di emergere
tra gli arbusti.
20
III° classificato
PUFF! E L’ONOMATOPEA.
STORIA DI UN UOMO CHE DISPARVE
di ANTONIO GIUSEPPE VALENTI
Giuseppe
Maria
Messina,
46
anni,
è
scomparso.
«Esattamente, dottor Profundi: svanito. Ora, sebbene le cronache
si siano notevolmente interessate al caso Messina, è vero,
dedicando qua e là occhielli e cornici e commenti, io credo» (a
questo punto l’inflessione di Marzia Amoroso in Messina facendosi
sottilmente insinuante), «egregio dottore, credo che la questione
esiga un approfondimento, una più attenta analisi, ecco.»
«Vale a dire, signora?» trasalì il luminare, scostando dalle labbra la
tazza
fumante.
«Vede, dottore, e mi perdoni se trascuro i preamboli, io sono
convinta che... insomma, saprà cos’è successo; cos’è successo
realmente, intendo. Dico io: ha seguito mio marito per oltre sei
mesi, no? Com’è possibile che proprio lei non sappia?»
«In
effetti,
signora,
qualcosa
io
so.»
«E allora, perché ha taciuto?» Da qui, l’anziano oncologo trascinò il
tempo nella pausa di silenzio più lunga mai intervenuta nella storia
universale dei dialoghi. Durante l’inestimabile lasso, Marzia
Amoroso, con le bellissime dita incrociate al bordo d’un tavolino del
Caffè Consorti, regredì nei percorsi della propria adolescenza, tutti
tappezzati di girasoli torpidi e pennichelle fra le campanule,
all’ombra dei gelsi; pensò a Giuseppe Maria e al primo suo profilo, il
loro matrimonio, d’autunno. Ecco, ecco ora una bambola senz’occhi
posseduta chissà quando, e chissà poi dove, gli occhi; e i colori
primari forse, un poco. Ricordi. (Durante quella stessa pausa,
donne dalla bellezza disarmante, che a vederle vestite per strada
coi cani al guinzaglio t’ispirano distanze impercorribili, nude stanno
facendo l’amore in camere d’albergo. In Via Margutta un pittore
vende il quadro. Parcheggiata da qualche parte, lontano, una
vecchia “500” perde olio dalla coppa: plic!). Plic! nuovamente, e
Profundi
parlò.
«Il
governo.»
«Come?» sobbalzò la donna (altrove, intanto, orgasmi, l’affare,
plic!).
«Il bene comune, la pace pubblica. Roma fermenta al solo sentir
pronunciare “Messina”, signora mia. Pochi, pochissimi sanno che
cosa è veramente accaduto a vostro marito il quale – mi consenta –
non esito a definire naïf. Un mio sottosegretario ed altri tre
fidatissimi collaboratori conoscono la verità: soltanto noi cinque,
dunque. Oggi, lei capisce, è fin troppo semplice sparire: la malattia,
il suicidio, l’incidente, il sequestro, la fine naturale; in un modo o
21
nell’altro così noi svaniamo, più o meno immediatamente, a causa
di un processo decisionale, o attendendo comodamente che il corso
si compia. » (Plic! Dissanguate cavità meccaniche. Gli occhi
sgranati, un gatto che passa di là si volta di scatto). « Più o meno
immediatamente, dico, ma quando il fatto ultimo avviene, perdio,
avviene e basta; voglio dire, tutto in unica soluzione, senza
dilazioni. E no, troppo comune! Giuseppe Messina ha dovuto per
forza sbalordire. Lei sa perfettamente a cosa mi riferisco, vero?
Altrimenti non avrebbe insistito tanto per quest’incontro.»
«Mi ha tenuto nascosto il primo stadio, fin quando ha potuto. Una
mattina, poi, mi accorsi che gli mancava il naso: allora m’ha detto
tutto.»
«Le ha parlato di come ha avuto inizio? Il medio, le ha raccontato
del dito medio, di quando si accorse della prima sparizione?»
«Sì. È successo di notte.»
«Ecco. A detta di vostro marito, quella notte ha avvertito una sorta
di pulsazione solleticante, lieve ma insistente, al medio della mano
sinistra. Nulla di strano, avrà pensato, ma la mattina il dito non
c’era più: assorbito, dissolto, imploso senza sporcare. Io le
confesso
che
ho
stentato
a
crederci,
sebbene
avessi
immediatamente notato la atipicità della cicatrice, sa com’è, noi
vecchi si pensa alle nuove tecniche... Va bene. Ora, il dato
controverso consiste nella soddisfazione crescente che ha
accompagnato le mutilazioni: piacere, l’ha definito lui, un piacere
vorticoso, entusiasmante, come se ne valesse veramente la pena,
in fin dei conti, assistere alla propria macellazione pezzo dopo
pezzo. Lei ben intende quali ripercussioni potrebbe avere la
vicenda, se diffusa, sugli equilibri sociali; se la chiave dell’orgasmo
di
sparire
lentamente
divenisse
di
pubblico
dominio…
destabilizzazione,
mia cara,
vorrebbe dire solo
questo.
Destabilizzazione.»
«Guardi là» l’interruppe la donna. Sull’opposto marciapiede, proprio
davanti la drogheria, Salvatore Violo, Giosuè Temerio e Maurizio
Vita scendono da una vecchia Fiat. Tre cari amici dello scomparso,
quelli che come lui sapevano quanto ne è passato e quanto ne
resta, di tempo, a pochi giorni dal fatto portano in giro tra i palazzi
le loro facce sorridenti e vive (durante il tragitto, ai semafori, tre
zingari in un traffico di mille moti di gambe nude sforbicianti siamo,
e guarda che bella la vita che corre sulle vetrine e noi qua che
passiamo a tremila fumandocela tutta, bevendocela tutta, neanche
una parola per Giuseppe Maria che manco oggi è venuto, a romper
le palle con l’effe-emme, i finestrini, le sigarette, le bestemmie e le
censure).
«Li vede quelli là? Erano amici di Giuseppe. Li guardi: come se
nulla
fosse.»
«Va
bene,
signora,
ma
non
per
questo…»
22
«No, no… è che anch’io mi sento strana. La prego, non mi
fraintenda, è solo che… non so, è come se certe volte, per
ricordare, io debba sforzarmi… un dovere, dottore, un dovere.»
«Ah, cara mia, lo vede che non è poi così complicato far finta di
niente?
Piano
piano…»
«Ma non avrà sofferto? Sì, voglio dire, dottore, macellato…»
(mamma mia che bell’espressione hanno ora gli occhi di Marzia: le
sopracciglia s’inarcano a disegnare la faccia pubescente del vizio.
Se non fosse così vecchio… ma quale vecchio! Si potrebbe andare
su e giù fischiettando come sta facendo qualcuno là fuori, al sole
che squaglia i palazzi. Si potrebbe ancora tanto peccare, caro mio).
«Sofferto! Via, non esageriamo. Gliel’ho detto che gli è piaciuto.
L’ha voluto, Marzia: l’ha voluto lui. Pensi che strana, la vita, uno
che si vede dissolvere giorno dopo giorno, senza neppure sapere a
quale brano di sé domani dovrà dire adieu, e non si fa problemi.
Gode,
pure.»
«Dottore…»
«No, è che se ci penso… ma dico io, si può essere così egoisti? Non
ha pensato a lei suo marito? Che l’avrebbe lasciata sola?» (i tre
amici risalgono in macchina, parlando tra loro, e coi finestrini
abbassati se ne vanno fischiettando. Al tavolo, sei sette mozziconi
nel portacenere, le palpebre di Marzia distesissime, morbide: oltre i
peccaminosi lembi, l’invito? La fortuna? L’olocausto?). «Glielo dico
io – continuò l’incalzante vecchietto – non ci ha pensato
minimamente. Diceva, ma pensi che roba, diceva che aveva perfino
imparato a “sentire” l’implosione, il solletico che s’avvicinava
s’avvicinava fino a quando puff! via un altro pezzo. E le teorie che
s’inventava! Era come se, quando una ulteriore porzione del suo
corpo svaniva – mettiamo un piede fino alla caviglia – la
percentuale di se stesso che in quel piede risiedeva si trasferisse,
su per la gamba, nel corpo residuo. Osmosi misteriosa, e così per
tutti gli annullamenti che l’hanno poi ridotto… oh be’, lo sa…»
«Sì,
un
sedere.»
«Ma diamine, quale modello per tanta stravaganza? Il sedere, solo
il sedere è rimasto, e proprio nel mio studio, poi. Non avremmo
certo potuto immaginare che dalla vita in su, per quello che ormai
ne rimaneva, sì, insomma, il tronco e la testa, sarebbe svanito
tutto in un colpo. Mediamente i pezzi erano sempre stati piccoli, e
invece
puff!
solo
il
culo!
Oh,
perdoni…»
Silenzio. La donna sbadigliò, soltanto
«Quindi vostro marito era alfine tutto là concentrato, nei tessuti del
suo stesso sedere tondo tondo seduto per terra. Se è vero ciò che
ha detto, che aveva scoperto il meccanismo al punto da prevederne
il decorso, allora avrà senz’altro sentito arrivare l’ultima sparizione:
non è stato un caso che il sedere abbia defecato sul mio pavimento,
23
prima di assorbirsi definitivamente sotto i miei occhi. E sarà stato
forse a causa della suggestione che certi fatti producono negli
uomini di scienza, ma le assicuro che quei cento centocinquanta
grammi di vostro marito là per terra, è come se anche in quella
massa estrema lui si fosse trasferito nella sua interezza, avendo
poco prima avvertito che il sedere stava per andarsene. E ho avuto
la sensazione pazzesca che non fosse mai stato bene come in quel
momento, là, sul pavimento. Lei capisce certamente come tutta
questa faccenda sia priva di senso. È surrealismo, questo, non fa
per noi. Le dirò di più: sono convinto che non sia nemmeno
accaduto. È troppo sconclusionato, via, come una storia che finisce
con
la
virgola,
le
pare?»
Abbassando lentamente le palpebre, Marzia fece segno di sì.
«Anzi – scattò in piedi Profundi con le articolazioni d’un ventenne –
sa cosa le dico? Andiamocene, usciamo da qui. Guardi che
splendido pomeriggio. Una passeggiata, ecco quel che ci vuole: una
bella passeggiata»,
24
IN ORDINE ALFABETICO
AVANZATO AMBROGIO
IL CAPPELLO
«Porca miseria! Elvira, guarda cosa hai combinato al mio cappello!»
Giovanni si era voltato per sistemare la valigia sopra il portapacchi, e la
moglie sbadatamente, si era seduta sul suo cappello nuovo, conciandolo
malamente.
Erano appena saliti sul treno popolare che doveva portarli a Roma in viaggio
di nozze, e la sposina aveva già fatto infuriare il marito. Lei scoppiò in
lacrime, mentre Giovanni cercava di ridare una forma accettabile al suo
Borsalino, prezioso regalo di nozze.
Giovanni pareva veramente uno scapolo impenitente, ma quando si prese
una cotta per la bella figlia del farmacista, non ci mise molto ad approdare
all’altare; anche se agli amici raccontò poi, di averlo fatto per risparmiare i
soldi dell’imposta sul celibato.
Per non fare troppo spatuss (fasto), dato che il padre dello sposo era
ammalato, i due decisero di sposarsi durante la messa prima di un giovedì
mattina. Nonostante la mancanza di festeggiamenti, i parenti più prossimi si
frugarono in tasca per il regalo di prammatica, che in molti casi si risolse in
una busta con una piccola somma. Fece eccezione il padrino di Giovanni,
che fu anche chiamato a fare il testimone, il quale regalò al figlioccio un
bellissimo cappello Borsalino, con la raccomandazione di “tenerlo da conto”.
Il motivo della scelta di un giovedì per la celebrazione del matrimonio, non
era casuale, ma era legata al fatto che in quel giorno partiva dal capoluogo il
treno popolare, che il regime aveva istituito per portare gli sposi in viaggio di
nozze nella capitale. Giovanni ne avrebbe anche fatto a meno, però Elvira
non voleva perdere un’occasione così a buon mercato, per andare a Roma e
vedere il Papa. Il mattino del matrimonio un parente portò in chiesa la valigia
dei due sposi che, terminata la cerimonia e salutato i pochi presenti,
andarono alla stazione con gli abiti usati per le nozze che tuttavia non
sfiguravano anche per il viaggio.
Dopo la manipolazione di Giovanni, il cappello che era di buona qualità,
divenne di nuovo un capo elegante, sì che l’uomo dimenticò la sfuriata.
Anche Elvira, passata la nube del primo rimbrotto, si rasserenò, e non portò il
broncio al marito, forse anche pensando alla prossima prima notte di nozze.
Giovanni aveva pensato all’organizzazione del soggiorno romano,
appoggiandosi ad Attilio, un vicino di casa che nella capitale svolgeva il
servizio militare nei carabinieri.
Il carabiniere aveva predisposto tutto per bene; li aveva sistemati in un
albergo vicino alla stazione, inoltre aveva stilato l’itinerario per i tre giorni di
permanenza, il cui punto centrale era l’udienza papale del sabato, riservata
25
agli sposi. Attilio, come promesso, li attendeva alla stazione, e li accompagnò
al vicino albergo, lasciandoli poi soli con l’accordo che si sarebbero visti
l’indomani mattina.
Alle nove Attilio era già in attesa che gli sposini scendessero; erano in ritardo
perché Giovanni non trovava il cappello, poi Elvira si ricordò che l’aveva
lasciato appeso all’attaccapanni del locale dove aveva consumato la
colazione. Finalmente i tre si avviarono per la programmata visita alla città.
La prima tappa la fecero alla basilica di Santa Maria maggiore, poi al
Colosseo, ed infine a palazzo Venezia. Verso le due, Attilio li portò in una
trattoria, dove gli sposi fecero onore ad un ottimo pranzo, anche perché la
sera precedente avevano solo consumato un frugale spuntino al sacco,
prima di scendere dal treno.
Nel pomeriggio, sempre scortati da Attilio, visitarono il Pantheon e, alla fine,
ormai stanchi, ritornarono all’albergo. Il mattino successivo Attilio, che era
puntuale come un orologio svizzero, dovette nuovamente attendere un bel
po’ prima che gli sposini scendessero. Poi li fece salire su una carrozzella,
ordinando al vetturino di portarli a San Pietro per l’udienza papale riservata
agli sposi; lui sarebbe andato a recuperarli per l’ora di pranzo. Dopo qualche
minuto di andatura al passo, il vetturino spronò il cavallo, che cambiò
andatura in un piccolo trotto; la modesta variazione di velocità, forse abbinata
ad un leggero colpo di vento, il cappello di Giovanni volò fuori dalla vettura.
Dopo un attimo di smarrimento, Giovanni chiamò l’uomo a cassetta,
dicendogli di fermarsi.
Il vetturino lì per lì non capì, poi finalmente arrestò la carrozzella. Giovanni
scese, e di corsa andò verso il cappello che era adagiato a tesa in su, proprio
al centro della via.
Recuperatolo, senza che avesse subito danni, lo scosse dalla polvere e con
calma tornò alla carrozzella. Finalmente arrivarono nella piazza della basilica,
il vetturino fermò il cavallo, e voltandosi spiegò che più avanti non poteva
andare così, dopo aver pagato il trasporto, scesero senza sapere bene verso
che parte muoversi. Elvira notò che più avanti, verso la gradinata che portava
alla chiesa, c’era un bel gruppo di persone; fece notare al marito che
sembravano sposini, si avviarono verso il crocchio, e quando furono vicini
videro un prete che spiegava come comportarsi al cospetto del Santo Padre.
Finita la breve predica, il prete li fece mettere in fila accoppiati, poi li invitò a
seguirlo nella basilica. Giovanni ed Elvira erano gli ultimi del gruppo, e come
furono nel pronao, un giovane prete sbarrò loro il passo, dicendo che non si
poteva entrare col cappello. Elvira, che si era già messa un velo nero sul
capo, rimproverò benevolmente il marito: «sei il solito sbadato, Giovanni, lo
sai che in chiesa gli uomini devono entrare a capo scoperto!» Giovanni
arrossì, si tolse il cappello e, balbettando una scusa, cercò di andare avanti; il
prete però non accennava a dargli l’accesso in chiesa. «Per entrare, il
cappello dovete posarlo nel guardaroba», sentenziò il prete indicando un
26
tavolo sulla sinistra sul quale erano posti alcuni copricapo, e dietro cui stava
un vecchietto. «Va bene, acconsentì Giovanni, se c’è quel signore che lo
guarda, sono tranquillo», e si voltò verso il tavolo per posare il cappello.
«Si, però per la custodia si deve fare un’offerta di cinque lire, da versare in
anticipo», disse il vecchietto.
«Cinque lire?» Chiese con voce adirata Giovanni, aggiungendo. «Cinque lire
le ho pagate ieri sera per la cena, ed ho mangiato da Papa.»
Il vecchietto non parve per niente impressionato dalla reazione di Giovanni,
ed insisté: «se non versate cinque lire io non posso tenervi il cappello, e voi
non potete entrare.»
Prese per mano Elvira, facendo il gesto di tornare sui suoi passi, ma la donna
pur con le lacrime agli occhi, lo implorò: «dagli le cinque lire, quando
torniamo in albergo te le do io.»
«Ma neanche per sogno, piuttosto di farmi spennare, non vado a vedere il
Papa», rispose alterato Giovanni. Intanto il prete che li aveva fermati era
entrato in chiesa, e dietro di loro non c’erano altre coppie, così Giovanni
pensò di poter entrare col suo cappello in mano.
Non aveva ancora attraversato la soglia del portone, che due guardie
gigantesche gli si pararono davanti. Elvira, vista la mala parata, era quasi sul
punto di rinunciare quando Giovanni mise la mano sinistra nel risvolto della
giacca ed estrasse il portafoglio, mettendo così fine alla discussione.
Terminata la cerimonia, e recuperato il cappello, Giovanni disse
scherzosamente alla moglie: «questo cappello mi ha già dato più problemi di
tutti quelli che ho indossato finora, deve essere maledetto, se almeno lo
avessi avuto quando il Papa ci ha benedetto, chissà…..»
Dopo un po’ che aspettavano, arrivò Attilio che propose la visita al vicino
Castel Sant’Angelo. Stavano percorrendo un tratto del lungotevere, quando
Elvira fu attratta dal canto di un barcaiolo che remava lento sul fiume. Si
avvicinarono alla balaustra per ammirarlo meglio, ed un colpo di vento fece
volare il cappello in acqua. Dapprima Giovanni rimase ammutolito, poi
incominciò a ridere a crepapelle, mentre Attilio guardava stupito non
capendone il motivo. Ci pensò Elvira a spiegare all’amico: «lo so io perché
ride, Giovanni è convinto che quel cappello sia maledetto. Da quando l’ha
ricevuto in regalo non gli ha procurato che guai, ora finalmente se ne è
liberato.» E quando Giovanni alfine smise di ridere, confermò quanto detto
dalla moglie, aggiungendo il particolare delle cinque lire sborsate al
guardarobiere del Vaticano. Questa volta fu Attilio a scoppiare in un riso
irrefrenabile, poi sibillino gli disse: «se le cinque lire ti sembravano troppe,
potevi dirlo direttamente al Papa, un’occasione così non ti capiterà più nella
vita.»
«Di questo puoi starne certo», rispose convinto Giovanni: «non andrò mai più
ad una udienza Papale; cinque lire preferisco usarle per mangiare un
desinare da Papa.»
27
SI FA SERA….
dI BONATO ALDO
Benvenuto mato turista,tu,che sali con spirito naturalistico alla ricerca
diarti & mestieri di una volta; alle prese con obiettivi e cineprese,
intento ad immortalare angoli ameni tra cime svettanti ancora innevate,
coi suoi ultimi ghiacciai ridotti a brandelli dal sostenuto fuoco nemico
da quel distruttivo obice da 75/mm, e piu’… Dio,quante bombe,
proiettili di morte simili a siluri: montagna contesa è tutt’ora, una
gruviera di buche profonde a testimonianza di cruenta battaglia.
Qui’ la “Dentona” con la falce, ha brindato a lungo col sangue di quei poveri
cristi:umili alpini poco piu’ che svezzati, partiti e mai piu’ ritornati.Ancora ha
sete e continua a seminare odio e morte!Cristo pietà…perdona se puoi._Io,_
vecchio alpino, Ti chiedo una prece,per quelle vedove, per quelle mamme;
manco la forza hanno di piangere: ancora pregano in ilenzio e fanno Altare
Sacro,il dolore per quello suo unico figlio della vita… Era un fiore di bondà!
Ora è della Patria e, per una libertà negata ancora da raggiungere. Domani,
forse… si vedrà|.
Grandi occhi azzurri che nascondono il segreto di vita vissuta,sembrano di
ghiaccio e, scrutano oltre quel martoriato colle –ahimè-, che dolore per quel
canuto e vecchio fante Alpino… e, commosso, trema.Lui, un miracolato.
E’sopravvissuto| Vive ora di ricordi, dignitosamente ma, senza il sorriso della
vita. Era presente….
Osserva con una fitta al cuore quelle vecchie fortezze di guerra;ruderi di
misere vestigia di una guerra già dimenticata.Là ,oltre quella cresta desolata di
ardite cime innevate, ancora baciate dal sole che come vedette e, gridano al
vento un eterno lamento e il tuo perdono, guarda:il Pasubio, l’Adamello, il
possente Grappa conteso,-ultimo atto finale-, piange come un bambino…Sono
le “sue” montagne, i fantasmi della ragione tra amore e odio con la sua storia
di ordini e controordini, di Signorsi’…”Siortenente”, e, i suoi vent’anni andati
in malora anno dopo anno ,combattendo in prima linea con topi da fogna nelle
trincee fangose e umide: l’anticamera della tomba…Dice da sempre.
E’ vivo per miracolo, ha una ferita alla spalla trapassata da una pallottola
nemica ma, ancora dolorante di quando cambia il tempo e umidità, sopporta e
basta: è come avere una spina conficcata da sempre. Lui è un “vecio Alpin”.
Ci tiene a dirlo…E’ salito quassù per testimoniare la vita e la morte e, tutti
quegli atiti eroici mai iscritti nelle pagine dorate della ‘vera’ storia vissuta
umanamente in prima linea con abnegazione e odore d’incenso…rassegnato a
morire. Ubbidire e morire.non ubbidire o morire, sembra una sottigliezza ma,
queegli ordini dall”Alto Cmando”…Ho ancora il veleno addosso pieno di
rabbia nel codificare questo giro di parole:una gran beffa a tutti i Militi in
armi, Eroi compresi|-Pax Domini|.
Lui, la guerra, più di una , l’ha combattuta con anima e corpo e sacrificio:altro
che sentire dire stronzate nel dire che la guerra non fa storia… questo
parafrasare è pura follia.-No-,lui non ci sta a questo gioco di parole blasfeme e,
zac, ben ti maledice con una bestemmia secca. A piena ragione|.- Anzi-, in
dialetto per essere recepita meglio…
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Tutto attorno, cime sacre alla Patria, vette tempestose ed insanguinate,
insignite d’Onore.-A chi la gloria?- A quale prezzo la libertà?-Dio-, che
tristezza.Una guerra infinita, snervante , un immane olocausto e odio senza fine: guerra
di nemici e guerra fratricida tra potere e menzogne…
A quando il ritorno della bianca colomba della pace?.
-Non trova risposta, quell’alpino: né gloria né onore.Uomo schivo ed incompreso,ancora ferito nel suo orgoglio.
Chi erano quei fanti Alpini venuti da lontano? Ragazzi di solo 20 anni|.
Decisamente ,giovani umili e forti;sicuramente di Milano ma, anche Siciliani:
il paese del Gattopardo, delle profumate arance e dal sole d’oro e venti alisei
ad increspare quel mare blu cosi’ romantico…-Poveri ragazzi quasi analfabeti
dai cento ,mille dialetti;cosi’ di lontano.Chi erano quei prodi marinai:ora improvvisati alpini, dal dialetto confuso?
Erano i figli della terra baciata dal sole e mare amico ove smemora sulla
battaglia in ricordi infantili o della “morosa”|.
Decisamente Vicentini,Veronesi,Torinesi e Friulani:gente veneta insomma e
,gente di mare.E ancora:Triestini, Livornesi, Genovesi, e di Napoli,paese del
sole e del bel canto ai piedi di un Vesuvio romantico e distruttivo ai capricci
dei suoi bollenti a riflettere del presente e credere nel destino. Per questo è
amato e odiato. Tutti ragazzi di vent’anni che tingevano la neve di sangue; non
erano fortunati turisti allora, ma, ignoti soldati che combattevano con onore
oltre la ragione e, per quale libertà?... Forse, per un futuro di pace, di scambio
culturale, di fede…forse!.
Intanto gli aerei continuavano a bombardare a tappeto con accanimento
e,seminare la morte: non erano quelle “ bombe amiche” e tanto meno fiori di
pace. Erano i nostri migliori ragazzi appena “svezzati”, mandati in prima linea
ancora tremanti e impauriti in quelle trincee da fogna; uno sporco gioco di
morte con ancora il profumo del latte materno addosso e con la benedizione di
un padre accorato…-Dio, che tristezza.Giovani baldanzosi e un po’ poeti arruolati in fretta e furia, partiti con lo zaino
affardellato di soli ideali, fede e preghiere con il rosario in tasca, e
nient’altro!.| La storia sia ora testimone di tanti “atti” eroici di combattere oltre
l’impossibile tra la vita e la morte…Quanti ideali spezzati all’istante da una
pallottola “assassina” di un cecchino invisibile…
Vale una medaglia d’oro? Cento , mille?...-Oh, si!.- Loro,sono ancora li’, nei
bochi di Vezzena e dell’Altopiano, campo di battaglia e testimoni di orrori e
silenzi…Ecco, un nome sbiadito da un certosino lavoro ancora inciso in quel
rosso marmo grezzo di Asiago, in Sacelli dimenticati.-Si-, sono ancora
presenti: vivi nello spirito e, per voce del vento, gridano pietà “Basta
guerre”!.Già l’eco di ritorno si è spento nel bosco da larici sventrati; un cumulo di terra
sassosa e, quel che resta di un reticolato arrugginito a mò di croce… una
“pietas” di misera tomba per quel ragazzo di soli 18 anni.Era di napoli, la bella
Margellina “bene”, col sole mediterraneo nel cuore e, quel generoso sorriso di
vita sulle labbra…colpito a morte tra i frddi ghiacci del nord lontano, coperto
di rosso sangue, ancora col sorriso socchiuso di bontà: forse invocava sua
madre, forese, chiedeva un po’ di tepore, di baci; occhi tristi cercavano la “
sua” terra, il suo mare azzurro screziato di tremoli riverberi al tramonto:
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idilliaco abbraccio col cielo, una poesia infinita… Forse, è stato il destino
fatale , non la guerra.
Povero eroe dimenticato…Lontano , una mamma accorata ha lasciato l’uscio
di cas aperto… aspetta e prega “San Gennaro, non piange però. La sua fede è
piu’ grande del dolore.- Già sapeva…Se hai un po’ di cuore raccogli un fiore, -ti prego-, che sia bianco però-, quel
giovane eroe senza nome è senza peccato, aveva solo 18 anni; amava la vita e
sognava il ‘suo’ mare blù, invece, la tormenta gelida della montagna se l’è
preso come un suo figlio: il migliore, col ventre squarciato d’improvviso, una
bastarda granata nemica oltre il reticolato; un dono per la libertà si dice, - si- ,
di una Italia arrogante e zoppicante, stramaledettamente ferita e povera che
mai… anni bui ma, per “Lui” non c’è più un oncia d’oro: offerto alla patria e,
manco per coniare una misera medaglia d’Onore… Manco di bronzo –
Amen!.-Ecco -, questi onesti eroi sconosciuti sono il vile prezzo della libertà. La
VOSTRA LIBERTA’ e , per quelli che verranno, dopo scritta la storia: quella
vera! . - Quella di tuo figlio mai tornato a casa. – Che sia un monito il tuo
grido di dolere e rabbia, tu, baldo e fiero milite alpino, che ti aggrappia al
bastone per un cedere incerto tra le tue montagne amiche – nemiche: “ Mai più
guerre… Mai più” !.- Solo i tuoi ricordi sono la “vera” storia!.- Povero alpino,
non hai più il fiato vigoroso d’ un tempo ma, il tuo silenzio è ancora un atto
d’amore, di perdono a tali atrocità vissute… Perdonare? Si, certo: dimenticare
mai però! Perché arrossire ora? Quelle umide lacrime sono perle di saggezza;
il tuo è un pinto umano, liberatorio, di un milte vissuto e d’Onore, per
testimoniare gli orrori e nefandezze di una guerra brutale, fratricida e ben oltre
la ragione dell’uomo. – Tu, sopravvissuto, hai visto bee in faccia la morte e il
nemico con gli occhi dilatati di terrore più volte: non cercavi la gloria, la
libertà di ideali cristiani, per i figli dei figli e, portare a casa la “ghirba” per
sentire nuovamente il calore di uomo e padre insieme alla tua famiglia, alla tua
sposa, fin troppo amata oltre la ragione di una fede cristiana… con amore
vero!. Ci sei riuscito ma, è stata pura fortuna tra la follia di tanto odio, troppo,
oltre la sofferenza umana… Quanto basta per vergognarsi. –Ora, bella
immagine!.- un’Italia pavesata dal tricolore, ridente e oasi felice con vento di
libertà e, col sorriso sulle labbre come quel ragazzo napoletano: aveva 18 anni,
ma chi era in realtà?... fante alpino N.N., un Milite Ignoto; manco il piastrino
hanno trovato, quel giorno è stata una carneficina.- Amici e nemici: ultimo atto
finale di terra bruciata simile ad paesaggio lunare.
Tonezza è ancora incantata o forse stregata: l’aria mi accarezza fresca e pulita,
è la brezza della sera, mi avvolge come seta; mi riporta alla ragione, gente
curiosa mi sorride, l’orologio fa tic-tac, è una “cipolla” d’argento con catenella
fine ottocento: il tempo dei ricordi è scaduto; attonito guardo in basso, sul nero
asfalto il lungo serpentone del rientro. Macchine, moto, macchine…
Dio mio…. Che confusione!.Vedo laggiù la signora animata da fantasmi, è una vita frenetica: oh si, vedo
pure indifferenza, quale senso dare alla vita?- non trovo la risposta!.- un
formicaio umano confus, un patto col diavolo: “Tutti matti par i schei. Serto
non ghe xe più ragjonameno ne religion!?.”
Dove sono i tuoi ideali e desideri?.8 settembre 1943…. Armistizio, è finita!-
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Sono qui, tra silenzio e pace,ove spazia senza confini l’occhio e la mente
confusa in un paese amico: una Tonezza viva e ricostruita, intrisa di colori,
profumi silvestri di ciclamini e pini mughi, di turisti solitari e brava gente
locale che “Vi” accoglie a braccia aperta. Gente alla buona, loquace e
paziente.- Un tempo era un campo di battaglia conteso-, oggi, un ridente
centro turistico di storia e folclore tutto da visitare. Senza fretta però!.
Troppe sono le emozioni per voce narrante degli ultimi vecchi rimasti. Tale è
la loro fierezza da sembrare ‘Saggi o Filosofi’!!. Così schivi e taciturni feriti
dentro e mutilati fuori dalle cicatrici saturate maldestramente….. ah, la
guerra….. ancora testimone!.- ovunque.E’ gente di montagna, fiera, che ama raccontare la “sua “ storia infinita; è
come la voce del vento di fuoco e passione: ti entra dentro al cuore come
scheggia impazzita e, pregusti il fascino del passato cosi intrigante di storie
vere. Tristi o belle che siano, non le puoi dimenticare: sono vere e tali restanoanzi-, ti lasciano un dolce-amaro nel cupore e, la mente confusa ti riporta alla
ragione.
-E’ il generoso prezzo della LIBERTA’!.-Finalmente la Pace!!.Ama il cuore amico turista,ama con amore baldo Alpino queste Sacre
montagne, -qui-, in ogni pietra c’è un ricordo umano del passato e presente, in
ogni fiore c’è il profumo della vita, in ogni buca c’era iltuo destino e la
morte…
Solo l’aria pura qui è rimasta libera, senza reticolati, senza piu’ frontiere, è
decisamente solo per te: il passato è già presente ,il presente ora è già il futuro;
ove verdeggianti oasi e candide montagne,tra terra Benedetta e cielo ora si
baciano abbacciati con la natura in un amplesso amoroso,idilliaco in emozioni
e ricordi!.
Anche i tuoi ,baldo Alpino, forestiero o turista chiunque tu sia!.
Qui hai trovato la serenita’ che cercavi-peccato-, il tempo è volato così di
fretta e, già si fa sera ma… tante sono ancora le emozioni da vivere e
scoprire.-Sarà un sicuro ritorno!.Vorresti cogliere un ciclamino: lascialo vivere anora, non è la solitudine che
cercavi, è la voce del Creato, il tuo destino, cogli invece l’ultimo tiepido
raggio di sole e sorridi alla vita; mentre tu scendi, sogni e desideri salgono fino
alle stelle, è la voce soffusa delle tue preghiere,-oh sì-, quella vera di un uomo
fortunato. Piu’ che fortunato! Sei felice… non è stato un sogno,hai solo
visitato un paese amico che ama raccontare poco di sé, ma, offre pace e
tranquillità a quel turista esigente che ama essere “coccolato” e, scoprire ampi
panorami mozzafiato.- Già!...- Qui’ c’è un po’ di tutto: il resto è solo vanità!.
Tonezza è tutto questo: un giardino di grandi emozioni e aria frizzante di
genuina cortesia!.Tante casette in fila come un rosario in sasso biancastro
calcareo, dai tetti rossi con gerani variopinti alle finestre che offrono un
delicato profumo e bòn-tòn di eleganza raffinata! Seduti in quel muretto
appatrtato sul finire della via, due giovani dall’aria sognatrice, si baciano
teneramente, incuranti da sguardi curiosi e allibiti perché sorpresi dall’ultima
zitella del paesello che passa e và abbassando la testa e si fa il segno della
croce allungando il passo e, diventa paonazza dalla vergogna, piu’ rossa di un
papavero… Peccato mortale sussurra… Mon amour, riesce a sentire…
sorride!!
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Una rara terra del Vicentino!.-Sofferta e combattuta. E’ una terra generosa,
come una famiglia patriarcale amica, che ama ascoltare e poco raccontare di
sé.- Troppi sono stati gli orrori e i fantasmi del passato; troppe sono le croci
arrugginite in fondo al bosco di quel cimitero di guerra quasi abbandonato
dall’oblio della civiltà ricca e peccaminosa di troppa libertà.- La LIBERTA’ di
quei giovani EROI senza nomi di soli vent’anni mandati al macello e, mai più
ritornati!.
E quando si dice-guarda il caso-: è a un “tiro di schioppo” da casa… A volte,
così presi dal consumismo e benessere, manco ce ne rendiamo conto di queste
oasi felici della porta accanto.
-Sei un po’ depresso?!- Non lasciarti andare andare: accendi quel vecchio
motore, fai salire moglie e bambini; basta un cesto in vimini con due-tre
panini, un’aranciata e del vino se c’è, un buon bicchiere non fa male neanche a
te e, vai…vai… sarà una giornata speciale tra amici, vai…vai tranquillo!!.
Siamo in tempi di pace-oggi-, quel che più vale è la salute con un po’ di
tranquillità… tutto al resto ci pensa Iddio.- Vai tranquillo ,amico mio!.-Come si chiama il paese?“Tonezza” – certo-, non lo dimenticare…
-Grazie , sei un vero amico…Grande amico!Le prime luci si accndono, ecco, già si fa sera… Una magnifica luna piena e
rossastra mi indica la via del ritorno.
-Dio mio ,quante emozioni oggi!E domani?... Si vedrà!.
Forse, pregherò umilmente in quel Sacello in fondo al bosco, vicino al
cimitero di quel Fante Alpino e Milite Ignoto ove riposano insieme gli Italiani
e Tedeschi: prima nemici –ora-, amici di pace e LIBERTA!
Con lei, cala il sipario degli affanni, per dare ascolto ai consigli della notte:-sì-,
domani sarà un altro felice giorno . Buonanotte, anzi,arrivederci misteriosa
Tonezza. Terra di EROI!.
-Ah, dimenticavo il pensierino della notte…**”Italiani brava xénte però, non solo de Santi e Poeti ma, vera xente de bon
còre ,de Onore; par ricordare la so storia e la giusta verità alla pòra xènte dei
sacrifici dei so véci; come fosse ‘nà storia infinita coi so difetti ma, piena de
umiltà…Italiani – da sempre-, brava xénte de civiltà e de bon còre”
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IL PIU’ PURO DEI PECCATI
DI BRUNO LAURA
Le mani affondano piano nel fango, gli occhi troppo azzurri, troppo occupati a
liberarsi delle lacrime per notare lo spettacolo che gli si prospetta davanti:
un’aurora diluita dalla pioggia.
Inestimabilmente fragile e bionda, nuda sotto quel vestito,nebioso, bianco,
bagnato, dissolto nelle gocce celesti, piante dal cielo appena nato. Elegante,
anche se spogliata, anche se immobile e misera, circondata dagli steli d’erba
più verdi e zuccherati che la natura abbia mai saputo nutrire. Bella. E lo
sguardo tanto triste, e le labbra tanto piccole, il viso tanto antico. Punita,
tradita da un’innata perfezione che molesta e sacra irrora ogni ignoto atomo
della sua essenza pallida. Disumanamente incantevole in ogni nota del suo
profilo. I capelli lisci e colorati della più candida luce, raggruppati dall’acqua
in ciocche, alcuni incolati al viso. Irrilevantemente donna o bambina o viva.
Inscindibile tra incandescenza fredda o ghiaccio caldo. Il viso, ovale e morbito
si alza, forse pensa, ma il pensiero immortale è irraggiungibile dalle umane
brame, e scruta l’orizzonte interpretando trascurabile e consueta quell’alba di
paradisiaco colore. Troppo poca divina, troppo poca terena, ignora il primo
mattino in cui i suoi iridi azzurri assaggiano il cielo guardandolo da
prospettive invertite, e non ha sapore perché forse non è importante. Solleva
gli arti superiori dal fango, dai polsis’intravedono blu le vene, ancora cinta da
un’aura d’argento che è cosciente di dover perdere da un momento all’altro,
ma le sue dita sono protette, le unghie immacolate restano dieci mezzelune
impeccabili. Il suo peccato è impresso su di lei, perché possiede un corpo e la
pelle bianchissima è pur sempre tangibile. La sua condanna: perdita totale di
una evanescenza sempre avuta, perché mai generata, né creata, né morta. E
non sa se è estate o inverno, perché viene dall’eterna primavera. Non è
evidente alcun segno: il suo precipitare è stato latente. Un immediato
incondiscendente tribunale salvifico di grazia, ha condannato la sua colpa.
Amare un uomo, fondersi insieme ad un mortale, amare al di la degli schemi
dettati dalla suprema gerarchia raziale e…. precipitare. Un corpo: punizione ad
uno sgarro non concesso all’intelligenza della sua razza. E la terra, sconosciuta
alla personale esperienza tattile, era una sfera verde e bluastra da osservare e
visitare come inadatta e soprannaturale ospite. Ma un letto, un desiderio, forti
braccia, occhi verdi, e un familiare e traditore cielo stellato l’hanno
condannata. Si alza, convinta di aver commesso il più puro e
ingiustificatamente dolce peccato, che ricommetterebbe mille e mille altre
volte ancora. Cessa la pioggia. Nuda, essenza corporea, cammina ed ha ancora
le sue ali, l’angelo sporco, scalza ma senza paura, senza pudore. Cammina, e
stagliato contro l’azzurro di quel cielo appoggiato sulla collina erbosa,
riconosce il suo carnefice e lo ama, come ama la sua colpa, e lo abbraccia,
perché si accorge di un dettaglio che il buio della notte le aveva celato: nota
che non è la sola a possedere un paio di bianchissime, splendide, candide ali.
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CONDANNA D’AFFETTO
di CANETTO ALBERTO
L’angusta e dispersiva periferia di una grande città, dove molti dei più giovani
trascorrono i pomeriggi liberi da impegni scolastici giocando per la strada
senza il controllo dei familiari mentre i più grandi si rifugiano nei bar
sfogando, sempre, le loro frustrazioni tra qualche spinello e bicchieri di
alcolici è il teatro dove Giuliano, figlio di un operario e di una madre
casalinga, trascorre la sua adolescenza. Il dialogo con i genitori è pressoché
inesistente e questo vuoto contribuisce a formare nel carattere del giovane una
smania di protagonismo. Egli è infatti, il punto di riferimento della co mpagnia
formata da amici e amiche. Giuliano nelle lunghe giornate passate al bar con
loro, tra qualche avventura sentimentale con le ragazze, comprende presto le
difficoltà che nascono da una mancata indipendenza economica. Così come è
assente, completamente, la voglia di impegnarsi alla ricerca di un lavoro,
crescono in lui, forti ambizioni incentivate, spesso dalle notizie dei massmedia, di alti gradimenti di popolarità raggiunti da personaggi, da un momento
all’altro, riconducibili a circostanze per lo più tanto fortunate quanto effimere.
I classici miti dai quali molte, confuse, menti vengono abbagliate. Anche lo
scorazzare su auto di grossa cilindrata, la frequentazione di locali alla moda, e
altre ostentazione di dolce vita da parte di qualche coetaneo più “fortunato”,
dovuti dall’avere alle spalle una famiglia facoltosa, contribuiscono a far
maturare nella mente di Giuliano la voglia di emulare se non superare questi
traguardi. Così tra un boccale di birra e l’altro il giovane, architetta, insieme
agli amici più fidati e succubi, di iniziare a fare alla sua maniera fondando una
banda. I giovani dei quali qualcuno è ancora minorenne iniziano con piccoli
furti ai supermercati, specializzandosi poi in scippi e quando iniziano ad
ottenere più sostanze economiche riescono a procurarsi anche la cocaina, la
quale fornisce loro una carica mentale talmente devastante da portarli anche ad
architettare un primo colpo in banca. Così rubata un’autovettura, il comando
capitanato da Giuliano, dopo aver sniffato un po’ di polvere bianca, svaliggia
la prima banca e diventa, tremendamente, intraprendente con altre rapine, furti
in appartamenti e numerosi metodi di estorsione di denaro al punto che
Giuliano, al settimo cielo ed osannato non solo dai suoi complici ma anche da
molte donne che identificano in lui un giovane di bello aspetto con il
portafoglio pieno di denaro, si sente super realizzato nella vita. Ma con il
passare del tempo non si accontenta, spostando la sua attenzione anche sui
sequestri di persona a scopo di richiedere sempre più alte cifre di denaro. Il
giovane è diventato un pericoloso boss che ha anche la pistola facile ed,
ovviamente, il suo cambio di marcia di tenore di vita non rimane inosservato
nel suo quartiere. La sua spavalderia lo porta anche ad essere conosciuto nei
ritrovi socialmente elevati nei quali la sua fama di playboy cresce a dismisura.
Una fredda mattina di novembre però viene fermato dai carabinieri per un
controllo all’imbocco dell’autostrada ed il giovane, che aveva un cospicuo
carico di cocaina e molto denaro sporco, quando si imbatte faccia a faccia con
l’agente estrae una pistola e dal finistrino fa fuoco sul militare ferendolo
gravemente. Inizia la sua fuga ma i carabinieri riescono a rintracciare la targa
da cui desumono le generalità di Giuliano che diventa, da quel momento, un
pericoloso latitante ed inoltre da un identikit, si risale anche all’immagine del
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suo volto presto associato ai tanti fatti malavitosi di cui è stato protagonista.
Ma questo nella mente del giovane invece che essere un campanello d’allarme
lo carica ancora di più infatti, l’idea di essere diventato un inafferrabile
gangster gli fa guadagnare ancora di più la stima dei suoi complici e le
scorribande della gang si moltiplicano tra atti di sempre maggiore efferatezza
nei quali rimangono ferite anche altre innocenti persone colpevole solo di
trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il caso inizia a diventare di
rilevanza nazionale mentre Giuliano, sempre attorniato da bellisime donne ne
frequenta una in particolare con la quale si sente più a suo agio, Luana è il suo
nomo. La giovane è a conoscenza dell’attività criminale di Giuliano ma è
accecata dal lusso sfrenato in cui il boss la fa vivere. Tuttavia, resasi conto che
le cose non avrebbero potuto andare sempre così cercò, in atnte circostanze, di
farlo riflettere consigliandogli di smettere con quel tipo di vita ma egli
rispondeva che era l’unica cosa che sapeva fare incolpando i propri genitori di
non averlo mai capito, negandogli ogni tipo di dialogo e considerazione.
Luana era però in fondo, una giovane molto matura e passato quel momento di
abbaglio mise Giuliano alle strette chiedendogli di fare una scelta precisa: o lei
o la delinquenza. Ci fu una lite furiosa scatenata dallo stesso che le impose di
rimanere al suo fianco in ogni caso, al che Luana fece finta di acconsentire
ma nel corso della notte fuggi facendo perdere le sue tracce nell’immediato
futuro. Giuliano ci rimase male e sfogò il suo nervosismo intensificando la sua
attività criminale fino a quando, un giorno durante una rapina in una giolleria,
venne distratto dal particolare improvviso rumore di un incidente tra due auto
fuori del negozio e fu a quel punto che il titolare del negozio ne approfittò per
ferirlo gravemente con un colpo di pistola allo stomaco. Giuliano si salvò per
miracolo, dopo un lungo intervento chirugico, ma la sua carriera criminale si
concluse infatti fu condannato, per tutte el sue malefatte a quindici anni di
carcere e con lui anche i suoi complici. Nel primo periodo di carcerazione egli
già progettava l’evasione ma un giorno, appresa la notizia della sua cattura,
Luana chiese un colloquio con lo stesso il quale fu molto aspro nei suoi
confronti addossandole la colpa di averlo lasciato. Passò qualche settimana e
Luana si ripresentò al suo cospetto in presenza però anche della madre di lui.
La reazione di Giuliano alla vista delle due fu durissima al che Luana gli urlò:
“Ma non vedi niente di strano in me?” Giuliano non diede peso alla domanda
ed a questo punto sua madre gli disse, per la prima volta, con voce molto
pacata e affettuosa: “ figlio mio, Luana aspetta un figlio da te”. Il boss
impallidì e rimase senza parole, d’un tratto la sua grande spavalderia sembrava
essersi dissolta ma senza proferire alcuna parola fece un cenno alla guardia di
accompagnarlo in cella. Qualche settimana dopo mandò a chiamare le due
donne per un colloquio e con aria fredda e distaccata disse: “ Non fategli
mancare niente pagherò io tutte le spese per la sua crescita”. Al che la madre
gli rispose: “Giuliano, senza quel dialogo che io e tuo padre non ti abbiamo
saputo dare tuo figlio non se ne farà niente di buono dei tuoi soldi”. Il grande
boss fu colpito più da quella frase che non dal colpo d’arma da fuoco che lo
aveva reso morente e dai suoi occhi colò una piccola lacrima. Quella frase
proferita ancora una volta con un tono affettuoso fu una sferzata talmente
potente per il suo animo che nei giorni seguenti chiese al direttore del carcere
di poter continuare gli studi da dove aveva smesso e quando nacque Alba,
quasi a ricordare l’avvento di un nuovo stile di vita, fece in modo di vederla il
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più possibile incominciando con gli anni a dialogare e scriverle lettere
cercando con gli anni a dialogare e scriverle lettere cercando di non farle mai
mancare l’affetto ed il calore paterno. Giuliano si diplomò poi si laureò in
giurisprudenza, in seguito, quando mancvano ancora pochi mesi all’uscita dal
penitenziario, manifestò la voglia di iscriversi al concorso in Magistratura.
Mentre con sua moglie Luana ed un’ormai adolescente Alba, già ben avviata
al liceo, i rapporti erano improntati nella massima serenità e affetto, arrivò il
giorno della scarcerazione. Quell’istituto aveva restituito alla società non un
relitto ma un uomo nuovo che divenne un apprezzaro giudice. Ma Giuliano, in
molti frangenti, quando si trovò a giudicare casi in cui capiva che nel profondo
esisteva un forte problema umano, non assolveva di certo gli imputati che
erano colpevoli del reato ma sempre, anche in casa di non condanna, chiamava
insieme a loro i più vicini familiari ed amici e dopo la lettura della sentenza
diceva, con lo stesso ultimo tono di sua madre ma fermo e deciso dall’alto del
suo scranno: “Vi obbligo entrambi a dialogare tra voi, soprattutto quando non
ne avete voglia”.
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LA LIANA E IL MELOGRANO
dI LEGGIO GIUSEPPE
C’era un quadro sospeso nel muro della stanza da letto di mia nonna.
Una giovane donna indio seminuda, i capelli neri, la frangetta alta, i seni
piccoli e raccolti, tiene in mano una melagrana, pare ascoltare assorta
un uomo che, di fronte a lei, sta leggendo.
Lui ha tratti mediterranei, strette ma vigorose le narici, forse uno
spagnolo, indossa una camicia bianca e sul comodino poggia una colt.
“... eppure, tenebroso, il mio cuore ti cerca;
amo il tuo corpo gaio, la tua voce svelta e lieve.
Farfalla bruna, dolce e definitiva
come il frumento e il sole, il papavero e l’acqua.”
Ramìro chiuse il libro e i suoi occhi scuri si disciolsero nuovamente in
quelli di Morìra, non sapeva perchè le aveva letto quella poesia, gliela
aveva letta e basta. O forse no. Gli piaceva quello sguardo selvatico,
l’odore di foresta misto alla delicata fragranza di calendula che il suo
corpo emanava, e per il momento la ragazza lo distoglieva da quella
strana malinconia che da tempo ormai era sua compagna di viaggio.
“Ho preso questo libro da un vecchio venditore a Madrid quasi dieci anni
fa, ho fatto la guerra con i franchisti e me ne son pentito, ma mi è
rimasto questo ricordo ed oggi i miei pensieri sono anche i tuoi”.
Morìra sentì freddo e una nuvola nera eran i tratti dello spagnolo, posò il
frutto accanto alla pistola e baciò profondamente, avida quasi, l’uomo.
Poi staccatasi da lui prese: “ Mio padre mi diceva sempre che la vita
delle persone è uguale a quella delle liane, da piccole si legano al tronco
di un albero forte e vigoroso in cerca di nutrimento, la linfa che,
benevola, trovano in abbondanza.
Ma similmente sono estranee ad esso e crescendo diventano pesanti per
l’albero, quasi lo soffocano e sono costrette dunque a staccarsi per
cercare nuove piante giovani e robuste. Rimangono però in parte legate
a colui che le ha generate e nutrite per così tanto tempo.”
“E tu ti senti una liana?” chiese ridendo Ramìro, esalando una nuvoletta
di fumo biancastro dalla bocca .
“Non saprei dire” rispose timida lei “sento di essere, ecco, sempre senza
appiglio, sempre affamata.”
Il tramonto di Bogotà era freddo e stranamente vitreo, passeggiarono
tutta la sera, tra i mercati delle spezie dove si erano incontrati qualche
ora prima e dove aveva ricevuto in dono quello strano frutto dallo
straniero, fin dentro le viscere della città, videro vecchi, giovani donne,
bambini, mendicanti e disperati e i masticatori di coca, operai delle
miniere storditi o grottescamente sorridenti per effetto della droga.
Fecero all’amore, ancora, ancora, fino allo sfinimento e la notte passò tra
i sospiri. Ora anche lei aveva il suo albero.
La pistola sul comodino scomparsa, sussultò allo scoppio, ebbe paura.
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Steso sul pianerottolo Ramìro dormiva, un rivoletto di sangue si
allungava per la scala di marmo rosa, fino alla strada, piangeva ora con
lei tutto il cuore malato di Bogotà.
C’era un quadro sospeso nel muro della stanza da letto di mia nonna...
...e un alberello di melograno, il ricordo di Ramìro.
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RACCONTO DI GIACOMINO
di LO DATO FRANCESCA
Giacomino trovandosi a passeggio con papà
Vide in fiera tanti acquari.
Dice a papà:
-voglio comprato un acquario- e papà lo comprò.
Arrivò a casa contento e disse alla mamma:
Vedi papi mi ha comprato un acquario.
Un giorno Giacomino vedendo freddo, pensò di
Mettere l’acqua calda nell’acquario, dicendo:
Poverini, i pesci sentono freddo!
E i pesci li trovò morti.
Così disse alla mamma:
Mamma c’è freddo e i pesci erano morti di freddo poverini,
io per farli riscaldare ci ho messo l’acqua calda
ma loro invece sono morti lo stesso.
La mamma rispose:
Allora sei stato tu a farli morire!
E Giacomino si dispiaceva.
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STANZA 106
DI LILIANO MAMO RENZINO
Il pensieo umano, per prima cosa, vola ad una bella accogliente, allegra stanza in un
luogo di svago, forse di un luminoso lbergo. Ad una stanza dove non si vede l’ora di
entrare per potere mettere in atto quello che può essere il più bel gesto d’amore.
Niente di tutto questo, la stanza n. 106 di cui parlo è una piccola squallida, triste sala
d’attesa del S.E.R.T., dove giorno dopo giorno si alternano sempre più numerosi i
tossicodipendenti che hanno deciso di uscire dal tunnel della droga. E’ una sala
d’attesa triste dove non sipensa lontanamente di entrare e soprattutto di attendere. C’è
purtroppo una madre che attende, ma cosa attende? Non è capace di dare lacuna
risposta a quella che è stata una continua e frenetica attesa durata anni. Un’ attesa
piena di ansia, di tormento, di angoscia, di speranza, di preghiera. Si, perché in
momenti così tribolanti soltanto la preghiera è l’unico vero rifugio per non impazzire;
è l’unica ancora di salvezza a cui aggrapparsi per sé e per gli altri, specie, quando per
gli altri si intende il proprio figlio. Momenti di silenzio, di silenzio che piange, che
grida, che prega, che spera, che anela al miracolo: al miracolo della rinascita, del
ritorno alla vita e a quel sorriso radioso che illuminava quel giovane viso.
Speranzosa nella divina misericordia di Dio, quel sorriso illuminerà ancora quel
giovane viso. La preghiera di una madre suffragata da una profonda Fede deve essere
rivolta a Dio sia per il proprio figlio, che per tutti i giovani che tanto hanno sofferto e
continuano a soffrire. Affinché possano ricevere la grazia di uscire da quel terribile
tunnel che spietatamente li distrugge e li annienta.Meraviglioso è pregare e sperare
per il ritorno al prezioso dono della vita.
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LA PRINCIPESSA TRISTE
dI CRISTIAN SEPPI
In una contrada lontana, quando ancora esistevano i reami e i castelli dalle spesse mura e
dalle torri slanciate, viveva una bella principessa dai folti capelli color del rame e gli occhi verdi
come due smeraldi, ricchi di riflessi d’oro. Ogni sera, non appena il re Teodolindo VIII riteneva
che fosse ora di andare a dormire, la bella Roslinda non faceva mai i capricci: salutava con
affetto l’anziano genitore e si ritirava nelle sue stanze, infilandosi subito a letto. Quello, per lei,
era il momento migliore della giornata perché i suoi sogni erano sempre bellissimi: prati
sconfinati, dove l’erba, dello stesso colore intenso dei suoi occhi, danzava pigra e mossa da
un lieve venticello, migliaia di fiori profumati e dalle tonalità così intense che molte volte
neanche Roslinda riusciva a dare un nome al colore che vedeva, migliaia di farfalle che
danzavano leggere nell’aria solo per lei e, proprio al centro di quel prato, un castello di cristallo
alto e slanciato verso il cielo e con torri leggere come soffi d’aria.
Quello era il suo regno segreto, lì Roslinda si sentiva veramente viva; quando era sveglia,
invece, le spesse mura di pietra della fortezza di suo padre la facevano soffocare e sentire in
gabbia. Per questo motivo durante la giornata la giovane ragazza vagava triste e solitaria per il
palazzo e a nulla serviva che suo padre la circondasse di sontuose feste, di giocolieri e
menestrelli o di vivaci damigelle; ogni sera la principessa andava a dormire e tornava a
rifugiarsi nel suo mondo incantato.
Il giorno che il suo vecchio padre morì, Roslinda si ritrovò costretta a succedergli al trono,
impreparata ad affrontare i problemi di un regno vasto e florido. Governare non era facile:
c’erano leggi da elaborare e far rispettare, ponti e strade da costruire o riparare e questioni di
ogni tipo da risolvere, come le dispute terriere o i tribunali e, peggio di tutto, doveva
continuamente suggellare alleanza o rapporti di scambio con altri regni. La principessa sedeva
con occhi spenti sul trono lasciando che la giornata le scivolasse addosso con tutti i suoi
problemi in attesa che arrivasse la sera per poter finalmente tornare a rifugiarsi nei suoi sogni.
Alla fine, il suo ciambellano di corte, dopo che per alcuni mesi dovette subire questo
atteggiamento, esasperato dall’apatia della principessa, si chiuse nel suo studio e iniziò a
consultare vecchi libroni e antiche pergamene alla ricerca di una soluzione. Dopo alcuni giorni
di estenuante ricerca, si presentò a Roslinda e le chiese di trovare marito. Magari questo
l’avrebbe riportata in sé e i problemi si sarebbero risolti, ma la principessa si oppose con tutte
le forze: pianse, urlò e picchiò i pugni, ruppe anche alcuni vasi, ma il ciambellano rimase
fermo nella sua posizione, forte anche dell’editto che aveva scovato in una polverosa
pergamena che obbligava i reggenti a sposarsi entro il primo anno di regno.
Quella sera la principessa si addormentò sfinita dopo un lungo pianto. Nel sogno cavalcò uno
splendido unicorno bianco fin dentro i cortili del suo palazzo di cristallo, salì le scale fino alla
sala del trono e si sedette sul suo scranno intagliato in un prisma che scomponeva la luce in
mille colori su tutte le pareti; era pronta a ricevere i suoi fedeli sudditi per una festa in
maschera e una cena ricca di prelibatezze.
Al mattino Roslinda si risvegliò riposata e felice: nel sogno aveva trovato la risposta ai suoi
problemi. Per la prima colta dopo molti anni si alzò dal letto con il sorriso sulle labbra, chiamò
le serve e si fece portare il suo abito più bello e i gioielli più preziosi; si acconciò con cura i
capelli e danzò dentro una nuvola di profumo, poi fece convocare il ciambellano brontolone e
tutta la corte nella sala del trono per il primo pomeriggio.
Quando si sedette sul trono, Roslinda osservò in silenzio tutte le persone che aspettavano
nella stanza con un sorriso. Erano tutte lì per lei; aspettavano solo di sapere perché erano
state chiamate a corte. Lei lasciò che il silenzio si facesse sentire nel cuore di tutti e poi, con
un filo di voce, prese la parola.
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- ieri notte ho sognato che cavalcavo felice in un prato a dorso di un unicorno. Mi ha condotto
in un castello di cristallo dalle guglie esili e slanciate verso il cielo, nel fossato scorreva un
torrente di miele che zampillava da una sorgene sulle montagne dietro il castello.
A questo punto Roslinda interruppe il racconto e fissò tutti negli occhi, uno ad uno, con
espressione severa; poi, ad un tratto, riprese a parlare con voce talmente alta che rimbombò
minacciosa sulle alte volte della sala.
- Ho deciso che sposerò il principe che riuscirà a progettare il castello dei miei sogni entro un
mese; a lui donerò la mia mano e lo farò mio consorte nella conduzione del regno appena mi
avrà condotta nel nuovo palazzo dove ci uniremo in matrimonio. – E detto questo lasciò la sala
in uno svolazzare di seta rosa, inseguita dall’eco del ticchettio dei suoi tacchi.
Tutti i principi presenti nella sala rimasero ammutoliti, poi, digerita la notizia, si affrettarono a
lasciare la sala e a correre ai rispettivi castelli dove interpellarono i più famosi architetti per
farsi aiutare a realizzare quell’opera.
Esattamente un mese dopo la principessa riunì di nuovo la corte e si presentò per visionare i
progetti. Dopo aver visto cento modellini in scala non era per nulla soddisfatta: il palazzo non
era di cristallo, le torri non erano leggere o slanciate, l’erba non era della tonalità giusta e il
fossato non aveva miele.
Alla fine, quando tutti i principi ebbero presentato i loro lavori (o per meglio dire i lavori dei loro
architetti, visto che come tutti i principi non capivano nulla di costruzioni), dal fondo della sala
si fece avanti un giovane alto e magro, dal viso pallido come la luna e con gli occhi di un blu
intenso come il cielo di notte. Era vestito di nero fino ai piedi, e dai polsini e dal colletto
spuntava un pizzo raffinato e candido come la neve. Chiese alla principessa con un filo di
voce se avesse potuto presentare anche lui il suo progetto.
- Chi sei?- domandò il ciambellano che presiedeva alla presentazione.
- Sono un principe mio signore, vengo da molto lontano, da un regno che è di tutti ma non è di
nessuno: sono il principe dei sogni e ogni notte, a cavallo del mio asinello, spargo sul vostro
letto la polvere dei desideri in modo che ognuno possa avere un dolce riposo cullato da
pensieri e immagini da favola.
E detto questo scoprì il suo plastico. Roslinda ebbe un sussulto e rimase senza parole:
davanti a lei, in miniatura, si trovava il luogo dove per anni aveva vagato nei suoi sogni.
- Per te, mia signora, ho preparato una polvere speciale. – Riprese il giovane principe con lo
sguardo fisso a terra. – Ho catturato la luce delle stelle e ho estratto la purezza dei diamanti,
ho sciolto i colori dell’arcobaleno e ho aggiunto l’amore del mio cuore per donarti il mondo più
bello che una persona avesse mai visto.
Roslinda era senza parole. - Perché? – riuscì a chiedere con un filo di voce, mentre una
lacrima nera di mascara le segnava la guancia candida di cipria.
- Perché ti amo! Ti ho sempre amata fin dalla prima volta che ti ho vista. So che posso farti
felice e donarti ogni cosa tu mi chiederai.
- Per anni mi hai fatto vivere in un mando falso! – riprese la principessa piangendo a dirotto e
con la voce spezzata da continui singhiozzi. – Non sono mai riuscita a sentirmi bene nella mia
casa a ho fatto soffrire mio padre non riuscendo ad apprezzare i piaceri di una vita normale e
sentendomi sempre un’esclusa. Perché dovrei ringraziarti? – La principessa si alzò dal trono
di scatto e fulminò il principe con occhi di fuoco. – Vattene, sparisci per sempre dalla mia vita
e dal mio regno!
Detto questo, scappò nelle sue stanze piangendo a dirotto e coprendosi il viso.
Roslinda passò i mesi seguenti ad abituarsi a vivere nel mondo reale: organizzò feste e fiere
per il suo popolo, cercò di instaurare rapporti commerciali con i regni vicini. Iniziò a costruire il
palazzo dei suoi sogni dirigendo di persona i lavori e, appena fu finito, edificò tutto attorno un
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paese con case si madreperla e tegole di giada per il suo popolo. Tutti i sudditi erano felici,
ognuno ebbe un lavoro e la povertà scomparve dal suo regno.
All’età di quarant’anni i sogni di Roslinda erano finalmente realtà: andò ad abitare nel suo
nuovo palazzo e si sposò, ebbe tre eredi, un maschietto e due femminucce e regnò per altri
quarant’anni ancora, diventando la regina più amata di tutti i tempi.
Giovedì, 15 settembre 2005
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VOLA, FARFALLA
dI LENIO VALLATI
Sono qui,nella mia cella, e ascolto il lento trascorrere del tempo. D’un tratto, nella
grata in alto, vedo entrare una farfalla. Non me ne intendo molto, per me sono tutti
uguali, ma questa ha le ali grandi e colori meravigliosi. La osservo con ammirazione.
Come sei elegante! Vieni, farfalla, posati sulla mia mano. Parlami del mondo di
fuori, che ho lasciato da ben otto anni, e dell’aria oltre le sbarre. Parlami del vento,
che accarezza i capelli, e della libertà che ho perduto. Ero solo un ragazzo. Era
difficile, allora, nel paesino del sud dove abitavo, trovare un lavoro. C’era solo una
persona che poteva dartelo, e ti pagava anche bene. Bastava consegnare al tale un
pacchetto, nient’altro, ma senza fare domande. Quello che c’era dentro non ti doveva
interessare. Poi altre richieste, dovevi intimidire una persona, pestare il tale che non
pagava il pizzo. Ogni volta una prova sempre pù difficile da superare per la mia
coscienza, ma non potevo tornare indietro. Avevo i soldi per portare al cinema la mia
ragazza, i soldi per pagare la moto nuova, i soldi da portare a casa dove non
bastavano mai. Perché, padre, non mi hai avvertito allora di quanto sbagliata fosse
quella strada che stava percorrendo? Perché, madre, anche tu non mi hai avvisato?
Prendevi i soldi che ti davo senza fare domande. Eppure tu sapevi di quanto sangue
grondavano! Io solo ero ignaro di tutto. Ero una vela in balia del vento. Un aquilone
appeso al filo della giovinezza. In un giorno ho perso tutto, l’innocenza di chi non ha
le mani ancora sporche di sangue, la mia ragazza ,la libertà. Ho lasciato dietro di me
il profumo inconfondibile dei fichi d’india, delle zagare, delle arance. Il sole caldo
della mia terra.L’azzurro del suo mare. Oltre le sbarre la mia vita si è dipanata lenta
in questi otto anni, tra rimpianti e vane attese. I miei anni piu’ belli sono ormai
passati. Ancora otto ne debbono trascorrere perché possa tornare libero. Ce la farò,
farfalla? Riuscirò a resistere alla tentazione di lasciarmi andare, di rinunciare a
lottare?E’ facile, sai, arrendersi al tempo, non contare più i giorni, gli anni,
dimendicando chi sei.Qui dentro non esiste primavera,estate,inverno,c’è solo
l’autunno con le sue monotone gradazioni dal bianco al grigio che ogni giorno ci
annega l’anima. Scappa farfalla, scappa,vola via oltre le sbarre tu che ancora lo puoi,
tu che sei libera e innocente come l’aria.Non lasciare che il grigio di questa stanza
assorba i tuoi colori e la tua voglia di vita.Quando uscirò da qui non sarò piu’ un
ragazzo. Sarò un uomo fatto.E sarò solo,solo come un cane,enza quella famiglia che
da anni non viene piu’ a trovarmi e senza la ragazza che da qella tragica sera non ho
piu’ rivisto.Riuscirò a tovare un lavoro,oppure mi rinfacceranno tutti di essere un
assassino? Eppure fra otto anni avrò pagato tutti i miei conti fino all’ultimo, non avrò
più debiti con la giustizia. Potrò affermare di non essere più la stessa persona che ero
sedici anni prima. “Sono cambiato”, potrò urlare in faccia a chiunque. Ma nessuno mi
darà fiducia. Nessuno mi aiuterà. Se hai sbagliato una volta puoi sbagliare altre cento
volte, perché fidarsi di un ex carcerato? Tutte le porte si chiuderanno ai miei pugni
vuoti, sarò costretto a rubare o a raccomandarmi di nuovo a quella gente. No, non ce
la farò mai, farfalla mia. Vola, vola oltre le sbarre, tu che ancora lo puoi, lasciami
solo al mio destino. Ma tu continua a volare per questa angusta stanza come se niente
di qui dentro ti possa nuocere. I tuoi colori sono più vivi che mai. Forse tu sei la mia
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speranza, forse sei il segno che si può sopravvivere al griggiore di questa vita che ti
consuma ogni giorno. Forse sei venuta per portarmi fuori di qui. Grazie, farfalla mia.
Non mi arrenderò. Conterò ogni minuto, ogni secondo che mi separa dalla libertà. Ce
la farò a tornare di nuovo libero. Tu, intanto vola, vola di nuovo oltre la grata, tu che
già da adesso lo puoi e aspettami al di là di quel grigio metallo. Non respirare l’aria
chiusa di questo luogo di espiazione, tu che sei innocente come l’aria. Potresti
assuefarti ad essa e non avere più la forza di volare via. Potresti perderti tra queste
grigie mura. Stà tranquilla, un giorno ti raggiungerò. Mancano solo otto anni, che
cosa sono in fondo otto anni rispetto alla vita che ancora mi resta? La farfalla intanto
si è adagiata nel palmo della mia mano. Sembra che dorma. Il rosso e il giallo
spiccano nel griggiore della stanza. Macchie scure sulle ali le donano eleganza. Mi
guarda con quei suoi occhietti neri posti alle estremità delle antenne. Sembra fatichi a
respirare. Vola, farfalla, vola, vola oltre quella grata, tu che ancora lo puoi, tu che sei
innocente come l’aria. Ti raggiungerò un giorno, te lo prometto. Non mi arrenderò a
questa vita grigia che mi consuma ogni giorno. Apro le mani e la lancio verso l’alto,
come per darle la spinta per volare, vola, farfalla, vola mia sola speranza di libertà,
ma l’insetto ricade mollemente a terra. La raccolgo e la riadagio nel palmo della mia
mano. E’ morta.
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POESIE
IN ITALIANO
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1° CLASSIFICATO
MONTELEONE CARLO
SI LEVA UN AQUILONE
Si leva un aquilone
Sulle tegole, a balzi,
verso l’azzurro.
Stupita l’osserva
una lucertola al sole.
Tubano rumorosi
sotto il tetto
i colombi
e le lnzuola stese
un alito di vento gonfia.
sulla porta di casa
nel vicoletto seduti,
due anziani
prendono un po’ d’aria.
Stacca due foglie di menta
la donna
dà, poi , l’acqua al geranio.
Racconta una vecchia favola
al bimbo
il nonno,
ricorda di sé,
quando piccolo era
ed insieme,felici,
guardano il cielo di maggio.
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2° CLASSIFICATO
INCUDINE ADA
LA DOVE SCNDE IL FIUME
Là dove scende il fiume
e la valle si apre nel fulgore del sole che sbatte al cielo come
un uccello in gabbia
Là fra erbe selvatiche salici e felci e sassi verso il greto del fiume
Là nel bacile di pietra scavato dall’acqua
mio padre si radeva specchiandosi narciso
La vita ruvida guizzante nei muscoli nella canottiera nei pantaloni di lana anche
d’estate
nella cintura di cuoio tirata stretta stretta e nelle scarpe con le suole alte un dito che
duravano una vita
la giovinezza l’ardore e la forza,
una manciata di secondi.
La pelle dorata il sapore di maschio sudore la mano a ravviare i capelli
corvini e quel sorriso del sud così bianco da sbaragliare la notte
tutta la vita
nella barba che cresce rapida come l’ombra nei vicoli stretti
ma
così stretti che passa a stento l’asino e la fila delle donne con la cesta in equilibrio
sulla testa
Là in quella vita di pomodori seccati al sole di muretti bassi l’odore vivo
del pane a legna e la ricotta tiepida nel vimini
Là nelle corse polverose e nelle scazzottate dei giovanotti
alle prese con i baffetti e la scoppola
Là fra i pergolati d’uva fragola e le mani sotto le prime sottane
Là nel bacile di pietra ti guardo e tu guardi
la figlia che sarò
Là nell’acqua fresca dove cade la luce
ti vengo a cercare.
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3° CLASSIFICATO
MAGI SIMONE
DISTACCO
Calato è un oscuro sipario
Su ciò che era candore.
Sfumati sono ormai gli ardori,
seppur corrotti dai ricordi,
di ciò che era
ed ora è sepolto nella indifferenza.
Soprattutto le pagine non ancor scritte
rappresentano un dolente rogo
che non si estingue.
Frantumata è ora la mia stabilità.
Si è riaperta l’originale ferita,
marciti sono i frutti ed avvizziti i fiori,
in deperimento i miei sentimenti.
Ma il mio spirito è ancora riarso di …infinito…
Seppur
colmo di tristezza
per l’indifferenza che si annida nella tua coscienza.
Svanito è l’incanto,
che ora scorre assai arido.
Funesta è stata questa passione.
Vorrei ancora credere nella tua tenerezza,
dimenticare il tuo esiziale addio,
ostile, ribelle alla mia adorazione.
Ignoravo i segreti latenti fra le tue spire,
pensavo anzi di aver raggiunto la profondità dei tuoi abissi,
credevo di sapere chi eri
eppurer mi hai strppatoda te.
Sono esiliato a nascondermi nella mia solitudine
e costretto a nutrirmi di essa.
Non mi resta che circondarmi
di effimere fantasie,
di sbiaditi sogni rincorsi,
di immagini evanescenti.
Spero un giorno di poter nuovamente raccogliere
i brividi
del tuo sguardo.
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E IN ORDINE ALFABETICO
BELLANCA GIUSEPPE
SERA
Sera,
come sei nera.
Sera di primavera,
profumo di viole.
Sera.
Bisogno di solitudine.
Mi siedo
Col desiderio di imparare:
lo sguardo cerca le righe,
ma il pensiero vola
nei ricordi del passato,
E mi accorgo che il tempo
È corso velocemente.
Come avrei voluto
Che tu fossi andato
Piu’ lentamente,
ma sordo
non ti curavi di me.
Ma anche adesso
Sei rapido:
è già notte,
le mie palpebre si chiudono.
Reclino il capo,
Ed è già domani.
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CARDILLO ANNA MARIA
COME UN AQUILONE
T’ho insegnato da subito
quant'è bello volare da soli,
ma, di nascosto,
come un grande aquilone,
ho legato te con un filo
al mio polso:
un filo che sparisse nell’aria
ma che sapesse dirmi dov’eri,
capace di far vibrare le dita
al tuo solo tremare lontano.
Un filo robusto e tenace
ma docile al vento,
sicura di poterti venire a cercare
se ti perdi nel buio e nel tempo,
per ovunque segnarti un ritorno,
per parlare comunque al tuo orecchio
con tocchi discreti e lontani.
Un filo assai lungo
che la vita dipana
ogni giorno di un tratto
e che io, di quel tratto,
la notte riavvolgo…
si chè il tuo aquilone
mi appaia di nuovo
volare nel cielo
aprendo ogni giorno
occhi e cuore di madre.
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CATALANO PIETRO
IL MONDO SCONOSCIUTO
Che giorno è mai questo,
quando vedi suonatori
di flauto fra strade affollate
e nomadi che chiedono qualcosa
a passanti frettolosi
che guardano l’orologio della vita
correre piu’ veloce dei loro piedi?
Dove andranno la sera questi uomini,
quale casa li inghiottirà
e chi li aspetterà ansioso
di trovarli ancora vivi, nell’anima
ciascuno consuma la giornata
pensando a quella successiva,
ma il tempo presente
rintocca lo scorrere della vita.
Chi saranno mai quegli uomini
che incontri la mattina,
quali problemi, quali sentimenti, quali speranze
abitano nei loro cuori?
Ognuno è solo dentro abiti
fabbricati da altri sconosciuti,
eppure siamo tutti così vicini,
stretti negli aliti
dei vetri appanati la mattina,
ma così lontani
come mondi sconosciuti.
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CARLA CAVALLO
CONFRONTI
Gioia:
di grida e schiamazzi,
Dolore:
tonfo sordo
di ginocchia cadute al suolo,
di lacrime salate,
nel silenzio maledetto.
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CERBONE GIUSEPPE
XXVI . III
Contorto e rannicchiato
su di una sedia scomoda
fra la violenta voce
delle retoriche insulse.
Lo specchio dorato
Velato da un candido lenzuolo
Il viso fra le mani
Gli abbracci di persone dimenticate.
Dall’eleganza del tuo letto
Mi ascolti silenziosa
Con l’ingenuo sorriso
Dipinto cupo sul tuo volto.
Tra le braccia composte
Non hai piu’ caramelle
Ma un rosario amaro
Che non puoi regalare.
Col capo chino
Ti accompagno nel lento supplizio
Fra lacrime aride.
Né croci né incensi
Risvegliano respiri
Soltanto sinistri rintocchi
Ti abbracciano indicandoti la via.
Nel buio del legno
Sommersa da pianti di terra
Io vedo i tuoi occhi.
Con le mani raccolte
Nascondo il profumo
Che hai appena indossato.
Mi sorprendo a tenderti la mano
Mentre cammini con fatica
Per donarmi una carezza.
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GIORDANO ANTONINO
STOLIDANZA
Ma sono io,rugoso e incanutito?
Io sono riso,ardore e giventu’.
Ma il tempo m’ ha corroso e sbalordito
Mi guardo e non mi riconosco piu’.
Ieri guidavo in macchina e impettito
Stavo al volante e m’hai guardato tu.
Poi m’hai detto:”Che fai,rincoglionito?”.
Bella fanciulla, fiore di virtu’,
m’illudevo d’averti il cuore infranto,
credevo di piacerti ancor financo,
della tua attenzione farmi un vanto.
Volevo ancora un poco strti accanto,
chiedevo stare ancora un po’al tuo fianco,
cosi’ ho sbattuto al muro, Cristo santo!
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GUGLIUZZA SALVATORE
SENZA QUELLA POESIA…
Io,uomo senza piu’ attese né speranze,
senza quell’amore che nell’anima ha
il colore dei tuoi occhi e la forma del
tuo viso,senza quella poesia nel cuore
che regala solo inganni e nostalgia,
aspetto la notte ch non mi regala piu’
né sogni né sorrisi e la mia solitudine
si perde fra il buio delle illusioni mentre
la luna si immerge lentamente nelle
mie lacrime tra polvere d’amore e
stelle quasi spente.
56
INSERAUTO SALVO
IO E TE
Io e te
E tutti i nostri anni,
i palpiti,le vibrazioni,
i trascendenti momenti
dentro le emozioni.
Io e te
E i giorni tristi
Quelle delle gioie spente
Che si consegnano al dolore.
Io e te
Sempre li’,pronti a ripartire,
a volare senza ali,
ad accorciar distanze
fra il vivere e il sognare.
Io e te
Contraccettivi dialoganti
Fra i problemi degli umani,
ombreggiati di vergogna
per quella gente d’Africa
morente o malandata,
impotenti alla politica omicida
senza alcun viagra.
Io e te
Nelle lunghe notti
del silenzio d’oro,
in quei concerti intensi
pausati da latranti crome,
distesi sull’accattivante pentagramma
dove voluttuose note
porgono fianco
al partorir delle parole.
Io e te
Affascinanti e affascinati
In quel goder mentale
Così avvinghiati, con dolcezza,
senza stuprare.
Io e te
E la nostra storia,
innamorati e amanti
verso il futuro,
mia fedele poesia.
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LAZZARA ANDREA
COME UN FIUME
Alle tue amate sponde,
o argenteo fiume
ove allora si specchiava il firmamento,
affidai,
turbato,
ricordi e sensazioni
della mia primavera di vita.
Troppo siete rimaste nell’oblio,
soli senza essere ricordati,
consolati dallo scorrere
instancabile e pacifico
delle perenni acque.
Sono tornato,
ma non vi ho ritrovati.
Quelle stesse acque in piena,
tra vortici e correnti,
come un turbine di vento,
vi aveva trascinati,
verso il mare,
nel grande mare.
Vi ho cercati,
ma eravate lontani,
vivevate confusi ad altri ricordi.
Ricordi che non mi appartengono.
Avevate solcato gli oceani,
toccato terre lontane,
senza trovare padroni,
finchè siete approdati
alle spiagge della mia vita.
Vi ho riconosciuti tra tanti,
avete saziato la mia nostalgia,
dalla quale mi credevo libero
in giovane età,
ma che ha contagiato la mia mente
negli anni della saggezza.
58
LEGGIO GIUSEPPE
CHIQUITA
La figlia di Paulo
ha indosso un vestito turchese
la pelle bianca, rosa il sorriso
tenue, ed il nero, le trecce e scarpette
pulite, profuma, piano, senza rumore
ora conta, fino a dieci
e il suo nome scrive sui muri,
piange pure e mangia le more
la figlia di Paulo
ti guarda, ma sente freddo
tra i morti di Rjo.
59
LILIANA MAMO RANZINO
QUELLE DUE VUOTE BARCHETTE
I verdi anni, gli amori,le gioie,
le rosee terrne speranze
sono svanite nel tempo,
ma non naufragate
nel tempestoso mare della vita.
Sono rimasti,infatti, ricordi
Che i permettono ai nostri i cuori solitari
Di affrontare,imperterriti, marosi.
Siamo come quelle due barchette vuote
Che mute,silenziose,
si lasciano cullare,
ma non tavolgere
dalle onde tempestose del mare.
La nostra vita non resterà
Del tutto vuota e priva di senso
Perché piena di eterna,
misericordiosa speranza.
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LONARDO ANTONIO
AUTSIDER
Policromia dell’esistenza,
incrollabile empireo
di una vita vissuta
a coniugare costantemente
la forza delle idee
con il turbinìo dei tempi…
Caleidoscopica luce,
venuta dall’Oriente,
ha attraversato i deserti
dei cuori induriti,
scavalcando i muri,
caduti con le ideologie.
Desideroso di vita,
ha baciato, estatico,
le orchidee trasparenti,
fecondate dall’amore
e protese nel tempo
a raggiungere il cielo.
Strabilianti coincidenze,
profeticamente scatenate,
di pericolosi attacchi
miracolosamente superati:
eroismo decretato
dalle masse festanti
Coraggiosa volontà
d’inginocchiarsi alla storia
e chiedere perdono
di macroscopici errori:
costante paradosso
di tempi ormai superati.
Universale visione,
ha valicato confini contratti,
inchinandosi a qualsiasi terra,
per avvicinare l’umanità
alla radice comune
di un’unica origine.
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Incessante torre orante
di visione geo-trascendente
per disincantare i temuti silenzi
di un Dio certamente offeso
da insensati conflitti
scatenati da supposti moventi.
Dolorosa esistenza
del corpo e dello spirito:
assurda miopia di gruppi,
provvidenzialmente sconfitti
da miracolosa resistenza
decantata dalla storia.
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LO DATO FRANCESCA
BELLEZZA IN CUCINA
Oh che bellezza in cucina,
con cipolla e cipollina,
che sono le regine della cucina;
l’aglio ha l’alito cattivino,ma il gusto carino
la melenzana cheè un bel pranzetto
la mangiamo volentieri che è gustosa e fina,
la zucchina è leggerina nel nostro corpo tanto effetto fa
carote e prezzemolo sa fare un bel piatto,
chi li può mangiare si diverte e questo il fatto,
patate,prosciutto,riempi il tuo piatto dappertutto,
le carciofe pungono davvero ma è un frutto che
non perderemo,
e oggi tutti a tavola li porteremo,
e quando non c’è né li li cerchiamo ma perché?
Perché è il frutto piu’ gustoso che c’è.
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MORTILLARO DANIELA
I SEGRETI DEL’ANIMA
I segreti dell’anima si inabissano nel nostro io
e rendono questa vita altalenante tra il cielo e la terra.
Trema sotto i piedi il cuore mentre un grido muore in gola…
e trema, trema tutto il tuo corpo.
I traditori sono qui, sono accanto a me
e respirano la mia aria…
la stessa aria inquinata dal loro dire
e dalle gocce di sangue traboccanti da ogni fessura.
Brandelli di carne e di vita ci abbandonano
Settanta anni prima dell’ultimo respiro.
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NOTO ALBERTO
DEMETRIA E LA FALCE SMARRITA
Partì subito Demetra,
Dea della fertil terra,
con uno sguardo mest
ed una faccia tetra,
alla ricerca della figlia tanto amata,
rapita a sua insaputa,
mentre sul suo trono era seduta.
Con la falce tra le mani,
simbol delle vestigia sue regali,
il suo viaggio iniziò
e in lungo e in largo
la vergin figlia cercò.
In Sicilia ormai era giunta
stanca spossata e affranta,
che la mente sua vacillava,
mangiar e ber da tanto le mancava,
e se chiudersi gli occhi suoi pur si sentiva,
di quel dì
d’esser partita mai si pentì!
Presto le sue mani allentarono le prese
ed attonita vide cader giù il regio arnese:
“addio falce, scettro regnante”!
il mio destino
mi perseguita ogni istante!
Questa è la storia
che la leggenda ci tramandò
che dove la falce,
simbol delle messi si posò
Trapani nacque ed ivi si fondò.
65
PASSAFIUME CLELIA
SGUARDI RUBATI AL TEMPO
Incroci di sguardi,
rubati al tempo,
si confondono, si alternano,
come linguaggio
espresso da un desiderio
che incita al ravvicinamento,
fuori dal divieto.
Sguardi che si cercano,
si scrutano, si eccitano, si provocano;
gli stessi sguardi
che si perdono,
quando l’anima
utilizza altro
per esternarsi escludendo il silenzio.
Sguardi che erano felici,
di credere nella vittoria,
di illudersi reciprocamente
di volare a alta quota
sopra ogni problematica dimora,
alla vista di una evoluzione relazionale
di una meta che le aspettative ha consumato.
66
PERCIACCANTE ALFREDO
VITA….. NON VISSUTA
Andare verso il mare…
come un poeta
alla ricerca della sua Musa ispiratrice
nel ricordo di un passato non lontano…
di una musica che si disperde nel vento,
simile ad un gabbiano nell’immenso.
Sedersi sulla riva…
davanti al silenzio
ascoltando il dolce sciabordio dell’acqua,
che lambisce i piedi ormai nudi.
L’attimo d’un ricordo…
fa ritornare il panico,
poi tutto passa…
rimane solo il rammarico
per una vita… non vissuta.
E’ la mia vita!
67
RUNFOLA CRUCIANO
LA PRINCIPESSA DI VIA MERLO
E cosi’ te sei andata ,amore mio
Mia principessa,mia regina,mio angelo
Di fronte ad un destino crudele,
Ad tremenda malattia niente
È possibile.
Ti ricordo rinchiusa nella stanza
Piu’ remota, nella casa piu’ alta
Di via Merlo, ed io Shrek
Ti liberavo al suono di un campanello
E nella notte fuggivamo
Col cuore colmo di gioia.
Infine con la Birilulmina a mille
Superate hai le spondine del talamo ultimo
E mentre ti trattenevo ho sentito
Il bacio piu’ dolce della mia vita
Come se Diostesso si fosse
Su di me chinato.
Mi laci i tuoi geni scorazzanti
Che vivono nel tuo amore,Mamma,
Ed un cuore colmo della tua assenza
Mentremi attardo fissando
Dal piazzale della scuola
La mia montagna e il cielo
Sperando di vedrti,amore mio
Cosi’ come tu certamente vedi me.
68
SANCES SALVATORE
TERRA
Notte!
Notte come tante!
Non solo in una notte,
ma in tutte quelle andate,
tu terra, hai rivisto sempre la luce!
Polvere e gas, ruotavi attorno a stella
mirando ad una unione
che volge a progetto
di uomini oggi.
Una molecola
nata chissà come
venuta chissà da dove
ha riprodotto finalmente, se stessa!
E’ Vita!
Ma Vita brevissima
E contorta nel cammino!
Che sei Vita al cospetto del tempo?
Pari a staffetta, tu, Vita,
mentre in uno lasci in altro compari.
E così, sempre!
E con intervalli cortissimi!
Ho visto un ficus,
campa mille anni!
Perché io, uomo,
ho un passaggio più breve?
Ha una pianta
Un pensiero, una morale
Ed un compito cui assolvere
Più nobile o complesso del mio?
Se nulla ci crea, nulla si distrugge,
tutto è e si trasforma
cosa sarà stato di me?
Cosa sarò?
69
E tu terra che ti muovi attorno al sole
E con il sole nella galassia
E con la galassia nell’universo
Sfidando le leggi del tempo cosa sarà di te?
E della VITA dancerina, beffarda e puttana,
quando tu, sole, non darai alimento
quando anche tu, sole, cadrai nell’eterno riposo,
cosa sarà di Lei?
Lui sa!
70
SANGERVASIO ANTONIO
COME BLOCCATI
Siamo inganni
Metamorfosi di immagini
Intaglite nei ricordi,
ferite non chiuse
di un amore oscurato dall’autunno,
chiodi in un muro maestro,
fermi immagine del sempre continuo incessante sperare,
l’ingresso vietato
per chi non sa desinare
vizi e virtu’ scomposta in tasselli,
bloccati dal vento
nelle eclissi di ogni
promessa sfumata.
71
VALLATI LENIO
ALBA E TRAMONTO
Tu sei l’alba
I vestiti
Ancora aspersi di rugiada
Nel cuore i misteri della notte
E negli occhi luccichii di stelle
Io sono il tramonto
Foglie secche nell’anima
E negli occhi
Rosastri bagliori
Di un sole cadente
Ma dentro sento
Tanta voglia d’amare
Com se io e te
No fossimo poi
Cosi’ diversi
In fondo
Soltanto il giorno ci divide.
72
POESIA
IN DIALETTO SICILIANO
73
1° CLASSIFICATO
GIORDANO ANTONINO
BALLATA DI LIBERO GRASSO
Iu vi cuntu la storia di chistu
E di tutta a so povera genti
Ca si misi, stu poveru cristu,
n’testa di non pavari tangenti.
Viria fimmini senza manciari,
iddu avia n’anticchia di sordi
e vuliva li fari fruttari
senza fari cu l’autri accordi.
Una fabbrica sennza pritisi,
cu na pocu di bravi operai
che facianu beddi cammisi
ca speranza di un chiuriri mai.
Li negozzi accattavano a robba,
iddu buonu pagava la genti,
la famigghia cu i picciuli addobba
ed aviva i so boni clienti.
Ma ‘un si pò travagghiari in Palermo,
un ti po’ sulu rumpiri i rini;
si un vò stari immobili e fermo
a’ trattari cu li malandrini.
E l’industria e u commerciu? Minchiati!
Ci su tanti persuni sfriggiusi
Ca proteggiunu essendo pavati
E s’un paghi ti fannu i pirtusi.
Si nun paghi, si si abbutatizzu,
ti rialano i testi i craprettu.
Ca vordiri”si un paghi lu pizzu
Ti sparamu n’to mezzu du pettu”.
“Sugnu onestu, picchi’ ma scantari?
Iu non l’aiu vagnatu u carbuni
Sugnu libero ed a’travagghiari,
senza aviri cavigghi e patruni”.
74
Ma la notti lu cori si schianta,
l’arma sua ridiva e chianciva,
ca ddu jornu a nu pezzu i novanta
ci avia fattu una gran negativa.
L’omi giustu s’avà ribelari
E lu scantu nun movi giustizia
Cu si scanta si fa supraffari
Ci av’a esseri unu ca inizia.
Puvireddu, st santu cristianu
Ca cririva di smuoveri l’armi
Ca rifiuta cu appara la manu
Cu risorvi li casi cu l’armi.
Sona a sbegghia e si susi du lettu,
accussi scinni prestu a matina.
Un curnutu ci spara n’to pettu.
Iddu soffri, però si trascina
Nuddu viri e poi nuddu s’affaccia.
Li curnuti ci sparanu n’testa.
N’to cimentu iddu sbatti la faccia.
Lettu i morti a cu fici protesta.
Tuttu chianci ma fabrica chiui,
iddu puru si nchiui n’to tabutu.
Nienti cancia s’un vulemu nui;
puru tu caru miu si futtutu.
Lu cantavi, facennu un duviri
D’omu apertu ca parra n’ta chiazza
E cu vuli mi da dà centu liri,
pi la storia d’un omu di razza.
75
2° CLASSIFICATO
BARONE NINO
ALLURA SCAPPU
Lu dicu a tutti beddu chiaru e forti,
chi ‘nta sta vita cchiù nun si fatica.
Li gnuni chini avemu darrè li porti,
nun manca nudda cosa, granni o nica.
Ni lamintamu poi d’a malasorti,
chiancemu sempri comu li nuddica.
La virità?- Di dintra semu morti,
nun semu degni di la storia antica.
Chi ‘nzignamentu damu e nostri figghi,
chi sunnu sazzi, nun fannu preu a nenti.
E cchiù ci duni, cchiù ti li cattigghi,
mi pari a mia c’arrestanu scuntenti.
Quantu sprecu chi c’è ‘nta li famigghi,
ci pinzamu a cu pati veramenti?
Avemu ‘n tàula, si, li megghiu trigghi,
avemu tuttu, ma un canuscemu stenti.
Persi gustu, la vita, ‘u sò valuri,
di sti tempi è facili campari.
Ma nun senti cchiù l’aroma, lu sapuri,
paremu pupi senza li pupari.
Allura scappu, sta vita mi distruri,
‘nta dda vanedda mi vaiu a cunzulari.
Dunni li petri ni parìanu ciuri,
dunni virìa li strummali firriari.
76
3° CLASSIFICATO
AIELLO VINCENZO
CARRETTU SICILIANU
Chiddu ca pi mè nannu Petru era
prima nicissità p’ù sò travagghiu
addivintò pi nuatri ‘na bannera
e opira d’arti ‘n’ ogni sò dittagghiu.
La rota ‘un scrusci cchiù nta la pirrera
ma musica li canti ‘i carrittera.
Li vidinu sfilari ammàarati
li furasteri e tutti ‘i paisani
comu giuielli rari sù ammirati
p’ì festi d’ì citati Siciliani.
Supra ‘i barruna li testi ‘ntagghiati
e nto sidduni giumma culurati.
Li masciddara sunnu quatri fini
pittati d’ì Ducatu ‘i Bagarioti
Orlannu cu Rinaldu spadaccini
si movinu ch’i mossi di li roti.
Di sita svintulìanu li nastrini
specchi e giummidda ‘i lana a pallini.
C’è lu rituni misu a pinnuliari
sutta d’ù tavulazzu di davanti
pi mantinìri all’ummira ‘u manciari
l’alivi e un vastidduni p’ì viaggianti.
Vacìli pi l’armalu abbivirari
bùmmulu e varrileddu pi tummàri.
A pinnuluni sutta d’’u casciuni
p’ì notti ca nun c’er’a luna china
ncucciat’on croccu c’era lu lampiuni
e p’attaccari ‘u cani la catina.
Splenni lu giallu d’’u nostru lumiuni
e di li sangunelli l’aranciuni.
L’asti sunnu du vrazza d’alligria
c’abballanu ‘na bella tarantella
cu musica ‘i cianciani c’arricrìa
e lu cavaddu abbrazzanu d’à bella.
E ogni tantu all’aria si sintìa
lu scrùsciu di la zotta chi scattìa.
77
Comu na cosa di granni valuri
cu nn’avi unu strittu si lu teni
si lu mmizzigghia e ‘allustra a tutti l’uri
com’a nu figghiu ad’iddu voli beni.
E di li nostri nanni lu suduri
scinni e abbivìr’ad’iddu com’un çiuri.
78
E, in ordine alfabeto, tutti gli altri che hanno partecipato a questa sezione del
concorso.
GIUSEPPE BELLANCA
LU MO PAISI
Stasira ti staju taliannu.
Vistu di cca mi pari u presepi
O paisiddu mi.
Terra di viddani e di miniatura
Ca lu duru pani sanu scuttatu.
Sangu nustru a datu
A li paisi frusteri.
Lacrimi e dulura ppi sti dipartiti.
Ma stasira ti vju biddu.
Ci joca anchi a luna.
E lu me cori batti forti.
79
DI GAETANO ENZO
SIGNURI PENSACI TU
Ringraziu u Signuri e la Maronna
Si la me penna ancora scurri linna
Quannu nta menti cosa bbona abbunna.
Ma su sempri cchiù picca sti mumenti
Sintennu a comu si cumporta a genti.
Ma su tutti mpazzuti?
U ranni ca t’ammazza u picciriddu,
e u pedofilu ca s’approfitta di iddu,
u Kamikazi ca si fa satari,
purtannu luttu e morti tra la genti
ca sunnu da e un centrinu pi nenti,
a fimmina ca mbagnu partorisci,
possibili ca chista nun capisci
ca cu è chi nasci si lav’addivari?
E invece nzoccu fa? Lu va a ghittari.
Tant’anni ziti si vannu a spusari
E dopu pocu tempu si vonnu divorziari.
Ma è a fini ru munnu?
Oh Signuruzzu misericurdiusu ca tu sti cosi
Certu li po’ fari,
v’acchiappali pa manu a tutti chisti
e portali a to casa a meditari,
picchì si si cuntinua cu sti cosi,
cugghiemu tanti spini e picca rrosi,
na grazia l’addumannu a tutti i santi,
pi la me testa fari addurmentari,
ettu la penna e mi vaiu a ripusari.
80
GAGLIANO MICHELE
L’EMIGRANTI
Lassava tutti li so cosi a lu paisi:
la casa cu la famigghia;
l’abbitudini e tuttu lu munnu so.
Era siddiatu assai,
si taliava ‘ntunnu ‘ntunnu
caminannu dintra ddà stazione,
si sinteva nicu nicu,
si macinava di dintra e dintra
dumannannusi pirchì?,
Pirchì sta pinitenza?
Si sinteva comu ‘n’arvulu
stradicatu di la so terra,
avia l’occhi lustri e nun si fidava
mancu a diri ‘na parola.
Attaccatu cu ‘nu pezzu di rumaneddu,
avia ‘nu cartuni pi valigia,
partia pi nautru munnu
chiù riccu, chiù modernu.
Acchianava supra ‘nu trenu
ca centu voti ‘nta li so sonni
avia incutu di spiranzi.
Di ‘nu finistrinu di lu trenu, ora vidia
l’occhi di cu già aspittava lu so ritornu:
mugghieri, matri e picciriddi so.
Partennu si purtava li so spiranzi,
lassava lu cori e l’anima so.
81
GATTO CONCETTA
U MARITU LAMINTUSU
Mi susu a matina
E mi fazzu la cruci
Spirannu ca jurnata
Passari duci duci.
Pinsannu a me maritu
Mi mettu lu falaru
E cu tanta pazienza
Mi mettu a travagliari.
Ci lavu a cammisa
Ci stiru u pantaluni
Pi fallu caminari
Pulitu comu un baruni.
A menzujornu poi
Priparu lu manciari
Arriva u mariteddu
E si po’ sazziari.
S’assetta o tavulinu
E si metti a manciari
E poi adagiu adagiu
Si metti a lamintari.
Mi dici ca è salatu
Cu assai pipareddu
Ma giuru ca c’occhi journu
Ci tiru lu tianeddu.
Tra murmuri e lamenti
Finisci la jurnata
Ma prima di durmiri
Mi duna ‘na vasata.
82
IMBURGIA SALVATORE
ONOREVULI
Onorevuli illustre si tu,
ca li me voti iavi circannu
chiancennu comu vanniannu
p’acchianari ‘nto Parlamentu.
Ora ca puru acchianari facisti ,
po diri sempri a li to parenti,
ca surari facisti e grannhi stenti
p’aiutu dari a cu tu prumittisti.
Ma na vota ca ‘dda t’assittasti
Nun pensi a chiddi ca pi ttia vutaru.
Ma sempri iu sugnu chi votu e parru:
susiri t’hai unni u culu affunnasti
83
SALVO INSERAUTO
ALIVOTI
Era di sabaturia, di prima sira
avia scinnutu p’accattari ‘u pani,
quannu vitti a punta ‘i cantunera
du’ picciuttazzi ca, sutta li me’ occhi,
s’abbiavanu a scippari n’anzianedda;
d’istintu, fici n’tempu
a tirarimilla a mia versu lu muru,
jttò vuci la fimmina scantata
e li scagnuttazzi supra li muturi
accilliraru e nun li vitti chiù.
Grazii!Dissi abbrazzannumi ‘ vicchiaredda,
lu Signuruzzu t’avi a binidiri,
e vidennu ca s’avia arripigghiatu
l’accumpagnai ansina a la sò casa.
Fici pi riturnariminni dintra
Quannu ‘n facci a mia,
vitti arreri li malacarni ‘ i primaù
cu autri beddi ‘ mpigni di cumpari
puntari drittu versu di mia;
lestu lestu, cu li peri n’culu,
scappaiu currennu a tuttu ciatu
assicutatu d’iddi, semri darreri,
io cu lu me cori ‘ mmucca mi vutava
e chisti sempri chiu vicini,quasi a tuccari,
finu a quannu ‘tisi ddi manazzi ‘i supra;
era già n’terra, m’avaianu pigghiatu.
Cuminciaru a fetiri ‘i lignati,
quantu cavuci scippava mentri dicianu:
“accussì t’insigni a ‘un t’ammiscari”
E cafuddavanu comu m’pazzuti.
Iu, cu li me vrazza circava di pararimi,
a mè cammisa rea ‘nchiappata ‘i sanguùe iddi, sempri ‘na frasi:
“accussì t’insigni a ‘un t’ammiscari”.
Nun si vidia nuddu e nuddu s’ammiscava,
li vrazza chiù nun li putia isari
e quannu ormai p’arennimi mi stava,
‘ntisi un gran rumuri, mi taliau ‘ntornu
Ed era sulu, comu un allallatu.
Ma ci criditi vuatri?
M’avia sulu ‘nsunnatu!
Viditi? Alivoti campari
È chiù bellu di sunnari.
84
LEGGIO GIUSEPPE
VI CUNTU LA PACI CU L’OCCHI APERTI
Un gniornu di frivaru furturusu
bianca na palumma circava lu riparu
puvuredda, un truvannu a destra e a mancusa
ne cornici e finistruna, ne purtusa nta lu muru.
Di luntanu, mmenzu la bufera
s’addunau d’un nidazzu di sparveri
autu, spinusu supra n’ilici quartara
“comu purtarisi o cippu” pinsò “megliu un ci iri”.
Ma a lu stremu di li forzi ormai arrivata
cu putittu puru ora scummiglienti
turnari appi, arreri pi dda strata
e tuppiannu addumannau di questanti.
“Sugnu palummedda già spirduta,
e ora preu a vossia, d’ascutari
appizzu lu me secutu e vi sugnu ubbligata
di quattru muddichi m’accuntentu vulinteri”.
“Cummari palumma” rispunniu lu sparveri
“Ata a sapiri ca lu munnu eni tirchiu a lu dari
e di chiddu chi duna voli sempri n’arreri,
a porta iò va rapu ma du restu a vinìri”.
Misirazza, capennu la sunata,
misi avanti lu stentu a la so vita
e di lena misa e curaggiu armata
furriau li spaddi a ddu nimicu senza pìeta.
Furtunata fui pirò ntà la svintura
attruvannu, vidi i cosi, dda vicinu
na littiglia pi li cani cummigliata
e dda dintra pot’aviri un pocu ì leviu.
Ora senti senti, ddu vintuni pirmintiru
purmunaru accurrenti a mala annata
allivanca lu furtinu du carnaru
di l’agiu o disìu tutta ntà na vota!
Si truvau ‘ccussi alla limosina
lu superbu sparveri rucculiatu
di nuddu però, puru iddu appi lesina
e a dda arripizzata chesi l’aiutu.
“Pi mia m’abbasta solu n’agnuni”
85
dissi ‘ccuglienti a puvuredda
“se vossia s’accuntenta, megliu un c’eni”.
“Vabbeni, vabbeni” s’accoffa lu sbruffanti.
Ma si sapi, cu fa beni mali aspetta
chista fu la sorti di dda criatura
ca lu sparveru niannucci la porta
si l’ammucca allampatu nnò un muccuni.
Povira fini, chistu u ringraziu?
Di tantu, macari troppu, benvuliri
di la paci bedda stidda a palummedda
simulacru distinatu a un s’avverari.
Picchì li così s’arripetunu jennu jennu
lu sparveri sbintricatu da lu cani
natura e lotta ‘nsemmula vannu
lordi di sangu, dirigiunu lu munnu.
86
LILIANA MAMO RANZINO
L’OMU E L’ARMALI
Sem una lu dumila
E l’omu sfida li stiddi
E li profunnità di lu mari
Ma, ancora avi tantu d’apprenniri
Speci da l’armali.
E’ tuttu scienziatu
È tuttu sapienti,
ma chiddu ca un navi
su li sentimenti
si senti cristianu e bonu
ma,sulu iddu sapi fari lu mali
a nautru omu.
L’armali puru sivastuni
E li calpesti
Ti vennu incontru
E ti fannu li festi.
Li so nicareddi criscinu cu cura
E li protegginu senza paura
Sulu lìomu è capaci
Di fari lu mali chiù ranni ca c’è
Ammazzanu pi nienti,
lu simili a se.
87
LO DATO FRANCESCA
OH, CHE BEDDU STU MUNNU!
Oh, che beddu stu munnu!
E? veru beddu e popolatu.
Li so biddizzi sunnu infiniti,
oh, si fussi na palumma,
lu visitassi e vidissi tanti cosi
chi fannu istruiri la me menti.
Eppoi quantu genti chi ci sunnu,
di tanti facci e lunghizzi
di tanti razzi.
Su cosi veru beddi di pinsaricci.
E quantu armali chi ci su
Di tanti razzi
Ca nun si ponnu cuntari
E ognunu cu lu so nomu su chiamati.
Ma chi scienza chi ci fù,
vulennucci pinsari,
chi fu criatu beddu stu munnu,
cu tanta terra e tantu mari
ca pi davveru cu un sapi natari
si ni va a lu funnu;
e chi cummirità chi c’è,
ce u suli pi scaldari
a nuatri criautura
e pi nutririni cu li cosi di la terra;
li stiddi e la luna
pi fari luci a tuttu lu munnu;
l’acqua di lu cielu pi fari saziari tutti li essiri di la terra;
li valinci, li vadduna e li sciumi
chi n’aiutanu tantu pi abbrivi rari terra e frutti,
e a mari l’acqua si ni và e si nutriscinu li pisci
chi criau la natura!
Pi daveru bonu fu criatu lu munnu
88
NERI MARGHERITA
LU RITRATTU
L’autru jornu arrizzittannu
Mi va capita ppi manu
Lu ritrattu di me nanna,
du culuri di l’argentu li capiddi ccu la scrima
‘ntornu o coddu la trinetta
E a chiusura du bustinu na gran fila da pumetta.
Lu so sguardu accattivanti
E la vucca risulenti,
li so vrazza prutittivi mi facianu di riparu
quannu quarchi sgridatedda
di me matri m’accanzava.
Taliannu du ritrattu
Tanti cosi ‘nta la menti
D’improvvisu mi turnaru:
mi rivitti carusedda
‘nta la stratac a iucava
Ccu la palla e ammucciaredda.
Vitti i manu di me matri ca ‘mpastavanu lu pani
E ppi farimi cuntenta mi facia la cudduredda,
e ogni sira ‘ mmernu està
prima ca calava u suli ‘nta la nanna mi purtava
e aspittavumu ‘ncuppagnia lu ritornu du papà.
Vitti ancora taliannu comu a vita scinnicava,
mentri matri addivintava
era nanna già me matri,
e da nanna mi ristava
sul una fotografia chiusa dintra na curnici,
nu ritrattu senza tempu ammucciatu ‘nton casciuni
sculurutu e tacchiatu ca cuntava ‘ndifferenti
lu passatu e leu presenti.
89
NOTO ALBERTO
VENTU FAI PRESTU
Ventu,
a tia cercu!
Ciucia paroli
Nta st’anima sicca
China di duluri e di patimenti.
Ventu,
dunami forza,
dunami ciatu,
fammi vulari
sempre chiu autu!
Ventu,
scunvorgi cu la tò putenza
l’animo di stù munnu accussì afflittu,
chi da li guerri marvagi
nesci scunfittu.
Ventu!
Tu chi giri pi tuttu lu munnu
E chi viri qyanta genti soffri e mori,
curi e cuntaci tutti sti cosi
a lu Diu ‘nvinturi di lu lunnu
chi beddu assai lu fici,
dicci chi veni ‘nterra n’autra vota
quannu ni pirduna e binirici.
Ventu,
fai prestu però!
Chi d’aspittari
Nun cè chiù tempu!
90
PICIONE MARFINO GIUSEPPE
LU TRAGUARDU
Semu ancora prisenti
Fermi a lu traguardu;
friddu è lu surrisu
e lu sguardu dila genti.
Dintra sti camma runa
Camminamu a quattru peri,
facemu passi di cufuruna.
Fermi a lu traguardu
Paremu liama sicchi caliati,
misi di latu comu
cutedda azzannati.
Luntanu di li figghioli
Si stringi lu cori,
màncanu li paroli.
Scavamu lu passatu
Cu l’occhi pintuti
Spersi comu negghia
E pi sustegnu attruvamu
Vastuna di pagghia.
91
SEZIONE “G” ITALIANI ALL’ESTERO
LA MEMORIA. RICORDI DELLA MIA TERRA
1° CLASSIFICATO
ZAPPERI ZUCKER ADA
LA MANTENUTA
Un pomeriggio d’estate, quando il tempo sembra essersi fermato e tutto resta in attesa
di qualcosa che poi non accade, e questo qualcosa potrebbe essere anche solo un filo
di aria fresca, mia madre prese l’eroica decisione di andare a fare quattro chiacchiere
con una sua vecchia amica d’infanzia. Io ero costretta ad accompagnare mia madre:
nella Sicilia degli anni cinquanta non era ancora lecito per una donna perbene uscire
da sola! Una legge cui si sottomettevano quasi tutti per un abitudine ormai secolare:
credo nessuna si fosse mai posta domande. L’accettavano supinamente, come un dato
di fatto.
Già dalle scale sentimmo l’aria surriscaldata, la solita agitazione, lo stesso strepito
cui ormai eravamo abituate, con la sola differenza che questa volta si trattava solo di
voci femminili. Ma non litigavano, anzi qualche risata stridente risuonava qua e là:
che si festeggiasse qualcosa? Non eravamo neanche entrate che subito mia madre
venne circondata dalle donne, figlie, nuore e chissà quali altre parenti o vicine di
casa, più una quantità di bambini che sgusciavano da tutte le parti: sembrava si
fossero date appuntamento per discutere su un argomento scottante, di grandissima
attualità.
Si stava commentando il fatto del giorno:una”malafemmina” era venuta ad abitare un
basso proprio di fronte alla loro casa! Io non potei fare a meno di drizzare le
orecchie. Una parola, della quale non potevo afferrare il significato, mi incuriosì. La
parola che passava di bocca in bocca, l’intersse smisurato, morboso per la persona
cui si riferiva, il modo di pronunciare” quella” parola, il disprezzo, la meraviglia, lo
stupore e anche l’invidia che in una confusione di sentimenti contrastanti traspariva,
era “mantenuta”. Ma stranamente si alternava a un'altra, a me nota per via di una
canzone napoletana, “Malafemmina…” conoscevo il significato del verbo mantenere,
ma il suo participio acquistava ora un qualcosa di ecquivico, di oscuro: si trattava
forse di un nuovo uso di questa parola, oppure nascondeva un doppio senso… un
oscenità? E che relazione poteva avere una mantenuta con una malafemmina? Da
pezzi di frase, esclamazioni, parole sconnesse che si sovrapponevano in una
atmosfera sempre più eccitata, riuscì a cucire insieme la storia, del tutto romanzesca,
della così detta mantenuta.
Trasalendo, dalla descrizione che riuscii ad afferrare di volata, mi sembrò di
riconoscere una persona che già da tempo aveva attirato la mia curiosità per il suo
essere diversa dalle altre: la vedevo passare sotto i balconi di casa mia, sempre sola,
fermarsi un momento per scambiare qualche parola frizzante con un giovane
cocchiere, anch’esso una mia vecchia conoscenza dato che parcheggiava la sua
carrozzella proprio accanto al marciapiede di fronte, per proseguire poi in direzione
centro città. Notavo sempre che al suo avvicinarsi, gli altri cocchieri, ridacchiando fra
di loro, si scostavano per lasciarli soli. Il giovane cocchiere, un bell’uomo dai capelli
neri ricci, sovraccarichi di brillantina, due bafetti alla Clarke Cable, borioso e
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attaccabrighe, aveva il fascino tipico del maschio prepotente che allora mi turbava.
Più di una volta lo avevo visto coinvolto in duello rusticano e spesso ripeteva una
frase con la fierezza che lo distingueva: “u ggiaccu mi scuddai,’ncacciri…”.
Io la vedevo scendere dal fondo della Via del Velo, allora quasi sempre deserta, e la
riconoscevo subito da lontano: al contrario di ogni donna perbene, infatti, camminava
in mezzo alla strada, ancheggiando con spavalderia come una che non ha più niente
da perdere. Forse voleva soltanto imitare l’andatura di Rita Hayworth, alias Gilda,
film che in quel periodo furoreggiava all’Arena Grande, un cinema rionale dove la
sera si riuniva un pubblico misto di gente “onorata” e no. Lei però non aveva i capelli
rossi sciolti sulle spalle, e tanto meno le forme prorompenti tipiche delle dive del
dopoguerra: eccettuato il suo modo di camminare, il suo aspetto sobrio, la severità
che emanava da tutta la persona mai avrebbe lasciato supporre in lei quello che,
secondo l’opinione comune, caratterizza una donna disonorata. Di media statura,
magra ma ben costruita, sempre vestita di nero, evidentemente in lutto, i capelli scuri,
lucidi, tirati in un nodo dietro la nuca, non era truccata. Neanche un filo di rossetto.
Le sopracciglia del tutto depilate ridotte a un segno sottilissimo di matita nera. Una
grande cicatrice attraversava per lungo tutta la guancia sinistra; una linea rossa che
sfregiava il viso scavato, divorato come da una febbre antica. Teneva la testa alta, in
segno di sfida e guardava dritto davanti a se… anche questo aveva notato, dato che
mia madre non si stancava di predicare che una donna perbene deve tenere sempre gli
occhi bassi, soprattutto per strada. Non era una belezza, ma c’era in lei qualcosa di
inquietante, di sprezzante, come di chi sta al disopra. Al di sopra di che? Delle
convenzioni sociali? Della morale bigotta? Delle stupide donne curiose? Io
consideravo quell’atteggiamento come una affermazione di libertà e di superiorità: lei
aveva tagliato i ponti con quelle tradizioni ammuffite cui tutte le donne, senza
protestare, si sottomettevano; lei camminava in mezzo alla strada e sola e a testa alta,
e io, nella mia estrema ingenuità, l’ammiravo.
E ora venivo a sapere che era una ….. cosa? Una mantenuta… una malafemmina. A
quanto potei capire, quel cocchiere la manteneva, nonostante non fossero sposati. E
questo è disonorevole, vociavano le donne all’unisono. Lei non voleva impegnarsi
legalmente, non voleva nello stato di donna maritata. Con tutto ciò viveva con lui,
nella stessa casa e si faceva mantenere da lui: uno scandalo!
Non potei non fare delle riflessioni sul valore di certi legami, sulla loro onorabilità,
sul significato del matrimonio che permetteva ad una donna di farsi “mantenere” da
un uomo senza alcuna riserva morale o sociale solo per un diritto di contratto… in
cambio di che cosa? Dovetti concludere che anche mia madre era una mantenuta,
così pure tutte le donne sposate che conoscevo. Questa sì che fu una scoperta!
Intanto che le donne continuavano a strapparsi le parole di bocca, cercando di
soverchiare le altre con espressioni sempre più concitate, io prendevo una decisione
molto importante: mai avrei permesso a un uomo di mantenermi. Mai mi sarei
sposata.
La cosiddetta “mantenuta” era vedova, e secondo l’opinione generale, non superava i
trent’anni. Portava il lutto, un ultima concessione agli usi della società nella quale
viveva, per il marito morto ammazzato in circostanze misteriose. Nessun testimone
né prove sufficienti erano state trovate per incolpare qualcuno: ma c’era chi
sosteneva che lei o l’amante, il cocchiere imbrillantinato, ne erano gli autori.
Si chiamava Santina Uggeri o Uzzeri, (in quella confusione non riuscii ad afferrare il
nome), e alcuni anni prima la sua fotografia era apparsa sulla cronaca nera dei
giornali cittadini per un fatto di sangue, rimasto non chiarito, si diceva, per la
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caparbietà della donna. A ogni domanda rispondeva solo: “sono affari miei. Non
devo rendere conto a nessuno”. Non servirono le minacce né qualche mese di
prigione. L’amico del marito, appunto il cocchiere di mia conoscenza, ammise di
essersi trovato per caso in compagnia di Santina: era venuto solo a salutarla,
trovandosi da quelle parti. Il marito, sopraggiunto in ora insolita, in un attacco di
gelosia, secondo lui del tutto ingiustificata, si era slanciato contro la moglie con
l’intenzione di ucciderla: solo la pronta reazione dell’amico aveva evitato il peggio. Il
giorno dopo fu trovato il suo cadavere vicino casa. Non si seppe mai altro. Da un
incjiesta della polizia, che del resto lo conosceva molto bene, vennero alla luce altri
precedenti dell’ucciso, storie di violenze e affari loschi in cui era stato coinvolto più
di una volta.
Si conobbero anche alcuni particolari sulla vita di Santina: dagli atti della polizia
risultò che la ragazza, non ancora tredicenne, aveva denunciato il padre per violenza
carnale. Si è mai sentita una simile enormità? Protestavano le donne. Una figlia che
denuncia il padre! (io non sapendo cosa fosse la violenza carnale, trovai la storia del
tutto incomprensibile). Affidata a una vecchia zia, essendo orfana di madre, era
andata al servizio per una decina d’anni presso una signora che viveva da sola. Che
donna sarà mai stata e… sapeva dei suoi precedenti? Tutte domande cui solo lei
avrebbe potuto dare una risposta. La sera, dopo il lavoro, tornava a casa, dalla zia, a
quanto pare una megera, alla quale doveva consegnare tutto il suo magro salario fino
all’ultimo centesimo. Una sera, tornando dal lavoro, fu afferrata da un braccio
d’uomo apparso come dal nulla, che con violenza l’attirò dentro un androne.
Paralizzata dalla sorpresa e dal terrore non seppe reagire: due mani la brancicarono
tutta, mentre col corpo la premeva contro il muro, impedendole di scappare. Dopo
brevissima lotta gli riuscì di “infilare la lingua nella bocca, quello schifoso.” (inutile
dire che non capì un bel niente di quella storia della lingua. Solo che era un atto
schifoso e che era bene stare in guardia dagli androni bui). A forza di pugni, morsi e
calci riuscì a liberarsi. A casa non osò raccontare nulla alla zia, tanto non le avrebbe
creduto. Semmai avrebbe detto che era stata lei a provocarlo. Qualche settimana
dopo la zia le annunciò la prossima visita del suo futuro sposo. Santina vide davanti a
se l’uomo che l’aveva offesa dentro quel portone buio e che da allora la seguiva ogni
sera fino a casa…. Sembrava proprio una storia da romanzo a fumetti, tipo “Grand
Hotel”, una rivista che in quel periodo appassionava un vasto pubblico femminile.
Che le donne stessero inventando una storia, così come avrebbero voluto che fosse
stata, non potei mai appurarlo: era chiaro che la vicinanza di quella donna accendeva
la loro fantasia. Senza contare che si sentivano minacciate più o meno da vicino: i
loro uomini reagivano già al fascino di quella malafemmina. Ne erano attratti e
perchè no, stimolati.
Mi sembrava di aver sentito abbastanza e approfittando di un momento di particolare
confusione uscì sulla strada. Vidi subito il basso di fronte, la porta spalancata: una
quartara e un secchio pieni d’acqua erano stati lasciati lì davanti. Mi sembrò un buon
segno, forse la padrona era uscita. Decisa attraversai correndo il breve tratto di strada
polverosa e di slancio salii sull’unico scalino che introduceva nella casa. Qui mi
fermai di colpo, col cuore in tumulto, spaventata dalla mia improvvisa audacia:
abbagliata dalla estrema lucidità del sole, nonostante il pomeriggio inoltrato, rimasi
un momento istupidita, non sapendo io stessa cosa volevo. Man mano i miei occhi si
abituarono all’oscurità di quella casa. In mezzo alla stamza vidi un tavolo quadrato,
coperto da una tovaglia scura. Quattro sedie lo circondavano. Lungo la parete di
destra troneggiava un gran letto matrimoniale, alto, severo, anch’esso ricoperto di
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damasco a fiori scuri, uguale alla tovaglia del tavolo. Una grande bambola, vestita di
rosa confetto, se ne stava seduta nel bel mezzo del letto. Il pavimento a mattonelle,
scuro, era pulitissimo: tutta la casa brillava di pulizia. Un ordine meticoloso
denunciava la cura e l’amore per quelle piccole cose. I colori scuri dei mobili, un
armadio e un alto comò, le coperte, e il pavimento, evocavano un’atmosfera di
rispettabilità, una severità di costumi, e anche una sorta di drammaticità che in ogn
caso rispecchiavano il carattere della padrona di casa. Devo aggiungere che tutte le
case siciliane, almeno quelle di mia conoscenza, avevano le stesse caratteristiche:
mobili scuri, tappeti scuri, quadri scuri. In quel basso si respirava un’aria densa di
significati: la dimostrazione che nonostante l’apparente rifiuto per la morale vigente,
restava in lei un fondo di perbenismo, anche di rispetto per certe convenzioni sociali.
Forse col tempo le sarebbe riuscito di reinserirsi in quella stessa società che ora, a
motivo di uno sfreggio, ma anche di una certa libertà di costumi, la emarginava,
considerandola una donna perduta.
Ne rimasi assai colpita.
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CATEGORIA BAMBINI
E RAGAZZI
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SEZ F POESIA DIALETTALE
1° CLASSIFICATO SEZ F POESIA DIALETTALE
PASSAFIUME DEMETRIO
U PAPA POLACCU
U Signuri Dio
pi lu tronu di San Pietro,
‘nta li sacri palazzi Vaticani
Distino ‘pi’chiossà
Di cinqu lustri
N’apuostulu speciali
Ca’arrivò di un paisi
Tantu luntanu:Karol Woytila.
Tuttu lu munnu
Ti cunusciu,ti circò,
t’ammirò e ti chianciu.
Fusti un Papa eccezionali,
truoppu acculturatu e tantu viaggiaturi,
cu li to granni sofferenzi
isti a purtari a to paruola u to cunfuortu,
a to priera,
a tua santa binirizioni
a tuttu lu munni speci,
a li tani puoviri,
a li malati
a cchiddi abbannunati
all’affamati e a tutti chiddi discriminati.
A tutti predicasti u pirduni,
l’amuri e carità,
accussi facisti puru
cu lu to scelleratu attentaturi.
Caru papa nuddu ,
si scorderù mai di tia,
fusti, sii e sarai
pi siempri ne nuostri cuori:
KAROL MAGNO
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SEZ E “POESIA IN ITALIANO ”
1° CLASSIFICATA SEZ E POESIA IN ITALIANO
MARIA GUZZO
SOGNO…. AMORE
Cos’è
Quel tenue tepore
Che solo il tacito zefiro
Può darmi,
quell’impeto
che con il cedere del tempo
diviene solo ardente dolcezza
perché io possa ricevere
misericordia divina.
Sostanza desiderabile
E sfuggentee dei vivi
Degli eterni
Dell’anima che di essa arde.
Quando rosa e lillà
Sono uno
Perché entrambi
Bramano le tiepidi ali del sole.
Quando negli uomini
Il suo messaggio interiore
Non ne annuncia l’arrivo.
Quando sognando
E poetando
Scopro di amare.
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SCIORTINO GIUSY
L’AMORE
L’amore,
sentimento d’onore,
timidezza, passione
che come in un leone
fa batter forte il cuore.
Ti senti contento
Non è un dubbio
Si, me lo sento!
Il bacio
Eccolo,
il mezzo con cui l’amore si rivela
con cui il sussurro
della timidezza
balza fuori dal cuore,
lasciando la freddezza
fuori dalla finestra.
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PASSAFIUME AMEDEO
FURTO DI SOGNI
Oh spensierata gioventù illusa!
Attenta e fedele seguace
Del dio pallone,
ormai catapultata
nell’anno zero
del nostro calcio
così marcio e tanto malato,
dove sono i tuoi sogni
inocenti, speranzosi e genuini?
La tua buona fede
Umiliata e ingannata
Il tuo vergineo entusiasmo
Calpestato e scioccato,
le tue lunghe e appassionate domeniche
di trepidante tifo
e di sincero affetto,
stravolte da una piovra,
che coi suoi tentacoli,
ha distrutto e derubato
ogni onesta e giovane speranza.
O mondo dorato del pallone,
la nostra rabbia,
la nostra amarezza
il nostro sconcerto
ti diano forza e coraggio
in nome della coppa
che ci ha fatto diventare
campioni del mondo.
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SEZ D “NARRATIVA”
1° CLASSIFICATA ALLA SEZ D “NARRATIVA BAMBINI”
MARIA GUZZO:
LA VERITA’ DEL CUORE
Nella luce che declina, un ultimo raggio di sole sfiora le rocce affilate e nere in primo
piano; più in lontananza l’immobilità del tempo attinto di un alone rossastro quella
superficie indistinta che continuiamo a chiamare mare, e adesso che tutto appare
nella chiarezza delle cose: sia pace per coloro che ne bramano la benevolenza ma per
chi è come me, sia solo il tormento, quest’effimero istante, che tanto percuote le
immortali sembianze. Mi chiedo da quando ho perso il colore nel corpo, nell’anima,
nelle parole che credevo mie; da quando amor più mi giova, ne il prodigio che a me
sia lieto e caro. Ah! Che possa la gioia ahimè quando è gioia, indugiare dinnanzi alla
sorte, affinchè almeno il cuore non si imbastardisca, come il mio ibrido essere
inaridito dal dissesto. In questo tempo… In questo luogo… Non ha importanza quale
sia, le cose non cambierebbero in ogni caso; io che ho sempre atteso l’inizio adesso
non attendo altro che la fine; che abbiano il medesimo valore? Si questa volta è
diverso. Invoco la pioggia (so bene quanto ne siete infastiditi voi intorno) e maledico
me stessa a quando colsi la voce in petto, a quando strinsi l’elsa del mio orgoglio
ferito perche questi fosse la prima e vera forza a bruciare i miei muscoli, a gonfiare i
polmoni; quella stessa che mi fece credere in una meta in un senno. E ancora una
volta il fuoco è desto, quel desiderio istintivo e violento, come il bisogno di sangue
ma infinitamente più dolce; una necessita un urgenza muove le mie gambe
indolenzite nel dì ormai che cessa, tale è il suo corso, tale è il mio e l’imbrunir della
sera quasi a cancellare i miei contorni sinuosi di predatore, nel vento che sa di gelo,
nitido contro il mio fuoco. Sono e non sono: la lacuna ha preso il sopravvento. Con la
sola certezza di aver abbandonato tutto per l’incertezza, con al solitudine mia unica
compagna, l’indifferenza mia unica saggezza, continua ad avanzare tra le rovine di
antichi idoli e miti, tra le macerie di un palcoscenico dalle tende rosse e dei suoi
racconti di vita umana. Oh Dio! Quanto mai è dolce il tuo nome sulle mie labbra
screpolate; unica melodia che affabile sfonda il marcio fino all’anima, quasi a far
male e così sanguinante di vergogna mi ritraggo. E adesso che ho cominciato a vivere
quella mia stessa indifferenza sa or di disprezzo: qui per me non vi è ove placare la
rabbia, sottrarmi per un solo istante alla mia bestia, alla ricerca del vano, dell’ ade.
Possibile che voi uomini (che trovate conforto in quel fantasma che è l’amore) tutto
abbiate imparato ciò che veramente meritava di essere?!
Tuttavia non desidero tanto più tornare alle mie valle native, quanto poter vivere.
Era da tanto che la luna piena non splendeva in quel modo attraente come un
miraggio, distante e irraggiungibile. Mi fermo di colpo, piantando più che posso
gambe a terra. Lasciando che per un istante gli occhi si perdano nel bagliore della
luna; poi prostrato il viso al cielo, le chiedo: - è il paradiso…? – con voce mozzata
dal pianto (ora poteva osare) e attendo con riverenza.
Lei mi “risponde” come una voce interiore: - il Paradiso… sicuramente non esiste in
nessun posto. Ai confini del mondo, non c’è nulla… e per quanto si cammini non si
fa che proseguire sulla stessa strada. –
101
-
Ma allora perché… un così forte impeto mi pervade?!- sento risuonare le mie
parole come cantate, un canto di malinconia e fierezza che trafigge l’aria gelida.
Ancora quella voce: - non hai paura?-. In cuor mio l’ho sempre saputa la
risposta fin dall’inizio: - sia vivere che morire, sono entrambe cose naturali, e
più innaturale vivere senza uno scopo!- Mi stacco nuovamente da terra prima
che la nostalgia giunga, e continuo a correre in questa fuga piatta tra cielo e
terra che è mia vita.
102
INDICE DEGLI AUTORI
AIELLO VINCENZO Nasce a Bagheria il 24 Marzo del 1957 da padre bracciante e madre
casalinga. Sin da giovane si dedica all’apprendimento dell’ebanisteria, che coltiva fino all’età di
ventuno anni, allorché è assunto dalle Ferrovie dello Stato. Dal felice matrimonio con Mariella
Buglisi nascono Salvatore, Fabio e Federico. Attualmente in servizio, dedica il proprio tempo libero
alla famiglia e alla poesia. Dal 2004, desideroso di far conoscere i propri componimenti poetici ad
una più vasta e qualificata critica, inizia a partecipare a concorsi nazionali ed internazionali di poesia,
ottenendo soddisfacenti risultati:
1° posto assoluto alla 3^ edizione del premio nazionale “Giacomo Giardina” città di Bagheria anno 2004.
Premio speciale della giuria al “Concorso nazionale di Poesia Circolo Empedocleo anno 2004”di
Agrigento.
1° posto assoluto al “II° Premio Nazionale L’Anima in Versi”anno 2005 Lazzate (MI).
2° posto al Premio Nazionale “La notte delle Muse” città di Balestrate anno 2005.
Diploma d’onore alla VII^ edizione del premio internazionale di poesia “L’Acaljpha” anno 2005.
3° posto al premio ”Poesia prosa e arti figurative” Accademia internazionale de Il Convivio,Giardini
Naxos 2005.
3° posto alla XIII^ edizione del premio nazionale di poesia “Elvezio Petix”città di Casteldaccia anno
2005.
1° posto alla II^ edizione del premio di poesia”Calogero Rasa” città di Cerda anno 2005.
2° posto alla IV^ edizione del premio “S. Valentino” in Calatabiano anno 2006.
4° posto al XVI° Trofeo “Turiddu Bella” città di Siracusa anno 2006.
2° posto alla IX^ edizione del Premio” Giovanni Meli” città di Palermo anno 2006.
Menzione di merito alla XII^ ed. del premio Internazionale di poesia “Poseidonia Paestum”Città di
Paestum 2006.
1° posto alla III^ ed. del Premio “Alimena sotto le stelle della letteratura” anno 2006.
3° posto alla 1^ ed. Premio nazionale di Poesia “LiberArte” Mattinata (FG) anno 2006.
3° posto al Premio Maria S.S. di Custonaci Trappeto di Fraginesi anno 2006
2° posto alla 5^ ed. Premio Nazionale di Poesia “Giulio Palumbo” Ficarazzi (PA) anno 2006.
Le sue liriche sono presenti in diverse antologie letterarie come:
“Fiorivano girasoli alla finestra” Centro Culturale Giacomo Giardina edizione 2004.
“Sikania 2005” 8° Raduno poetico.
“La costanza dei grilli” Federico editore 2005.
“L’orchestra colorata dei panni” Centro Culturale Giacomo Giardina edizione 2005.
“Poetilando nel web”antologia del premio omonimo edizione 2005..
“Premio Empedocleo”Studio Media edizioni 2005.
“L’Anima in versi “ Informazona edizioni 2005.
Antologia poetica accademica“Il Convivio 2005”.
“Alimena sotto le stelle della letteratura”antologia della II^ ed. del premio omonimo.
“Momenti” (1996-2006) antologia del decennale del Circolo Culturale Giacomo Giardina.
Segretario del “Circolo Culturale Giacomo Giardina” di Bagheria. Testo a pag. 77 AVANZATO AMBROGIO è nato a Chivasso (TO) nel 1938, dove tutt’ora vive. Ha iniziato a
lavorare giovanissimo, con lo studio, riuscì poi a crescere professionalmente, ottenendo una
posizione soddisfacente. Ad un certo punto qualcuno gli fece osservare che tendeva a
romanzare le relazioni tecniche che redigeva; si era ammalato di grafomania. Quando lasciò il
lavoro, diede sfogo alla sua mania, privilegiando nei racconti i ricordi dell’infanzia e
dell’adolescenza. Testo pag. 25
BARONE NINO NASCE AD ERICE CASA SANTA IL 21 AGOSTO 1972 E SIN DA PICCOLO
MOSTRA UNA SPICCATA PREDISPOSIZIONE ALLA POESIA SOPRATTUTTO QUELLA IN
RIMA. ATTRATTO DA OGNI FORMA DI ESIBIZIONE TEATRALE, SCRIVE POESIE DA
QUANDO AVEVA DIECI ANNI. SPOSATO CON RITA DAL 1998, VIVE ATRAPANI , HA UN
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FIGLIO, MARIO DI 6 ANNI. E’ PRESENTE IN DIVERSE ANTOLOGIE ED HA OTTENUTO
PREMI E RICONOSCIMENTI , ANCHE DI PRESTIGIO, IN VARIE ZONE DELLA SICILIA. IL
SUO SOGNO ATTUALE E’ QUELLO DI PUBBLICARE UNA RACCOLTA CON TUTTE LE SUE
POESIE. Testo pag.76
BELLANCA GIUSEPPE nato a S.Cataldo (CL) dove risiede Testo a pag. 50 -79
BONATO ALDO nato a Marostica e risiede Novi Testo a pag. 28
BRUNO LAURA . Nata a eggio Calabria. Ha frequentato il Liceo a Palmi dove vive con la sua famiglia.
Scrive poesie dall’età di sette anni, infatti ha scritto la sua prima poesia quando frequentava la seconda
elementare. Nel 2003 si è classificata seconda al Trofeo Nazionale di Poesia e narrativa del ragazzo, sez.
poesia, a Scafati (SA).Nel 2004 è stata prima al Premio Nazionale Ruba un raggio di sole per l’inverno
indetto dall’Associazione ARTEA a città di Castello(PG) ed al premio Nazionale Cavallari di Pizzoli
(AQ) Tra il 2003 e il 2005 ha partecipato a svariati premi nazionale (Olindo Dini a Volando, Verona
concorso Romeo e Giulietta, Quadrifoglio di Pontecorvo, premio Giuseppe Sunseri) Nel 2004 ha
partecipato al Premio Nazionale Giuseppe Bertelli a Pontedera, nel 2005 al Premio Nazionale di Ischia
L’isola dei sogni dove ha conseguito il trofeo d’argento classificandosi seconda. Pubblicazioni: L’isola
dei sogni, Attimi e didascalie lunari. Ha partecipato alla giornata europea del patrimonio dal titolo: “Il
patrimonio. Una cultura da vivere” Pesia, compagna di vita in ogni tempo. 2006: 1° classificata al
premio internazionale “il molinello” (Rapolano Terme SI) Argento per la narrativa. E’ stata finalista al
premio Citta’ di Poggioomarino; segnalata al concorso Amelia Earthart “Quando le donne osano”.
Recentemente le è stata riconosciuta una menzione di merito per contenuto e originalità al 2° concorso in
lingua italiana e sarda “Poesie di Solidarietà… per ricordare Tiziana.”Testi pag. 33
CANETTO ALBERTO. Laureato in Sociologia esercita l’attività di imprenditore. E’ stato Assessore
alla cultura alla pubblica istruzione del comune di Massafiscaglia ed ha promosso svariate
manifestazioni culturali tra cui il concorso letterario “BRUNO PASINI” E’ stato Vice Presidente del
comitato Provinciale di Ferrara della F.I Tennis in qualità di istruttore. Nel 2000 e 2001 ha vinto il
premio giornalistico “Il personaggio dell’Anno” promosso dal quotidiano locale “la nuova Ferrara”.
Seganalato nel 2006 al concorso letterario Nazionale “San Maurelio” di Malborghetto (FE) con l’opera
La droga”. Sempre nel 2006 riceve il diploma d’onore del concorso letterario Internazionale “Amico
Rom” di Lanciano (CH) con l’opera “Intimo Tesoro” Testo a pag. 34
CARDILLO ANNA MARIA. Anna Maria CARDILLO, nata a Roma il 20 maggio 1947. Donna serena
e realizzata nella famiglia, nel lavoro e nell'attività di volontariato ospedaliero, ottimista e positiva. Scrive
versi dai tempi ormai lontani dell'adolescenza, ma i suoi testi sono sempre rimasti chiusi nel cassetto.
Solo da poco li ha resi disponibili alla lettura e ne ha avuto apprezzamenti e numerosi riconoscimenti in
concorsi nazionali e internazionali con liriche singole e sillogi, classificandosi spesso ai primi tre posti.
Molti suoi componimenti sono stati pubblicati in volumi antologici. Testo a pag. 51
CAVALLA CARLA nata a Modica dove vive con la sua famiglia, si dedica alla Poesia partecipando a
svariati concorsi.Testo a pag. 53
CATALANO PIETRO Nato a Palermo risiede a Roma. Testi pag. 52
CERBONE GIUSEPPE nato a Napoli risiede a Palermo.testo pag. 54
DI GAETANO ENZO Nativo di Termini Imerese nel 1942 ove risiede. Pensionato della Fiat, da
qualche anno si dedica alla poesia Testi pag.. 22 – 80
DONATO FRANCESCO nato e abita a Reggio Calabria. testo pag. 17
GATTO CONCETTA Nata Roccapalumba e risiede a Altofonte. Testo a pag. 82
104
GIORDANO PROF. ANTONINO detto Antonio, Vincitore del III° concorso letterario “Maestro Rasa
Calogero” nel 2006 per la sez poesie dialettali con il brano “LA BALLATA DI LIBERO GRASSO”.
nato a Palermo dove risiede. Laureato in Giurisprudenza . E’ stato dirigente scolastico presso il liceo
Galilei di Palermo. Docente di Drmmaturgia applicata presso l’università U.E.t.l. di PalermoPreidente
dell’Ass. Culturale “scene Aperte” di Palermo. Scrittore, Drammaturgo, giornalista e critico teatrale,
socio onorario SIAE. Diploma di benemerito di 1° classe e medaglio d’oro per la scuola, per la cultura e
per l’arte, conferita dal Presidente della Repubblica. In qualità di drammaturgo, ha scritto diverse come:
La Pace e la Guerra, Morte a Palermo viva, Theomafia, e altre opere di particolare interesse culturale.
Come attività di attore ha avuto parecchi ruoli principali in commedie teatrali in Italia e all’estero (in
lingua francesce), vincendo “ Maschera di legno” come attore emergente nel 1961. Attualmente è
impegnato nell’opera “Il borghese gentiluomo” di Moliere.
Pubblicazioni: Occhi nella notte nel 1978, l’Assurdo in teatro del 1973, Puro spirito nel 1984,
L’insegnamento del teatro 1987, Anche noi facemmo la guerra – 1999, teatro informazione –
2001(presentazione di Glauco Mauri). Premi vinti: 2005: poesia “il Declamautore” , premio letterario
“Angelo Perugini” città di Macerata, premio drammaturgia storica “Palcoscenico per la storia”. Nel 2006
finalista Premio “Penna d’Autore” Torino; Premio letterario “Spicchi” Monza; Premio Lett. “Città di
Misilmeri”¸ premio lett. “AVIS” Pisa: Premio “M. Kolbe” Svigliano; premio “città di Potenza”; premio
“città di Turi” Bari; premio intern. “Cava de’ Tirreni”; premio “Città di Eboli”; Premio “ Il Convivio”
Viareggio 2006; premio teatrale “Ischia 2006”. Ha organizzato a parecchi convegni con grandi nomi (
Costa, Jacobbi, Camilleri, Salerno, Mauri, Musati, etc…). I più recenti: “Le avanguardie a Palermo 40
anni dopo” – Samule Beckett e Antonio Giordano, 2001. “Palermo : Teatro si Teatro no” nel 2003.
“Palermo e il teatro sperimentale” – 2004. “Il teatro Siciliano nel XX secolo” – 2005. Inoltre ha ottenuto
la Benemerenza Civica per meriti culturali e artistici, conferita dalla Regione Sicilia di Palermo, inoltre è
socio onorario ed osponente di chiara fama dell’Unione Nazionale Scrittori ed Artisti. Scrittore,
drammaturgo-esponente Ass. Naz. Critici di Teatro e Ass Internazionale des Critiques de Théatre.
opere Testo pag. 55 -74
GAGLIANO MICHELE di anni 45, risiedo da sempre a Bagheria, il mio titolo di studio é di licenza
media inferiore, come attività lavorativa sono impiegato. Sono sposato è ho due figlie. Da circa quindici
anni mi diletto a scrivere poesia sia in lingua italiana, che in dialetto siciliano. Da un paio di mesi ho
incominciato a partecipare a qualche concorso di poesie. Testo pag. 81
GUGLIUZZA SALVATORE, nato a Cefalù dove risiede. testo pag. 56
GUZZO MARIA testo pag.98 – 101
IMBURGIA SALVATORE Nato a Cerda nel 1946 vi abita fin dalla nascita. Occupa la carica di vice
comandante la Polizia Municipale. E’ Presidente dell’associazione La Nuova Compagnia città di Cerda
gruppo folk i Carrettieri con il quale ha girato quasi tutta l’Europa. Testo pag. 83
INZERAUTO SALVO Nato a Palermo nel 1949, risiede a Santa Flavia (PA). Testi pag 57 -84
INCUDINE ADA nata a Roma nel 1951, laureata in Sociologia, ha lavorato come assistente presso la
Cattedra di Antropologia Culturale Iª dell'Università “La Sapienza” di Roma, occupandosi
prevalentemente di Antropologia Economica, in particolare delle società africane e del colonialismo, con
pubblicazioni nel settore. Attualmente insegna la disciplina dello Yoga, praticata fin dall'età di venti anni.
Si dedica da sempre alla poesia ma, solo a partire dal 2004, partecipa a dei Concorsi Letterari, ottenendo
vari riconoscimenti : (Menzione e segnalazione - Premio Internazionale di Poesia “Nosside” , Reggio
Calabria (RC), XXIIª Edizione 2006 ed XXIª Edizione 2005 (Centro Studi Bosio) vincendo numerosi
premi, tra i quali: Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere”, Napoli XIVª Edizione
2004 (Istituto Italiano di Cultura di Napoli) - 1º Premio Speciale della Giuria , Sezione silloge inedita,
con “Segni di Sogni ”; Premio Letterario “Alberto Tallone”, Alpignano Torino IVª Edizione 2005,
(Comitato Cittadino per il Centro Storico di Alpignano) 1º Premio, Sezione poesia in lingua italiana, con
“Ti
guardo
di
spalle”;
Premio “Circe - Una donna tante culture”, Monterotondo Roma Iª Edizione 2005 (Associazione Opera
105
dei Pupi) - 1º Premio, Sezione poesia inedita con “Passaggio in tre tempi ”; Premio Internazionale di
Poesia e Letteratura “Nuove Lettere”, Napoli XVIª Edizione 2005 (Istituto Italiano di Cultura di Napoli) 1º Premio, Sezione poesia singola inedita, con “Androide”; Premio Biennale di Poesia “Ugo Carreca”,
Chiavari (GE), 5ª Edizione 2006 (Associazione Il Mosaico), Premio Speciale della Giuria per
l'Originalità Tematica ("Il Secolo XIX") con “Danzante suggestione. Premio Letterario Internazionale
“Mondolibro”, Roma VIIIª Edizione 2006 (Agenzia Letteraria Mondolibro) - 1º Premio, Sezione silloge
inedita, con “Pescatore di Stelle”;Concorso Letterario Nazionale, Grosseto 1º Edizione 2006 (Ente
Nazionale Protezione Animali) - 1º Premio, Sezione Poesia inedita a tema “Gli Animali” con “Randagio ,
un Angelo”; Premio Nazionale di Poesia e Letteratura “Il Litorale” , Ronchi - Massa VIIIª Edizione 2006
(Associazione Culturale “Ronchi Apuana” ) - 1º Premio, Sezione silloge inedita con “Pescatore di Stelle ;
Premio Letterario Nazionale “Mario Luzi” , San Cipriano d'Aversa (Na) IªEdizione 2006 (Accademia
Nazionale d'Arte e Cultura “Il Rombo”) – Premio Speciale della Giuria , Sezione Poesia Edita con “Segni
di Sogni”; Premio Nazionale Ennepilibri “Poesie in Notes” a tema “L'uomo e il Mare” Imperia, 1ª
Edizione 2006 ( Ennepilibri ) - 1º Premio ex aequo con “Musica liquida”, “Acqua sapiente”, “Brezza”;
Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera”, Perugia 10ª Edizione 2005 (Comitato
Internazionale Multietnico 8 Marzo di Perugia) - 2º Premio ex aequo , Sezione poesia inedita, con “A
mio padre” e “Pescatore di Stelle” ; Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera”, Perugia 11ª
Edizione 2006 (Comitato Internazionale Multietnico 8 Marzo di Perugia) - 2º Premio ex aequo , Sezione
poesia inedita, con “Tutta la vita in uno sguardo”, “Onirica”; Certamen di Poesia Latina, “Premio
Catullo”, Acerra (Na), IVª Edizione 2006 (Centro Studi Agorà) 2º Premio, - Poesia in Lingua Latina –
con “De vitae nostrae sensu”, “Ad Lucem”, “Fortuna coniucti”; Premio Letterario di Poesia “Artenuova”,
Propata (GE), 3ª Edizione 2006 (Associazione d'Arte & Cultura ARTENUOVA) 2° Premio, - Sezione
Poesia edita – con “Segni di Sogni”; Concorso Letterario “Decathlon della Letteratura” 2006, Torino
(Associazione Culturale Carta e Penna), 2° Premio, - Sezione Silloge poetica, con “Pescatore di Stelle”.
Concorso Nazionale di Poesia, Narrativa, Critica Musicale e Letteratura “Premio Pegasus” , Busto
Arstizio (Va), 1ª Edizione 2006 (Associazione Pegasus Musica Arte Cultura) 2º Premio, Sezione Poesia
cat. C - con “Umida Rovente Rumba”. Premio di Poesia “Ercole Labrone – Yorick” , Reggio Emilia
,(RE) VIIª Edizione 2005 (Rivista Yorick ed Associazione Ercole Labrone), sezione poesia inedita - 2º
Premio, con “Che bella sei”. Concorso Letterario Internazionale “Le parole dell'anima”, Quartu
Sant'Elena (CA), 2ª Edizione 2006 (Centro Teatrale Il Teatro dell'Anima), 2º Premio, Sezione poesia
inedita - con “Alle sette della sera”. Concorso Letterario “Prof. Calogero Rasa”, Cerda (PA), 3ª Edizione
2006 (La nuova Compagnia di Cerda e il Gruppo Folk “I Carrettieri”), - 2ºPremio Sezione B poesia
inedita, con “Là dove scende il fiume”. Premio Nazionale di Poesia Teramo 2005 “Gino Recchiuti”,
Teramo IIª Edizione 2005 (Associazione Culturale “La Luna”), - 3º Premio, Sezione poesia edita, con
“Viandanti senza patria”. Concorso Letterario “Decathlon della Letteratura” 2006, Torino (Associazione
Culturale Carta e Penna), 3° Premio – Sezione poesia a tema libero, con “Passaggio in tre tempi”.
Concorso Internazionale di Poesia “Premio Vittorio Bodini”, Vitruvio (LE) 1ª Edizione 2006
(Associazione Culturale Salentina), 3º Premio, Categoria A, Libro Edito di Poesia con “Segni di Sogni”.
1º Premio di Poesia “Albigaunum” dedicato alla memoria di “Eugenia Botto”, Albenga (SV),
(Dopolavoro Ferroviario di Albenga), 1ª Edizione 2006, 3ºPremio , Sezione A poesia in lingua – con
“Memorie di sassi”. Premio Letterario “Letizia Isaia”, Concorso Nazionale di Narrativa, Saggistica
Poesia e Poesia Napoletana per autori ed editori Italiani, Napoli (Na) 4ª Edizione 2006 (Associazione
Pianeta Donna) , sezione poesia italiana 3º Premio ex aequo – con “Là dove scende il fiume”. Concorso
Nazionale di Poesia e Narrativa “Guido Gozzano” , Terzo (AL), VIIª Edizione 2006 (Biblioteca Civica di
Terzo), 4º Premio, Sezione B poesia inedita, con “Non c'è”. Poesie singole in varie antologie.
Libri :“Segni di Sogni” , Edizioni Istituto Italiano di Cultura, Napoli, 2005.
“Ritratti di Parole”, Edizioni Istituto Italiano di Cultura, Napoli, 2006. Testo pag. 48
LAZZARA ANDREA nato a Pisa risiede a Marsala (TP). testo pag. 58
LEGGIO GIUSEPPE è un giovane autore siciliano, formatosi poeticamente presso la grande scuola
delle tradizioni popolari di cui da sempre è un grande appassionato. Da queste frequentazioni è nata la
voglia di metter su carta le proprie emozioni, le sensazioni di un mondo lontano eppur presente. Ha
esordito nell’2005 alla seconda edizione del concorso letterario “Calogero Rasa” classificandosi secondo
nella sezione poesie in dialetto con “U teatru di lu tempu”. Ha partecipato inoltre alla terza edizione del
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premio letterario “Alimena sotto le stelle della letteratura” classificandosi terzo nella sezione poesie a
tema libero in dialetto. Nella vita studia all’Università di Palermo, ama le letture “impegnate”, la musica
e lo sport. Testi a pag. 59
LILIANA MAMO RANZINO è nata a Nardò (LE) il 04.09.1934. Risiede a Cefalù dove ha insegnato
alle scuole elementari, ora in pensione. Ha pubblicato diversi libri tra i quali: QUEL CHE RESTA, ed
ETERNA CONTEMPLAZIONE. Ha vinto innumerevoli concorsi di poesie. Testi pag. 40 – 60 -87
LO DATO FRANCESCA nata a Montemaggiore Belsito, è residente a Cerda. Ama la musica, la
poesia, il teatro, e si diletta nel partecipare a svariati cocorsi letterali.Testi a pag. 39 -63- 88
LONARDO ANTONIO nato a Taurasi (AV) e residente a Modica (RG). Laureato in Pedagogia presso
l’università di Salermo, insegna materie letterarie nell’ITCS “Archimede” di Modica. In seguito ad un
lutto, nel febbraio del 1997, inizia a scrivere poesie, partecipando a svariati concorsi, e avendo successi
importanti come: secondo premio per il concorso organizzato dal centro culturale “A. Kuliscioff”
chiamato poi “Cultura e Società di Torino”. 2003 segnalazione di merito ad Alcamo (TP). Primo premio
nazionale “Pensieri Vivi” a Bitetto (BA) nel 2005; Nel 2006 3° premio per la lirica “Invano” a Viterbo;
sempre nel 2006 riceve due premi per il libro edito “desiderio di luce” a Forlì e a San Marco In Lamis;
ancora nel 2006, due secondi premi per la lirica “Sussurro” a San Pietro Vernotico e a Monte Rosso
Almo (RG); Secondo premio a Castel Morrone (CE) per la poesia amici. Classificato settimo posto a
piedi luco (Terni) con la poesia “Shalom!”; Ottava posto ad Albissola Superiore (SV) per il libro
“Desiderio di Luce”, per lo stesso libro ha conseguito il settimo posto a Bardineto (SV); secondo posto a
Luino (VA) per il concorso internazionale per la pace. Come docente ha preparato i suoi studenti alla
partecipazione a vari concorsi letterali, con ottimi risultati. Alcune sue liriche hanno fatto di varie
pubblicazione. E’ stata pubblicata un opera prima, una silloge, di 56 liriche intitolata “Desiderio di Luce”
Testo pag. 61
MAGI SIMONE nato ad Amelia e residente ad Amelia Fornole.Testo a pag. 49
MONTELEONE CARLO Vincitore del premio “Maestro rasa Calogero” del 2006 nella sez. in lingua
italiana con il testo “Si leva un aquilone, è nato a Palmi ove risiede. testo pag 48
MORTILLARO DANIELA ,Vincitrice I° Premio di Poesia “Le Mond Club” di Padova 2005 con le
poesie: “ Io e il mio cuore” e “ Il burattino”. Selezionata per l’Antologia al concorso “ San Valentino” di
Quartu Sant’Elena. Classificata nei primi dieci del concorso letterario Maestro Rasa Calogero 2005 (Pa)
Premiata al 4° posto nel 1° Premio Letterario di Poesia e Narrativa AVIS di Capannoli ( Pisa ).
Selezionata per l’Antologia di 2 concorsi letterari organizzati dal Club degli Autori. Presente
nell’edizione 2006 dell’Antologia “Poeti in Galleria”.
Pubblica nell’Agosto 2006 la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Fili invisibili” per la casa editrice Il
Filo. Testo pag. 64
NERI MARGHERITA nata a Ganci e residente a Cefalù.Testo pa. 15- 89
NOTO ALBERTO nato e residente a Trapani. testo pag. 65 -90
PASSAFIUME AMEDEO nato a Palermo, risiede a Cerda con la famiglia. Studente. testo pag.100
PASSAFIUME CLELIA nata a Palermo é residente a Cerda. Stundentessa universitaria. Partecpa a
diversi concorsi letterali e collabra con giornali e riviste scrivendo articoli di attualità sul giornale
ESPERO. testo pag. 66
PASSAFIUME DEMETRIO natoa Palermo é residente a Cerda. Studente. testo pag.97
PICCIONE MARFINO GIUSEPPE nato e residente a Custonaci (TP).testo pag.91
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PERCIACCANTE ALFREDO nato a Cassano Ionio (CS) il 13/08/1946, diplomato all’età di 17 anni in
Ragioneria presso l’Istituto Tecnico Commerciale “Pitagora” di Castrovillari (CS); ha conseguito le
lauree in:Economia e Commercio presso l’Università Statale di Napoli; Scienze economiche e sociali
presso la Libera Università Internazionale di Studi Superiori “PRO DEO” in Roma; Philosophy Political
Science Sociali presso la Kensington University; Ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della
professione di Dottore Commercialista presso la Università Statale di Salerno;Ha ricoperto l’incarico di
assistente volontario, prima e di cultore della materia, poi presso le cattedre di Diritto del Lavoro e della
Previdenza Sociale delle Università Statali di Napoli e di Catanzaro; Ha militato nell’Azione Cattolica
Italiana ricoprendo vari incarichi a livello Diocesano (Presidente del Consiglio Diocesano), Regionale
(Responsabile del settore Seniores), Nazionale (Membro del Consiglio Nazionale); E’ stato eletto,
ininterrottamente, dal 1969 al 1992 Consigliere Comunale nel proprio Comune di residenza (Cassano
all’Ionio) ricoprendo più volte la carica di Assessore alla Cultura e di altri settori operativi, nonchè quella
di Sindaco; E’ stato direttore del periodico Gioventù Nuova edito dalla Diocesi di Cassano all’Ionio,
membro della redazione del Bollettino Diocesano e collaboratore di RadioTeleDonBosco negli anni dal
1970 al 1980; E’ stato Dirigente presso un Ente Previdenziale; Dal 1992, a seguito di alcune traversie
causategli da “personaggi” della sua zona, ha trovato nella poesia, oltre che nell’Amore in Dio, l’ancora
di salvezza per la sua esistenza, riuscendo, così, a riprendere una vita di normalità, sempre segnata, però,
dalla “rabbia” per ciò che incolpevolmente gli era capitato. “Rabbia”, traspirante quasi sempre dalle sue
modeste opere, che si trasforma alla fine in perdono e speranza. Recentemente è stato premiato con diploma di
merito e targa del Parlamento Europeo al 46° Concorso letterario – settore poesie – “Arnaldo DI
MATTEO” in Salerno. Alcune sue poesie sono state premiate segnalate: con diploma e targa nel premio
letterario “Il Fuoco” patrocinato dal Comune di Roma ed indetto dall’Associazione Culturale “I Giardini
dell’anima” con Sede in Roma; con menzione d’onore, diploma e targa nel premio letterario Città di
Cerchiara di Calabria patrocinato dal Comune di Cerchiara, dalla Comunità Montana dell’Alto Ionio, dalla
Provincia di Cosenza ed indetto dalla Pro-loco di Cerchiara di Calabria. Testo pag. 67
RUNFOLA LUCIANO E’ nato ad Aliminusa il 22.04.1967 Vive a Cerda dove insegna Lettere alla
scuola Media di Cerda .Vincitore del Concorso Maestro Rasa Calogero sez “B” della prima edizione.
Testo a pag. 68
SANCES SALVATORE nato a Palermo e residente a Palermo.testo pag. 69
SANGERVASIO ANTONIO è nato a Roma il 10 Settembre 1970. Lavora come tecnico
di laboratorio presso la Galileo Avionica, ma da sempre scrive poesie per passione.
Ha iniziato scrivendo rime per gli amici, per gioco; si diletta a comporre piccole
rime per Radio Italia Network prima e per Play Radio adesso con Stefano
Gallarini. Le sue poesie hanno una musicalità che si richiama al ritmo incisivo della
musica con un sapiente e particolare uso dell’allitterazione per creare il suono
ossessivo e incessante di un fiume in piena.. La necessità di scrivere ciò che sente
dentro gli nasce spontanea dall’animo, “soprattutto quando sono solo”, come lui
stesso dichiara. “In quei momenti la mia mano diventa un fiume in piena e scrivo,
perché ne sento il bisogno. Gli stati d’animo appaiono e scompaiono, con
improvvisa velocità, e lì avverto la necessità di scrivere. E so che questa voglia non
mi abbandonerà mai”..(concorso Mentana rivista nomentanum). Poesie pubblicate
sul mensile Amicizia di Roma e su diversi siti internet. Partecipa alla trasmissione
POETI E POESIA sulla emittente laziale TELEVITA come ospite di poesia. Da
sempre attratto dalla poesia partecipa grazie ad una amica ad un concorso
nazionale di poesia inedita nel 2005 a febbraio e vince il primo premio assoluto.
Premi e riconoscimenti: primo posto assoluto poesia inedita OMNES ARTES
Mentana 2005;menzione speciale premio Romano di Lombardia (pubblicazione
antologia La citta') 2005;
finale premio Il Faro Brindisi 2005;
menzione speciale concorso IL FUOCO di Roma (antologia il fuoco)2005;
menzione speciale concorso I COLORI di Cesena(antologia i colori)2005;
vincitore concorso HABERE ARTEM 2005(antologia habere artem vol.7)2005;
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selezionato per antologia i poeti del lazio 2005; 0ttava posizione concorso Calogero
Rasa di Palermo (ottiene anche la 17a posizione) 2006; Ottava posizione concorso
S.Vincenzo in Tivoli 2006; Seconda posizione assoluta poesia inedita concorso i fiori
di campo 2005 Landriano Pavia 2006; vincitore ex-equo poesia inedita a tema
l'uomo e il mare concorso poesia in notes 2006; quinta posizione assoluta poesia
inedita concorso LE NUVOLE Peter Russell di Napoli 2006. Presente nelle
antologie: La città (ed 47), itinerario poesia 2 (accademia barbanera), internauti
(ed aletti), il fuoco (ed giardini), i colori (ed farnedi), poesie per ricordare (ed
aletti), emozioni (ed pagine), tra un fiore colto e l'altro donato (ed aletti), habere
artem (ed aletti), i poeti del lazio (ed aletti), panza nel mondo 2005, io scrivo
poesia 2005 (ed giulio perrone), cuorediafano 2006 (ed.emma), club degli autori
2006 (ed. Montedit), poesie per la vita (ed.Universum), gran premio d'autore 2006
(ed.Universum), i fiori di campo 2005 (ed.fiori di campo), paroleinfuga2 (ed.Aletti),
verrà il mattino ed avrà un tuo verso III 2006 (ed.Aletti), poesie italiane 2006 ( ).
Nel maggio 2005 pubblica una sua raccolta di poesia con la casa editrice IL FILO
intitolata BATTITI PRIMORDIALI. Testo pag. 71
SEPPI CHRISTIAN nato e residente a Bellusco (MI) testo pag. 41
SCIORTINO GIUSY testo pag.99
VALLATI LENIO è nato a Gavorrano (GR) il 21/09/53 e risiede a Sesto Fiorentino.
Esordisce nel 2003 con il libro di narrativa Soggiorno a Bip-Bop, Aut. Libri Firenze.
Del 2004 è Un criceto al computer, tre racconti, edito dalla Ibiskos Ed. con il quale
ha conseguito nel 2005 il 1° posto al Premio Internaz. Mondolibro e al premio A. da
Pontedera. Del 2006 Desiderio di volare, ed. Bastogi, che riunisce ventitre racconti
molti dei quali vincitori di diciotto primi premi per la narrativa. Numerosi e di
prestigio sono i riconoscimenti anche per la poesia. E' stato finalista nel 2005 al
Rhegium Julii e al Domenico Rea. E'stato eletto, al Belmoro di Reggio C. poetascrittore dell'anno 2005. E' presente in numerose antologie tra le quali Poesie
d'amore per il 3° millennio e Letteratura Italiana - Poesia e narrativa dal 2°
Novecento ad oggi 2007 ed. Bastogi. Nel corrente anno 2007 ha ottenuto il 1°
premio al Molinello per la narrativa inedita. Di recente pubblicazione il volume di
poesie Alba e tramonto ed. Bastogi. Testo a pag. 44 – 72
TROCCOLI FRANCESCO nato e residente a Roma. E’ stato segnalato nel 2005 come finalista al
concorso Narrativa di Fantascienza “Tabula Fati” e nella raccolta “I racconti del Prione” con il racconto
“Il Pianeta dei Giganti”; ancora come finalista nel concorso “ Nuovi autori di fantascienza” con il
racconto “Viaggio su Marte”; Finalista al concorso “ Interrete Shorts” con il racconto “Alka Seltzer”;
Sesto classificato al concorso “Citta di Melegnao” del 2005 con lo stesso racconto; Nel 2006 ancora con
il racconto “Viaggio su Marte” è stato segnalato al concorso “Racconti in viaggio”; Nel marzo 2006
finalista con “Essere Umano” al concorso “Apuliacon 2006”; Giugno 2006 con il racconto “Viaggio su
Marte” si è classificato al settimo posto al concorso “Racconti dall’oltrecoscmo; Giugno 2006 con il
racconto “ La Teoria” si è classificato terzo al mconcorso “Red Pill”; Vincitore del concorso letterario
“Marco Majella con la raccolta di racconti “Fantasie di mondi possibili” Nell’agosto 2006 si è
classificato 4° al conorso “insieme nel Mondo” con la medesima raccolta. Vincitore del concorso
letterario del 2006 “Maestro Rasa Calogero con il Racconto “Il Viaggiatore. Testo a pag. 13
ZAPPERI ZUCKER ADA è nata a Catania ma vive da molti anni in Germania. Dopo
aver studiato pianoforte con il maestro Sergio Perticaroli e canto con Alice
Jmmelen, si è diplomata e laureata alla “Musikhochschule” di Vienna. Ha
collaborato al Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto Treccani,
all’Enciclopedia dello Spettacolo e all’Enciclopedia Universo della De Agostini.
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Cantante lirica molto affermata soprattutto in campo internazionale, ha studiato
anche pittura con Gotthard Bonell, allestendo diverse mostre. Nel 2006 ha vinto il
concorso “Calogero Rasa” di Cerda e nel 2007 il premio “Gaetano Cingari” di Reggio
Calabria. Attualmente insegna canto in Germania e Sudtirolo. La scuola delle
catacombe è la sua prima pubblicazione. Testo pag. 92
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Un ringraziamento particolare va alla commissione giudicatrice che per
diversi giorni si è impegnata nella lettura delle opere e poterle giudicare
e alle ragazze che hanno coadiuvato i giudici nelle operazioni per la
buona riuscita del lavoro.
LA COMMISSIONE GIUDICATRICE
PROF. FAUSTO CLEMENTE
PRESIDENTE
PROF. MOSCATO AGOSTINO
GIURATO
PROF. CIRO CARDINALE
GIURATO
DOTT.SSA RASA STEFANIA
GIURATO
PROF.SSA NINA CARDACI
GIURATO
SEGRETARIA DELLA COMMISSIONE
GIUSY MUSCARELLA
COLLABORATRICE
FRANCESCA IMBURGIA – CICERO ROSITA
111
Un ringraziamento particolare
all Assessore ai beni culturali
dell’A.R.S. che ha voluto onorarci del Patrocino
Un ringraziamento alla Provincia Regionale di Palermo. che ha fornito
le coppe.
A tutte le ragazze e ragazzi che si sono impegnati per la buona riuscita
della manifestazione di premiazione.
Per la realizzazione di questo volume hanno collaborato:
Francesca Castagna
Maria Assunta D’Avolio
Francesco Dioguardi
Ermelinda Imburgia
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Indice
Un illustre saggio poeta
pag. 4
Zappa e fauci di Rasa Calogero
pag. 5
Breve storia e curriculum
pag. 6
Presentazione
pag. 11
Narrativa
pag. 13
Poesia in italiano
pag. 47
Poesia dialettale
pag. 73
Cat. “G” italiani all’estero
pag. 91
Categoria bambini
pag. 97
Indice degli autori
pag. 103
Commissione
pag. 111
Ringraziamenti
pag. 112
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