Untitled - Rizzoli Libri
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MICHEL HOUELLEBECQ LA CARTA E IL TERRITORIO Traduzione di Fabrizio Ascari I GRANDI TASCABILI BOMPIANI In copertina: Robert Gligorov, Divina Courtesy Galleria Pack Milano Titolo originale LA CARTE ET LE TERRITORIE Realizzazione editoriale: studio g.due s.r.l. ISBN 978-88-452-6836-6 © Michel Houellebecq et Flammarion, 2010 All rights reserved First published by Flammarion in 2010 © 2010/2011 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano I edizione Tascabili Bompiani settembre 2011 “Io tedio il mondo e il mondo tedia me.” Charles d’Orléans Jeff Koons si alzava dalla sua sedia, le braccia protese in uno slancio di entusiasmo. Seduto di fronte a lui su un divano di pelle bianca parzialmente ricoperto di un tessuto di seta, un po’ incurvato, Damien Hirst sembrava sul punto di formulare un’obiezione; il volto rubicondo aveva un’aria cupa. Entrambi indossavano un abito nero – quello di Koons, a righe sottili – una camicia bianca e una cravatta nera. Fra i due uomini, sul tavolo basso, era posato un cestino di frutta candita cui né l’uno né l’altro prestavano attenzione; Hirst beveva una Budweiser Light. Dietro di loro, una vetrata dava su un paesaggio di edifici alti che formavano un intrico babelico di poligoni giganteschi, fino ai confini dell’orizzonte; la notte era chiara, l’aria di una limpidezza assoluta. Ci si sarebbe potuti trovare nel Qatar o a Dubai; l’arredamento della stanza era in effetti ispirato a una fotografia pubblicitaria, tratta da una pubblicazione tedesca di lusso, dell’hotel Emirates di Abu Dhabi. La fronte di Jeff Koons luccicava leggermente; Jed la sfumò con il pennello e indietreggiò di tre passi. C’era decisamente un problema con Koons. Hirst, in fondo, era facile da cogliere: lo si poteva fare bru7 tale, cinico, del genere “vi disprezzo dall’alto della mia ricchezza”; lo si poteva anche fare artista ribelle (ma pur sempre ricco) che prosegue un lavoro angosciato sulla morte; c’era infine nel suo volto qualcosa di sanguigno e di pesante, tipicamente inglese, che lo avvicinava a un tifoso dell’Arsenal. Insomma, c’erano differenti aspetti, ma si potevano combinare nel ritratto coerente, rappresentabile, di un artista britannico tipico della sua generazione. Koons invece sembrava portare in sé qualcosa di doppio, come una contraddizione insormontabile fra la scaltrezza ordinaria dell’agente di commercio e l’esaltazione dell’asceta. Erano già tre settimane che Jed ritoccava l’espressione di Koons che si alzava dalla sedia, le braccia protese in uno slancio di entusiasmo come se tentasse di convincere Hirst; era difficile quanto dipingere un pornografo mormone. C’erano foto di Koons da solo e in compagnia di Roman Abramovitch, Madonna, Barack Obama, Bono, Warren Buffett, Bill Gates… Nessuna riusciva a esprimere qualcosa della personalità di Koons, ad andare oltre quell’aria da venditore di decappottabili Chevrolet che l’artista aveva scelto di sfoggiare di fronte al mondo; era esasperante; del resto, da un pezzo i fotografi esasperavano Jed, in particolare i grandi fotografi, con la loro pretesa di rivelare nei loro scatti la verità dei loro modelli; non rivelavano un bel niente, si limitavano a piazzarsi davanti al soggetto e a far funzionare il loro apparecchio per scattare ridacchiando centinaia di foto a casaccio, e in seguito sceglievano le meno brutte della serie, ecco come procedevano, senza eccezione, tutti quei sedicenti grandi fotografi; Jed ne conosceva alcuni personalmente e nutriva solo di8 sprezzo per loro, considerandoli tutti quanti creativi pressappoco quanto una cabina per fototessera. In cucina, alcuni passi dietro di lui, la caldaia emise una serie di schiocchi. Si irrigidì, paralizzato. Era già il 15 dicembre. 9 Un anno prima, circa alla stessa data, la sua caldaia aveva emesso la stessa serie di schiocchi, prima di bloccarsi del tutto. In poche ore la temperatura nello studio era scesa a tre gradi. Era riuscito a dormire un po’, ad assopirsi piuttosto, solo a tratti. Verso le sei del mattino, aveva usato gli ultimi litri di acqua calda per una toeletta sommaria, poi si era preparato un caffè in attesa dell’operaio di Plomberie en général – avevano promesso di mandare qualcuno in mattinata, presto. Sul suo sito web, Plomberie en général si proponeva di “fare entrare le riparazioni idrauliche nel terzo millennio”; potrebbero cominciare col mantenere i loro impegni, mugugnò Jed verso le undici, girando per lo studio senza riuscire a riscaldarsi. Lavorava allora a un ritratto di suo padre, che avrebbe intitolato L’architetto Jean-Pierre Martin lascia la direzione della sua azienda; inevitabilmente, l’abbassamento della temperatura avrebbe rallentato l’asciugatura dell’ultima mano. Aveva accettato come ogni anno di cenare con suo padre la sera di Natale, due settimane dopo, e sperava di finire in tempo; se l’idraulico non interveniva in fretta, aveva scarse probabilità di farcela. A dire il vero, in assoluto la cosa non aveva alcuna importanza, non 11 intendeva fare dono del quadro a suo padre, voleva semplicemente mostrarglielo; perché, a un tratto, attribuiva tanta importanza alla faccenda? In quel periodo aveva decisamente i nervi a pezzi, lavorava troppo, aveva iniziato sei quadri contemporaneamente, da qualche mese non si fermava un attimo, non era ragionevole. Verso le quindici, si decise a richiamare Plomberie en général; era sempre occupato. Riuscì a contattarli poco dopo le diciassette; l’impiegata del servizio clientela addusse il pretesto di una mole di lavoro eccezionale dovuta all’arrivo del grande freddo, ma promise che gli avrebbe mandato senz’altro qualcuno l’indomani mattina. Jed riattaccò, poi prenotò una stanza al Mercure di boulevard Auguste-Blanqui. L’indomani attese di nuovo per tutto il giorno l’operaio di Plomberie en général, ma anche quello di Simplement plombiers, che era riuscito a contattare nel frattempo. Simplement plombiers prometteva il rispetto delle tradizioni artigianali dell’“alta idraulica”, ma si mostrava ugualmente incapace di rispettare un appuntamento. Nel quadro in cui lo aveva immortalato, il padre di Jed, in piedi su una pedana in mezzo alla cinquantina di impiegati della sua azienda, alzava il bicchiere con un sorriso dolente. La bicchierata di addio aveva luogo nell’open space del suo studio di architettura, una grande sala dalle pareti bianche, di trenta metri per venti, illuminata da una vetrata, in cui si alternavano le postazioni dei computer ai tavoli con i plastici dei progetti in corso. I presenti erano perlopiù giovani dall’aspetto nerd – i proget12 tisti 3D. In piedi accanto alla pedana, tre architetti di una quarantina d’anni circondavano suo padre. Secondo una composizione mutuata da una tela minore di Lorenzo Lotto, ciascuno di loro evitava lo sguardo degli altri due, cercando di catturare quello di suo padre; ciascuno di loro, lo si capiva subito, nutriva la speranza di succedergli alla direzione dell’azienda. Lo sguardo del padre, fissato un po’ al di sopra dei presenti, esprimeva il desiderio di riunire un’ultima volta la sua équipe attorno a sé, una fiducia ragionevole nel futuro, ma soprattutto una tristezza assoluta. Tristezza di lasciare l’azienda che aveva fondato, alla quale aveva dedicato il meglio delle sue forze, tristezza dell’ineluttabile: si era davanti a un uomo finito, era chiaro. A metà pomeriggio, Jed tentò invano, una decina di volte, di contattare Ze Plomb’, che usava Skyrock come musica di attesa, mentre Simplement plombiers aveva optato per Rires et chansons. Verso le diciassette, raggiunse l’hotel Mercure. Scendeva la notte su boulevard Auguste-Blanqui; dei barboni avevano acceso un fuoco sul controviale. Jed trascorse i giorni seguenti pressappoco nello stesso modo, digitando numeri di idraulici, sorbendosi interminabili musiche di attesa in un freddo sempre più glaciale accanto al suo quadro che non voleva asciugarsi. Una soluzione si presentò il mattino del 24 dicembre, nelle sembianze di un artigiano croato che abitava vicinissimo, in avenue Stephen-Pichon – Jed aveva notato la targa per caso ritornando dall’hotel Mercure. Era disponibile, sì, immediatamente. Era un uomo basso, dai capelli neri, dal colorito pallido, dai tratti armoniosi e fini, provvisto 13