I culi di pietra e la loro guerra

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I culi di pietra e la loro guerra
Questotrentino.it
Cover story - QT n. 18, 24 ottobre 1998
I culi di pietra e la loro guerra
La bagarre per la presidenza della Camera di Commercio: da una parte i culi di pietra dell'Unione Commercio,
dall'altra Industriali e Cooperative. Nomi, alleanze, progetti e conflitti, all'interno di un ceto burocratico che
soffoca il Trentino.
di Ettore Paris
"Non ricandiderò. Potrò rivedere questa mia posizione, Ma solo se la mia candidatura sarà espressione di un 'ampia
convergenza dell'insieme del mondo economico." Nessuno prese sul serio queste parole dell'immarcescibile presidente della
Camera di Commercio Marco Oreste Detassis, a proposito dell'imminente scadenza del suo mandato: un culo di pietra che
rinunci in partenza a una poltrona, è mai possibile?
Non è possibile. E difatti nelle settimane successive abbiamo visto Detassis riproporsi, indipendentemente dall'"ampia
convergenza del mondo economico", anzi mandare l'ampia convergenza a quel paese, e scagliarsi con violenza contro gli
esponenti e le categorie rei di non volerlo rieleggere: ed ecco gli attacchi scomposti a Uez presidente degli Artigiani, ad Angeli
della Federazione Cooperative, agli Industriali...
Sul personaggio Detassis è facile ironizzare. Ed anche giusto: da lustri ricopre con ignavia una carica pubblica che altrimenti
potrebbe essere importante, e che invece utilizza solo come vetrina personale e come passpartout per ulteriori cariche, per sé
e i suoi sodali, in ulteriori cda, cariche ricoperte con puro spirito presenzialista. Però il punto è un altro, la questione Camera
di Commercio va oltre Detassis, e investe tutto un sottobosco burocratico; anzi coinvolge in pieno il ceto dirigente della
cosiddetta "società civile". E non ne viene fuori un bei quadro.
Da diversi nostri lettori ci è stato rimproverato l'ottimismo de "Il tramonto dei culi di pietra", il titolo con cui mesi fa
aprivamo il servizio sulla rivolta dei commercianti contro i vertici dell'Unione Commercio, defenestrati dopo anni di comodo
vivacchiare su ricche poltrone. "I nuovi capi sono uguali, anzi peggio..." è l'amaro giudizio. In effetti, al vertice dell'Unione,
cambiati i nomi, si sono riproposti gli stessi meccanismi: un gruppo di persone si impadronisce delle leve di potere, fa fuori i
dissidenti, si spartisce le poltrone in enti e società collegate. Questa è l'attività vera: della categoria che formalmente si
dovrebbe rappresentare, dei suoi problemi ci si disinteressa, ormai si è nel piccolo 0limpo trentino delle persone che contano;
chi se ne frega della tabaccaia?
La costituzione del nuovo gruppo di potere è stata rapidissima. Cacciato il presidente Bertoldi, la coppia dei vincitori Gianni
Bort e Paolo Mondini è entrata in crisi: da una parte Bort, ristoratore, già presidente dell'Unione, legatissimo al mondo
politico ex-Dc; dall'altra Mondini, commerciante all'ingrosso, che al rinnovamento dell'Unione credeva davvero. Ma Bort non
è solo: nella scalata al potere si è tirato dietro altri compagni di cordata: anzitutto Mario Oss e Giuseppe Zecchini, con cui
condivide il passato politico (tutti e tre ex-Dc) e il presente (l'attuale parcheggio nel Ccd). Per il gruppo è logico mettere fuori
gioco l'eretico Mondini, lui e i suoi bei progetti di rinnovamento dell'associazione, distacco dalla politica, non cumulabilità
delle poltrone, ecc. Dopo di che si procede col solito gioco delle nomine: Caritro, Seac, Itc, Aeroporto...
Non basta: si vogliono irrobustire gli agganci politici, e allora i nostri coinvolgono un altro antico sodale politico, il boss della
burocrazia provinciale Mauro Marcantoni, cui viene affidata, per la modica cifra di 150 milioni annui, una consulenza relativa
alla riorganizzazione dell'associazione; e con un' altra consulenza, questa volta di 80 milioni annui, viene agganciato Mario
Malossini, personaggio sulla cui riabilitazione sono in molti a puntare.
Come si vede, un blocco di potere in piena regola. Insidiato però da più parti: dall'ex-presidente Bertoldi che medita rivincite,
dal mancato presidente Mondini, che dall'interno della sua categoria - i grossisti - spara a zero contro un gruppo che ritiene
una congrega di avventurieri; e poi la minaccia più grave e di fondo, lo stato di crisi e conseguente insoddisfazione della
categoria. Per sopravvivere, i nostri hanno bisogno vitale di una condizione: mantenere il controllo della Camera di
Commercio, riconfermando alla presidenza Detassis, ad essi omogeneo.
Per questo il gruppo di Bort-Oss si mette a fare i salti mortali. Il presidente della Camera viene eletto dal Consiglio camerale, i
cui consiglieri sono espressi dalle associazioni, e la squadra di Bort si lancia alla conquista di questi seggi. Con tutti i mezzi:
nell'Unione vengono azzerate le nomine non espresse dal gruppo dirigente; Bort stesso, per guadagnare un seggio, entra non
come rappresentante dell'Unione, ma della Caritro; con artifici vari (e il supporto dell'assessorato regionale) ci si appropria di
5 dei 6 seggi riservati ai commercianti, lasciandone uno solo alla concorrente Confesercenti. Un grande sgomitare che rischia
di essere controproducente: i torteggiati reagiscono, all'interno dell'Unione c'è tutta una serie di ricorsi ai probiviri, e
all'esterno la Confesercenti si appella al Tar. E il clima intorno alla rielezione di Detassis si fa pesante.
Ma perché è così importante la presidenza camerale? Che poteri reali ha un presidente come Detassis? Tutti i nostri
interlocutori, a questa domanda si sono stretti nelle spalle. Il valore di questa presidenza è molto variabile, dipende da come
si interpreta il ruolo della Camera.
La quale ha una duplice funzione: da una parte, con i suoi registri, albi, tabelle, gestisce una buona fetta delle incombenze
burocratiche legate al mondo economico. Dall'altra avvalendosi delle statistiche, degli uffici studi, degli enti collegati,
dovrebbe essere un momento di studio, proposta, indirizzo dell'intero comparto economico. Questa la teoria. In pratica la
Camera di Commercio di Trento svolge bene i suoi compiti burocratici (dato importante, non far perdere tempo con le
scartoffie è un fattore di sviluppo); ma crolla come momento di progetto e stimolo. Le realizzazioni positive si contano sulle
dita di una mano: la Carta forestale del Trentino, l'Accademia di commercio e turismo, la Centrale ortofrutticola di Trento.
Poi ci sono i fallimenti, ossia i continui supporti dati a tutte le ipotesi, anche le più strampalate, portate avanti dalle lobby
affaristiche: l'Interporto doganale inaugurato alla vigilia dell'abbattimento delle dogane; il progetto Magnete, oggetto
misterioso che copriva speculazioni edilizie, o lo Spot, che copriva gli scambi privati di Malossini; la gestione fallimentare
dell'aeroporto; l'area commerciale di via Maccani, risultata la zona peggiore del capoluogo, un biglietto da visita squalificante
per qualsiasi operatore; la famigerata PiRuBi... Insomma, alla gestione Detassis è clamorosamente mancata, prima ancora
della capacità di proporre, quella di valutare: qualsiasi progetto, da realizzarsi beninteso con i soldi pubblici, proposto dalle
varie lobby, ha potuto contare sull'assenso preventivo e acritico della Camera. E' l'economia ridotta a giro di amici, cui non si
dice di no, anche perché una poltrona in qualche cda tè la offrono sempre, e i soldi da investire sono quelli di Pantalone.
A tutto ciò va aggiunta la clamorosa assenza della Camera all'interno del dibattito normativo, così importante in una
situazione come il Trentino, in cui l'Autonomia offre le possibilità di confezionarci leggi su misura: "Nell'elaborazione della
legge unica sull'economia, in quella sull'imprenditoria, sul commercio, il contributo della Camera è stato nulla -ci dice la
Confesercenti- Dovrebbe essere un elemento propulsore, esprimere indirizzi; invece di fronte alla Pat ci troviamo noi
associazioni a dover/are da sole, e arriviamo fin dove possiamo."
Q ueste carenze sono più vistose oggi. nell'era post democristiana. Quando l'universo trentino era targato De, che la politica
economica fosse elaborata in toto in piazza Dante non era un punto particolarmente dolente. Ma nella situazione attuale, in
cui in Provincia si elabora poco o niente, e invece la società civile, le associazioni di categoria premono per aver più peso, uno
strumento come la Camera di Commercio diventa basilare. E in tal senso si muove anche la legislazione nazionale, che nelle
ultime stesure (da noi ancora da recepire) amplia queste facoltà di proposta e indirizzo delle Camere, proprio per favorire la
partecipazione del mondo produttivo.
Su questa linea a Trento si muove da alcuni anni l'Associazione industriali (vedi anche l'ultimo convegno "Oltre il 2000").
Non è quindi da stupirsi che da industriali, artigiani. Federazione Cooperative, sia scaturita una proposta alternativa a
Detassis: basta con la vecchia gestione e il suo tran tran, occorre in primis una nuova presidenza, e che le associazioni stesse
entrino con forza nella Camera, facendo eleggere i propri presidenti nella giunta camerale. "Si tratta di dare gambe alla
volontà di essere momento propositivo da parte delle associazioni - dice Bruno Dorigatti, segretario della Cgil- La Camera di
Commercio, grazie ai suoi uffici studi, ai dati che raccoglie e elabora, può fornire la base per un nuovo protagonismo
politico dei soggetti economici".
E' un'interpretazione generosa, l'ottimismo della volontà.
Perché l'iniziativa degli imprenditori presenta due vistose zone d'ombra. La prima è la scarsa operatività che finora hanno
avuto analoghi tentativi. Infatti, proprio per avere maggiore incisività di quanto non succedesse all'interno della Camera di
Commercio, alcuni anni fa le principali associazioni (industriali, artigiani. Unione commercio, Federazione cooperative,
albergatori) diedero vita al l'autonomo Coordinamento Imprenditori: in cui però, dovendosi prendere ogni decisione
all'unanimità, si arrivò alla paralisi. E proprio la forza conservatrice degli interessi particolari, delle singole sottocategorie,
sembra essere l'elemento più vistoso dell'agire delle associazioni imprenditoriali: basta osservare come poi, alla fine, tutti i bei
discorsi sullo sviluppo del Trentino finiscano in pressioni pro-PiRuBi e terza corsia dell'Autobrennero, per accontentare
cementificatori e autotrasportatori anche nell'Europa che ha già scelto la ferrovia; sarebbe come se nel Trentino di un secolo
fa, il mondo economico, pressato da vetturini e maniscalchi, sostenesse il trasporto con i calessi. Ora, anche per superare
questi paralizzanti corporativismi, le associazioni imprenditoriali ripropongono come elemento propositivo la Camera di
Commercio opportunamente rinnovata, e la propria presenza forte al suo interno. Il nodo di fondo però rimane: se non
sapranno superare i corporativismi, dovranno continuare a delegare ai partiti qualsiasi funzione politica.
C'è inoltre una seconda zona d'ombra: gli uomini e gli interessi coinvolti. La proposta degli imprenditori è portata avanti da
Pierluigi Angeli, boss De oggi alla guida della Federazione cooperative. E fin qui niente da dire. Angeli è il capo abile e
indiscusso di un movimento robusto e vastissimo. Il punto sono gli uomini proposti da Angeli: il nuovo presidente della
Camera di Commercio dovrebbe essere Garbari, imprenditore edile, già presidente dell'Associazione Industriali negli anni di
Tangentopoli, che non ha brillato per forza e personalità, legato alla costituzione dell'orrido Ctc, consorzio nato per spartire
senza appalti le commesse pubbliche e finito nelle aule dei tribunali. Non solo: come altro rappresentante del movimento
cooperativo Angeli si porta dietro Sartori, presidente del Cavit e di mille altre società, un culo di pietra del mondo
cooperativo, famoso per non riuscire a partecipare che a un'esigua parte dei cda di cui è membro, e che peraltro
ingordamente colleziona. "Beh, questo è Angeli si dice si circonda solo di persone deboli e che gli dicono sempre di sì ". Con
questi presupposti, che fondamento hanno le belle parole sul rinnovamento della Camera?
La candidatura di Garbari ha scatenato l'ira di Detassis. Che si è lanciato contro la proposta degli imprenditori, sostenendo
che la Camera di Commercio non può essere la loro palestra, bensì un'istituzione che rappresenta la globalità del mondo
economico, inteso come tutti gli appartenenti a tutte le categorie, iscritti e non iscritti a qualsivoglia associazione.
Concetti sacrosanti. Il guaio è che la Camera di Commercio, in particolare sotto la sua presidenza, è fortemente sbilanciata
verso la sua categoria -i commercianti- e all'interno di essa verso la sua associazione - l'Unione- e all'interno dell'Unione verso
i suoi compari. E' noto che in caso di nomine di rappresentanti della Camera in altri enti, la scelta ricade sul solito giro di
persone. Ed è incontroverbile la sovrarappresentazione dell'Unione all'interno del consiglio camerale (attualmente 9
consiglieri su 45, mentre ad esempio la più numerosa e importante Federazione Cooperative ne conta solo due). E ci sono
anche sgradevoli episodi di parzialità. Ne raccontiamo uno: la Confesercenti fa domanda per entrare nel Cte (l'ente fieristico),
versa la relativa quota (30 milioni); la domanda, esaminata dal cda del Cte viene accolta all'unanimità, tranne il voto
contrario dell'Unione (associazione concorrente, che ci fa una figura barbina) e l'astensione del rappresentante della Camera
di Commercio (che è un uomo dell'Unione e come tale evidentemente si comporta).
Questi fatti spiegano la necessità per il gruppo di potere insediatesi all'Unione di mantenere il controllo della Camera. Ma ne
spiega anche la debolezza. La cordata Detassis, Bort, Oss, Marcantoni è debole anche sul piano politico (il Ccd non basta, si
tentano agganci con il Centro doroteo di Giovannazzi, Conci & C). Ma è soprattutto debole strategicamente, nel rapporto con
gli associati: i culi di pietra dell'attività sindacale non sanno niente; i servizi periferici sono in crisi (vedi i recenti
licenziamenti nella sede di Borgo, e altre tensioni a Levico); gli associati non rinnovano e si rivolgono alle associazioni
concorrenti, i dettaglianti alla Confesercenti (che in pochi anni ha aumentato del 50% gli iscritti, e aperto nuove sedi e
sportelli) gli albergatori all'Asat, e in misura minore gli operatori del terziario all'Associazione Industriali. La frana, iniziata
già con Bertoldi, è ora vistosa.
Dall'altra parte Angeli si sta dando da fare. E pochi giorni fa Dellai è pubblicamente uscito con un sonoro No alla rielezione di
Detassis.
L'esito della contesa sembra volgere a sfavore di Detassis. Ma il problema non è il singolo nome, è l'insieme di un ceto
burocratico che esaurisce la sua attività nel gioco delle poltrone e delle alleanze.
Quanto questa situazione sia deleteria per il Trentino, lo dimostra la vicenda Caritro. Finora nessun ente si è seriamente
posto il problema del proprio adeguamento alle esigenze del 2000. Lo ha fatto la sola Fondazione Caritro, decidendo che la
soluzione era la dismissione della banca, e il suo inserimento in un contesto nazionale. Con una conseguenza: gli
amministratori della Fondazione perdono potere, le loro poltrone valgono meno. Avrebbe potuto una simile decisione essere
presa da dei professionisti della poltrona?
Ovviamente no: contro la decisione della Fondazione, feroce è stata l'opposizione proprio di Detassis, altri hanno tentato di
mettere bastoni tra le ruote, lo stesso Angeli si è espresso contro. Le cose sono andate come è noto, solo perché a capo della
Fondazione, alla vigilia di Natale di alcuni anni fa, con un blitz il Ministero del Tesoro ha posto il prof. Pegoretti, cattedratico
assolutamente estraneo al mondo burocratico locale. Se fosse stato per i nostri culi di pietra, si sarebbero tenuti ben stretta la
banchetta ancora in buona salute, ma dalle prospettive nulle.
Finché l'autonomo Trentino non si toglierà di tomo la cappa di questo ceto, non gli rimarrà che sperare che ogni tanto ci sia
qualcuno a Roma che da lì faccia lui le nomine giuste.