- Gruppo Umbro Mineralogico

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- Gruppo Umbro Mineralogico
Numero 0
Editoriale
Fossils & minerals
Il G.U.M.P., Gruppo Umbro Mineralogico Paleontologico, nasce nel lontano 1978
grazie ad un gruppo di amici che aveva in comune la passione per le scienze della
terra ed in particolare per i minerali e fossili, sostenitori dell’importanza della
divulgazione dello studio dei fossili e dei minerali della nostra regione, e a distanza
di quasi quanranta anni resta uno dei pochi rappresentanti di tali discipline, a livello
nazionale, ancora presenti e più che mai attivi sul territorio.
Sin dalla sua fondazione, il G.U.M.P. è stato impegnato nella divulgazione delle
materie geo-paleontologiche nelle scuole, con lezioni, proiezioni, escursioni “sul
campo” , allestendo, in molte occasioni, mostre didattiche all’interno delle stesse
scuole, come, ad esempio, a Santa Maria degli Angeli ed a Bastia Umbra.
Numerose le attività realizzate in tutti questi anni e diverse escursioni per conoscere
e scoprire nuove cose. Fiore all’occhiello dell’associazione la segnalazione della
Foresta Fossile di Dunarobba e la realizzazione dell’unica struttura museale in
ambito paleontologico che valorizza scientificamente il patrimonio paleontologico
del Giurassico del nostro appennino umbro-marchigiano con studi biostratigrafici
e ricerche in collaborazione con diversi atenei italiani.
Nel dicembre del 2001, infatti, è stato inoltre inaugurato, a compimento di un
sogno finalmente realizzato, il Laboratorio Ecologico di Geo Paleontologia,
presso la sede dell’Ente Parco del monte Subasio, risultato degli studi scientifici
eseguiti sulle successioni fossilifere del versante occidentale del Subasio, con la
competenza di specialisti universitari ed il contributo appassionato del Gruppo
Umbro Mineralogico Paleontologico, al quale si deve l’esposizione dei fossili lì
presenti, anche molto rari, i quali raccontano al visitatore una storia iniziata ben
due miliardi di anni fa, e ancora non conclusa.
L’associazione ha quindi intrapreso una nuova avventura: iniziare a pubblicare
una rivista in italiano o inglese su Minerali e Fossili. I contributi a carattere
divulgativo su tale rivista possono essere inviati a [email protected]. La
rivista è gratuita ed on-line in formato PDF scaricabile da una nuova sezione del
portale www.gumpassisi.it Sarà possibile richiedere una copia cartacea della rivista
ad un costo di 7,00 euro + spese spedizione telefonando al +393385664463 o al
+393397743826.
Comitato di Redazione: Coordinatore: Boccali Roldano
Sensi Claudio, Giorgi Maria Pia, Calzolari Prospero, Tassi Luca, Famiani Federico,
Enrico Nessi, Pamela Balocchi.
Comitato Scientifico: Bogni Giorgio, Venturi Federico, Biagini Publio
indice
Fossils & minerals
Rivisitando le Miniere di Capanne Vecchie e Fenice Capanne
Mancini Roberto (Gruppo G.A.E.V.), Pucci Paolo (Gruppo G.A.E.V.), Pucci Diego (Gruppo
G.A.E.V.) e Farulli Carlo (G.M.P.L.)
La Foresta Fossile di Dunarobba a 30 anni dalla riscoperta
Lucilia Gregori (UNIPG) con il contributo del GUMP
Le Miniere di Monteleone di Spoleto (Pg- Umbria)
Federico Famiani
Escursione nel deserto marocchino: Il richiamo del deserto
Fabrizio Cantelli
Distribuzione stratigrafica e paleoecologica di Persististrombus
coronatus (defrance., 1827) nel Pleistocene orvietano (UmbriaItalia)
Federico Famiani
I Fossili Figurati di Conrad Gesner
Romano Guerra
Annunci di
Marco Ferreri, Alfredo Principato, Enrico Carbini e Luca Montarani
in copertina: Sezione di tronco - Foresta Fossile di Dunarobba
Fossils & minerals
Rivisitando le Miniere di Capanne Vecchie e Fenice Capanne
Mancini Roberto (Gruppo G.A.E.V.), Pucci Paolo (Gruppo G.A.E.V.), Pucci Diego (Gruppo G.A.E.V.) e
Farulli Carlo (G.M.P.L.)
I nostri due Gruppi (GAEV e GMPL) in circa 40 anni di attività hanno rivolto le proprie ricerche
mineralogiche un po’ dovunque nella nostra regione molto interessante per le numerosissime
cave, miniere e affioramenti così ricchi di minerali, ricevendo notevoli gratificazioni personali
ma anche scientifiche.
Oggi in un contesto di continui risultati sempre meno fruttuosi, abbiamo ripreso le ricerche
in zone che da anni avevamo tralasciato; ed è stata immensa la soddisfazione dopo recenti
rivisitazione di questo vasto comprensorio nelle Colline Metallifere per essere riusciti ad invertire
la tendenza ed aver trovato diversi minerali interessanti e neppure tanto microscopici,
tutto ciò ha senz’altro giovato al nostro spirito di ricerca e di passione, che stava lentamente
scemando ed ha ripristinato quel fervore che in passato era un cardine delle nostre escursioni.
È giusto anche dire che non abbiamo potuto allargare molto le ricerche, dato lo scarso tempo a
disposizione e la lontananza, ma i nostri proponimenti ci portano ad affermare che in un futuro
non molto lontano saranno i nostri principali obiettivi.
Le località che ci hanno fornito dei bei campioni sono state senz’altro le vecchie miniere di
Capanne Vecchie con i suoi bei Quarzi e Fenice Capanne ove abbiamo reperito Barite tabulare,
Gesso in cristalli aciculari e Quarzo con cristalli centimetrici non sempre jalini ma talora
leggermente ametistini ma soprattutto con gli abiti più disparati a iniziare da quelli alpini,
prismatici, intermedi,.... talvolta distorti, faden, a scettro,... a nostro parere interessantissimi e
da poter mostrare con soddisfazione ai nostri amici!
Fenice Capanne oggi
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Quarzo di Capanne Vecchie una parte del bottino.
Capanne Vecchie Quarzo a scettro ametistino xx fino cm.4
Gesso aciculare di Fenice Capanne cm.12 x cm.8
Barite di Fenice Capanne cm. 13 x cm.12
Quarzo di Fenice Capanne (GR)
Stalattiti di Calcantite di oltre 1 metro Fenice Capanne
cm 14x9,5
x maggiore cm 2,2
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La Foresta Fossile di Dunarobba a 30 anni dalla riscoperta
Lucilia Gregori
con il contributo del G.U.M.P.
La scoperta
Nel 1986 il G.U.M.P. (Gruppo Umbro Mineralogico e Paleontologico) segnalò la presenza
di tronchi fossilizzati in una cava presso Dunarobba (Avigliano Umbro -Tr), ad Ambrosetti,
ordinario di paleontologia all’Università di Perugia.
Il giacimento fossilifero di Dunarobba, in realtà, ha una lunga storia di scoperte e riscoperte.
La prima segnalazione è quella di Federico Cesi, risalente al ‘600. Nel 1637 Francesco Stelluti
continua gli studi di Cesi, pubblicando “Trattato sul legno fossile minerale nuovamente
scoperto”, nel quale descrive il materiale
ligneo, definendolo “Metallofite”.
In seguito se ne occuparono anche altri uomini di scienza, attratti dall’unicità della scoperta.
Soltanto tra il 1979 e il 1987 i tronchi furono scoperti in una cava dagli operai, che non li
asportarono, grazie alla sensibilità dei proprietari. Fu così che il G.U.M.P. notò e segnalò il
sito alle autorità competenti.
Genesi della Foresta Fossile
Secondo gli studi più recenti, la FFD risale al Pliocene medio- superiore (Abbazzi et al. 1997,
Leone et al. 2000).
In questo periodo le spinte orizzontali, che avevano generato la catena appenninica, erano
oramai terminate (Barchi 1994, Basilici 1995). Contemporaneamente la crosta continentale
aveva iniziato a lacerarsi (apertura del Tirreno) già dal Miocene superiore (Basilici 1998).
Il fenomeno distensivo raggiunse l’Umbria proprio nel Pliocene. Si formarono, così, diverse
depressioni, che divennero zone di accumulo per sedimenti. La più grande era il bacino tiberino,
che attraversava tutta l’Umbria da nord a sud con forma di Y rovesciata. La Foresta Fossile
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si collocava nel ramo sud occidentale di questo bacino (conca di Acquasparta), la quale, nel
Pliocene medio superiore, era occupata da un grande lago (Ambrosetti et al.1995), allungato
NNO-SSE.
Basilici (1992) individua 4 unità litostratigrafiche nell’area di
Todi-Acquasparta:

Unità di Fosso Bianco : nella quale rientra la FFD

Unità di Ponte Naia

Unità di Santa Maria di Ciciliano

Unità di Acquasparta.
Il paleoambiente della Foresta Fossile
Attorno a Dunarobba si osservano rocce formatesi in due tipologie di costa lacustre:
a) una soggetta a moto ondoso
b) un’altra paludosa
I sedimenti dell’area della Foresta Fossile si sono formati in una costa paludosa. Le rocce
affioranti sono l’espressione di 5 diverse litofacies, individuate ed interpretate da Basilici
(1995):
1) argille marnose con resti di vegetali, gasteropodi (foto 4-5), lamellibranchi, ostracodi
e decapodi dulcicoli, spesso anche noduli di siderite (foto 2). I resti vegetali (foto3) sono
soprattutto foglie di Glyptostrobus e di Osmunda (Basilici 2000). Litofacies interpretato come
deposito di stagno costiero.
2) limi argillosi grigio bluastri laminati. Le lamine sono sottili, ondulate e possono formare
increspature asimmetriche. Sono rari i resti fossili. L’interpretazione di questi depositi è ancora
in discussione.
3) argille limose massive grigio-bluastre. I tronchi sono prevalentemente radicati in questa
roccia. La fauna è costituita per lo più da gasteropodi di ambiente palustre. Tale facies è stata
interpretata come un paleosuolo.
4) depositi di origine vegetale (ligniti). I resti sono quasi tutti di natura legnosa e non hanno
tracce di trasporto. La loro interpretazione è di depositi organici di palude costiera.
5) depositi sabbiosi, sporadici, di spessore tra 5 e 90 cm con laminazioni incrociate. La loro
interpretazione non è ancora ben chiara.
Fossils & minerals
La Foresta Fossile
Nel record geologico è facile rinvenire resti di alberi, ma non è frequente trovarne alberi in
posizione vitale, in numero, grandezza e buono stato di conservazione come a Dunarobba.
Infatti i tronchi hanno subito un particolare processo di fossilizzazione chiamato mummificazione,
il quale non ha
alterato la natura stessa del legno.
Nonostante i molteplici studi effettuati, ancora oggi non è chiara
l’appartenenza specifica dei tronchi.

Le indagini paleocarpologiche (Martinetto 2000) hanno individuato semi, coni e fronde
di una sola specie di Taxodiacea, il Glyptostrobus europeus.

Le analisi xilotomiche dei tronchi, supportate da quelle chemiotassonomiche (Biondi &
Brugiapaglia, 1998 , 2000), hanno dimostrato che le maggiori analogie sono riscontrabili con
la specie fossile Taxodioxylon gypsaceum.

Lo studio morfometrico dei granuli pollinici non permette di attribuirli con certezza
sistematica ai generi Taxodium, Glyptostrobus e Sequioia.
Fossils & minerals
Conclusioni: La foresta Fossile come geosito
La regione Umbria è caratterizzata da situazioni geologico-geomorfologiche molto diverse fra
loro.
Gregori (2005) inserisce la Foresta Fossile di Dunarobba in una rassegna di siti, che per le
loro caratteristiche, rientrano nel modello di “geomorfosito”.Si tratta infatti di un giacimento
fossilifero di grande interesse, rarità ed importanza non solo per l’Umbria, ma a livello
mondiale, dato che oltre ai tronchi ha conservato molluschi, insetti e vertebrati, ovvero un
perfetto ecosistema del passato.
Infine, si deve considerare che, la Foresta Fossile è un sito geo-paleontologico all’aperto
e perciò, trovare soluzioni per la gestione non è semplice, dato che si tratta di realizzare un
vero e proprio museo in sito. Tuttavia, come sottolineato da Berti (2000), i tronchi sono in
costante degrado. E’ quindi necessario intervenire in tempi brevi per fermare questo fenomeno
e valorizzare questo importante sito.
Segnalare singolarità geologiche come questa, è quindi di grande importanza per coordinarne
la tutela ed una corretta fruizione.
Fossils & minerals
Bibliografia
Abbazzi L., Albianelli A., Ambrosetti P., Argenti P., Basilici G., Bertini A., Gentili S., Masini F.,
Napoleone G. & Pontini M.R., (1997) - Paleotological and sedimentological record in Pliocene distal
alluvional fan deposit at Cava Toppetti (Todi Central Italy). Boll. Soc. Paleont. Ita. 36(1) 5-22.
Ambrosetti P., Argenti P., Sensi C., Biondi E., Girotti O., Martinetto E., Principato M., Paganelli
A., Basilici G., Gentili S., Berti S., Pontini M.R., Esu D. (2000) - La Foresta Fossile di Dunarobba:
contesto geologico e sedimentario, la conservazione e la fruizione. Atti del convegno Internazionale
(Avigliano Umbro 22-24 aprile 1998) ediart Todi 2000.
Ambrosetti P. , Basilici G., Ciangherotti A.D., Codipietro G., Corona E., Esu D., Girotti O., Lo Monaco
A., Meneghini M., Paganelli A., Romagnoli M. (1995) - La foresta fossile di Dunarobba (Terni,
Umbria, Italia centrale): contesto litostratigrafico, sedimentologico, palinologico, dendrocronologico
e paleomalacologico. Il Quaternario, 8(2) 465- 508.
Ambrosetti P. , Basilici G., Capasso Barbato L., Carboni M.G., Di Stefano G., Esu D., Gliozzi E.,
Petronio C., Sardella R., Squazzini E. (1994) - Il Pleistocene inferiore nel ramo sud occidentale del
bacino tiberino(Umbria): aspetti litosratigrafici e biostratigrafici. Il Quaternario 8(1) 19-36.
Basilici G. (1995)- Sedimentologia di una parte distale di una conoide alluvionale del pliocene
superiore (Bacino Tiberino, Umbria). Il Quaternario 8(1) 37-52.
Gentili S., Pontini.M.R., Barili A., De Angelis M.C. (2006) - Un patrimonio paleontologico: La Foresta
Fossile di Dunarobba. Lignea. Ed. Quattroemme
Gregori L., Melelli L., Rapicetta S., Taramelli A. - (2005) - The main geomorphosites in Umbria. Il
Quaternario vol 18(1) 93-101.
Leone G., Bonadonna F., Zanchetta G. (2000) - Stable isotope record in mollusca and pedogenetic
carbonate from Late Pliocene soils of central Italy. Paleontology, Paleoclimatology, Paleoecology
163, 115-131.
Fossils & minerals
Le Miniere di Monteleone di Spoleto (Pg- Umbria)
Federico Famiani
Il Territorio
Monteleone di Spoleto ricade geograficamente nell’Alta Valle del Corno, in un’area
di notevole pregio ambientale, ricca di bellezze naturali e siti d’interesse comunitario
per le specie floristiche e faunistiche presenti.
Questi aspetti fanno da cornice ad uno degli angoli più suggestivi della Regione Umbria, ricco
di storia e tradizioni, grazie anche alla presenza dell’uomo sin dai tempi delle popolazioni
italiche.
Il territorio di Monteleone di Spoleto è prevalentemente montuoso ed è caratterizzato da due
unità paesaggistiche: la prima è costituita dai rilievi della dorsale M.Coscerno - M.Aspra ad
ovest e di M.Cornuvolo ad est, la seconda è costituita da unità sub pianeggianti dove scorrono
corsi d’acqua, fra cui il collettore principale è il Fiume Corno.
I rilievi, di natura calcarea, hanno sommità piuttosto ampie e versanti acclivi; la vetta più
elevata, situata a sud ovest rispetto all’abitato di Monteleone, è il Monte Aspra a 1654 m s.l.m.
Il fiume Corno ha una lunghezza complessiva 56 Km, ed è un affluente di sinistra del Fiume
Nera. Il substrato su cui scorre è caratterizzato dalla prevalenza di terreni calcarei ad elevata
permeabilità e solo su ridotte estensioni (meno del 15% del totale) sono presenti terreni poco
permeabili.
La storia di queste montagne inizia circa 200 milioni di anni fa, nel periodo Giurassico:
interessante quindi sottolineare come nel territorio di Monteleone di Spoleto si abbiano delle
rocce calcaree della Successione
Stratigrafica umbro-marchigiana; formatesi in ambiente marino e talvolta ricche di fossili
(ammoniti, gasteropodi, bivalvi, crinoidi, foraminiferi, ecc.) che vanno dal Giurassico inferiore
(circa 200 milioni di anni fa) fino al Paleogene (10 milioni di anni fa). I resti fossili che si
rinvengono in queste rocce ci permettono di ricostruire il tipo di paleo ambiente in cui queste
si sono formate. Da questo sappiamo che circa 200 milioni di anni fa anche in quest’area
Monteleone di Spoleto (Pg)
Gavelli - Sant’Anatolia di Narco (Pg)
Affioramenti di lignite lungo il Torrente Vorga - Monteleone di
Spoleto (PG)
vi era un paleo ambiente simile a quello delle attuali Bahamas, con isole coralline e mare poco
profondo e caldo. Successivamente il fondale marino divenne sempre più profondo anche se
piuttosto irregolare con alti e bassi strutturali, che ben presto vennero appianati dai sedimenti,
sempre calcarei che si depositavano su questi fondali.
Miniere di Lignite
I processi morfogenetici che hanno originato il bacino di Leonessa sono riferibili al Pleistocene
Inferiore (1,8 milioni di anni fa) e Medio, grazie al ritrovamento di faune a mammiferi (resti di
elefanti) e molluschi di acqua dolce del Galeriano all’interno di sedimenti di origine fluvio-lacustre
che carattezzano l’area. Successivamente il bacino è stato drenato ad opera di un deflusso dovuto
ad una nuova fase tettonica, che ha originato una morfologia del paesaggio non molto differente
dall’attuale. Appare quindi evidente come il territorio di Monteleone di Spoleto è caratterizzato
da una continua evoluzione sia geologica che geomorfologica. La storia mineraria dell’area di
Monteleone continuò dopo l’epopea delle miniere di ferro grazie alla scoperta nei primi dell’ 800
da parte di Pietro Fontana di un bancone di lignite nei pressi del torrente Vorga, affluente del Corno.
Sulla sponda sinistra del torrente, lo spessore del banco di lignite e’ di 4 metri, mentre sulla sponda
opposta e di 3,5 metri. Ai piedi del Monte Trogna, in localita’ Scopa Gamberi, la lignite affiora con
uno spessore di 7 metri. La lignite e’ xiloide, bruna, scistosa e molto umida come riportano gli studi
sui giacimenti lignitiferi dell’Italia continentale effettuato dalla Società Geomineraria nella Rivista
Fossils & minerals
del servizio minerario (GEMINA – 1962). Questo diverso
spessore dipende dalla morfologia che aveva un antico
bacino lacustre che in un’epoca protostorica occupava
la conca compresa fra Leonessa e Ruscio. Sul fondo di
questo bacino oltre alle argille sabbie e ghiaie si sono
depositati anche numerosi resti vegetali che, con il passare
del tempo e con la pressione dovuta ai materiali deposti
sopra a questi, si è formata la lignite. Il materiale estratto
da questa miniera veniva trasportato a Terni tramite una
teleferica e più tardi con autocarri fino a Ferentillo, dove
veniva caricata su rotaia e trasportata al polo siderurgico
ternano.
Miniere di Ferro
Le conoscenze geologiche del nostro paese negli ultimi
decenni sono notevolmente migliorate, grazie all’avvento
sia delle geotecnologie, che ai sistemi informatici applicati
alle classiche tecniche di rilevamento in campagna, usate
Monteleone di Spoleto con sullo sfondo Monte Aspra (sx), Monte
Motola e Monte Birbone
Mineralizzazione a Goethite, limonite, Ematite - Monte Birbone
Fossils & minerals
da chi studia le Scienze della Terra. Un forte contributo alle conoscenze del territorio è stato
dato da tecnici che si occupavano di georisorse minerarie. Sin da epoca protostorica l’uomo
ha sempre cercato nel territorio i minerali utili. Nel territorio di Monteleone sono stati trovati
insediamenti risalenti al periodo protostorico e sicuramente gli abitanti dell’epoca sono andati
alla ricerca delle risorse che l’area offriva. Le miniere di ferro di Monteleone sono state
interessate sin da epoca storica da estrazione di minerali che potevano essere lavorati; la loro
riscoperta è di fondamentale importanza per la ricostruzione del passaggio antropico dell’Alta
Valle del Corno. Tra le materie prime presenti sul territorio nazionale, è proprio il ferro (Fe)
quello che ha avuto un notevole utilizzo e sviluppo nel tempo, al punto che nel secolo scorso
la ricerca scientifica e di riflesso le attività estrattive si sono concentrate su quei giacimenti in
grado di soddisfare le esigenze dello sviluppo economico.
Le miniere più importanti in Italia si trovano in Valle d’Aosta e all’Isola d’Elba, i giacimenti
sfruttabili sono presenti in Piemonte, Lombardia e soprattutto in Sardegna, altri giacimenti
minori si trovano in quasi tutte le altre regioni italiane. In epoca pre-unitaria anche i giacimenti
di minor entità ebbero il loro interesse di coltivazione, in quanto funzionali alle esigenze dei
diversi Stati. In particolar modo l’Umbria, tra il Seicento e la prima metà dell’Ottocento, è
stata interessata da un’intensa attività estrattiva di ferro, ampiamente documentata in diverse
località (Monte Cucco, Monte Fringuello- Gualdo Tadino, Gavelli, Stifone – Narni, Monteleone
di Spoleto). Come riportano alcuni storici, le miniere più grandi erano proprio quelle di
Monteleone di Spoleto: Papa Urbano VIII (all’epoca Maffeo Barberini, vescovo di Spoleto)
viene citato come fautore del loro ritrovamento e della loro riapertura nel 1634 (Album, 1846).
Il cardinale Barberini, come raccontano in maniera dettagliata e divertente alcune fonti , il
23 agosto 1611era stato in visita nella zona di Monteleone. Una volta eletto Papa nel 1623
non si dimenticò di questa terra, infatti fece aprire la strada carrozzabile da Norcia a Cascia
fino a Monteleone, per poi proseguire fino Monte San Vito e Ceselli, in modo da facilitare il
commercio tra i comuni montani, anche in vista della prossima apertura delle miniere di ferro.
A questo proposito inviò degli specialisti in mineralogia e due agrimensori per redigere le
piante topografiche del territorio ed avviò la realizzazione di forni, tanto che a Strettura, sul
diverticolo della Flaminia, fu innalzato uno stemma in onore del Papa con le api barberiniane.
L’area delle miniere era già proprietà della Camera Apostolica e con l’interessamento del
Cardinale Fausto Poli, nativo del vicino Castello di Usigni, l’attività estrattiva fu incentivata,
in modo da avere per circa 100 anni un ruolo rilevante per l’economia del territorio. Uno
sfruttamento antecedente (Medioevo o epoca pre-romana) è del tutto plausibile, visti i numerosi
resti di insediamenti che si trovano nel territorio di Monteleone. La presenza di questo
minerale convinse Papa Urbano VIII a realizzare quelle che erano, in quell’epoca, le uniche
ferriere dello Stato Pontificio. La gestione camerale della miniera produsse ingenti entrate allo
Stato perché evitata le costose importazione di ferro dall’estero. L’opera sorgeva alla base
dell’abitato di Monteleone, vicino al fiume Corno, le cui acque incanalate erano necessarie
per la fusione e la ventilazione del ferro. La realizzazione di queste ferriere ha avuto un ruolo
di primaria importanza per l’economia locale e per questo furono realizzate nuove strade per
il trasporto del materiale finito: una prima strada verso la Flaminia e una seconda in direzione
Scheggino attraverso il Campofoglio. Questo impianto fu attivo a più riprese fino alla fine del
XVIII secolo, quando due forti terremoti e una piena disastrosa del Corno misero fuori uso gli
impianti, causandone l’abbandono. Tuttavia l’attività di lavorazione del ferro non si allontanò
di molto: dopo Monteleone, infatti, si sviluppò un polo di lavorazione siderurgica a Narni e
Miniere di Lignite di Ruscio - Archivio fotografico della Pro -Ruscio
Miniere di Lignite di Ruscio - Archivio fotografico della Pro -Ruscio
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successivamente a Terni. Quest’ultimo, diventò uno dei complessi siderurgici più importanti
d’Italia, grazie anche all’appoggio di Benedetto Brin, uno dei più importante ingegneri italiani
vissuto a fine Ottocento.
Tuttavia durante la fervente attività della ferriera di Ruscio, la lignite non era ancora stata
scoperta. Questo comportò gravissimi problemi ambientali: denudamento dei versanti e
conseguente dissesto idrogeologico, dato che per produrre il carbone necessario alla ferriera si
utilizzava il legname delle montagne circostanti. Un importante documento storico-scientifico
consente di approfondire, anche sotto l’aspetto quantitativo, le attività estrattive dell’area di
Monteleone di Spoleto nel XVIII secolo. Si tratta della relazione di uno dei pionieri della
geologia italiana, Scipione Breislak (1750- 1826). Quest’ultimo si distinse in diverse discipline
fra cui la Matematica e la Fisica, di cui divenne docente al Collegio Nazzareno di Roma. Grande
era il suo interesse per il mondo mineralogico, si deve a lui, infatti, il museo di Mineralogia
del Collegio Nazzareno di Roma. Essendo un esattore della Curia Pontificia, il padre del
Breislak aveva la necessità di viaggiare per la campagna romana; in alcuni di questi viaggi
era accompagnato dal giovane Scipione che, sappiamo, rimase colpito dai materiali emessi da
vulcani pleistocenici, proprio nei dintorni di Roma. Il documento redatto da Scipione nel 1798
è molto importante perché rappresenta una testimonianza del livello scientifico raggiunto alla
fine del XVIII secolo. In questa relazione sono descritti i metodi di estrazione e di lavorazione
del minerale, ma soprattutto è trattato anche l’impatto sull’ambiente circostante dovuto
all’attività mineraria. Secondo tale manoscritto la produzione dei manufatti in ferro consisteva
in 4 fasi principali: a) estrazione del minerale b) preparazione del materiale estratto c) prima
fusione negli impianti di Monteleone in loc. Ruscio d) trasporto del cosiddetto “ferraccio” alla
ferriera di Terni ed affinamento del minerale.
Dai dati della relazione è stato stimato che in 8 mesi gli impianti avevano fornito circa 300
t di ferro (1000 t di minerale, cioè “1 milione di libbre romane”, Breislak, 1798), notevole
era l’impatto ambientale e il dispendio energetico: poiché non vi erano giacimenti di carbone
fossile nelle vicinanze, per la produzione di 1 t di ferro erano necessarie 83 t di legna per
produrre carbone. Si verificò così un problema di gestione delle risorse del territorio in quanto
si rischiava di tagliare consistenti estensioni di boschi, con la conseguente erosione dei suoli e
il denudamento del substrato roccioso. Dal punto di vista genetico questi giacimenti minerari
a ferro in ambiente sedimentario sono piuttosto localizzati e di rado consentono un utilizzo
industriale. I giacimenti dell’area di Monteleone sono di due differenti tipologie: a) depositi
residuali e b) depositi idrotermali.
a) Le aree di Gavelli, Monte Cornuvolo, Rescia, Ocre e Colle Policiano sono depositi residuali,
caratterizzati da piani carsici e doline. L’estrazione del minerale avveniva a cielo aperto, di
solito questi depositi si trovano sul fondo di depressioni di origine carsica (doline spesso con
specchi d’acqua con formazione del cosiddetto ferro delle paludi) o tettono-carsica (piani
carsici) e gli ossidi-idrossidi di ferro con gli ossidi di manganese venivano separati dalla ganga
(il materiale di scarto che deve essere tolto dal minerale prima di essere utilizzato).
b) La miniera situata in Loc. Terargo, sul fianco sud-orientale di Monte Birbone, è un deposito
idrotermale ed è stata interessata anche da attività estrattive ipogee. Il minerale è qui localizzato
secondo un allineamento che coincide con una frattura di origine tettonica.
La miniera è sviluppata in una serie di gallerie e cunicoli all’interno di un calcare molto fratturato;
nell’area, infatti, è localizzata una faglia che mette a contatto i litotipi del Calcare Massiccio
del Giurassico Inferiore con i Calcari Diasprigni del Giurassico Superiore. Da un’analisi
effettuata nel 1940 presso i laboratori del CNR di Roma, il minerale estratto aveva la seguente
Fossils & minerals
composizione: Residuo insolubile 23,20 - Ferro 57,60 (pari al 40,32% di Fe) - Manganese 5,60
(pari al 4,03% di Mn). Dalle miniere di Monte Birbone proveniva il ferro, con il quale furono
realizzati i due cancelli laterali medi della Basilica di San Pietro, (detti di Urbano VIII) e quelli
che chiudevano il Pantheon a Roma, tolti nel 1882 e trasportati all’Abbazia di Casamari. Su
questi manufatti si trova un’incisione con la scritta: “ex fundinis Montis Leonis”, che attesta la
certa provenienza del materiale lavorato.
Bibliografia
Carbonetti L. - Pagine di Storia di Monteleone di Spoleto scritte da Don Ansano Fabbi,
Associazione Turistica Pro Loco Monteleone di Spoleto, Roma, 1992.
Album XIII (1846) - “Delle miniere di ferro e degli stabilimenti per la manifattura del medesimo
nello stato pontificio “ pagg. 217-224.
Barbieri G. (1940) - Industria e politica mineraria nello Stato pontificio dal ‘400 al’600.
Cremonese, Roma.
Boni C., Bono P. & Capelli G. (1986) – Schema idrogeologico dell’Italia centrale. Mem. Soc.
Geol. It., 35:991-1012.
Breislak S. “Relazione sulla Miniera di ferro di Monteleone e ferriera di Terni” Roma, 30
fruttidoro dell’anno VI repubblicano.
Cavallini M. (1999) - L’impresa di Monteleone. ArcheoAmbiente- Monteleone di Spoleto
Damiani A.V., Baldanza A., Barchi M.R., Boscherini A., Checcucci R., Decandia F.A.,Felicioni
G., Lemmi M., Luchetti L., Motti A., Peccerillo A., Ponzani F., Rettori R., Simone G., Tavarnelli
E., Tuscano F. & Vergoni N. (2011) - Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia alla scala
1:50000 - Foglio 336 “Spoleto”: Ispra.
Famiani F. (2012) – Le attività Minerarie di Monteleone di Spoleto – Nuove Direzioni. Periodico. N° 9 Aprile 2012 Pagg. 58-65.
Famiani F. (2013) – Le attività estrattive di Monteleone di Spoleto – Il Monteluco – Rivista a
cura della sezione CAI di Spoleto. Pagg. 8-12. N° 24 Dicembre 2013.
Cristlli di fluorite in aggregati sferici
Cristlli di Pirite alterata
Fossils & minerals
ESCURSIONE NEL DESERTO MAROCCHINO
Il richiamo del deserto
Fabrizio Cantelli
Sono passati ormai tre anni da
quella ricerca-avventura nel
deserto del Sahara occidentale
a sud del Marocco e oggi,
riguardando le foto, in una
torrida domenica di agosto
2013, ve la voglio raccontare.
Era già qualche anno che nei mercati internazionali si vedevano sporadicamente dei pesci
su lastra provenienti dal Marocco e dopo varie ricerche su libri, internet e per sentito dire da
commerciati marocchini, io e l’amico Andrea decidiamo di organizzare una spedizione alla
ricerca dei fantomatici pesci ascrivibili al periodo geologico Cretacico della formazione Kem
Kem; divisa in due unità con una altezza totale di 200 mt., la parte più bassa è costituita da
depositi terrestri e sabbie contenenti i resti di dinosauri e la parte alta è formata da depositi
marini di piattaforma della trasgressione marina Cenomanianio - Turoniano (100 milioni di
anni) con presenza di crostacei, ittioliti, insetti e rari resti di foglie e rami che fa presupporre
un ambiente di laguna interna visto anche la fitta laminazione della roccia.
Tutte le specie fossili hanno un alto livello di preservazione e sono ben articolati, quindi
possiamo considerare il giacimento come “LAGHERSTATTEN” . Questi livelli hanno una
piccola estensione (circa 500 mq) e sono esposti proprio nella parte alta della cima di circa
180 cm di cui solo 60-70 cm contengono i resti fossili.
Decidiamo di restare almeno 10
giorni, tra la fine di aprile e i primi di maggio, periodo già al limite del caldo torrido. Partimmo
un venerdì verso le 20,oo dall’aeroporto di Bologna per arrivare direttamente all’aeroporto di
Quarzazate verso l’ 1,oo di notte dove avevamo l’incontro con la nostra guida locale che doveva
provvedere al pernottamento e al fuoristrada 4x4, che però non si è presentato. Dopo un attimo
di sconforto, non dimentichiamoci che in Marocco gli orari ed i giorni sono aleatori, troviamo
una bettola dove dormire, aspettando il nuovo giorno per riorganizzare tutto il viaggio. Siamo
Fossils & minerals
stati bidonati! è il pensiero che ci assilla tutta la notte fino a che il giorno dopo decidiamo di
affittare un altro mezzo con autista e nel pomeriggio, quando siamo quasi in procinto di partire,
si presenta la nostra guida con un altro autista..... ......con solo 15 ore di ritardo!!!
Dopo 2 ore di trattative su che mezzo utilizzare, partiamo per 400 km di pista per arrivare in
zona scavo.
L’equipaggio è definito: io e Andrea i ricercatori, Amov la guida e Hibraim il driver. Partiamo
per il bivacco-albergo, ma dopo 5 ore ed a solo un km dall’arrivo, ci insabbiamo; siamo già in
piena notte e ci vorrà almeno un’ora per uscire dalla sabbia e riuscire a raggiungere esausti un
letto. La mattina dopo ci svegliamo all’oasi di “Mharech”, uno splendido palmeto in mezzo ad
una gola tra due montagne molto antiche, ( del periodo Devonianio) solcate da strati a trilobiti.
Partiamo di buon’ora per arrivare alla “Gara Sbaa”, passando per un avamposto militare (siamo
proprio nel confine con l’Algeria) a chiedere il permesso di scavo e, dopo circa un’ora, siamo
ai piedi della montagna che si innalza maestosa dalle sabbie del deserto: fa paura!! Il solo
pensiero di arrivare in cima con zaino pieno di acqua, viveri e martelli con 30° di caldo ci
spaventa, ma ci armiamo di tanta eccitazione e volontà e procediamo spediti. Durante la salita
a qualche centinaia di metri dalla macchina con gli occhi puntati a terra alla ricerca di ossa
di dinosauro, “inciampo” letteralmente in un dente di 15 cm di Carcarodontosauro!! Ci
galvanizziamo subito ipotizzando ritrovamenti di crani o animali interi, ma alziamo gli occhi
verso la montagna e ritorniamo subito alla realtà vedendo la salita che ci aspetta.
Arrivati alla meta, il paesaggio ci appaga della fatica e iniziamo a scavare negli strati a strapiombo
sulla valle con buoni risultati: siamo finalmente riusciti ad arrivare in un giacimento sognato
per anni di cui nessuno sapeva niente. Torneremo sulla montagna per altri 3 giorni poi, resi
esausti dalle fatiche, decidiamo di focalizzare le ricerche sui pesci corazzati del Devoniano
che abbiamo scoperto per caso parlando con un nomade del deserto conosciuto all’oasi di
Mharech. Questi pesci corazzati si trovano dentro dei noduli esposti in un terreno a pochi
passi da un famoso giacimento di Goniatiti e mai tenuti in considerazione e forse mai visti.
Qui conosciamo un solitario ricercatore che saltuariamente vi si reca e con cui riesciamo a
scambiare dei fossili con indumenti e scarpe che per lui sono molto più preziosi dei soldi che
d’altronde, nel mezzo del niente più assoluto, non servono a nulla. Persona tanto gentile che
la sera ci invita a mangiare a casa sua e il giorno dopo ci fa il pane cotto direttamente nella
sabbia e, con nostra meraviglia, senza un granello attaccato. Nelle nostre peregrinazioni siamo
andati a visitare un sito dove si trovano i famosi Phacops con le spine (trilobiti) e qui abbiamo
conosciuto un personaggio uscito direttamente dall’inferno dantesco: Caronte. Viveva solo,
nel mezzo di una sassaia arroventata senza alberi nè erba, dove non vivrebbero neanche i
serpenti, in una capannetta alta un metro, costruita con pietre e stracci ( che erano i suoi vestiti)
e scavava con scalpelli talmente usurati e senza punte che usare le unghie o prendere le pietre
a morsi era la stessa cosa.
Fossils & minerals
Le disavventure del deserto non vengono mai sole perché ci si è rotta anche la cinghia dell’alternatore, ma in un paio di giorni siamo riusciti a farcene mandare una nuova con le affidabilissime linee di trasporto del deserto: non si sa quando passano e a che ora arrivano, ma
arrivano!
Questo, dopo un attimo per capire chi eravamo, ma soprattutto cosa facevamo lì, ci mostra
la trincea che ha fatto in passato e dove scavava attualmente per estrarre i fantastici trilobiti.
Da una sacca estrae due campioni da vendere e qui di solito parte la trattativa sul prezzo, ma
questa volta non me la sento di trattare e pago volentieri quello che mi chiede avendo visto la
fatica che fa tutti i giorni per spaccare la pietra. Sono tutti meritati !!
Stanchi di pesci e trilobiti del Devoniano decidiamo di cambiare zona e dopo un giorno di pista
tra sassi, sabbia e polvere che ti si infila dappertutto, arriviamo nella zona di Alnif, famosa per
il Cambriano con rocce più friabili e trilobiti diversi da quelli trovati finora dove dormiremo
nella casa dei fratelli Moujan, due simpatici commercianti--ricercatori conosciuti durante altri
viaggi di esplorazione che ci faranno da guida locale.
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Distribuzione
stratigrafica e paleoecologica
di
Persististrombus coronatus (defrance., 1827) nel Pleistocene
orvietano (Umbria-Italia)
Nei depositi marini dell’orvietano (Umbria, Italia
Centrale) la frequente presenza di Strombus
coronatus Defrance, soprattutto nelle sabbie
e nelle sabbie argillose, è ben nota (Malatesta,
1974). Il rinvenimento di questa specie è stato
considerato tra i fattori determinanti per
l’attribuzione al Pliocene dei depositi dell’area
(Ambrosetti et al., 1987).
Fossils & minerals
La recentemente revisione tassonomica operata all’interno della famiglia Strombidae (Harzhauser
& Kronenberg, 2008, cum biblio), ha condotto al mantenimento del genere Strombus per le forme
tirreniane (S. bubonius), mentre le forme mio-plioceniche sono attribuite a Persististrombus coronatus;
quest’ultimo è considerato estinto nel Mediterraneo alla fine del Piacenziano. Tuttavia, sono segnalate
diverse forme di transizione verso P. latus. Nell’orvietano, esemplari con caratteristiche transizionali
e provvisoriamente assegnati a Persististrombus cfr. P. coronatus, spesso in ottime condizioni di
conservazione, sono stati recentemente rinvenuti all’interno di numerose sezioni (Famiani, 2010;
Monaco et al., 2011), in contesti ambientali variabili dall’offshore alla shoreface, fino alle barre di foce
e ai channel lag di apparati di fan-delta. La revisione stratigrafica operata in questi anni (Baldanza et al.,
2011; Monaco et al., 2011) assegna ai depositi un’età compresa tra il Gelasiano e il Calabriano (Zone a
nannofossili MNN 18-19e; Zone Globorotalia inflata e Globigerina cariacoensis). Questo dato sembra
confermare la presenza, almeno nell’area, di Persististrombus cfr. P. coronatus durante gran parte
del Pleistocene inferiore. Le forme dell’orvietano, rinvenute frequentemente all’interno di depositi
sabbiosi e/o ghiaiosi, sono frequentemente accompagnate da malacofaune indicative dell’infralitorale
e del circalitorale superiore (Famiani, 2010). Altrettanto frequente è l’associazione con Amphistegina
lessonii e A. radiata e briozoi Cupuladridi (Rosso et al., 2011), quasi sempre accompagnati da altri
foraminiferi bentonici di bassa profondità e/o fondali vegetati (Elphidium crispum, Ammonia spp.,
Gyroidina altiformis, Lobatula lobatula, etc.). L’abbondante presenza del genere Amphistegina nelle
associazioni (Bizzarri & Baldanza, 2006) conferma condizioni di mare caldo e bassa profondità per i
livelli a Persististrombus cfr. P. coronatus nell’area orvietana.
Localizzazione dell’area
I depositi marini del Pliocene e Pleistocene inferiore, che affiorano estesamente nell’Umbria
occidentale, sono stati fin dalla metà del 1800 oggetto di ricerca e studio da parte di naturalisti
e paleontologi a causa della ricchezza di fossili di molluschi, brachiopodi ed altri invertebrati.
Fra i grandi lavori di paleontologia è doveroso ricordare il contributo di Brocchi (1889) che ha
fornito un primo e dettagliato avanzamento alle conoscenze delle malacofaune plioceniche e
pleistoceniche umbre. Al contributo di Brocchi segue quello di Clerici (1896) in cui vengono
riportate indicazioni sui rinvenimenti di malacofauna marina e vertebrati della zona di San
Faustino (TR). Il contributo storico paleontologico, più strettamente legato allo studio di questa
tesi, è quello di Foresti (1888) che descrive una varietà di Strombus coronatus rinvenuto in
depositi marini pliocenici di Castel Viscardo (TR). Bisogna giungere al 1974 con la monografia
paleontologica di Malatesta per avere un quadro completo ed esaustivo della malacofauna
pliocenica umbra ed un primo approccio paleoecologico delle associazioni marine.
La base di partenza di questo lavoro è lo studio di un gasteropode marino lo Strombus coronatus
rinvenuto in molte successioni marine Plio-Pleistoceniche dell’Umbria sud-occidentale.
Questo taxon ampiamente distribuito in questa zona, e storicamente attribuito al Pliocene,
viene considerato estinto alla base del Gelasiano (Brocchi 1814; Pelosio, 1966 Malatesta,
1974; Pavia, 1976; Ambrosetti et al, 1977;1978; 1987; Marasti & Raffi,1980; Harzauser &
Kronenberg, 2008) in concomitanza della prima fase di deterioramento climatico. Lo Strombus
coronatus era una specie che si sviluppava in condizioni climatiche calde con temperature
delle acque marine non inferiori ai 17°C, come è possibile supporre dal comportamento
autoecologico dei congeneri viventi, e pertanto l’inizio del deterioramento climatico avvenuto
intorno ai 2.5 Milioni di anni fa avrebbe fortemente condizionato il suo sviluppo e lo avrebbe
portato al declino nella parte superiore del Pliocene (Gelasiano).
L’ecologia degli Stromboidea è legata a paleoambienti caldi della fascia subtropicale, ed in
Fossils & minerals
particolare lo Strombus bubonius considerato come un “ospite caldo” entrò nell’area
mediterranea durante il Pleistocene superiore in una fase climatica calda intercalata agli eventi
glaciali; l’evento a Strombidi più conosciuto nella stratigrafia marina Quaternaria lo ritroviamo
nella diffusione di S. bubonius nella “panchine” Euritirreniane dell’area mediterranea.
Nei depositi marini pliocenici e pleistocenici dell’Umbria sudoccidentale gli Strombidae
risultano presenti continuativamente, soprattutto alla luce delle nuove ricerche che, nell’ultimo
decennio, hanno rivisitato le successioni marine ridefinendone la stratigrafia e la sedimentologia
utilizzando nuovi approcci analitici.
Questo evento di “non estinzione” degli Strombidae alle nostre latitudini, al tetto del Pliocene,
ha creato molti problemi sia connessi alla esatta attribuzione specifica degli esemplari di
Strombus umbri, sia legata alle reali condizioni paleoclimatiche locali.
Le domande a cui si deve dare una risposta sono: anche da noi il clima si era deteriorato,
oppure ancora non si avevano condizioni fredde? come mai non si sono estinti gli Strombus
coronatus?
Come mai i nostri esemplari non sono perfettamente uguali a quelli conosciuti nel resto
dell’Europa?
La determinazione tassonomica di questi esemplari rimaneva fino a qualche anno fa attribuita
a Strombus coronatus e in alcuni casi a S. bubonius.
La finalità di questa tesi sarà quella di provare a dare delle risposte alle suddette domande tramite
un approccio analitico morfometrico che permetta di meglio definire le caratteristiche delle
popolazioni umbre di Strombidi, valutando l’esistenza o meno di una variabilità intraspecifica
di Strombus coronatus, e tramite l’analisi sedimentologica e micropaleontologica ricostruire il
paleoambiente di vita e la paleoecologia dei fondali marini durante il Pleistocene.
Recenti studi svolti da Harzauser e Kronenberg (2008), indicano che c’è una variabilità di
caratteri tanto da parlare di variabilità intraspecifica nell’area Mediterranea tra S. coronatus
(Defrance, 1827) e S. coronatus (Roeding, 1798).
Da un precedente studio di Famiani (2010), sembra che nell’area umbra si trovino esemplari
che ricalcano le problematiche accennate prima e sviluppate da Kronenberg e Harzauser nel
2013.
LE SUCCESSIONI MARINE PLEISTOCENICHE UMBRE CONTENENTI FAUNE
A STROMBIDI
Nell’Umbria occidentale affiorano diffusamente depositi marini di età pliocenicopleistocenica, e quest’area di confine con Toscana e Lazio documenta l’evoluzione del
versante tirrenico dell’Appennino settentrionale almeno durante gli ultimi 3.5 Ma. Le ricerche
sulle successioni marine plioceniche-pleistoceniche in Umbria hanno affrontato, in questo
ultimo decennio, problemi inerenti la corretta attribuzione stratigrafica ed hanno sviluppato
analisi sedimentologiche di dettaglio mirate alla ricostruzione dei paleoambienti marini e alla
paleoecologia dei fondali (Bizzarri, 2006; Bizzarri & Baldanza, 2004; 2006; 2009; Baldanza
et al., 2011; 2012; 2013;2014; Bizzarri et al., 2015; Famiani et al., 2015; Monaco et al., 2011;
2014).
INQUADRAMENTO GEOLOGICO E STRATIGRAFICO
L’area, estesa per oltre 60 km, all’incirca in senso NW-SE, per una larghezza di circa 10 km,
appartiene al settore meridionale del Bacino della Valdichiana (Figura 1.1). L’assetto strutturale
Fossils & minerals
coincide con il semi-graben del Paglia-Tevere, formatosi tra il Miocene superiore-Pliocene
inferiore (Funiciello et al., 1981; AAVV, 1982). Confini naturali sono la dorsale del M. Peglia
e M. ti Amerini verso est, la dorsale Rapolano-Cetona verso ovest, e verso sud-ovest i rilievi
del distretto vulcanico vulsino. Una sedimentazione silicoclastica di ambiente marino poco
profondo caratterizzò l’area dal Pliocene al Pleistocene inferiore (Piacenziano p.p.-Santerniano:
Ambrosetti et al., 1977, 1987; Conti et al., 1983; Piccardi, 1994; Girotti & Mancini, 2003;
Mancini et al., 2004.
Gelasiano p.p.-Siciliano: Bizzarri, 2006; Bizzarri & Baldanza, 2006, 2009; Baldanza et al.,
2011,
2012). Nella sua porzione più settentrionale, l’inizio della sedimentazione marina è probabilmente
più antico (tra il Miocene superiore?-Pliocene inferiore e il Pliocene superiore: Passerini, 1965;
Jacobacci et al., 1967; 1969; Barberi et al., 1994; Costantini & Dringoli, 2002; Aruta et al.,
2004; 2006). Tra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore, vaste aree furono interessate
da ambienti sia marini costieri che continentali. Su entrambi i versanti della valle, fino a quote
di 500-600m s.l.m., i depositi plio-pleistocenici appoggiano in discordanza sul substrato litoide
pre-pliocenico, in prevalenza rappresentato da Unità Litostratigrafiche ad affinità toscana e
ligure (Triassico- Oligocene) nel settore occidentale, da Unità della successione carbonatica
Umbro-Marchigiana e dalle unità torbiditiche oligoceniche-mioceniche del Macigno s.l. in
quello orientale (Passerini, 1965; Jacobacci et al., 1967, 1969, 1970; Fazzini,1968; Funiciello
et al., 1981; Damiani & Tuscano, 1991; Damiani et al., 1993).
A partire dalla metà degli anni ‘70, i sedimenti plio-pleistocenici sono stati riferiti a due cicli
deposizionali principali (III ordine), separati dalla fase erosiva “Acquatraversa” (Ambrosetti et
al., 1977; 1987; Girotti & Mancini, 2003; Mancini et al., 2004). La successione litostratigrafica
è storicamente rappresentata dalle unità informali delle “Argille di Fabro” (Piacenziano),
“Sabbie a Flabellipecten” (Piacenziano), “Conglomerati di Città della Pieve” (Piacenziano
p.p.-Gelasiano p.p.) e “Argille e Sabbie del Chiani-Tevere” (Santerniano p.p.) proposta da
Ambrosetti et al. (1987). Girotti & Mancini (2003) e Mancini et al. (2004) hanno proposto le
unità di “Tenaglie-F.so S. Martino” (Zancleano–Piacenziano) e del “Chiani-Tevere” (Gelasiano
p.p.-Santerniano).
Nessuno di questi autori segnala depositi marini dopo il Santerniano, tanto da presumere che
la definitiva regressione marina sia avvenuta durante il Pleistocene inferiore.
I depositi di ambiente marino distale hanno permesso di ricostruire una successione
biostratigrafica completa di eventi marker, dal Piacenziano fino alla fine del Calabriano (Baldanza
et al., 2011). Le associazioni a nannofossili calcarei sono caratterizzate dalla comune presenza
di Gephyrocapsidae, Reticulofenestridae, Calcidiscidae e Coccolithus pelagicus. Gli eventi
a nannofossili calcarei sono del tutto comparabili con quelli riconosciuti nel Mediterraneo
occidentale (Di Stefano, 1998; de Kaenel et al., 1999; Raffi, 2002). I marker events (bmG, tCm,
blG, tHs, tlG: Raffi, 2002) dalla zona MNN16a allaMNN19e sono stati identificati (Bizzarri,
2006; Baldanza et al., 2011). Questo dato è in accordo con la comune presenza di Globorotalia
inflata ed il rinvenimento di Globigerinoides cariacoensis: i depositi documentano pertanto
le zone G. inflata e Gl. cariacoensis, secondo gli schemi di Colalongo & Sartoni (1979) e
Iaccarino & Premoli Silva (2007). Alcune sezioni sono invece riconducibili, sulla base delle
associazioni a nannofossili e foraminiferi, alla zona Globorotalia gr. crassaformis, in un range
tra le biozone a nannofossili MNN16a e MNN18.
Questa successione, continua e concordante, si estende dal Pliocene superiore al Calabriano.
Infine, nei depositi di ambiente marino distale è stata spesso documentata la presenza di
Fossils & minerals
Hyalinea balthica un foraminifero bentonico considerato un “ospite nordico”, che raggiunge
il Mediterraneo all’inizio del Pleistocene in concomitanza con il deterioramento climatico
globale, all’interno di sedimenti variabili da argille a silt, a sabbie fini. La più bassa comparsa
locale è collocabile all’interno della zona MNN19b, alla base del Calabriano (Baldanza et
al., 2011). Inoltre, se il FAD (first appearance datum) di H. balthica usualmente marca il
passaggio Santerniano- Emiliano (Azzaroli et al., 1997), particolarmente sul versante Adriatico,
nell’Umbria occidentale la FO del taxon è significativamente anteriore, riferibile al Santerniano.
Il segnale diventa meno chiaro nei sedimenti di ambiente marino costiero, spesso fino a perdersi
quasi totalmente all’interno dei depositi ghiaiosi di spiaggia e di barre di foce. Spostandosi
verso costa, le associazioni si impoveriscono progressivamente del contenuto in foraminiferi
planctonici, mentre le faune bentoniche, spesso ricche e ben documentate, non offrono quasi
mai indicazioni biostratigrafiche (Bizzarri & Baldanza, 2006). Le associazioni a nannofossili e
i bioeventi ancora permettono di associare i depositi di volta in volta al Piacenziano-Gelasiano
(intervallo MNN18–19a) oppure al Gelasiano-Calabriano (intervalli MNN19b-19c, MNN19c,19d). Contrariamente a quanto riportato in precedenza (Ambrosetti et al., 1977, 1987), le
associazioni a foraminiferi francamente piacenziane, dominate da Globorotalia puncticulata
e G. gr. crassaformis, così come le associazioni a nannofossili dominate da Discoaster spp.
(Ambrosetti et al., 1977), non sono state finora riconosciute nell’area di Città della Pieve, mentre
sono localmente documentati, seppure puntiformi e mal rappresentati, depositi attribuibili allo
Zancleano-Piacenziano nel settore orvietano (Baldanza et al., 2011, 2012).
I sedimenti marini sono in prevalenza pertinenti al ciclo deposizionale del “Chiani-Tevere”
(Bizzarri, 2006, 2010; Bizzarri & Baldanza, 2006, 2007, 2009; Baldanza et al., 2011), sebbene
l’estensione temporale sempre ipotizzata (Gelasiano pp.–Santerniano) appaia oggi troppo
limitata.
Nella successione marina sono stati identificati livelli piroclastici da ricaduta, in prevalenza
rappresentati da pomici a leucite e pirosseni isolati di dimensioni anche centimetriche (Bizzarri
et al., 2003, 2010; Baldanza et al., 2012). Questi materiali mostrano un’affinità chimica e
petrologica con la Provincia Comagmatica Romana, ma anticipano considerevolmente l’evento
medio pleistocenico del “Paleo- Bolsena”. La datazione indiretta, tramite la biostratigrafia a
nannofossili calcarei, associa l’inizio di questi eventi vulcanoclastici alla biozona MNN 19b,
circa 1.62 Ma.
I marker biostratigrafici evidenziano la presenza di almeno tre eventi vulcanici successivi, in un
intervallo di circa 300 ky, tra le biozone MNN 19b e MNN 19d. La sorgente di questi materiali
vulcanici deve essere ricercata in un piccolo centro eruttivo, non ancora identificato, in un
raggio di circa 10-15 km intorno ad Orvieto (Bizzarri et al., 2010; Baldanza et al., 2012).
Paleoambienti deposizionali All’interno dei depositi plio-pleistocenici dell’Umbria occidentale,
è stato possibile riconoscere contesti deposizionali diversi, che evidenziano una paleogeografia
molto articolata (Bizzarri, 2006).
In questo scenario, i depositi marino costieri sono in assoluto prevalenti, mentre i depositi
continentali, seppur presenti anche nell’area meridionale, sono in larga parte confinati nella
porzione più settentrionale, a nord di Città della Pieve (Bizzarri & Baldanza, 2009). Sono
stati riconosciuti una varietà di ambienti, dalle coste a falesie ai sistemi deltizi, ai sistemi di
spiaggia emersa e sommersa, al mare aperto
Costa a falesie
Depositi di ambiente marino costiero, riferibili all’evoluzione di una costa a falesie e
caratterizzati da un’alta variabilità laterale, sono stati descritti in una vasta zona vicino a
Orvieto (Umbria, Italia centrale), nelle immediate vicinanze della diga di Corbara (Bizzarri,
2006, 2010). La taglia dei sedimenti varia dai blocchi ai ciottoli, alle sabbie e/o calcareniti
fino a silt e argille. Tali depositi sono attribuiti al Pleistocene inferiore (Santerniano: Zone
a Nannofossili MNN 19b-c). L’analisi sedimentologica consente l’individuazione di cinque
associazioni di facies, riconducibili agli ambienti di piede di falesia, beachface, transizione
beachface-shoreface, shoreface superiore ed inferiore e offshore. Queste associazioni di facies
sono legate all’evoluzione nel tempo di una costa rocciosa, in cui si individuano più sistemi di
falesia.
Sistemi di spiaggia
La maggior parte del territorio risponde ad una costa dominata dal moto ondoso, sia in momenti
dibel tempo che durante eventi di tempesta, che riorganizzava il materiale proveniente da piccoli
e localizzati apparati fluvio-deltizi (fan-delta) in fasce parallele alla linea di costa (Bizzarri,
2006, 2007; Monaco et al., 2011). I sedimenti sono in prevalenza di ambiente marino distale,
dalla shoreface inferiore alla transizione all’offshore, fino all’offshore stesso. Gran parte
dell’area Orvietana era organizzata in sistemi di spiagge ghiaiose, con pendio poco inclinato e
profondità relativamente basse, secondo una morfologia costiera ereditata da una precedente
fase continentale (Bizzarri, 2006).
L’offshore
L’ambiente distale è rappresentato da successioni argillose e siltoso-argillose piuttosto
monotone, sedimentate al di sotto della base d’onda di tempesta, a profondità massime stimate
tra 80 e 150 m (Baldanza et al., 2011). Le associazioni a foraminiferi sono dominate da specie
planctoniche e da forme bentoniche tolleranti condizioni di scarsa ossigenazione al fondo,
piuttosto che da specie bentoniche di mare profondo.
Tavola 1: esemplari di Persististrombus coronatus provenienti dall’affioramento di Cottano. a)
visione dorsale, b) visione frontale. (dimensione tappo fotocamera: 7 cm)
Tavola II: esemplari di Persististrombus coronatus provenienti dall’affioramento di Padella. a)
visione dorsale, b) visione frontale. (dimensione tappo fotocamera: 7 cm)
Tavola III: esemplari di Persististrombus coronatus provenienti dall’affioramento di Corbara a)
visione dorsale, b) visione frontale. (dimensione tappo fotocamera: 7 cm)
Tavola 1: esemplari di Persististrombus coronatus provenienti dall’affioramento di San Faustino. a)
visione dorsale, b) visione frontale. (dimensione tappo fotocamera: 7 cm)
Fossils & minerals
INQUADRAMENTO SEDIMENTOLOGICO E PALEONTOLOGICO DELL’AREA
Gli affioramenti di sedimenti marini contenenti faune a Strombidi sono tutti compresi
nell’areale Orvietano. Le sezioni di Ficulle, Cottano, Orzalume, Cava Strombus, Corbara,
Parete Strombus, Fosso Aiole-Padella.
Successione di SAN FAUSTINO- FOSSO DELLE AIUOLE
la sezione di “San Faustino- Fosso Aiuole” è situata nella Tavoletta “Morrano (Foglio 10 III
NE) immediatamente a sud del toponimo San Faustino lungo il Fosso delle Aiuole.
La sezione inizia al contatto con il substrato pre-pliocenico , che qui è costituito da arenarie
torbiditiche ad affinità toscana (Macigno s.l.AUCT) e si sviluppa in continuità per 35 m.
Il contatto fra i depositi marini e le arenarie è fortemente discordante. La giacitura degli strati
del substrato è 300/67 mentre le sabbie e i conglomerati mostrano una debole inclinazione di
3° verso NE. In base alle caratteristiche sedimentologiche, la sezione è stata ricostruita in tre
spezzoni: un primo tratto di circa 15m visibile grazie alla forte erosione lineare del Fosso delle
Aiuole e lungo un taglio stradale, un secondo di 2,5m che affiora lungo un canale per lo scolo
d’acqua e un terzo di 18 metri che affiora in continuità lungo un secondo taglio stradale che
sale fino a C.Aiuole.
Analisi micropaleonotologia e biostratigrafica
Per quanto riguarda le microfaune nella sezione Fosso Aiuole-San Faustino sono stati esaminati
i lavati di 20 campioni e una sottile di materiale biocalcarenitico . i campioni di diversa
provenienza corrispondenza di un livello di sabbie grossolane e granuli sono stati trovati
Elphidium crispum , Nonion Depressulum, Amphistegina lessoni, Ammonia Parkinsoniana,
Ammonia beccarii, Lobatula lobatula, spine vitree di briozoi e briozoi ramificati. Sono stati
rinvenuti anche cristalli di quarzo ialino idiomorfi. Questi campioni provengono dal primo
intervallo (m o.5) e sono caratterizzati da una diminuizione della granulometria dal basso
verso l’alto,anche se la frazione sabbioso – siltosa è sempre inferiore al 30% ca.
La monotonia di questo intervallo è interrotta da livelli cementati e di ghiaie organizzate
che contengono una buona documentazione malacologica. Sono associati a questi livelli
malacofaune che mostrano un basso grado di rimaneggiamento, talvolta conservati nei livelli
cementati con guscio poco degradato. Sono stati rinvenuti Semicassis sp., Cypraecassisis
testiculus, Cyprea porcellus, Schilderia sp., Strombus cfr. S coronatus, Conus sp., Glycimeris
insubrica.,Glycimeris sp., Spondylus crassicosta.
L’ecologia di questi esemplari è compatibile con un ambiente prossimale e di alta energia in cui
si sedimentano sabbie grossolane e ghiaie. Il livello rinvenuto a quota 18,5m è caratterizzato
dalla madrepora a cuscino Cladocora caespitosa (Linnaeus, 1758), conosciuta comunemente
anche come” madrepora pagnotta” per la tipica forma delle sue colonie appartiene alla
famiglia Favidae. E’ una specie endemica del Mediterraneo dove è segnalata gia dal Pliocene
superiore (aguirre et al 1998). Attualmente è comune su fondali rocciosi, da -2m fino a -30m
di profondità (Peirano et al., 2004). Questo livello a Cladocora viene ricoperto da materiale
piuttosto eterogeneo ma di granulometria molto fine. in questo intervallo sono stati prelevati
2 campioni. In alcuni campioni abbiamo trovato un associazione a foraminiferi bentonici:
Ammonia beccarii e A. parkinsoniana (di grandi dimensioni), abbondanti Amphistegina sp.,
Cancris auriculus., Nonion depressulum, Patellina corrugata, Lobatula lobatula, Gyroidina
sp., Melonis sp., ostracodi (fra cui Aurila sp.). Nei successivi 16 metri sono stati analizzati 8
campioni, presi a distanze di circa 1 m l’uno dall’altro, iniziando da circa 5 metri sopra il livello
Fossils & minerals
a Cladocora, in corrispondenza di un livello a Pinna Nobilis. Il campione AI7 è stato preso
in corrispondenza di questo livello e i foraminiferi bentonici rinvenuti sono Amphistegina
lessonii, A. radiata, Ammonia parkinsoniana , A. beccari, A. papillosa, Elphidium crispum,
Nonion depressulum, Gyroidina altiformis, Cancris auriculus, Lobatula lobatula, Bolivina
spathula, Patellina corrugata, Textularia sp., ostracodi con valve in connessione riferibili
ad Aurilia sp. e Cytheropteron alatum. Questo campione è anche il primo in cui sono stati
ritrovati frequentemente foraminiferi plactonici: Globigerinoides ruber, Globigerina bulloides,
Globorotularia menardii. Il campione AI 7A presenta un’abbondante associazione con
Ammonia beccarii, A.parkinsoniana, Cancris auriculus, Nonion depressulum, Gyroidina
altiformis, Melonis padanum, Neogloboquadrina detertrei, Lobatula lobatula, e fra i plactonici
Globigerina Ruber (molto frequente), G. sacculifer , Globigerina bulloides ed il marker zonale
Globigerina cariacoensis. Sono presenti anche spinee vitree di briozoi, radioli di echinide.
Le associazioni dei campioni sono ricche e caratterizzate da A.lessonii, Eplphidium crispum,
E.complanatum, Nonium depressulum, Gyroidina Altiformis, Cancris auriculus, L.lobatula ,
Ammonia parkinsoniana , A, beccari, A. papillosa, A.planorbis, Nonionella turgida, Trifarina
sp.,Robulus sp.. I foraminiferi plactonici sono rappresentati da G. ruber , G. sacculifer e G.
cariaceoensis. Rimangono abbondanti i briozoi lunnultiformi. LA presenza di quarzo ialino
idiomorfo varia come quantità nelle successione ma sembra esserne una costante presenza.
L’associazione di foraminiferi è molto ricca : fra i bentonici Amphistegina lessonii, Ammonia
parkinsoniana, A. beccarii, A. tepida, Nonion depressulum,Elphidium sp., Gyroidina
altiformis, Lobatula lobatula, Patellina corrugata, Cancris auriculus, Cassidulina laevigata,
Melonis padanum, Trifarina sp., Bolivina spathulata e fra i plactonici G. bulloides, G.ruber,
Praeorubulina sp., Orbulina universa. Sono presenti anche radioli di echinide, spine vitree
e briozoi, briozoi lunnilitiformi, (Reussirella reussiana e Discoporella Umbellata ) ostracodi
(Aurilia sp.) e serpulidi (Ditrupa arietina). il campione proveniente da un livello di sabbie
fini parzialmente cementato dove è stata rinvenuta una ricchissima fauna di gasteropodi ed
in particolare del genere Strombus cfr. S. coronatus. Molto ricca anche la documentazione
di Conidae, con individui anche di notevoli dimensioni ( fino a 18 cm). L’associazione a
foraminiferi bentonici è molto ricca : Cancris auriculs , Amphistegina radiata, A. lessonii
, Ammonia parkinsoniana , A. beccarii , Nonion depressulum , Elphidium sp., MElonis
padanum, Gyroidina altiformis , lobatula lobatula, Patellina corrugata, Melonis Barleanum,
Spiroculina sp., Trifarina sp.; i plactonici sono rari con G. ruber e G. sacculifer mentre sono
comuni Ditrupa cornea, briozoi (reassirella reassiana e Discoporella umbellata), radioli di
echinide e l’ostracode Cyprideis torosa. La successione si conclude con un livello dove il
mollusco principale è il lamellibranchio Sinodia (Pelecyora) gigas associata a rari Glossus
humanus di notevoli dimensioni ed esemplari che ista la morfologia degli umbroni sono da
considerare gerontici. In ccorrispondenza di questo livello è stato raccolto il campione AI10
che ha un’associazione ricca comparabile a quella del campione AI 9.
Successione di PADELLA
Intervallo 1 La successione inizia con Sabbie di colore ocraceo, contenti livelli granuli-fine pebbles
di dimensioni fra i 2 e i 5 mm. I clasti hanno diversa litologia sia carbonatica che arenace
(prevaletne), e sono presenti frammenti di selce.
I corpi ghiaiosi sono delimitati alla base da superfici erosive ondulate e costituiti da granuli
Fossils & minerals
di 1 -3 mm (Granule), localmente sono interdigitati fra loro ed è frequente la presenza di
bioturbazioni. Queste ultime hanno uno sviluppo di pochi centimetri rispetto al corpo ghiaioso
e sono riconoscibili per la morfologia tubolare con base V; si sviluppano in verticale fra le lenti
ghiaiose e sono riempite granuli stessi. La cementazione di queste strutture è molto debole.
Le sabbie sono fini, hanno un elevato contenuto in quarzo e lamine di miche mostrano una
laminazione pianoparallela. Sono molto rari resti di malacofaune, per lo più caratterizzate da
bivalvi disarticolati o frammentati.
Sia il contenuto di ghiaia che la granulometria sono piuttosto base nei prima 10 metri, ed
aumentano nel secondo tratto. Fra il metro 18 e il metro 22, infatti, sono visibili livelli di
medium e coarse pebbles, localmente cementati e con fori di litodomi, caratterizzati da
variabili sorting, arrotondato e sfericità dei granuli in questo primo tratto sono stati raccolti 10
campioni.
Intervallo 2
La successione è coperta da vegetazione ed attività antropica per circa 15 m e torna visibile in
corrispondenza di uno sbancamento di circa 20 m e realizzato per una casa.
Qui sono stati raccolti 9 campioni in corrispondenza di shell beds a Glycymeris sp., livelli
cementati e livelli bioturbati.
Il fronte è costituito da sabbie ocracee piuttosto omogenee con intercalazioni di ghiaie fini. Le
ghiaie hanno un elevato sorting e un altro coefficiente di sfericità ed arrotondamento e sono
costituite da clasti di arenarie e selce.
Si identificano quattro shell beds a bivalvi, in particolare da Glycymeris sp., e Laevicardium
crassum; alcuni di questi hanno una debole cementazione dovuta alla dissoluzione dei gusci
dei molluschi . In questi orizzonti conchigliari, i singoli esemplari mostrano un’orientazione
dispersa delle valve, che o sono ancora in connessione con individui di dimensione simile
(livello 3) o sono disarticolate e frammentate con disposizione molto casuale. Sono tuttavia da
segnalare anche esemplari di Panopea sp. in posizione di vita.
La parte alta di questo intervallo è fortemente bioturbata per 2,5m. Le bioturbazioni hanno
uno sviluppo sia verticale che orizzontale e possono essere riconducibili ad Ophiomorma isp
.(Frey, 1976).
Intervallo 3
La successione stratigrafica oltre i livelli bioturbati è stata ricostruita in base agli affioramenti
presenti lungo il taglio stradale. Dal punto di vista litologico non ci sono grandi variazioni,
dato che si ritrovano sempre delle sabbie piuttosto omogenee costituite da granuli di quarzo e
lamelle di mica. In corrispondenza del metro 40 sono stati rinvenuti i primi livelli conchigliari
che mostrano un’associazione politipica.
La granulometria in questi intervalli tende a diventare sempre piu fine, con percentuali di
silt che arrivano attorno al 60%. le sabbie medie- fini tornano poi dominanti nella parte alta
della successione, dove sia il contenuto sia di granuli che di silt è sporadico. I granuli sono
costituiti per la quasi totalità da quarzo e muscovite. il sorting del materiale della parte alta
della successione (m 60-80) è molto elevato .
In corrispondenza del metro 50 si trovano livelli conchigliari, all’interno di sabbie caratterizzate
da laminazione piano parallela. Alcuni dei taxa si rinvengono anche in poszione di vita (Pinna
nobilis ). Successivamente sono visibili livelli sabbiosi a laminazione incrociata, con alla base
delle bioturbazioni a sviluppo orizzontale (Thalassinoides isp.)
Fossils & minerals
Successione di ORZALUME
Immeditamente a est della cava dismessa descritta in precedenza si trova un’area di circa 1
km2 dove sono presenti diverse pareti di sabbie e ghiaie. La quota di questa zona è compresa
fra i 250m, di un’altra piccola cava abbandonata e i 310m di C. Orzalume. In una piccola cava
abbandonata sono presenti livelli alternati di sabbie e ciottoli ben arrotondati con evidenti delle
superfici erosive alla base dei ciottolami (Bizzarri 2006). Alcuni di questi livelli di ciottoli
contengono una discreta quantità di materiale malacologico. Gli esemplari raccolti sono per
la maggior parte frammenti di Glycymeris sp., Cerithium sp., Anadora sp., e soprattutto di
Strombus coronatus (Bizzarri 2006) . Gli esemplari di questa specie sono molto interessanti dal
punto di vista tafonomico, visto che si trovano in frammenti o esemplari interi ed in entrambi
i casi si tratta di individui di grandi dimensioni, ciò suggerisce un limitato trasporto all’interno
dei ciottolami. Interessante è la morfologia esterna di questi esemplari che verrà discussa nella
sezione riguardante la paleoecologia.
La cava ha uno spessore di circa 5 metri e uno sviluppo areale di 80mq e permette di analizzare
in 3d le strutture sedimentarie vista la presenza di fronti di cava con varie orientazioni. Una
prima analisi permette di individuare la presenza dei livelli contenti malacofaune solo sul lato
sinistro della cava. Il sorting di questi livelli è medio.alta, con clasti di diametro compreso fra
i 2 e i 6 cm.
In prossimità di C. Orzalume sono presenti delle sabbie finissime che hanno fornito un
contenuto di bentonici e un livello di Aequipecten opercolaris di piccole dimensioni (fra 1 e 5
cm), disarticolati e che presentano solo la valvola concava e la valva piatta. Alla base di questi
livelli sono presenti dei blocchi cementati ricchissimi in malacofaune, in particolari bivalvi
(Glycymeris spp., Mytoloidae ecc.) i quali presentano una distribuzione dispersa solo in alcuni
casi sono ancora in connessione.
Al di sotto di C. Orzalume sono presenti livelli di sabbie finissime con Panopea so., in posizione
di vita e, nelle sabbie, si riconoscono livelli con granuli di selce nera millimetrici.
L’assenza di strutture sedimentarie, ha permesso la ricostruzione di un possibile modello
deposizionale di questi materiali. Tuttavia la presenza di Panopea faujasi di grandi dimensioni
ed ancora in posizione di vita fa supporre un ambiente di bassa energia e lenta velocità di
sedimentazione. La presenza di granuli del diametro di 2-3mm costituiti esclusivamente da
selce nera e disposti in livelli separati da sabbie fini potrebbe essere attribuito a rielaborazione
di materiale precedentemente depositato.
Successione di COTTANO
La sezione di Cottano si trova tra i 290-300 m sul s.l.m i depositi sono rappresentati da ghiaia
e sabbia nella parte inferiore, mentre la sabbia domina la parte superiore.
La sezione conduce ad un ambiente marino costale di acqua bassa, con una piccola corrente e
una tendenza trasgressiva- regressiva documentata da questo.
Un analisi tafonomica dettagliata della malacofauna rivela taxa ben conservati con colori
originali. La maggior parte dei molluschi non ha subito rimaneggiamenti solo qualche lieve
spostamento rispetto al proprio ambiente di vita. Sono stati analizzati ambienti di Fan Delta,
Lower Shorface e Upper Shorface .
Depositi Fan Delta: con una base di 35 m dominata da ghiaia, con granelli di sabbia. Depositi
con direttamente sul substrato di Flysch, fatti di larghi massi di ghiaia. I depositi inferiori sono
sterili barren, interpretati come depositi alluvianali.
Fossils & minerals
Il contenuto di fossili è rappresentato da una fauna diversificata come litodomi, serpulidi e
ostriche che testimoniano un deposito costiero marino.
A livelllo associazioni a malacofaune tra cui Persististrombus coronatus, Conidae e Cipreidae.
Le associazioni di microfossili sono testimoniate dalla presenza di Amphistegina sp., Elphidium
crispum, Ammonia beccarii, A. parkinsoniana, A.taepida,Gyroidina Altiformis, Lobatula
lobatula. Nella parte superiore prevalgono ghiaie e sabbie molto grossolane. Tuttavia il verificarsi
di associazioni dominate da ostriche e faune a Strombidae nel canale testimonano deposizione
marine costiere. Lower shoreface : si eleva tra i 325e i 375m, i depositi sono caratterizzati da
sabbie molto fini e limosi debolmente cementati. Le strutture sedimentarie mostrano al faune
di bivalvi che hanno subito abrasione e frammentazione, tipici della deposizione episodica e di
un alto grado di erosione. Le associazioni contengono comuni Ammonia beccarii, A.taepida,
A. papillosa, Elphidium crispum, Lobatula lobatula. E anche Patellina corrugata Melonis
padanum, Nonionella turgida, Gyroidina altiformis, Cancris auriculus, Bolivina spathulata,
Bulimina Spinata,B. marginata. Foraminiferi planctonici sono rappresentati da Globorotalia
crassaformis, G. menardii, Globigerina bulloides,Orbulina universa.
Depositi della porzione intermedia vengono indicati come ambienti lower shorface inferiori di
transizione verso ambienti offshore. Diverse sono le specie di malacofauna che abitano questo
ambiente: Chamelea gallina,Spisula subtruncata, Tellina nitida, Persististrombus coronatus
e Nassarius pygmaeus. Troviamo anche in posizione di vita alcuni esemplari di Cladocora
coespitosa.
Upper Shorefaces : la parte più alta della sezione è caratterizzata da sabbia grossolana. I
sedimenti variano da litoclasti a bioclasti , i livelli di sabbie hanno laminazioni incrociate,
e sia la sabbia che la ghiaia riflettono l’organizzazione di barre di sabbia sottomarine. La
fauna è dominata da microfossili : Amphistegina lessonii, A. radiata, Elphidium crispum,
Lobatula lobatula, Planorbulina mediterranensis, P. corrugata, Nonion depressulum, Cancris
auriculus, Ammonia parkinsoniana, Melonis padanum; molto rari sono Orbulina universa e
Globigerinoides ruber. L’ età presunta di questi reperti è databile al Gelesiano anche se appunto
non è certo, anche se la presenta di P. coronatus ci da una maggiore certezza di questo dato che
il Gelasiano è la base del Calabriano.
Successione di FICULLE
Composta prevalentemente da depositi di argille e sabbie presumibilmente di età pliocenica.
Le associazioni di fossili presenti sono oligotipiche sulle ghiaie e sabbie, mentre c’è una maggiore
variabilità sulle argille. Tra le sabbie troviamo una varietà di foraminiferi bentonici e via via
che la granulometria diventa più fine cambiano anche le associazioni micropaleontologiche.
Questa zona ricca di cave attive tra gli anni 60 e 70 si trova al limite tra le “Argille di Fabro”
e le“ Sabbie a Flabellipecten”. Ci troviamo di fronte due distinti livelli di sabbia limo e argille
abbondantemente bioturbate e fossilifere la successione è alta all’incirca 27m .
le analisi granulometriche ci indicano fluttuazioni ripetute nel rapporto sabbia/limo/argilla,
indicano la poca energia della costa in quel tratto.
I fossili sono più o meno concentrati in bioclasti e dispersi nel sedimento, si trovano spesso
in posizioni di vita , prevalentemente troviamo una fauna a gasteropodi e bivalvi, ma ci sono
frammenti di echinoidi, corallo e foraminiferi bentonici.Tra i microfossili troviamo una
maggioranza di taxa bentonici Ammonia beccarii, A. parkinsonia , Elphidium crispum, E.
aculeatum, E.macelum, Cancris auricularis, Calcarina calcar, Lobatula lobatula.
Dunque le caratterstiche evidenziate da micro e macro fauna ci indicano un ambiente di
deposizione di acque calde e basse.
Fossils & minerals
Successione di CORBARA
In questa zona a est della città di Orvieto, i depositi marini sono databili al pleistocene
inferiore, tali depositi consentono una descrizione di cinque associazioni di facies, relativi a
una evoluzione di costa rocciosa.
I depositi costieri rocciosi coprono una superficie di 60 km2 , disposti verticalmente e
orizzontalmente con variazioni di facies possono essere seguite per circa 20 km. I depositi
permettono la ricostruzione di modelli di paleocoste originali, depositi di ghiaie , spiagge
sottomarina con sabbia calcarenitica e depositi off-shore sono stati documentati, e associati a
relativi modelli di sedimentazione.
Il Problema tassonomico di Strombus coronatus
Harzhauser e Kronenberg (2008) nel loro studio indicano il binomio Strombus coronatus
Defrance, 1827 come un nomen protectum, e dimostrano che il binomio Strombus coronatus
Roeding, 1798 coniato per un ceritide è invece un nomen oblitum (ovvero un nome entrato in
disuso nella comunità scientifica) sulla base del nuovo Codice internazionale di Nomenclatura
Zoologica (1999). In tal caso il nome disponibile Strombus coronatus Defrance diventa un nome
protetto con diritto di precedenza. Gli stessi autori indicano inoltre che Strombus coronatus
Defrance, 1827, con il range stratigrafico Miocene superiore-Pliocene Inferiore, appartiene al
genere Persististrombus Kronenberg & Lee, 2007.
Kronenberg e Lee (2007), introdussero Persistrombus come un nuovo genere per un gruppo di
strombidi che hanno avuto il massimo sviluppo nel Miocene dell’Europa e che sono ancora
rappresentati da Persististrombus latus (Gmelin, 1791) nella provincia Africana ed est Atlantica
e da Persististrombus granulatus (Swainson, 1822) nella provincia Panamica.
Harzhauser and Kronenberg (2013) segnalano la presenza di fossili di strombidi nei depositi del
Neogene ma rimarcano il loro scarso utilizzo nella biostratigrafia a causa della loro distribuzione
stratigrafica poco chiara. Gli autori documentano il valore stratigrafico del gruppo basandosi
su una successione di specie distinte che hanno avuto una vita breve, ed erano presenti nei
depositi neogenici dell’area Circum-mediterranea. Queste specie finora sono state mescolate
in due “superspecie” il Persististrombus bonelli e P. coronatus, che apparentemente sono
contenuti in depositi con età compresa fra l’Oligocene ed il Pliocene. Gli autori suddetti per
primi effettuarono un’analisi morfometrica su 219 esemplari, provenienti da aree e province
bio-geografiche diverse, con la finalità di perfezionare il concetto tassonomico per questo
gruppo e documentare, almeno 5 Specie distinte, che avessero un alto valore biostratigrafico
e biogeografico. Le specie di Persististrombus europei mostrano una tendenza a produrre
popolazioni ornamentate da spine prominenti, oppure a formare popolazioni con conchiglie di
forma allungata con ridotte ornamentazioni. Lo sviluppo di morfotipi con ornamentazioni è un
processo iterativo in cui taxa eccezionalmente scolpiti si rinvengono in momenti stratigrafici e
aree geografiche distinte e generalmente fra queste specie la morfologia risulta molto variabile.
Sebbene alcuni di questi taxa siano specie diverse, non esiste una linea evolutiva continua che
porti alle specie plioceniche di P. coronatus, per cui alcuni di questi taxa sono stati riportati
in modo confuso nella letteratura. Dal XIX secolo, gli strombidi del Miocene medio della
Paratetide e del mare Proto- Mediterraneo sono stati comunemente attribuiti a Strombus
coronatus Defrance, 1827, una specie a larga diffusione pliocenica, oppure a Strombus bonelli
Brongniart, 1823, che invece è una specie del Miocene inferiore. In generale le conchiglie
robuste con spine molto sviluppate sono state attribuite a S. coronatus, mentre le specie più
Fossils & minerals
snelle con ornamentazioni ridotte furono tentativamente attribuite a S. bonelli.
Alcuni autori come Hörnes (1853), Hoernes and Auinger (1884), Strausz (1966), e Bałuk
(1995), accentuano il problema riguardante l’attribuzione degli esemplari a uno dei due taxa
suddetti, a causa della presenza di esemplari con morfologie intermedie. Questo concetto
tassonomico impreciso per Strombus coronatus, risulta evidente per un range stratigrafico di 20
Ma, dall’Oligocene superiore fino al Pliocene. Per questa ragione Harzhauser and Kronenberg
(2013) prendono in esame e rivalutano i concetti tassonomici applicati per le varie specie
Paratetidee e alcuni rappresentanti di Persististrombus del Proto - Mediterraneo per chiarire il
loro valore biostratigrafico e biogeografico. Molti degli autori sopracitati mettono in discussione
la linea filetica dalla quale provengono i Persistrombus presenti nell’area mediterranea
nel Pleistocene; alcuni asseriscono che esisterebbe una sinonimia fra il P. bubonius ed il P.
coronatus, per altri invece si tratta di una linea filetica diversa con caratteristiche diverse che
concluderà poi con il P. latus. Gli Strombus sono contenuti in depositi sabbiosi e/o ghiaiosi e
frequentemente accompagnati da malacofaune indicative dell’infralitorale e del circalitorale
superiore. Nell’area Umbra sudoccidentale sono stati rinvenuti in associazione con abbondanti
Amphistegina lessonii, e Amphistegina radiata e diversi briozoi, accompagnati da foraminiferi
bentonici indicativi di fondali vegetati di bassa profondità e temperature calde. Le età
identificate, tramite le associazioni a nannofossili calcarei e foraminiferi planctonici indicano
chiaramente, per le nostre popolazioni, un’età riferibile al Pleistocene inferiore. Risulta quindi
chiaro che le nostre popolazioni sono nettamente più giovani rispetto alle popolazioni segnalate
dagli autori precedenti e questo fatto permette di ampliare, almeno per l’area paleo-tirrenica
centrale (ovvero le coste marine umbre) la distribuzione delle faune a P. coronatus almeno fino
al Calabriano (Pleistocene inferiore).
7 cm
Fossils & minerals
Seguendo il metodo elaborato da Harzhauser &Kronenberg (2013) si è deciso di iniziare, in
questa fase preliminare, la raccolta di dati morfometrici su un campione di 171 esemplari di
Persistrombus coronatus ( forme adulte e giovanili) provenienti da diversi areali dell’Umbria
sudoccidentale:
-areale di Cottano: 13 esemplari adulti e 6 esemplari giovanili
-areale di Corbara: 5 esemplari adulti
-areale di Padella: 55 esemplari adulti e 29 esemplari giovanili
-areale di San Faustino: 62 esemplari adulti ed 1 esemplare giovanile
Gli esemplari misurati provengono sia da campionature specifiche effettuate per questa tesi
che da campionature precedenti realizzate durante le ricerche degli ultimi 10 anni nell’Umbria
sudoccidentale. Altri esemplari, catalogati in base al luogo di raccolta, sono stati gentilmente
forniti da membri del GUMP, che ringrazio per la loro cortesia. Prima di essere analizzati e
misurati gli esemplari sono stati accuratamente ripuliti a secco dal sedimento che li inglobava,
poi sono stati fotografati e catalogati.
Una volta eseguita la catalogazione dei campioni abbiamo effettuato le misurazioni per conoscere
i parametri morfometrici dei 171 esemplari secondo il metodo elaborato da Harzhauser e
Kronenberg (2013). Gli strumenti usati per la misurazione sono un goniometro e un calibro
digitale il cui errore relativo è di 0.01millimetri.
I caratteri misurati sono stati i parametri misurati sono :
Al’altezza
massima
dell’esemplare, indicato con
(a)
B- l’altezza dall’ultimo giro
di spire, indicato con (b)
C- l’altezza dall’ultimo giro
di spine, indicato con (c)
D- angolo apicale, indicato
con (d)
E- angolo basale, indicato
con (e)
F- larghezza dorsale con le
spine, indicato con (f)
G- larghezza dorsale senza
spine, indicato con (g)
H- altezza ventrale con le
spine, indicato con (h)
I- altezza ventrale senza
spine, indicato con (i)
Una volta ottenuti i valori numerici siamo andati ad analizzarli statisticamente per vedere se i
dati ottenuti erano in linea con quelli presentati da Harzauser e Kronemberg nel 2013.
Abbiamo poi effettuato dei grafici ricavati dai dati statistici raccolti e siamo andati ad
analizzarli, confrontando il dato raccolto con i dati ricavati dalla ricerca di Harzhauser e
Kronenberg (2013). I dati morfometrici dei 171 esemplari di Strombidi delle aree Umbre sono
stati raccolti ed esaminati. Per quanto riguarda i dati della letteratura questi provengono da
Harzhauser e Kronenberg (2013) e sono stati desunti dalla tabella 1 che gli autori forniscono
come “supplementary materials” alla pubblicazione.
Fossils & minerals
CONCLUSIONI
Le analisi effettuate su una popolazione di 171 individui di P. coronatus, provenienti da depositi
marini prossimali dell’Umbria sud-occidentale, costituiscono il primo esempio di approccio
morfometrico su strombidi del Pleistocene inferiore; i dati raccolti hanno permesso di effettuare
un confronto, con gli unici disponibili, presenti nel lavoro di Harzhauser e Kronenberg (2013).
I suddetti autori riportano dati rappresentativi di faune provenienti da diversi areali geografici
sia italiani (Toscana, Sicilia, Liguria, Piemonte) che esteri (Turchia e Canarie.) Le faune extraumbre però provengono esclusivamente da collezioni museali, e non possiedono informazioni
specifiche sul sito di provenienza (tipi di sedimenti, ambiente, etc.) e sulla composizione della
popolazione originaria.
Caratteristiche morfologiche delle conchiglie di P. coronatus
I Persististrombus coronatus oggetto di questo studio hanno evidenziato caratteristiche
morfologiche della conchiglia abbastanza particolari:
1) gli individui adulti raggiungono dimensioni minori rispetto agli esemplari di letteratura
2) la dimensione dell’ultimo giro di spire è minore, le nostre popolazioni risulterebbero più
corte.
3) la dimensione dell’ultimo giro senza spine è sempre molto piccola, con valori massimi di
5-6 mm.
4) gli angoli apicali sono sempre acuti con valori medi intorno ai 20°; gli esemplari della
letteratura hanno angoli apicali molto grandi con valori medi intorno ai 40°.
5) La nostra popolazione possiede un angolo basale più stretto.
Questo ultimo valore è da collegare con le dimensioni del piede dei gasteropodi, angoli maggiori
sono associati con piedi molto sviluppati e angoli minori si associano di conseguenza con piedi
meno sviluppati.
6) La larghezza massima dei nostri esemplari è più stretta.
7) La distanza fra le spine risulta minore, ovvero i nostri esemplari hanno spine ravvicinate e
di dimensioni minori.
Dal confronto, interno alla popolazione umbra, tra i parametri (a) e (b), risulta una crescita con
un andamento lineare, probabilmente dovuta alle condizioni paleoambientali della popolazione
di strombidi dell’orvietano.
Confrontando l’altezza totale degli individui adulti con quella degli individui giovanili vediamo
che il tasso di crescita è assolutamente paragonabile, e che gli esemplari provenienti dagli
affioramenti di Padella e San Faustino hanno una crescita direttamente proporzionale tra loro.
Il confronto tra (a) e (b) degli esemplari umbri con quelli della letteratura (Adriatico, Tirreno,
Sicilia e Canarie) vediamo che l’accrescimento è lineare anche se, paragonati con quelli delle
diverse zone del bacino del Mediterraneo, sembrano esserci piccole differenze; completamente
diversi appaiono gli esemplari delle Canarie (coste occidentali africane).
Il Confronto tra i parametri (a) e (f) degli esemplari umbri con quelli della letteratura ci indica
una parziale sovrapponibilità; in dettaglio gli esemplari adulti di San Faustino e Padella si
raggruppano con una parte degli esemplari del Tirreno. Gli esemplari della Sicilia, Canarie ed
Adriatico mostrano valori decisamente più elevati.
Il confronto tra (h) e (f) degli esemplari umbri evidenzia come quelli di Padella e San Faustino
siano raggruppati in due insiemi abbastanza confrontabili, mentre gli esemplari di Cottano e
Corbara appaiono in parte spiazzati rispetto agli altri.
Fossils & minerals
Il medesimo confronto tra (h) e (f) con dati della letteratura, evidenzia come le popolazioni
umbre si dispongano in posizione diversificata rispetto agli esemplari del Mediterraneo ed
Atlantico. In particolare risalta che le popolazioni umbre si concentrano in un insieme con
valori decisamente minori, mentre le popolazioni della Sicilia, Tirreno ed Adriatico mostrano
un trend indipendente ma coerente fra di esse.
Il confronto fra i parametri delle popolazioni umbre e quelle della letteratura ha evidenziato che
il divario maggiore riguarda le dimensioni, infatti la popolazione umbra è di dimensioni minori.
Un ulteriore elemento di diversificazione è la misura dell’angolo apicale delle conchiglie: più
acuto nelle forme umbre e più ottuso in quelle di letteratura; le dimensioni dell’angolo apicale
sembrano condizionare la distribuzione delle spine e la loro larghezza.
Morfologia della conchiglia ed ecologia dell’ambiente
I risultati preliminari di questo studio si sono rivelati molto interessanti ed assolutamente
inediti, rappresentando nel loro insieme una documentazione realistica della distribuzione
della “Popolazione” a Strombidi dell’Umbria sud-occidentale.
Se da una parte si è incrementata la conoscenza dei dati sulle faune umbre, dall’altra si sono
aperti importanti interrogativi riguardanti la tassonomia e soprattutto l’ecologia ed il rapporto
ambientemorfologia.
A questo proposito risulta di basilare importanza quanto indicato dalle ricerche di Savazzi
(1991):
l’autore sottolinea come la morfologia delle conchiglie degli Strombidi sia di tipo adattativo,
ovvero sia in grado di modificarsi secondo le attitudini di vita dell’esemplare. Lo sviluppo
della conchiglia si adegua alla locomozione epifaunale, alla attività di burrowing (in relazione
al tipo di sedimento sul fondale), o come protezione passiva alla predazione. In sintesi la
morfologia è il riflesso dello stile di vita del gasteropode.
Savazzi (1991) rimarca che la variabilità nella misura e nella forma della conchiglia, all’interno
della popolazione, dipendono primariamente sia da fattori ecologici che genetici.
La misura e le proporzioni della conchiglia sottostanno ad un controllo ecologico; studi su
popolazioni recenti di strombidi hanno evidenziato che al modificarsi dell’energia ambientale
cambiano le misure: le popolazioni che vivono in ambiente intertidale generalmente contengono
individui di dimensioni minori, mentre le popolazioni conspecifiche che vivono in ambiente
subtidale poco profondo (solo a poche decine di metri di distanza) contengono individui di
dimensioni dal 50% al 100% più lunghi.
L’ ambiente intertidale, chiamato anche mesolitorale, è quello maggiormente influenzato dalle
maree, è compreso tra il massimo e il minimo livello di marea, e l’energia ambientale è molto
variabile. La zona subtidale invece si trova sotto il livello medio di bassa marea, e costituisce
la fascia più esterna della piana, che sfuma gradualmente nell’ambiente di piattaforma
continentale. La sedimentazione è ancora influenzata dalle maree nell’area più prossimale alla
piana, dove abbiamo i canali più ampi, intervallati da barre e secche sommerse. I sedimenti
più grossolani (sabbie mediogrossolane) corrispondono agli assi dei canali, dove la corrente
di riflusso tende a prevalere, mentre sulle secche si accumulano i sedimenti più fini, con
laminazioni da ripple. Nella parte più distale tendono gradualmente a prevalere sedimenti fini
con influenza sempre maggiore delle onde. Da un punto di vista ecologico questo è l’ambiente
maggiormente popolato a causa della sua abbondanza di nutrienti di origine animale e vegetale.
Per quanto riguarda i gasteropodi erbivori (come gli strombidi) e detritivori la zona intertidale
rappresenta un’area ottimale per il loro sviluppo.
Fossils & minerals
Savazzi (1991) indica per gli strombidi attuali anche un dimorfismo sessuale, evidenziato dalle
dimensioni moderatamente più grandi delle conchiglie di individui femmine.
Purtroppo il dimorfismo sessuale non è direttamente verificabile nei fossili, però è possibile
ipotizzare che alcuni dei nostri esemplari di dimensioni maggiori avrebbero potuto essere delle
femmine.
Se proviamo a proiettare sulle nostre forme fossili quanto osservato da Savazzi (1991), è
possibile individuare una correlazione fra fattori ecologici e forme delle conchiglie, o meglio,
è possibile individuare una relazione fra le granulometrie dei sedimenti (depositi di fondale
marino su cui vivevano gli strombidi) e le forme e dimensioni delle conchiglie. Brevemente
per ognuno dei siti di provenienza verranno illustrate le caratteristiche paleoambientali e
paleoecologiche.
Padella: esemplari adulti di dimensioni grandi contenuti in depositi sabbiosi con laminazioni
incrociate e livelli bioturbati; paleoecologia del fondale con sviluppo di praterie algali e
Posidonia oceanica, come evidenziato dalle caratteristiche delle associazioni a foraminiferi
bentonici. Le temperature delle acque erano calde e comprese nel range 14-20°C come ci
viene indicato dalla presenza del foraminifero bentonico epifaunale Amphistegina, sempre
abbondante in questi depositi.
San Faustino-Aiole: esemplari adulti di dimensioni prevalentemente grandi contenuti in
depositi di sabbie grossolane /ghiaie e sabbie medie, ambiente costiero di spiaggia sommersa,
con apporti fluviali; sviluppo di praterie algali e Posidonia oceanica, abbondanza di nutrienti,
temperature calde e comprese nel range 14-20°C
Fossatello-Cottano: esemplari di misure variabili, con forme di grandi dimensioni prevalenti;
spine dell’ultimo giro molto sviluppate e labbro grande ed ispessito. Sedimenti costituiti da
ciottolami e sabbie grossolane che passano a sabbie medie. Ambiente di spiaggia sommersa
superiore con barre sabbiose.
Risulta evidente come i sedimenti con granulometrie grossolane contengono prevalentemente
esemplari adulti di grandi dimensioni con spine ben sviluppate e presenza di tubercoli nella
parte anteriore dell’ultima spira.
E’ possibile ipotizzare che lo sviluppo di grandi e lunghe spine e tubercoli, come indicato da
Savazzi (1991) siano delle strategie che l’animale adotta sia per stabilizzarsi in ambienti con
energia maggiore, sia per riprendere l’assetto normale in caso di ribaltamento.
L’ipotesi che ci sia una differente risposta nello sviluppo della conchiglia in relazione alla
granulometria dei sedimenti può essere avvalorata dai dati della letteratura (Toscana e Liguria),
infatti gli esemplari di Tresanti, con spine ben sviluppate e dimensioni grandi vivevano in
ambienti costieri con ghiaie e sabbie grossolane.
La medesima situazione si verifica anche nella popolazione di Pietrafitta (Siena) che viveva in
ambienti litorali con ghiaie, ciottoli, sabbie e rare argille.
Anche gli esemplari della Liguria (Ceriale-Rio Torsero) mostrano dimensioni abbastanza grandi
ed una morfologia del guscio caratterizzata da abbondanti spine e tubercoli. Questi vivevano
su fondali con ciottoli di grandi dimensioni, in ambiente costiero con elevata energia sotto
l’influsso di apporti fluviali. In particolare in questi individui emerge un carattere particolare,
ovvero un apice molto ottuso e basso in cui le spine si sviluppano per almeno 3 spire (compresa
l’ultima). Questo ultimo carattere non è mai stato rinvenuto negli esemplari umbri, almeno
fino ad ora. 5.4 I Persististrombus coronatus umbri e loro distribuzione stratigrafica
Alla luce dei nuovi ed inediti dati raccolti con questo studio sembra che le popolazioni
umbre, rientrino a tutto diritto nella attribuzione tassonomica di Persististrombus coronatus,
Fossils & minerals
anche se questi esemplari mostrano delle variazioni nelle morfologie delle conchiglie indotte
dall’ambiente di vita.
Le faune umbre, come già illustrato nel capitolo 3, sono state datate al Pleistocene inferiore e
pertanto la diffusione di P. coronatus, grazie ai nuovi dati, deve necessariamente essere ampliata,
almeno per quanto concerne gli esemplari dell’Italia centrale.
Questo taxon ampiamente distribuito Umbria sud-occidentale, e storicamente attribuito al
Pliocene, viene considerato estinto alla base del Gelasiano (Brocchi 1814; Pelosio, 1966
Malatesta, 1974; Pavia, 1976; Ambrosetti et al, 1977;1978; 1987; Marasti & Raffi,1980;
Harzauser & Kronenberg, 2008) in concomitanza della prima fase di deterioramento
climatico.
L’estinzione al Pliocene di P. coronatus documentata dalla letteratura, risulta un dato non
corretto che dovrà essere rivisto.
Come dimostrato per altri gruppi fossili, sia animali che vegetali (Martinetto et. al. in stampa)
alle nostre latitudini il deterioramento climatico ed il conseguente raffreddamento delle acque
marine che ha portato alla scomparsa degli ospiti caldi, è avvenuto più tardi e la nostra area è
rimasta un rifugio per le specie termofile calde.
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I “FOSSILI”
FIGURATI DI
CONRAD GESNER
Romano Guerra
Via Tibaldi 20 40129 Bologna.
Sito: www.romanoguerra.it
E mail: [email protected]
CONRAD GESNER
A quei tempi, e siamo nel
secolo XVI, parlare di “fossili”
significava riferirsi agli oggetti
trovati scavando. Tutto quanto
veniva da sotto terra era fossile
per cui minerali, fossili nel senso
moderno del termine, oggetti
archeologici ed altro erano così
accomunati.
Di questi solo i minerali e i reperti archeologici avevano una collocazione, mentre animali e
piante pietrificati rimasero a lungo oggetti enigmatici, interpretati da alcuni come prodotti di
succhi sotterranei ipotizzati da filosofi fino dall’Antichità e mai riscontrati o, per altri, curiosi
scherzi di natura.
Un medico svizzero, verso la metà del secolo XVI si distinse in diversi campi per originalità e
assiduità: Conrad Gesner (Fig. 1). Il suo nome spicca in numerosi campi dello scibile come la
bibliografia, la medicina, la storia naturale ed altre materie.
Nato a Zurigo il 26 marzo 1516 mostrò fin da giovanissimo una vivace intelligenza e trovò
aiuto negli studi non solo dal padre di modeste origini, ma anche da in altri che compresero la
levatura intellettuale del giovane. Lo studente non solo si addottorò in medicina, che divenne
il lavoro della vita, ma imparò, oltre al latino, lingua dei dotti, anche il greco e l’ebraico. Una
simile dimestichezza con le lingue che costituivano la quasi totalità della cultura, gli fece intuire
la possibilità di raccogliere quanti più dati dei testi fino ad allora conosciuti dall’Antichità ai
tempi suoi e quindi di pubblicare Bibliotheca universalis prima bibliografia della letteratura
mondiale. La ponderosa opera impegnò Gesner anche in alcuni viaggi fra cui quello memorabile
a Venezia, allora la città più colta e liberale d’Europa, dove ebbe modo di consultare opere allora
introvabili fra cui alcuni inediti di scrittori greci i cui codici veniva portati nella Serenissima da
personaggi che fuggivano dalle aree greche invase dai conquistatori turchi. A Venezia, come
abbiamo avuto modo di illustrare in un articolo precedente, conobbe uomini importanti del
mondo della cultura e, non ultimo, visionò ed acquisì alcuni fossili che riportò in patria.
La sua ottica”universale” lo portò successivamente a comporre opere di argomento medico,
teologico, sociologico e naturalistico; in questo ultimo settore i suoi interessi notevoli si
espressero in una serie di opere sugli animali acquatici in senso lato comprendenti non solo i
pesci, ma anche mammiferi ed uccelli che vivevano in tale ambiente.
Per avere una buona idea della bibliografia di Gesner si può ricorrere ad un’opera discutibile come
Fossils & minerals
Index librorum prohibitorum et expurgandorum novissimus di Antonio Sotomar inquisitore di
Filippo IV di Spagna, stampato a Madrid nel 1667, in cui sono elencati praticamente tutti i
libri di Gesner. Sotomar ci informa che Gesner era Tigurinus, Medicus, & Philos. Luther. e
Autor damnatus. Di questo appellativo lo stesso Gesner ne era al corrente perchè ancora in vita
era già stato inscritto in uno di questi elenchi di autori esecrandi. Per fortuna, si fa per dire,
l’erudito viveva in territorio franco. Non sapremo mai se ad un protestante come lui, questa
citazione facesse piacere. Di certo era in buona compagnia. Qui appunto troviamo anche opere
naturalistiche che nulla avevano a che fare con le lotte di religione. La presenza dell’opera
letteraria di Gesner conferma quanto notevole fosse la levatura culturale dell’imputato.
DE OMNI RERUM FOSSILIUM GENERE, 1565
Ultima pubblicazione di Gesner, del 1565, fu De omni rerum fossilium genere, gemmis,
lapidibus, metallis, et huiusmodi, libri aliquot, plerique nunc primum editi, (Fig. 2) e se
paragonata ad altre opere dello stesso autore, presenta una veste tipografica alquanto modesta,
ma ha una caratteristica innovativa: la raffigurazione, per la prima volta invero, di minerali,
fossili e materiali archeologici descritti nel testo. Qualcosa del genere si era già avuto nei vari
Hortus sanitatis a cavallo dei secoli XV e XVI i cui lapidari presentavano xilografie raffiguranti
pietre totalmente lontane dalla realtà. Le figure di Gesner si riferivano invece senz’altro ai
campioni dalla sua collezione che l’autore aveva fatte riprodurre ”dal vero” da pittori e incisori.
Alcuni di questi reperti come il granchio fossile sono tuttora conservati nel Museo di Storia
Naturale di Basilea e sono da considerarsi i reperti paleontologici da collezione più antichi
esistenti. Nella Biblioteca Universitaria della stessa città, poi, dello stesso granchio pietrificato
esiste anche la tavola acquerellata usata per eseguire la matrice xilografica e se ne sa anche la
provenienza: il Veneto.
Il volume citato, edito da Giacomo Gesner, è una miscellanea di operette sui minerali, fossili
e pietre preziose con i contributi di Giovanni Kentman, Giorgio Fabrizio, Severino Göbel,
Valerio Cord e Conrad Gesner il cui lavoro ha dato titolo al volume.
Il trattato di Gesner, invero il più interessante, consta di 169 carte numerate al solo Recto che
diventano il doppio con il retrostante Verso (a quei tempi numerosi libri erano numerati a
foglio e non a pagina: solo la prima era numerata ed è chiamata Recto, la seconda non lo era
ed è chiamata Verso) e tratta appunto dei “fossili”.
Nel testo Gesner cita un centinaio di autori: i più ricorrenti sono Plinio e Agricola. Seguono
i nomi di altri studiosi di tutte le branchie della scienza e di tutte le provenienze che l’autore
riporta fedelmente come si usava a quei tempi per dare il massimo credito all’opera. Numerosi
sono gli autori italiani e fra essi troviamo Girolamo Cardano, Pietro Andrea Mattioli, Camillo
Leonardi, a cui si aggiungono Francesco Calzolari di Verona e Ulisse Aldrovandi di Bologna,
ambedue inediti, ma senz’altro corrispondenti di Gesner.
Il volume non apporta novità nell’ambito dei “fossili”. Gesner, d’altra parte, aveva in Giorgio
Agricola l’unico predecessore valido. Moltissime sono le illustrazioni, che più di una descrizione
anche dettagliata contribuiscono ad individuare l’oggetto. Gesner utilizzò, oltre che la cospicua
biblioteca, anche i reperti della sua collezione come si evince dai numerosi atti di riconoscenza
verso i donatori presenti nel volume.
Per la prima volta l’“ottimo lettore” poteva non solo leggere il testo che era solitamente
infarcito di innumerevoli citazioni, ma poteva vedere di cosa si trattava. Ciò che oggi appare
ovvio, fu allora una idea assolutamente innovativa di grande merito che necessitò ancora di
Fossils & minerals
qualche decennio per diventare una consuetudine. Ciò era anche dovuto agli ingenti costi di
illustrazione che implicavano prima il disegno dei soggetti da parte di un pittore, poi il riporto
dello stesso disegno su una lastra di legno o di rame e infine la complessa composizione delle
pagine. A quei tempi un libro aveva costi decisamente superiore agli attuali e rappresentava
un bene di lusso per sole persone ricche.
I MINERALI
Il volume inizia con una serie di minerali e pietre preziose tra i quali alcuni assolutamente
misteriosi la cui presenza si deve alla citazione delle fonti antiche mai verificate.
Troviamo primi fra tutti l’amianto, lo smeraldo e Hammites vel Ammonites, minor, minimis
piscium ovis vel araneorum similis, velutiq.; ex arenulis coagmentatus. Sui primi due non
ci sono dubbi. Hammites è enigmatica come numerose altre figure. Seguono vari minerali,
sassi rotundi, palle pro bombardis, geodes resonans, subrotundus, cristalli con diverse forme
geometriche e rocce varie fra cui il vistoso basalto colonnare di pagina 21R sulle cui punte
possono sorgere dubbi, il tutto accompagnato da una esauriente lettera di Giovanni Kentman:
curiosa è la figura relativa a De floribus (pagina 26R) così chiamata per la somiglianza con un
fiore, ma riferentesi ad una cristallizzazione.
E’ inoltre degno di menzione l’abbinamento fra soggetti e i corrispondenti termini in tedesco,
scritti in caratteri gotici per renderne molto più facile la fruizione.
In qualche caso sono inseriti oggetti non pertinenti ai minerali come De lapidibus illis, quibus
cum stellis, Sole, Luna, aut elementis aliquid commune est in cui sono figurate due pietre
ovali, probabili coralli fossili e due frammenti di gambo di crinoide a dimostrazione delle
strane commistioni e attribuzioni alle quali le forme dei “fossili” davano luogo.
Altri esempi significativi sono le pietre meteoriche fra cui le pietre ombrie che invece hanno
l’aspetto di un echinide (pagina 61V) e le ceraunie, ovvero le pietre del fulmine famose fin
dall’Antichità, ossia ascie o punte di freccia d’epoca preistorica che, secondo le tradizionali
leggende, cadevano a terra allo scoccare dei fulmini e per questo avevano poteri proprio contro
fulmini e saette allora temutissimi. Anche in questo caso Gesner presenta un’ascia e quattro
martelli forati in pietra, (Fig. 4) prime immagini di oggetti della preistoria umana quasi trecento
anni prima della scoperta delle nostre più antiche radici.
Pochi sono i minerali chiaramente identificabili, fra i quali i cristalli di quarzo (pagina 18V), le
pisoliti (pagina 71V), la magnetite con limatura di ferro ( pagina 84R). La figura più imponente
è quella dei basalti colonnari (pagina 21R) (Fig. 3) con strane punte come cristalli. Curiosi
sono numerosi reperti archeologici fra cui gli anelli (frontespizio e pagina 99R) e una collana
(pagina 105). Seguono alcuni pezzi d’antiquariato provenienti da scavi.
Il corallo è raffigurato in alcune inconfondibili immagini che rappresentano questa “pietra
vivente”, curioso esempio di “vegetale pietrificato”, che per secoli ha affascinato la gente,
incuriosito gli eruditi e attratto i creduloni per le vantate proprietà esoteriche.
Non potevano mancare le pietre che nascono all’interno di uomini ed animali ovvero i calcoli,
curiosi e dolorosi curati con medicamenti vegetali e minerali ma a volte estratti con interventi
chirurgici la cui esecuzione fa ancora venire i brividi per i metodi da cerusico o norcino applicati
in completa assenza di anestesia.
Fossils & minerals
I FOSSILI
La parte più interessante e anche la meglio rappresentata è quella dei fossili a partire dalle
osteoliti, ovvero le ossa fossili. Seguono articoli di crinoidi, aculei di echinidi, ammoniti,
bufoniti ovvero denti palatali di orata fossile che, a quei tempi, si credevano presenti nella
testa dei rospi, da cui prendevano il nome. Sono raffigurati anche otoliti, denti di squalo,
una conchiglia, due opercoli e un’altra conchiglia che a prima vista sembra un’ammonite del
genere Amaltheus margaritatus piritizzata, numerosi gasteropodi ed un Pecten.
Si notano altri echinidi fra cui due cidaridi utranq. speciem apud me servo. Fra gli ultimi
reperti degni di particolare attenzione c’è un’ammonite ovvero serpentis in spiram revoluti
effigie (Fig. 5) a testimonianza che questi molluschi erano considerati serpenti attorcigliati ed
impietriti mancando i corrispondenti animali viventi. Infine oltre al granchio descritto come
Pagurus lapideus, parte supina expressus già citato, si vede a pagina162R un pesce fossile così
commentato:
Lapis Islebianus, è quo aes conflatur, niger, durus, laminae instar: piscis formam aeneis
squamis conspiquam prae se ferens: aliquando & aliorum animalium ego duos singulis, unum
vero geminis piscibus insignem habeo ad amicis missos. Agricola Eislebianum lapidem vocat,
& immagines exprimere scribit piscium, Lucij, Percae, Passeris marinis, de nat,fossil. Lib.
I. Libro 10. autem eiusdem operis, Spino à priscis dicto lapidi eundem, aut cognatum facit,
fissilem, nigrum, bituminosum aerosum, &c.
I pesci fossili di Eisleben avevano trovato la prima icona. Altri ne saranno trovati altrove, ma
per secoli continueranno ad essere chiamate pietre Islebiane.
Intanto era cominciato l’interesse e molti “fossili” finirono nelle collezioni di naturalisti o
di amanti di stranezze che ad ogni modo contribuirono a sollecitare la curiosità verso queste
pietre dando inizio alla ricerca scientifica per una migliore comprensione della natura.
Il 13 dicembre 1565, anno di pubblicazione di De omni rerum fossilium genere, ecc. moriva
a Zurigo (Fig. 6) di peste l’autore. A noi l’epidemia tolse nella maturità questo erudito che
avrebbe probabilmente dato all’umanità altri grandi e originali contributi alla cultura.
Esiste comunque una pianta della famiglia delle campanulacee che un riconoscente scienziato
ha chiamato gesneria. Non è poco, ma bisogna ammettere che i botanici sono stati più bravi
dei geologi.
RINGRAZIAMENTI
L’autore ringrazia la dottoressa Laura Guerra per la revisione del testo, l’ingegner Marco
Guerra per il supporto informatico e il personale di Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna,
Biblioteca Universitaria di Bologna, Biblioteca d’Arte e di Storia di San Martino in Poggiale di
Bologna per l’accesso ai libri e i server Google e Wikipedia per informazioni e testi in rete.
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uiusmodi, libri aliquot, plurique nunc primi editi. Frontespizio. (Da Google)
Fig. 3. Conrad Gesner. Basalti colonnari. (Da Google)
Fig. 4. Conrad Gesner. Ceraunie ovvero martelli preistorici. (Da Google)
Fig. 5. Conrad Gesner, Ammonite o serpente pietrificato.(Da Google)
Fig. 6. Zurigo nel secolo XIX. (Da A. Martin, La Suissee pittoresque et ses environs, 1835)
MUSEO DEL CAVATORE
Via 17 Agosto 1944, 10/a Vellano (PT) tel. e fax 0572 409181 +3933091390517