309 Dallo Studiolo alla Galleria - Fondazione Internazionale Menarini
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309 Dallo Studiolo alla Galleria - Fondazione Internazionale Menarini
n° 309 - marzo 2003 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Dallo Studiolo alla Galleria Che la storia del collezionismo non si possa più scindere dalla Storia dell’Arte ne sono prova le sempre più frequenti rassegne pubbliche che superando il valore della mostra monografica o monotematica, hanno scelto trame espositive e filologiche sul fenomeno stesso del collezionismo. Dietro questa nozione si celano quei meccanismi primari e fondamentali che determinarono la fortuna visiva e critica di un artista, la sua presenza nelle raccolte più significative, in un cammino lungo e complesso dove nell’alternanza di gloria e sfortuna, tante opere d’arte sono comunque giunte fino a noi, attraversando i vari canoni ufficiali della bellezza. Una breve visitazione dal Quattrocento in avanti consente di segnare i percorsi più importanti della nostra storia dell’arte moderna, dell’estetica e del rapporto complesso ma affascinante esistito tra un patrimonio artistico e il suo possessore, tra l’oggetto prezioso e colui che lo acquistò, tra l’opera d’arte e il mecenate che la volle al di sopra di ogni prezzo e di ogni difficoltà. Il collezionismo come immagine del potere, come tramite per l’affermazione sociale e politica. La storia ci racconta che molto si poteva fare per entrare in possesso di un’opera desiderata e considerata necessaria, indispensabile per arricchire la propria collezione, superando a volte il lecito e il ragionevole. Nella fa- miglia Medici non pochi sono stati i personaggi che sperperarono il proprio patrimonio per la bramosia di acquisire opere d’arte, e non raramente all’interno di una stessa famiglia regnante nasceva competizione per guadagnarsi la fama di possessore della raccolta più bella. Tale processo ha formato un binomio tra la disponibilità economica e personaggi di potere, come sovrani e papi, ai quali si contrapponevano intellettuali e connaisseurs. Ma per comprendere le trame del collezionismo è importante il passaggio che avvenne dal privato al pubblico, dal collezionismo che doveva seguire solo le regole del gusto personale, a quello mostrato, esibito, tra lo studiolo e la galleria della famosa citazione galileiana che poneva a confronto con estrema lucidità le due entità simbolo dei diversi modi di collezionare un’opera d’arte. Galileo in quel suo scritto abbinava la confusione e la piccolezza degli oggetti di uno studiolo alla poetica del Tasso (gretto, povero e miserabile) e la magnificenza e la ricchezza delle opere d’arte di una Galleria a quella dell’Ariosto (magnifico, ricco e mirabile). Tale luogo diveniva quindi l’emblema di un illuminato indirizzo culturale, superando le pericolose o riduttive deviazioni che il collezionismo privato poteva assumere. Il concetto allargò i propri orizzonti, facendo nascere l’esigenza in chi pos- sedeva una collezione, di darne notizia, di mostrarla, di misurarsi con i confronti e le valutazioni, di offrirla ad altri amatori ed intenditori perché fosse goduta. L’idea di godibilità iniziò allora un percorso nelle cui varie fasi di elaborazione del gusto non si è più fermato: dallo studiolo privato, si passò al gabinetto specialistico al quale si ammettevano visite di altri privati, poi il desiderio di far conoscere i propri tesori fece aprire ad un più vasto pubblico (si pensi alle case museo); parallelamente il potere politico, le corti in primo luogo, vollero le proprie gallerie che con gli anni divennero anch’esse pubbliche fino a giungere al museo nella sua accezione moderna. Come quindi la visibilità, il mostrarsi, l’esibire un’opera corrispondesse alla sua fortuna, al suo valore e come tale pratica divenisse simbolo del collezionismo, lo dimostrano i vari spostamenti “con- G. Sustermans: Ritratto di Galileo Galilei Firenze Uffizi F. Francken II: Un cabinet d’amateur - Monaco, Staatsgemald-Sammlung pag. 2 cettuali” e “culturali” che celeberrime opere d’arte hanno subito nei secoli. Un esempio eccellente lo forniscono le Battaglie di Paolo Uccello che stavano nella camera di Lorenzo il Magnifico in Palazzo Medici Riccardi tra i pezzi da lui più amati ed ammirati. Negli anni successivi, dopo la morte del Magnifico le opere di Paolo Uccello finirono nelle stalle del Casino di S. Marco al tempo del cardinal Carlo, poi un lento recupero le condusse alla gloria moderna. Ecco come il valore estetico ed intellettuale di un’opera d’arte può quindi mutare: per il Magnifico rappresentavano uno dei massimi simboli della forza espressiva, non altrettanto per il cardinale mediceo, orientato verso altri artisti ed iconografie. Altro esempio di come la visibilità corrispondesse alla fama, di come il mostrare un’opera da parte del collezionista ne sancisse la fortuna, ce lo fornisce il Cavadenti di Caravaggio esposto nel 1638 sotto il governo di Ferdinando II e Vittoria della Rovere, in un terrazzo come quadro di genere, d’importanza secondaria e quasi accessoria; mentre alcuni anni dopo, con il granprincipe Ferdinando, l’opera di Caravaggio meritò gli onori di essere presentata nella camera del suo appartamento. Le cause di tale apertura culturale possono avere varie letture: infatti non per tutti i collezionisti prevaleva l’interesse del condividere con altri amatori i propri oggetti d’arte, per molti il mostrare rappresentò ottenere autorevolezza e potere come dimostrano gli stretti legami che la storia ci propone tra politica e collezionismo. Sul finire del Cinquecento, superato un buon livello di prosperità economica, il collezionismo sembrò trasformarsi in una sorta di obbligo sociale, divenendo così il risultato non solo di una intima adesione alle sollecitazioni dell’animo per il bello e per il prezioso, ma anche una spinta crescente all’adeguamento culturale. Culmine del passaggio tra potere e magnificenza, si ebbe, a livello pubblico, con la politica lorenese, perché in quegli anni di pieno illuminismo, non solo l’apertura del museo fu facilitata dall’apertura mentale dell’uomo di cultura settecentesco, ma anche dalle molte circostanze che imponevano di mostrare i propri tesori. Col fenomeno del gran tour, il viaggio che giovani intellettuali, poeti, pupilli della nobiltà, artisti, compivano in Europa per elevare la propria erudizione, si affollavano le città previste per questi itinerari d’istruzione; erano presi di mira i musei a tal punto che a Firenze, il direttore degli Uffizi intorno al 1780 pensò di stabilire delle normative che regolassero l’ingresso alla Galleria. E si visitavano anche le più importanti gallerie private, ma ugualmente accessibili agli intenditori, le biblioteche che proprio in questi anni divennero pubbliche, le zone di scavo che tanto contribuirono all’arricchimento del collezionismo antiquario, i salotti culturali più in vista spesso allestiti e promossi dai collezionisti locali. È tra queste mura che si consumavano le procedure più stimolanti di “godibilità” e di affermazione delle rac- Domenico Remps: Scarabattolo - Firenze, Opificio delle Pietre Dure A. Bronzino: Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Giovanni - Firenze Uffizi colte, si osservavano, si confrontavano, nascevano dissertazioni, dibattiti, attribuzioni, scoperte di clamorosi falsi; erano proprio questi incontri che potevano stabilire la fortuna o la sfortuna di un determi- pag. 2 nato artista o di un determinato genere. In questi ambienti nasceva lo stimolo ad arricchire la propria raccolta nel sottile stato d’animo di una crescete rivalità, riproducendo in tono minore quello che avveniva nelle grandi corti italiane ed europee. Ma con quale criterio un collezionista arricchiva la propria raccolta? Si sceglievano ed abbinavano quadri di uno stesso formato, di uno stesso artista o soggetto; si raccoglievano monete provenienti da una stessa nazione o prodotte in una precisa Zecca o appartenute a prestigiosi medaglieri del passato; si impreziosiva una raccolta di disegni o di stampe selezionandoli per tipo di carta o di filigrana; si acquistavano armi e armamenti nell’intento, spesso difficile, di ricostruire apparati guerreschi di celebri casate o di famosi armaioli. Come il moderno collezionismo segue determinati protocolli, anche in passato il mercato dell’arte si atteneva a cerimoniali e prassi ben codificabili. Spesso una collezione non nasceva come idea originale del richiedente, ma come il risultato di un raffinato processo critico ad opera dell’agente o del mercante che proponevano nuovi modelli estetici da raccogliere. L’analisi e lo studio del processo valutativo che muove la lenta creazione di una raccolta, evidenzia molte peculiarità del genere umano, che nel superamento di criteri Anonimo: Sala delle sculture al Museo dei monumenti francesi - Reims, Musée des Beaux-Arts estetici, stilistici e sociali, svelano sempre un mondo intrigante e complesso, la cui conoscenza resta indubbiamente lo strumento ideale per capire la storia dell’arte e la cronaca dei suoi eventi. Le opere viaggiano come gli uomini, ma non sono in grado da sole di dare testimonianze su questi viaggi. Attraversano lo spazio e il tempo, ed è proprio questo passare di mano in mano che conferisce loro valore e desiderio, il desiderio di controllarle, di goderle, di fermare il cammino delle emozioni, e libera da ogni vincolo, solo il collezionista potrà imbrigliare l’opera d’arte, dominandola con il possesso e il pieno appagamento del suo animo. miriam fileti mazza M. Piatti: Armatura - Firenze, Museo Nazionale del Bargello