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ICASTICA 2011, p. 33]. Ed è così che le cose del mondo devono prima essere trasformate in immagini, in sensibile, in fenomeni, per essere percepite. Come può l’uomo presentare soggetti che “L’esistenza del sensibile non coincide con la nuda esistenza mutano costantemente, in immagini alle quali dover impor- del mondo e delle cose” [E. Coccia, 2011, p. 31]: già Aristotele re una forma definitiva? Per rispondere a questa domanda si ha dimostrato che nessun oggetto produce sui rispettivi or- deve confrontare il morfologico del vivente con la stasi - che gani percettivi alcuna sensazione semplicemente toccando- dovrebbe essere solo apparente - delle opere “create dall’uo- li. Occorre che l’oggetto reale diventi prima fenomeno e che mo”. In questo dialogo uomo-realtà l’immagine dovrebbe il fenomeno - esterno alla cosa stessa - entri in contatto con formarsi tra “linea” (convenzione grafica per presentare il i nostri organi percettivi perché la percezione abbia luogo. sensibile-visibile) e colore (essenza del sensibile-visibile), Questo significa che tra noi e gli oggetti “c’è sempre un luo- quale sintesi conoscitiva di leggi naturali desunte da un rap- go intermedio, qualcosa nel cui grembo l’oggetto diviene porto dialettico ‘vedere’ - ‘sapere’. Un istante “bloccato” sensibile, si fa phainomenon” [Ibidem, p. 37]. Un luogo este- dall’uomo dovrebbe esprimere nella stasi il concetto morfo- riore, un fuori, situabile tra l’io percipiente e l’io percepito, logico di metamorfosi. Ogni qual volta si realizzino opere che rende possibile la percezione e l’esperienza in una rela- caratterizzate da una fissità che non sgorghi con le stesse zione di contiguità animale-fenomeno. Ma “tra la realtà ed il modalità con le quali sgorga il colore da una forma renden- fenomeno c’è una differenza che non può essere soppressa“ dola percepibile e caratteristica, si pronuncia il falso. Ogni [E. Coccia, 2011, p. 33]. L’uomo si interroga perciò sulla natu- forma prodotta dovrebbe quindi presentare l’insorgere del ra delle immagini cercando di scovare dove i fenomeni vero, dell’Urphänomen: dovrebbe narrare un fenomeno in un avranno luogo, per trovare testimonianza “«ortopedica della momento transitorio. Definito anche punto culminante, è sua totalità», del suo corpo, altrimenti parcellizzata nelle di- quel momento in cui “un attimo prima nessuna parte dell’in- verse esperienze percettive“ [Ibidem, p. 118]. Perché è solo sieme deve trovarsi in tale condizione e un attimo dopo osservando come le immagini si generano che si arriverà a ogni parte deve essere costretta ad abbandonarla” [Goethe, definire la loro natura. Per afferrarne la genesi “non bisogna (1798), 1994, p. 72-73]. Si tratta cioè di rendere esplicito il aspettare che la loro forma si sia già costituita“ [E. Coccia, “formarsi”, l’insorgenza ed il dispiegamento di qualcosa “senI II za ulteriori residui” [L. Farulli, 1998, p. 60]; di ri-presentare il luce indispensabile per svolgere le proprie funzioni. A se- essere; come un concatenarsi di possibilità. La “posa”, caratte- sto scontro-incontro tra uomo ed apparecchio: cinque cate- fenomeno come se si mostrasse davanti ai nostri occhi e a conda che sia costretto a riprendere una scena in carenza o rizzata dalla lentezza di acquisizione del referente, presenta gorie di Fotografare Estetico che potessero fornire esempi quelli dei fruitori. In questo, anche la Fotografia non può fare in abbondanza di luce, e grazie al fotografo che agisce sulle fotografie in una gamma di toni più ampia; una qualità pla- chiari di mimesis dell’è stato. Le prime tre categorie da me eccezione: deve rendere evidenti soggetti caratteristici in sue funzioni base (tempi/diaframmi/tipologia dell’inquadra- stica più pronunciata: può in un certo senso presentare un individuate accettano lo spazio prospettico generato auto- una forma specifica e senza pronunciare il falso. L’Operator tura), esso si predispone al registrare facendosi garante di modo di vedere “atomistico” di ciò che è “divenuto, patisce, maticamente dall’apparecchio fotografico come unica pos- deve: primo, bloccare il soggetto in una fase culminante vi- fotografie che risultino tecnicamente il più corrette possibi- è suscitato, riposa, è insorto” [vedi L. Farulli, 1998, p. 75]. Al sibilità rappresentativa dello spazio sensibile e, in un certo sibile della sua metamorfosi; secondo, riattivare il movimen- le. Sinteticamente: avendo davanti una scena buia l’appa- contrario l’ “istantanea” in un’immediatezza di ripresa che senso, traggono la propria magia più dal soggetto (tipologia to sulla superficie dell’immagine e terzo, lottare contro l’ap- recchio suggerisce all’Operator di allungare i tempi di posa; penalizza la plasticità a favore di una maggior crudezza dei dell’inquadratura e momento di scatto) che dalla capacità parecchio automatico per esercitare il proprio diritto alla viceversa in condizioni di luce piena la ripresa può avvenire toni e della pittoricità, presenta un “modo di vedere dinami- del fotografo di trascenderne il programma. Esse sono: Posa; libertà. In questa prospettiva la scelta di un apparecchio fo- quasi in modo istantaneo. Tutte queste operazioni calate in co” orientato verso “ciò che diviene, è attivo, suscita, agisce, Istantanea e Tra la posa e l’istantanea. A differenza di queste tografico contro il quale funzionare diventa determinante al un rapporto apparecchio-fotografo, sono però gestite da un porta a insorgenza” [Ibidem]. “Posa” ed “istantanea” possono prime tre categorie, le ultime due estremizzano il concetto fine di emancipare il caso dal loop-finito dell’automatismo “sapere” e da una qualità del “vedere” autonomi da quelli perciò presentare con modalità completamente differenti di atto fotografico attuando ulteriori ibridazioni “posa”- ed indirizzarlo verso l’inesplorato. Perché il come fotografico dell’Operator. Il dualismo posa–istantanea (non ci si dimen- quel “dinamismo transitorio” colto in un sol colpo d’occhio “istantanea” ed in piena lotta contro il programma dell’ap- occorre ricordarlo, prende forma grazie a tutti quegli auto- tichi che anche l’apparecchio per quanto subumano è pur che dovrebbe contraddistinguere anche il “punto culminan- parecchio, si spingono verso nuove libertà espressive. In casi matismi gestiti dal programma dell’apparecchio. Ma il come sempre programmato da tecnici umani), ripropone in un’im- te” dell’arte: immagini-relazione tra il soggetto ed il proprio come questi la Fotografia approda quindi ad una più pro- anche se non gestito dall’uomo, è essenza formale, ovvero magine tecnica il contraddittorio tra una visione lineare (le- ambiente non come “conseguenza meccanica di uno stato nunciata organicità della superficie mostrando caratteristi- quel rapporto con il Tutto che rende significativa la singola- gata al sapere) e una visione pittorica (legata al vedere). Esso precedente, bensì quale effetto, Wirkung di rapporto viven- che che si riteneva dovessero appartenere alla sola pratica rità e “non è qualcosa di esteriore, ma ha importanza deter- comporta la gestione più o meno pronunciata di quantità e te, di una relazione tra le parti costitutive” [Ibidem, p. 76]. pittorica: l’immagine fotografica si arma così di un pittoriali- minante anche per il contenuto della rappresentazione” [H. qualità cromatiche e di conseguenza plastiche. Il fotografo Ancora una volta è in un rapporto funzionale complesso tra smo strutturale e non retinico che ne svela la natura “pensa- Wölfflin, (1915), 1999, p. 21]. Per avere libertà occorre non- che vorrà giocare contro l’apparecchio, potrà quindi avvalersi parti costitutive che può essere riattiva quella circolarità, in- ta“. In questa “nuova” ottica trasversale ricca di contamina- subire, la messa in forma del soggetto. Le modalità di funzio- di “posa” ed “istantanea” (o di una terza modalità ibrida) al tesa come “ritorno all’uguale” tanto auspicata dalla critica zioni, verrà così a cadere la distinzione tra due entità namento dell’apparecchio fotografico sono deducibili una fine di obbligarlo a contraddirsi in mimesis del concetto di filosofica di Vilém Flusser. Per rendere concreti questi sforzi assolute come la fotograficità e la pittoricità. A queste ultime volta compreso il rapporto dialettico “posa” – “istantanea”. tempo-bloccato che autonomamente non produrrebbe: in teorici ho così cercato nel corpus fotografico a me noto, una due categorie ho dato il nome di fotografare Pluriprospettico L’apparecchio necessita infatti di un quantitativo minimo di altre parole si tratta di presentare l’è stato come un potrebbe serie di “casi“ fotografici icastici che testimoniassero di que- e di fotografare Operazionale. III Esistono s-oggetti dai quali scende la polvere del mio sguardo. Una luce che sgorga interna e non dalla Fonte. Forme scolpite nel transitorio. Fugace s’aggrappa al colore: lento. Nella linea un ristoro. La serialità si fa pressante ed indica uno studio, altro studio, pensiero ed altro ancora. L’opera, morta sotto i colpi di nomi parlati, si fa cosa. Parola quotidiana, la sola parola. Occhi vigili e spie, tra le spire dell’illuminato cercano di guadagnare un punto di vista lineare - unitario. Lo Standpunkt. Uno sguardo che afferra e che si forma: che si ferma e riparte. Sguardo ravvicinato che è mano, e che tasta le possibilità tutte dell’altro da noi. O lo sguardo... Quello dopo, che tenti con le proprie forze di incrostarsi all’evidente nascosto e che all’interno ritorni perché vuole “sgusciare” in anticipo l’atto nella forma. Occhi che abitano e vivono dentro al momento. Nel rimando ad altre morfologie trovata la parola “fine”. Ma era solo un inizio. C’era un prima. C’era un dopo... C’era, appunto. Ora, c’è un campionario di forme. Di nuovo forma. O forse, solo originaria ed invisibile. “Come se il posarsi cauto dello sguardo su diversi punti del corpo potesse essere simile al palpeggiamento di una mano” Jean Clair Giorgio Morandi, GRANDE NATURA MORTA CON LAMPADA A DESTRA, 1928. Acquaforte su rame, 25,2x34,9 cm Studio Azzurro, IL GIARDINO DELLE COSE, installazione realizzata con camera agli infrarossi, 1992 Karl Blossfeldt, dall'album fotografico "URFORMEN DER KUNST", 1928 IV IL DINAMISMO NELLA POSA : V VI Tina Modotti, MADRE CON BAMBINO. Tehauntepec, Messico, 1922 Masaya Nakamura STUDI DI NUDO FEMMINILE, 1960 “O forse diario soltanto di quell’oscura smania che spinge tanto a mettere insieme una collezione quanto a tenere un diario, cioè il bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla dispersione, o in una serie di righe scritte, cristallizzate fuori dal flusso continuo dei pensieri” Italo Calvino VII VIII D I N A M I S M O N E L L’ I S TA N TA N E A I L Giuseppe Penone ALBERO PORTA, 1993 Qui ed Ora. Scatto. Sono di nuovo sul fronte. Rapido fluttuo tra la gente. Tra la gente, forza! Muoversi – nella massa - cogliere prima che colgano - o che decidano di farlo. Una scala per l’istante. Essere-platea di un teatro-tutto. Fissare le linee e fissarle in un gesto distante. Ma vicino. Che sia vicino. Andare oltre il gesto, affamato di quel che potrebbe. Senza dramma! Alla ricerca della Entfaltung. Prova. Inclina la testa. Prova. Era li, non vedi?!? Dai, che si sposta ...Si sposta sempre. Ieri non lo sapevo, ma l’ho visto! Ed oggi... Oggi dovrà essere! Essere per forza. Due persone che si incontrano; Sembra non ci si possa ritrovare nello stesso modo; Ora lui si passerà la mano tra i capelli E scruterà oltre il polsino l’orologio. Poi s’incamminerà. Oltre la collina nuovi orizzonti. IX G. D’Annunzio X Henri Cartier-Bresson Alicante, Spagna 1932 Martin Munkàcsi, BAMBINI SULLA SPIAGGIA DI TANGANYKA. LIBERIA, 1930 “L’onda si spezza, precipita nel cavo del solco sonora; spumeggia, biancheggia. S’infiora, odora, travolge la cuora, trae l’alga e l’ulva; s’allunga, rotola, galoppa; intoppa in altra cui ‘l vento diè tempra diversa; l’avversa, l’assalta, la sormonta, vi si mesce, s’accresce. Di spruzzi, di sprazzi, di fiocchi, d’iridi ferve nella risacca; par che di crisopazzi scintilli e di berilli viridi a sacca, O sua favella! Sciacqua, sciaborda, scroscia, schiocca, schianta, romba, ride, canta, accorda, discorda, tutte accoglie e fonde le dissonanze acute nelle sue volute profonde, libera e bella, numerosa e folle, possente e molle, creatura viva che gode del suo mistero fugace.” Shangai, China 1948 “Quanto più gli riesce poi di raccogliere tutta la sua pienezza della forma in una sola creatura, tanto più rinunzia, a poco a poco, al suo rigore, e quando ha perfezionato pienamente la forma, così che in essa riposa soddisfatto e calma se stesso, per così dire si rasserena, e principia a muoversi in linee morbide” “L’istante è al tempo stesso la domanda e la risposta” Henri Cartier Bresson Fr. W. J. Schelling Hyères, Francia 1932 Pres de Juvisy 1955 Picnic sulla Marna 1938 XI Raffaello, LA SCUOLA DI ATENE, (1509-1511). Affresco, 500x770 cm. Musei Vaticani, Città del Vaticano XII Wim Wenders, UNTITLED, Denpasar, Indonesia, 1977 Ben Shahn, RACCOGLITRICI DI COTONE, Pulaski County, Arkansas, 1935 IL DINAMISMO TRA “Sfiorare il fiore senza mai strapparlo, in una sorta di accordo miracoloso con il calendario, con l’orologio, con la durata, mai in ritardo, mai in anticipo, con quella rarissima delicatezza dell’uomo in armonia col tempo” P O S A E D I S TA N TA N E A “Trovare la giusta immagine, il giusto senso che permette di rendere reale ciò che si pensa e si prova e che permetta anche di liberarsene” Don Worth, AUTORITRATTO, Mount Tamalpais, 1969 Emanuele Coccia Jean Clear XIII XIV XV Jim Bengston, UNTITLED, 1977 “Non conformatevi a questo secolo, cioè non abbiate lo schema comune al secolo, la legge generale dell’esistenza propria del mondo presente nella sua attuale condizione: trasformatevi ovvero rinnovatevi, modificate l’immagine dell’esistenza, la legge, la forma operante” Pavel Florenskij Francesca Woodman, SPACE, Rhode Island, 1976 Francis Bacon, STUDI DI TESTE, (particolari) XVI “Non tutto nell’arte si può compiere con la coscienza, che all’attività cosciente deve essere unita una forza incosciente e che la perfetta unione e la reciproca compenetrazione di entrambe produce il vertice dell’arte” “S’attribuivano a quegli oggetti in rapido moto delle figure probabili, e non sarebbe privo di interesse cercar di precisare, per mezzo d’un paragone di documenti, la sorta di creazione con cui l’intendimento colma le lacune della registrazione operata dai sensi” Fr. W. J. Schelling Paul Valéry Jim Bengston, UNTITLED, 1977 XVII Francis Bacon, STUDIO DI CORPO UMANO, (1983), olio e pastello su tela, 198x147,5cm. Proprietà dell’Artista XVIII Ansel Adams, TENAYA CREEK, DOGWOOD, RAIN, Yosemite National Park, California, 1948 Ansel Adams, CLEARING WINTER STORM, Yosemite National Park, California, 1937 MAROON BELLS, near Aspen, Colorado, 1951 Luigi Ghirri, SCENOGRAFIA DI ALDO ROSSI, Rocca Brancaleone, Ravenna “Il nascere del colore e il suo determinarsi sono tutt’uno. Se la luce presenta sé e gli oggetti in una assoluta neutralità e ci rende consapevoli di un presente senza significato, il colore è invece ogni volta specifico, caratteristico, significativo” J. W. Goethe “Com’è debole la luce dorata che si dirama nell’oscurità! Somiglia al pallido lucore che lungamente indugia sulla linea dell’orizzonte, dopo il crepuscolo. In nessun luogo, l’oro mostra una bellezza altrettanto grave, e accorata” Junichiro Tanizaki THE ATLANTIC FROOM SCHOODIC POINT, Acadia National Park. Maine, 1949 XIX ASPENS, Northern New Messico, 1958 XX CANYON DE CHELLY NATIONAL MONUMENT, Arizona, 1942 XXI XXII IL DINAMISMO David Hockney, NOYA AND BILL BRANDT WITH SELF PORTRAIT (although they were watching this picture being made), Pembroke Studios, London 8th May 1982 P LU R I P R O S P E T T I CO “L’unità di luogo mi parve opprimente come un carcere, le unità d’azione e di tempo briglie gravose alla nostra immaginazione” Contro la presunzione di un controllo razionale del mondo. Contro una rappresentazione univoca che elimini ogni scarto fra l’immagine e la consistenza reale degli oggetti. Contro la priorità dei caratteri geometrici. Contro la concezione che conoscere un oggetto non sia altro che conoscere la sua conformazione spaziale-oggettiva. Contro la perdita di significato filosofico della parola Forma e l’assunzione di un carattere strettamente Geometrico (forma vel figura). Contro la distinzione tra qualità primarie e secondarie. Contro l’interpretazione puramente quantitativa della realtà sensibile - rex estensa. Contro l’applicazione dei metodi matematici alle scienze naturali. Contro quella concezione che vede lo spazio-ambiente come fosse preesistente agli oggetti che lo popolano e contro la sua geometricità preliminariamente orientata. J. W. Goethe Gestire l’ordine non significa confrontarsi con un unico ordine possibile. Per prima cosa scardinare la posizione dell’unico punto di osservazione guardando intorno a noi stando fermi in quel punto. Ruotare semplicemente il capo tutto attorno. Oppure mantenere lo sguardo fisso davanti a sé e camminare incontro allo spazio e alle cose. Ma siamo ancora in superficie... Lo spazio ci contiene. Lo spazio ci possiede. (dall’alto al basso) Pierre Bonnard SALA DA PRANZO IN CAMPAGNA, 1913 Olio su tela, 168x204 cm Minneapolis Institute of Arts LA PORTA FINESTRA, 1932 Olio su tela, 88.5x113.5 cm Proprietà Privata LA PALMA, 1926 Olio su tela, 114.3x147 cm The Phillips Collection, Washington DC Vincent Van Gogh LA SEDIA DI VAN GOGH, (1888) Olio su tela, 92x73 cm. The Trustees of the National Gallery, Londra XXIII XXIV Marco Spaggiari, FLAVIA. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2011 “Per rimanere una foto, l’immagine dovrebbe essere vista come un travestimento artistico del corpo reale del modello, che continua a rimanere in agguato nella piena e mondana realtà dietro la sua trasformazione” Rudolf Arnheim XXV XXVI D I N A M I S M O OPERAZIONALE Marco Spaggiari, MARCELLA. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2011 I L Olimpia Ferrari, # 20 REFLECTED WHAT YOU ARE Stampa a pigmenti UV su plexiglass, 100x67 cm. 2010 Bill Viola, THE VEILING, 1995. Istallazione video-sonora, 3,5x6,7x9,4m Olimpia Ferrari, # 16 REFLECTED WHAT YOU ARE Stampa a pigmenti UV su plexiglass, 120x180 cm. 2010 “L’enigma della visione non è eliminato, ma rinviato dal «pensiero di vedere» alla visione in atto” Maurice Merleau-Ponty Agire e presentare forme apparentemente “chiuse” ed allo stesso tempo “aperte”; mantenere quella caratteristica ubiquità di cui consiste l’enigma della visione. Questo sembra essere l’inconciliabile suggerimento tra “sapere“ e “vedere“. Ma la visione, un pensiero che decifra rigorosamente i segni dati nel corpo, non ha strettamente a che fare con la somiglianza tra l’oggetto che vedo e quello che presento, e nemmeno con immagini mentali che tendono a renderci presente quello che in realtà è assente. Ogni teoria della visione plasmata in un atto è una metafisica. Una metafisica che studi la profondità intesa come “partecipazione a un Essere senza limiti, e innanzitutto all’Essere dello spazio, al di là di ogni punto di vista“ [M. MerleauPonty, (1964), 1989, p. 34]. Perché non c’è visione senza pensiero, ma non è sufficiente pensare per vedere: “la visione è un pensiero condizionato, nasce in occasione di ciò che accade nel corpo, e dal corpo è stimolata a pensare“ [Ibidem, p. 38]. È come un avvenimento del corpo istituito dalla natura ed è concepibile solo come indissolubilmente unita ad un corpo: non può per definizione essere solamente pensata. Si può praticarla, esercitarla e, per così dire, esisterla. Il pensiero operazionale rivendica così quel regno del contatto con se stessi e con il mondo e supera una concezione concettuale prospettica intesa come possibilità, per riabilitare nozioni di “qualità, struttura scalare, solidaXXVII XXVIII riconosciuta, dona possibilità di comunicarci comunicandola. Perché un linguaggio fondato sulla legge naturale si fa veicolo della più intensa felicità. Attraverso le opere intese come atti conoscitivi della legge naturale, rendiamo visibile ed esperibile il possibile (in realtà indichiamo il necessario: la Metafisica; la pianta originaria di Goethe); indirizziamo gli altri e noi stessi verso un percorso conoscitivo; verso il “bene” comune. In questa accezione il “male” non è altro che l’allontanamento dalla conoscenza ed è ovunque in tutto quello che risulti essere estraneo alla legge naturale. Tramite il pensiero abbiamo così la possibilità di accettare la nostra materialità e la nostra finitezza e l’altro da noi diventa il tramite per una nostra “resurrezione”. “Non in senso cristiano (da cui mi allontano sempre più appassionatamente), ma in una coscienza puramente terrena, si deve introdurre ciò che qui si è veduto e toccato nel cerchio più ampio, il più ampio. Non in un al di là, la cui ombra oscura la terra, ma in un tutto, nel tutto” [R. M. Rilke, (1944), 2007, p. 107]. La morte viene in un certo senso travalicata dagli atti che lasceremo ai posteri. Dal “nostro” pensiero infuso nelle opere e compreso nella comunità, potranno nascere altri atti per futura potenza e atti di nuovo: nasce così un terzo regno. Noi siamo gli esseri del qui e dell’ora ma “ nel nuovo terzo regno (quello delle opere, ndr), noi dividiamo un altro tempo con coloro che sono morti e con coloro che verranno” [Ibidem, p. 23]. FRIEDRICH: «Le immagini non sono più quelle di un tempo. Impossibile fidarsi di loro. Lo sappiamo tutti. Lo sai anche tu. Mentre noi crescevamo le immagini erano narratrici di storia e rivelatrici di cose. Ora sono tutte in vendita con le loro storie e le loro cose. Sono cambiate sotto i nostri occhi. Non sanno più come mostrare noi. Hanno dimenticato tutto... Ma puntare una cinepresa è come puntare un fucile e ogni volta che la puntavo mi sembrava come se la vita si prosciugasse dalle cose. E io giravo, giravo, ma ad ogni colpo di manovella la città si ritraeva. Svaniva sempre di più, sempre di più. Come il gatto di Alice. Nada... No, non c’è speranza. Non c’è speranza per nulla, Winter. Non c’è speranza, Ma questa è la strada Winter e io voglio percorrerla. Ascolta. Un’immagine che non sia stata vista non può svendere nulla. È pura e perciò vera e meravigliosa. Insomma innocente. Finché nessun occhio la contamina è in perfetto unisono con il mondo. Se nessuno l’ha guardata, l’immagine e l’oggetto che rappresenta, sono uno dell’altra. Sì, una volta che l’immagine è stata vista l’oggetto che è in essa muore. Ecco, Winter, la mia biblioteca delle immagini non viste. Ognuno di questi nastri è stato girato senza che nessuno guardasse attraverso la lente. Nessuno li ha visti mentre venivano impressi. Nessuno, dopo, che li abbia controllati. Tutto quello che ho ripreso, l’ho ripreso alle mie spalle. Queste immagini mostrano la città come è, e non come vorrei che fosse. Insomma queste sono nel primo dolce sonno dell’innocenza» WINTER: «Mi sa che ti sei un po’ perso... Tutte queste immagini giocattolo ti hanno fatto uscire di testa. Ora sei in un vicolo cieco: faccia al muro. Ma muovi gli occhi attorno e fidati di loro, non ce li hai mica sulla schiena. E continua a fidarti della tua vecchia manovella: è ancora capace di immagini in movimento. Perché sciupare la tua vita con superflue-immagini-spazzatura?!? Quando a metterci il cuore, puoi farne di indispensabili-immagini-in-celluloide... Le immagini in movimento possono ancora fare quello per cui vennero inventate un centinaio di anni fa. Possono ancora essere commoventi. Il tuo amico “Nessuno“, ha scritto qualcosa che ha commosso me: Nella piena luce del giorno, anche i suoni splendono» Dialogo tra F. Monroe e W. Philip nel film di Wim Wenders, LYSBON STORY, 1 0 5 ’, G e r m a n i a - P o r t o g a l l o 1 9 9 5 rietà fra l’osservatore e l’osservato“ [Ibidem, p. 41]. Lo spazio dentro il quale si è inglobati, deve essere quindi considerato partendo da noi stessi come grado zero della spazialità. Occorre esperire questa nuova concezione spaziale per presentare immagini che abbiano come la forza di rimandare il fruitore nel mondo; a prenderne visione in un dialogo tra apparenza ed essenza. Un immane tentativo quello di riconciliare apparenza ed essenza in un sintesi fatta anch’essa di apparenza ed essenza. Una sintesi che si faccia portavoce di una realtà “superiore a quella data in natura, in quanto ne sa cogliere la legalità interna, la sua produttività ed in quanto è creazione consapevole” [L. Farulli, 1998, p. 53]. “Dopotutto, anche in Piero della Francesca – dice Yves Bonnefoy – si può cogliere, nell’unità immanente all’immagine delle cose, una leggera incrinatura, che tradisce la natura intellettuale, mediata, del suo atto di affermazione. [...] Per quanto sia empirico rispetto ai confini del suo sapere, per quanto consapevole di ciò che il numero lasci al di fuori della sua portata, rimane il fatto che egli ha pensato ciò che raffigura, e in quell’attimo di pensiero è come se un eccesso di apparenza venisse marcato a scapito della vera presenza, al cui fondo è l’invisibile” [Y. Bonnefoy, (2003), 2004, pp. 55, 57]. Un primo compito sembra allora essere quello di rintracciare il pensiero che stava alla base dell’ opera dell’uomo. Un altro compito, simultaneo, il rintracciare attraverso anima e corpo nella materia animata quella scintilla vitale non definibile che è presente in noi e nell’altro da noi e che, se “Se una macchina fotografica riprende dunque in due direzioni, in avanti e all’indietro, fondendo le due immagini tra loro, in modo che il “dietro” si dissolva nel “davanti“, allora essa permette al fotografo già nell’istante della ripresa, di essere davanti, dentro alle cose, e non separato da loro. Attraverso il mirino colui che fotografa può uscire da sé ed essere dall’ “altra parte“, nel mondo, può meglio comprendere, vedere meglio, sentire meglio, amare di più. (E certo, purtroppo, anche disprezzare di più. C’è anche quello infatti, lo “sguardo cattivo“)” Wim Wenders XXIX Gottfried Boehm XXX Pierre Bonnard, MARTA NELLA TINOZZA, c. 1 9 0 8 , M u s e o D ’ O r s a y, P a r i g i “(Riferito a Cézanne) Il lavoro artistico cui si dedicava era volto a tentare di riportare l’uomo al centro di una realtà vivente. Gli interessava creare un modello pittorico dell’esperienza vissuta che mettesse l’osservatore nella condizione di avvertire un legame vitale con quanto raffigurato. Per fare ciò era necessario smantellare le convenzioni della percezione, scomporre il rigido schema della prospettiva e carpire la realtà come materia sensibile, giovane e aperta all’interpretazione” “Il disegno dal vero conferisce all’ occhio un certo comando che la nostra volontà alimenta. Bisogna qui volere per vedere e una tale vista voluta ha il disegno per scopo ed insieme per mezzo. Non posso precisare la mia percezione d’una cosa senza disegnarla virtualmente, e non posso disegnare questa cosa senza un’attenzione volontaria che trasforma notevolmente quello che prima avevo creduto di percepire e di conoscere bene” Paul Valéry Paul Cézanne, nature morte Alberto Giacometti LA MADRE DELL’ARTISTA, 1950 Olio su tela, 90x61cm MOMA, New York XXXI Paul Cézanne, LA MONTAGNA SAINTE-VICTOIRE, 1902. Olio su tela, 83.8x65 cm. Estate of Henry Pearlman, New York XXXII “Nessun mezzo espressivo acquisito risolve i problemi della pittura, né la trasforma in tecnica, perché nessuna forma simbolica funziona mai come stimolo. [...] Il linguaggio della pittura non è “istituito dalla natura“: esso va continuamente creato e ricreato” Maurice Merleau-Ponty Marco Spaggiari, STRADA. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 Marco Spaggiari, ALBERO. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 Marco Spaggiari, VIA BERNOLDA. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 XXXIII XXXIV Marco Spaggiari, LA QUERCIA. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 Marco Spaggiari, LA BONIFICA. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 XXXV Marco Spaggiari, CAMPO. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 XXXVI Marco Spaggiari, CANALE. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 XXXVII Marco Spaggiari, IL BOSCO ALLA BONIFICA. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 XXXVIII Marco Spaggiari, LA BARBANTA. Stampa Polaroid, 8.5x10.5cm. 2012 XXXIX