Circolo LEGAMBIENTE della Carnia - Val Canale
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Circolo LEGAMBIENTE della Carnia - Val Canale
Circolo LEGAMBIENTE della Carnia - Val Canale Recapito postale: Via Spalto 9 – 33028 TOLMEZZO Al SERVIZIO V.I.A. presso la DIREZIONE CENTRALE AMBIENTE, ENERGIA E POLITICHE PER LA MONTAGNA - TRIESTE Al SINDACO del Comune di FORNI DI SOPRA Oggetto: Verifica di assoggettabilità alla procedura di V.I.A. del progetto di insediamento turistico –alberghiero in località Mauria (ex colonia ODA) in Comune di Forni di Sopra. Osservazioni. Il sottoscritto Marco Lepre, nato a Tolmezzo (UD) il 16 aprile 1953, residente a Tolmezzo in via IV Novembre 4, in qualità di Presidente pro-tempore del circolo LEGAMBIENTE della CARNIA, espressione locale di Legambiente, associazione nazionale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente, dopo aver esaminato la documentazione relativa alla proposta in oggetto, presenta le seguenti “Osservazioni” che devono ritenersi condivise anche da Legambiente del Friuli Venezia Giulia ONLUS e dal WWF del Friuli Venezia Giulia. 1 – Il progetto di recupero e trasformazione della ex Colonia ODA di Forni di Sopra e la realizzazione di ulteriori volumi destinati ad incrementare la ricettività turistica avanzati dai proponenti sono strettamente legati al progetto di una nuova cabinovia e di una pista di sci che dovrebbero collegare l’area con il comprensorio sciistico del Varmost. Queste ultime, onerose opere, previste da Promotur e già sottoposte a verifica di assoggettabilità ambientale, non avrebbero alcun senso, infatti, senza la presenza di un nuovo insediamento turistico in località Mauria. Analogamente l’investimento privato per la creazione di un grande albergo e numerose residenze non sarebbe probabilmente giustificato senza la possibilità di sfruttare un accesso diretto agli impianti sciistici e ai tracciati esistenti in quota. Queste strette relazioni avrebbero dovuto, a nostro avviso, portare ad una verifica complessiva degli interventi e ad una loro attenta valutazione ambientale. Non sappiamo, ad esempio, se si possa escludere in maniera assoluta, in presenza di eventi atmosferici di particolare intensità, la possibilità del verificarsi di movimenti franosi di una certa rilevanza che coinvolgano la prevista nuova pista o le aree che verranno disboscate, cosa che è effettivamente avvenuta, nonostante le opere di protezione realizzate da Promotur, lungo la pista di rientro dallo Zoncolan a Ravascletto nel settembre del 2009. Un conto, infatti, è se questi movimenti o crolli si limiteranno ad interessare dei rii o delle aree boschive, un altro se potranno coinvolgere anche l’insediamento turistico a valle. Da questo punto di vista, esaminare i due interventi separatamente ed indipendentemente tra loro non è stata certo una scelta corretta. Inoltre, il fatto che i soggetti coinvolti siano diversi (la realizzazione della nuova pista e della funivia sono in carico ad un soggetto pubblico e quella delle strutture ricettive ad una società privata); che non ci sia contemporaneità nell’esecuzione delle opere e che possano presentarsi difficoltà per il completamento o il rispetto dei tempi di esecuzione di uno degli interventi, crea ulteriori problemi e criticità. Prendiamo, ad esempio, la questione della pericolosità da valanga che il Piano per l’Assetto Idrogeologico del Tagliamento predisposto dall’Autorità di Bacino evidenzia proprio in corrispondenza con l’ex Colonia dell’ODA. La relazione di screening liquida l’argomento in poche righe, limitandosi a parlare della presenza di una “zona di accumulo di valanga”, la cosa però non deve essere proprio di poco conto se ci si premura di proteggere la pista, i parcheggi e l’albergo con un rilevato in terra dell’altezza di ben 7 metri (cfr. relazione di screening VIA, p. 45). Ora il materiale necessario per realizzare il rilevato (circa 25.500 mc) dovrebbe essere ottenuto dai significativi sbancamenti effettuati per la “collocazione della stazione funiviaria”, ma questo intervento è di competenza di un altro soggetto (Promotur) ed avverrà (se avverrà) in tempi successivi alla ristrutturazione dell’ex Colonia ODA, solo dopo che sarà completato l’80% delle opere immobiliari di competenza della società “Sviluppo 31”. Ci sono, quindi, degli aspetti contraddittori o non sufficientemente chiari che richiedono un approfondimento. Non vorremmo, infine, che aver esaminato separatamente i due interventi (infrastrutture sciistiche e insediamento turistico) avesse indotto ad una sottovalutazione di alcuni impatti, come quelli sulla fauna, caratterizzata da una significativa presenza di tetraonidi. Il complesso degli interventi programmati è certamente rilevante ed aver diviso il loro esame in due procedure distinte non significa affatto che si dimezzino le conseguenze per gli animali selvatici. 2 – Nella lunga e spesso ridondante e ripetitiva relazione di screening ci ha colpito il fatto che non venga fatto praticamente cenno ai problemi di approvvigionamento idrico. Al tema acquedotto si dedicano in tutto tre righe alle pag. 26 e 27, nelle quali si afferma semplicemente che è “a carico del promotore privato … l’eventuale potenziamento della vasca di carico … e la verifica della potabilità dell’acqua della sorgente”. Poco oltre si chiarisce: “acquedotto – si prevede di riutilizzare il sistema di approvvigionamento idrico esistente della ex colonia ODA con la sola realizzazione delle nuove condotte interrate e manutenzione dell’opera di presa e serbatoio di carico esistenti” (p. 27). Il fatto che in passato la colonia ODA fosse, sotto questo punto di vista, autonoma e sufficientemente servita non è significativo, né rassicurante, perché le esigenze di oggi, la presenza di piscina, saune, palestre, servizi vari e le necessità del villeggiante-tipo (che dopo una giornata sulle piste ha bisogno di disponibilità certamente diverse rispetto a quelle di un bambino che frequentava la Colonia negli anni Cinquanta o Sessanta), fanno pensare a consumi idrici sensibilmente superiori. Oltretutto nel periodo invernale le portate dei rii risultano nettamente inferiori a quelle del periodo estivo in cui era in funzione la Colonia. A quelli civili vanno aggiunti i consumi legati all’innevamento artificiale, che vengono quantificati in 11.438 mc, pari ad una “portata istantanea” di 115 mc/h necessari a ricoprire con uno strato di 35 cm circa 72.000 mq in 100 ore (cfr. p. 50 della relazione). Soddisfare queste esigenze (è ormai prassi creare una “base” di neve artificiale prima dell’apertura degli impianti all’avvio della stagione, oltre che a seguito di carenza di precipitazioni) e servire un “villaggio” che potrà ospitare nei momenti di maggior affluenza 500 persone (calcolando anche gli utenti giornalieri che utilizzeranno l’impianto di risalita ed i servizi annessi) ci sembra meritino un’analisi più dettagliata e delle assicurazioni convincenti. Questo considerando anche la possibilità che si ripresentino lunghi periodi di siccità come quello che si è verificato nella scorsa stagione. Ricordiamo, a questo proposito, che anche a Forni di Sopra (che conta poco più di 1000 abitanti, rispetto ai 400 nuovi posti letto previsti dal progetto) come in altre località della montagna friulana nel mese di febbraio 2012 si è registrata una riduzione significativa della portata delle sorgenti, mentre nella vicina Forni di Sotto si è reso necessario l’intervento di un’autobotte (cfr. articoli apparsi sul Messaggero Veneto e Il Gazzettino il 9 e il 12 febbraio scorsi). L’alternativa, in alcune realtà turistiche, è stata quella di rinunciare a produrre neve artificiale o lasciare una parte dei paesi con l’acqua razionata! Quello che ci sembra evidente che manchi è un serio bilancio idrico e una verifica delle disponibilità esistenti, tenendo conto dei problemi già creati in Carnia dalle captazioni idroelettriche che tolgono anche il minimo deflusso vitale ai corsi d’acqua e condizionano ulteriori prelievi. Qualche anno fa Alain Boulogne, Sindaco di Les Gets, una delle stazioni sciistiche più rinomate della Francia, posta sopra Morzine-Avoriaz, aveva preso lo spunto proprio da una situazione di carenza d’acqua per varare, in pieno accordo con i suoi cittadini, un innovativo programma di tutela ambientale che prevedeva, tra l’altro, il blocco di ogni attività edilizia per almeno tre anni. Secondo questo lungimirante amministratore locale – che andrebbe preso ad esempio anche nelle nostre montagne - la risorsa più importante del proprio territorio è il paesaggio ed è principalmente per godere di esso che vengono turisti. È convinzione di molti esperti che, di fronte alla sfida dei cambiamenti climatici - che porteranno inverni sempre più caldi e con sempre meno neve - domani sopravviveranno solo quelle località turistiche che considereranno la natura ed il paesaggio il loro principale “capitale”. Perché non rivedere allora coraggiosamente certe decisioni, che rischiano di seppellire sotto il cemento una parte delle nostre bellezze e insieme la possibilità di continuare a trarne benefici in futuro? 3 – Una parte considerevole della relazione, la seconda metà, ricca di tabelle e statistiche, è dedicata ai “contenuti socio-economici dell’iniziativa”, con particolare riferimento agli aspetti relativi alla ricettività e al turismo. In sintesi si sostiene che, grazie all’incremento dei posti-letto, al loro elevato indice qualitativo (che coprirebbe una lacuna esistente in Carnia), alle “innovative” strutture che verranno create nel nuovo albergo (piscina, sauna, centro fitness) e alla realizzazione della nuova cabinovia e della pista da sci “Curnut-Mauria” (che amplierà l’offerta e il demanio sciabile), Forni di Sopra ricaverà notevoli benefici, comunque superiori agli eventuali costi ambientali che dovrà subire. Questa previsione non sembra tenere in debito conto innanzitutto delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Secondo un noto rapporto OCSE, dedicato ai “Cambiamenti climatici nelle Alpi”, ad ogni grado di aumento della temperatura media, il limite dell’innevamento si innalzerà di 150 metri; quindi, se entro il 2050 ci sarà, come previsto, un innalzamento della temperatura di 2 gradi, la linea di innevamento salirà di 300 metri, con il 68% di neve in meno nelle località turistiche alpine italiane. Per la regione Friuli-Venezia Giulia, caratterizzata da rilievi a quota medio-bassa, il 45% di aree sciistiche potrebbe divenire inutilizzabile. I dati elaborati nella nostra regione dall’Osservatorio Meteorologico Regionale OSMER-ARPA (che stranamente non vengono considerati e presentati nella relazione) ci ricordano del resto che proprio a Forni di Sopra, nel periodo 1972-2008, si è rilevata una consistente riduzione sia dei giorni con copertura nevosa continuata (-45% circa), sia del numero di giorni nevosi (-43% circa). Il calo complessivo di giorni nevosi e di presenza continuata di neve al suolo appare più rilevante rispetto a Tarvisio, località che pur è posta ad una quota altimetrica inferiore di 150 metri. Secondo il meteorologo Marco Virgilio “è più che ragionevole supporre che entro il 2050 potranno entrare in sofferenza (per minori apporti medi di neve ed un periodo di permanenza al suolo della stessa mediamente più breve) anche le località alpine poste tra i 1100 e i 1400 metri. Questo non significa che non ci saranno più inverni nevosi o anche molto nevosi (come il 2008/09) ma che si dovranno fare i conti con un’alternanza di stagioni più o meno normali con stagioni decisamente povere di neve naturale e con una tendenza allo scioglimento mediamente più rapido del manto nevoso presente al suolo. Considerando che i mesi di gennaio e febbraio sono mediamente i più secchi dell’anno – prosegue Virgilio - la sofferenza massima per le località alpine poste al di sotto dei 1500 metri di quota si potrebbe avere proprio negli inverni contraddistinti da prolungate fasi anticicloniche, specie se a matrice sub-tropicale, salvo che per gli effetti di raffreddamento notturno dei fondovalle dovuto ad inversione termica. Infatti, di fronte ad un apporto limitato o nella media di precipitazioni, il manto nevoso al suolo si consumerebbe con maggiore velocità, in particolare sui versanti esposti a sud” (cfr. Marco Virgilio, “Riscaldamento globale: effetti sull’innevamento dell’area alpina del Friuli Venezia Giulia” in “Pense e Maravee”, n. 72, 2009). Considerato che è questa l’esposizione che contraddistingue le piste del comprensorio del Varmost, è chiaro che un insediamento turistico come quello che si vuole realizzare nell’area dell’ex Colonia ODA, quasi esclusivamente orientato alla pratica dello sci e al turismo invernale, rischia di avere un futuro incerto e di breve durata. A maggior ragione sembra azzardato l’investimento di Promotur (circa 13 milioni di euro), che del resto è abituata a collezionare perdite di gestione, puntualmente ripianate dalla Regione (cfr. l’articolo di Paolo Medeossi “Promotur brucia 20 milioni l’anno” apparso sul Messaggero Veneto del 12 giugno 2012). L’aspetto di cui l’Amministrazione Regionale si dovrebbe preoccupare maggiormente è che le passività continuano ad accumularsi anche nel momento in cui si attendeva un rientro con gli utili derivanti dai considerevoli investimenti, in nuove piste e impianti di risalita, effettuati negli ultimi anni. Una delle conseguenze è il recente annuncio di un aumento medio del 10-15% delle tariffe in tutti i poli turistici della regione, con una prevedibile contrazione delle vendite degli ski-pass (cfr. “Promotur, ecco gli aumenti per la stagione dello sci”, apparso sul Messaggero Veneto del 3 ottobre 2012). Come è facile immaginare queste notizie, unite alla gravità della crisi economica, determineranno una inevitabile riduzione della domanda turistica in un settore, quello dello sci alpino, già da qualche anno in stato di sofferenza, aumentando la concorrenza tra le stazioni invernali e mettendo in ulteriore difficoltà quelle minori, che non sono in grado di offrire ampi demani e caroselli sciabili. Difficile pensare, in questa situazione, che siano i turisti provenienti dai paesi dell’Est (in primis Slovenia ed Ungheria) ad occupare i posti letto dell’albergo a 4 stelle, ma, nello stesso tempo, è inimmaginabile che il nuovo insediamento porti dei vantaggi agli operatori di Forni di Sopra, dove le presenze stagionali e giornaliere non riescono a saturare nemmeno al 40% le disponibilità di posti letto attualmente esistenti. 4 – L’edificio della vecchia Colonia ODA rappresenta in qualche modo un’anomalia. Nella stessa relazione viene infatti definito un “fabbricato evidentemente fuori scala rispetto alle caratteristiche del paesaggio e rispetto all’edilizia tradizionale” (cfr. p. 21). In Carnia, se si esclude la funzionante Colonia di Piani di Luzza a Forni Avoltri, una struttura simile è probabilmente solo quella della Croce Rossa Italiana, situata in posizione dominante sulla Valle del Tagliamento, poco a monte dell’abitato di Lauco, anch’essa da tempo abbandonata e fatiscente. Pensare ad un recupero e ad un riutilizzo dell’ex Colonia è un obiettivo che può essere apprezzato e condiviso. Costruire ulteriori nove edifici a tre piani, destinati ad ospitare 54 mini appartamenti, per complessivi 12.000 mc è invece un’anomalia ancora più grave di quella che c’è. Significa, in pratica, realizzare una piccola “Sella Nevea” tra Forni di Sopra e il Passo della Mauria. Non si tratterebbe, in realtà, neanche di qualcosa che può essere definito un “villaggio turistico”, ma, molto più banalmente, di un pezzo di quartiere di periferia urbana, per quanto decorosa, calato nel bel mezzo delle Dolomiti friulane. La differenza è che la cementificazione di Sella Nevea aveva in qualche modo la “scusante” di essere stata pensata e realizzata in una località naturalmente favorita dall’innevamento, in un periodo storico (gli anni ’70) congeniale allo sviluppo dello sci e caratterizzato, sotto questo punto di vista, da condizioni climatiche ideali, con la possibilità di tracciare piste di discesa su versanti settentrionali, dove il manto si conserva più a lungo e consente stagioni turistiche prolungate, in un contesto alpino e naturale, infine, (comprendente Jof di Montasio, Monte Canin, Jof Fuart, altipiano e malghe del Montasio, Lago del Predil) di grande valore e bellezza, particolarmente adatto alla pratica dell’alpinismo, dello sci alpinismo e dell’escursionismo in quasi tutte le stagioni dell’anno. Nonostante questo possiamo dire che la cementificazione di Sella Nevea, oltre che per molti versi rappresentare un autentico scempio al paesaggio, si è dimostrata un sostanziale fallimento. L’idea sbagliata è quella di portare la città, spesso con i suoi aspetti deteriori, in montagna. I notevoli investimenti privati prima ed il successivo massiccio intervento pubblico poi, attraverso Promotur, che ha assicurato la gestione e permesso il rinnovamento degli impianti di risalita, non hanno prodotto i risultati attesi. In questa parte della montagna friulana, diversamente da quello che avviene nel vicino versante sloveno, dove si è seguito un modello di sviluppo sostenibile e rispettoso dell’ambiente, non c’è stato alcuno sviluppo locale, anzi, il Comune di Chiusaforte, con il 26,7% di residenti in meno negli ultimi vent’anni, ha continuato a perdere abitanti in una percentuale quasi doppia rispetto a quella media degli altri comuni della Carnia, Val Canale e Canal del Ferro. E le cose negli altri Poli turistici invernali (Tarvisio, Ravascletto e la stessa Forni di Sopra) sono andate solo un poco meno peggio. Emblematica, poi, è stata la incredibile notizia della chiusura della funivia che porta al rifugio Gilberti il 2 settembre scorso, in uno dei periodi più adatti per frequentare le nostre montagne ed effettuare escursioni; il Presidente di Promotur si è giustificato dicendo che “la telecabina non può girare a vuoto” (cfr. l’articolo “Impianti chiusi, Promotur: ormai c’erano pochi turisti” pubblicato sul Messaggero Veneto l’11 settembre 2012). Che senso ha, allora, e quali prospettive può avere proporre una “piccola Sella Nevea” alla Mauria? Se la produzione di un danno al paesaggio, anche se proporzionalmente minore rispetto a quello provocato nella nota località delle Alpi Giulie, risulta certa, molto più fumosi e contraddittori appaiono quei benefici sull’economia locale che la relazione di screening prospetta. 5 – Accanto ad una ingiustificata e prolungata esaltazione dell’operato di Promotur, la relazione non ha potuto fare a meno di evidenziare alcuni elementi di criticità: l’isolamento e la distanza dal centro di Forni di Sopra, dove si trovano sia i campetti per i principianti che i negozi e gli esercizi pubblici possibili mete nei momenti non dedicati alla pratica dello sci; la limitata estensione delle piste rispetto alla vastità di alternative e combinazioni presenti nelle vicine Dolomiti venete; la forte concorrenza che la realizzazione del collegamento funiviario tra Pontebba e il polo austriaco di Nassfeld/Pramollo potrebbe provocare; l’impatto sul paesaggio prodotto dalle nuove costruzioni, non proprio consono – aggiungiamo noi – ad un sito dichiarato Patrimonio naturale dell’UNESCO. Inoltre, a p. 84 si afferma che nella nuova struttura si avrà “un prevedibile ‘pieno’ solamente nel periodo tra Natale e l’Epifania, mentre nella restante parte dell’anno, le cifre saranno decisamente più contenute nel periodo estivo e probabilmente insignificanti nella stagione primaverile e autunnale”. Una dichiarazione non certo incoraggiante, vista anche alla luce di quanto successo a Sella Nevea con la chiusura anticipata della funivia, che sembra confermare una parte delle nostre perplessità. Se la motivazione fondamentale dell’intervento fosse il recupero della ex Colonia (ed eliminare l’impressione negativa provocata dal suo attuale stato di abbandono), ci si potrebbe limitare a quello, escludendo la realizzazione dei 54 alloggi previsti immediatamente a valle. In questo caso sarebbe interessante sapere se Promotur sarebbe ugualmente disponibile a realizzare la pista di rientro e la cabinovia e se queste opere siano comunque ritenute dai privati la condizione “sine qua non” per garantire il loro investimento nel recupero della ex Colonia. Delle cinque soluzioni che si potevano ipotizzare (nessun intervento o demolizione dell’edificio; semplice recupero della ex Colonia; recupero della ex Colonia e realizzazione della pista e della cabinovia; recupero della ex Colonia e costruzione dei 54 alloggi; recupero della ex Colonia, realizzazione della pista e della cabinovia e costruzione dei 54 alloggi) sono giunte sostanzialmente all’esame di assoggettabilità alla VIA solo le ultime due. Ripetiamo che non ci è dato di sapere se questo sia avvenuto perché Promotur era disponibile a realizzare la nuova pista e la cabinovia solo in presenza di una utenza potenziale che comprendesse anche i turisti ospitati nei 54 alloggi. La cosa lascerebbe perplessi alla luce dell’affermazione che abbiamo appena ricordato, secondo la quale i 400 posti letto sarebbero effettivamente occupati soltanto nel periodo tra Natale e l’Epifania. Oltretutto se l’edificazione dei 54 alloggi fosse una soluzione condivisa o addirittura richiesta da Promotur, si sarebbe realizzata una situazione particolarmente “perversa”, in cui un considerevole investimento pubblico viene messo al servizio di una speculazione edilizia. Nel migliore di casi si potrebbe parlare di interessi economici che hanno preso il sopravvento sulle esigenze ambientali e paesaggistiche. A questo punto verrebbe da chiedersi come mai Promotur non abbia pensato ad un altro intervento che ancora nessuno si è (giustamente) sognato di proporre: per favorire il recupero della struttura della Croce Rossa di Lauco (che avrebbe già delle potenzialità nella stagione estiva), si potrebbe costruire una funivia di collegamento tra quest’ultima e il Monte Tamai, avamposto meridionale del polo sciistico dello Zoncolan, che necessita di un incremento del turismo stanziale. L’impressione è che, nel caso che stiamo affrontando, accordi ed interessi particolari abbiano indirizzato le scelte verso un ben determinato esito, che non solo non è il migliore sotto il profilo ambientale ma è tutto da dimostrare che corrisponda alle esigenze pubbliche e a quelle della comunità fornese. Per questi motivi un assoggettamento del progetto alla procedura di VIA ci sembra indispensabile, consentendo finalmente quel confronto tra diverse soluzioni che fino ad ora è venuto a mancare. Tra le alternative che andrebbero prese in considerazione ci sono anche quelle che, escludendo la spesa di 13 milioni di euro per la realizzazione della pista e della cabinovia, si limiterebbero ad un recupero con destinazione pubblica della ex Colonia ODA. Si potrebbe pensare, ad esempio, alla sede estiva per corsi universitari, ad un centro studi legato alle Dolomiti Patrimonio UNESCO o alla possibilità di ospitare, nell’auspicata approvazione della Legge per l’introduzione del Servizio Civile obbligatorio, giovani provenienti da tutta Italia impegnati nella manutenzione del territorio e nella protezione civile. Sarebbe quest’ultimo un modo per risarcire la nostra regione, per decenni sottoposta a pesanti servitù militari, e per rianimare durante tutto l’arco dell’anno i nostri paesi con giovani impegnati non più nella difesa del “sacro” suolo del patria, ma nella difesa del suolo tout court. 6 – In conclusione ci permettiamo scherzosamente di segnalare una “svista” contenuta a p. 110 della relazione, dove si sostiene che, grazie alla realizzazione dei 2,2 km della galleria di S. Lorenzo, si sarebbero ridotti i tempi di percorrenza sulla s.s. 52, nel tratto tra Ampezzo e Forni di Sotto, di ben 10 minuti! L’affermazione sollecita più di qualche dubbio sulle altre ottimistiche considerazioni contenute nel testo e giustifica se non altro la richiesta di un approfondimento più serio e attento, sottoponendo a VIA il progetto in questione. Tolmezzo, 13 ottobre 2012 Marco Lepre – Presidente del Circolo Legambiente della Carnia