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n° 328 - gennaio 2007 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it L’iconografia della Venere dormiente Dalle Novelle di Boccaccio alla pittura veneta del Cinquecento, origine e fortuna di una raffigurazione della Bellezza È nota la grande capacità di Boccaccio di fondere esempi letterari diversissimi e di creare nuove iconografie, nuovi topoi iconici, attingendo talvolta ad antiche memorie mitologiche e classiche. La novella di Cimone, la prima della quinta giornata, ripropone un tema da tempo caro al Boccaccio, quello della contemplazione della bellezza femminile, catartica e nobilitante per l’uomo, come si può leggere nella stessa rubrica: «Cimone amando divien savio ed Efigenia sua donna rapisce in mare: è messo in Rodi in prigione, onde Lisimaco il trae, e da capo con lui rapisce Efigenia e Cassandrea nelle lor nozze, fuggendosi con esse in Creti; e quindi, divenute lor mogli, con esse a casa loro son richiamati». Qui l’autore narra la storia di Galeso che, pur essendo di nobile nascita e di bell’aspetto, viveva come «quasi matto e di perduta speranza» e per i suoi modi «più convenienti a bestia che ad uomo», era da tutti chiamato Cimone (con il significato di “bestione” o “caprone”, forse per affinità col greco ‘capro’). Durante una delle sue passeggiate nel bosco si imbatté nella bellissima e giovane Efigenia, addormentata e distesa sull’erba fra «due femine ed uno uomo» e, traendo nutrimento dagli occhi dischiusi di lei, da uomo rozzissimo si mutò in uomo valorossissimo e virtuoso. Il tema stesso della bellezza civilizzatrice, come ha evidenziato Vittore Branca, non può che richiamare alla mente la Venere lucreziana, forza progenitrice della natura. E la posa stessa di Efigenia, protagonista della novella, mollemente distesa nel sonno, doveva evocare in Boccaccio il ricordo di immagini e descrizioni letterarie di antiche divinità, come quelle ovidiane. Come si può verificare nei primi codici miniati e poi nei numerosi dipinti, la figura di Efigenia colpisce per bellezza e sensualità, e indossa un «vestimento tanto sottile» che ogni parte del suo corpo è resa visibile, ed è coperta dalla cintura in giù da «una coltre bianchissima e sottile» (Dec. V 1, 7). Non può stupire dunque il fatto che Cimone pensi di trovarsi al cospetto di una dea. Proprio le rappresentazioni di Veneri sdraiate o addormentate non sono comuni nell’arte antica. Aphrodite è sempre raffigurata in piedi, mentre si lava o si pettina e tutt’al più accovacciata o seduta su di un trono. La rappresentazione di Efigenia che dorme può invece richiamare alla mente altre immagini dell’antichità, con le quali spesso è stata confusa dagli esperti e dalle quali gli artisti potrebbero aver tratto ispirazione per elaborarne l’immagine. Basti pensare alle raffigurazioni di Antiope, Procri, Cibele, Danae, Giunone, anche incise in gemme e cammei, e spesso rappresentate rilassate nel sonno. Dai repertori iconografici si possono ritrovare molte raffigurazioni di Hypnos/Somnus, fratello gemello di Thanatos, spesso raffigurato mentre dorme, con un drappo girato intorno al corpo come una coperta ma che ne scopre le nudità, talvolta abbinato a qualche altra divinità addormentata. In questi casi Hypnos è raffigurato desto e in piedi, poiché la sua essenza si è trasferita direttamente nel corpo abbandonato di chi sta dormendo. E così lo vediamo mentre sveglia Rea Silvia che sogna il dio Marte addormentata sulle rive del Tevere, oppure in compagnia di Bacco e Arianna. E proprio l’immagine di quest’ultima, colta nel momento in cui Dioniso la incontra a Nasso è, a mio avviso, la più vicina a quella della nostra Efigenia. Anche Arianna è una mortale ed è spesso raffigurata vestita e dormiente, con un braccio ripiegato sulla testa e l’altro lungo il corpo. Parallelamente a questa variante iconografica se ne sviluppa una tipologia rappresentata semivestita, prima seduta e poi sdraiata sulla roccia. E saranno nume- Cimone ed Efigenia, Decameron miniato Paris, Bibliothèque Nationale de France Hypnerotomachia Poliphili, La fontana della ninfa dormiente, xilografia Decameron V, 1, Cimone contempla Efigenia De Gregori, Venezia pag. 2 rose le occasioni in cui Efigenia verrà rappresentata in questi stessi modi, ad esempio nella tavola riconosciuta come di ambiente di Palma il Vecchio in cui la donna siede sull’erba, appoggiata ad una roccia, fino alla completa identificazione dei due soggetti compiuta da John Everett Millais. È infatti il 1848, data dell’inizio ufficiale della Confraternita dei Preraffaeliti, quando quest’ultimo interpreta la storia di Cimone ed Efigenia come una sorta di baccanale, una grande festa all’aperto, simile in tutto e per tutto alle rappresentazioni che decoravano coperchi di sarcofagi del IIIII secolo d.C., nei quali Arianna entra a far parte del corteo bacchico, dopo le nozze con Dioniso, oppure partecipa al convivium al centro della scena, assieme al dio. Oltre a questi temi mitologici l’iconografia della novella, nella sua scena cardine della contemplazione catartica, è stata spesso erroneamente ricondotta a quella di ninfa e satiro a causa del rozzo aspetto di Cimone. Alcuni studiosi hanno ricercato le origini delle numerose raffigurazioni di ninfe distese e addormentate presso una fonte. Si possono citare a tal proposito anche il mito di Amimone e quello di Bibli, due storie che evocano l’immagine del sonno e della seduzione. Il primo narra di una fanciulla che, mandata a prendere dell’acqua, cade in un sonno profondo; un satiro la vede ma Nettuno interviene per proteggerla e crea una fonte scagliando il suo tridente contro la roccia. Come prevedibile, la sto- Tiziano: Venere del Pardo - Parigi, Musée du Louvre ria si conclude con l’innamoramento di Amimone per il dio. Si deve rilevare però che mentre la seconda parte di questo mito si trova spesso rappresentata nei vasi antichi, della scena del sonno di Amimone non si conoscono molte raffigurazioni. Il meno noto mito di Bibli racconta poi la vicenda di una giovane tramutata in fonte a causa della sua passione proibita e incestuosa per il fratello Cauno (Metamorfosi, IX, vv. 452–665). Entrambe le storie evocano dunque l’immagine del sonno e della seduzione. Per queste figure la studiosa ricorda il nome greco di anapauomenai con cui erano chiamate nell’antichità. Esiste infatti un passo della Naturalis Historia di Plinio nel quale, in una descrizione di un dipinto, ricorre proprio quest’espressione, pressapoco con il significato di “le dormienti”. Nel considerare ancora il tema della nuda distesa ed estaticamente contemplata della pittura veneziana, che si soleva ricondurre principalmente alla raffigurazione della ninfa sorpresa dal Satiro nel VII capitolo del Polifilo, Vittore Branca ha avanzato l’ipotesi che proprio per quest’ultima immagine fu il Colonna stesso a risentire del clima imposto dalla novella del Decameron (e non viceversa), ampiamente diffusa a Venezia attraverso le xilografie del Decameron De Gregori, datate anteriormente all’edizione dell’Hypnerotomachia. Dal confronto tra le xilografie De Gregori e le illustrazioni della Hypnerotomachia, va notato che il significato delle due raffigurazioni è molto diverso, dal momento che nel Polifilo la visione della donna addormentata suscita solo orgasmo ed eccitamento, nessuna redenzione. Per chiarire meglio i rapporti tra i due soggetti merita approfondire su quanto è rappresentato. Polifilo, dopo il vagabondaggio nelle viscere della montagna, incontra una «exquisita fontana» che riproduce una ninfa sdraiata e dormiente. Dietro di lei è un satiro che le fa ombra reggendo una sorta di cortina che scende da un albero. Vicino al satiro sono altri «dui satyruli infanti», uno dei quali ha in mano due serpentelli e l’altro un pag. 3 vaso. Alla base dell’edicola corre la scritta greca ∏ANTΩN TOKAΔI , ossia «a colei che ha generato tutto», la Madre primigenia, la Venere genetrice. Scrive Colonna in merito alla figura in primo piano: «La quale bellissima Nynpha dormendo giacea comodamente sopra uno explicato panno (…) ritracto il subiecto brachio cum la soluta mano sotto la guancia il capo ociosamente appodiava». Vi sono dunque punti in comune tra i due testi, anche se il messaggio è ben diverso. E la datazione dell’opera conferma il fatto che la novella di Cimone ha esercitato il suo influsso. L’edizione del Polifilo, cronologicamente posteriore ad essa, si può ritenere fonte di ispirazione per la nuova iconografia della Venere sdraiata, la variante rispetto alla classica Venere in piedi e ben desta, che tuttavia si mantiene dove la tradizione letteraria italiana riporta scarso successo. Proprio alcuni tra i pittori che hanno visualizzato la novella in altre opere hanno rappresentato Veneri e “nude” seguendo schemi compositivi molto simili (si citino tra gli altri Palma il Vecchio e Bonifacio Veronese). Si pensi al caso della Venere del Pardo di Tiziano, dipinto che lo studioso Vittore Branca riconduce, unitamente a tutta una tradizione iconografica di pertinenza veneta, allo stesso clima innescato dalla novella boccacciana o per diretta suggestione almeno in una prima fase compositiva dell’opera. Dall’esame attraverso foto e raggi ultravioletti sono emersi, infatti, alcuni particolari molto importanti, come la presenza di una sorta di bastone e l’assenza di corna e piedi caprini nel satiro (forse un rozzo villano come Cimone?). Anche i personaggi presenti sulla sinistra ed immersi nella fiorente ambientazione potrebbero richiamare il servo e le ancelle del seguito di Efigenia; il pessimo stato di conservazione dell’opera con le sue vicissitudini rendono queste ipotesi mere congetture per quanto suggestive. Un dato certo, invece, è che da questo momento a Venezia fioriscono numerose raffigurazioni di Veneri giacenti e intente alla musica, celebrate in senso neoplatonico, ad opera di Giorgione, Palma il Vecchio, Tiziano, Bonifacio Veronese, Paris Bordone, Savoldo e altri artisti che sperimentano una nuova rappresentazione boschiva rispetto al tradizionale fondo marino. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che la Venere di Dresda (datata 15051510 circa) possa essere direttamente ispirata al- Ambiente di Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio: Cimone contempla Efigenia Londra, National Gallery. l’Efigenia di Decameron V 1, un’opera simile a quella dipinta poi nell’ambiente di Palma il Vecchio solo dieci, quindici anni dopo. Certamente la novella di Cimone in cui Boccaccio sviluppa il tema dell’Amore come fonte di elevazione spirituale ha esercitato un influsso durevole sull’immaginario di molti artisti, creando nuovi modelli iconografici di lunga durata. Proprio l’incontro con la Bellezza, forza catartica e nobilitante degli uomini, è il tema sviluppato nella novella boccacciana: un aspetto privilegiato anche dagli artisti per la visualizzazione della storia, che ha conosciuto una straordinaria fortuna a livello figurativo e nei media più diversi (miniatura, xilografia, pittura) fino al XIX secolo. irene vivarelli