Uno – E questa cos`è? – chiese l`uomo con il trench

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Uno – E questa cos`è? – chiese l`uomo con il trench
Uno
– E questa cos’è? – chiese l’uomo con il trench di pelle
nera, passandosi una mano sulla guancia. Una patina oleosa, nerastra gli velava i guanti di pelle scura. – Posto bastardo, bastardo paese, bastardo nord, fabbriche comprese
– sibilò a mezza voce. – E questa roba la respirano tutta la
vita, sfido che hanno bisogno di tirarsi su!
I cinque che erano con lui si guardarono intorno senza
parlare. Mucchi di neve sporca si ammassavano contro il
recinto della fabbrica, altra neve nera e ghiacciata copriva
i canali di scolo e le cataste arrugginite delle travi di ferro.
L’immenso deposito di rottami ferrosi della Ferriere Clarensi Riunite spa era immerso in un buio denso, caliginoso. I capannoni si allineavano, grigi, perdendosi nella nebbia fredda. Dai cumuli di scorie ammucchiati nello sterminato cortile arrivava a folate un odore di scarpata ferroviaria e limatura di ferro bagnata. Lontano, i tonfi dei
macchinari e bagliori fumosi. Lo stabilimento non si fermava mai, nemmeno in quella domenica sera di inizio
gennaio, quando tutti stavano chiusi in casa davanti alla
televisione.
Il Guercio era tranquillo. Quando il capo era così teso
significava che tutto era a posto, calcolato al millimetro.
Sarebbe andata bene. Certo, il rischio esisteva sempre in
quelle faccende, ma chi può dirlo? Ricordava quando, in
una situazione del genere un pivello si era innervosito e
gli era scappato un colpo di Safari 12 a pallettoni. Una
roba da ridere, gli altri avevano risposto al fuoco, com’è
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giusto, insomma, dieci minuti di sparatoria infernale, cinque morti ammazzati per niente. E lui ci aveva rimesso
l’occhio destro, per dire. E quel che è peggio un affare dei
vecchi buoni miliardi di una volta andato in fumo. Si
calcò la coppola sulla fronte. Sotto l’ascella sinistra premeva la fondina con la doppietta a canne mozze, col calcio segato.
L’uomo in trench nero alzò le falde del colletto e ficcò
le mani in fondo alle tasche, sentendo la confortevole presenza dei revolver. – E sbrighiamoci, Cristo! Guercio,
Salvo, statemi vicini, voi, Tore, Vito e Mezzo andate a
posto. E vedete di non beccare me o qualcuno dei nostri,
non fate gli americani, a me il fuoco amico mi fa incazzare!
Tore, massiccio e scuro, spense la sigaretta e si mise la
cicca in tasca. Mezzo, che non arrivava alla spalla del suo
compagno, arricciò le labbra e armò l’ak 47, imitato da
Vito. I primi due salirono una scaletta di ferro e si dispersero sui ballatoi del capannone, Vito si nascose nella cabina della gru che sosteneva “il ragno”, una gigantesca
mano d’acciaio a otto dita capace di sollevare tonnellate di
materiale al colpo. Alle loro spalle fischiarono i fili d’alta
tensione della ferrovia, poi un rumore sordo annunciò l’arrivo di un merci. I carri rotolarono a lungo. Un cane cominciò a latrare, subito imitato da un altro, più lontano. Si
stancarono subito. Il Guercio osservò i vagoni allineati sui
binari, pieni di scarti che sarebbero andati direttamente
agli altiforni. Più vicino il nastro trasportatore, fermo, su
cui si ammucchiavano scarti metallici di ogni tipo, destinati alla fusione.
– Arrivano, mormorò Salvo, armando l’Uzi a canna
corta con silenziatore e lasciandolo abbandonato lungo il
fianco. Lui e Salvo si disposero davanti al fuoristrada che
ronfava con i fari accesi. Ai loro piedi un borsone da palestra, rigonfio.
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Il Touareg V10 imboccò la strada a fianco della rete
con il motore imballato, balzò attraverso lo squarcio nella
recinzione, percorse a tutta velocità lo spiazzo davanti ai
capannoni e arrivò a ruote bloccate nel cerchio di luce.
– Stupidi bastardi, non riescono nemmeno a pisciare
senza far casino, mormorò l’uomo in nero, sorridendo alle
figure sull’ automezzo.
Scesero in tre, con i fucili a pompa e le glok spianate.
Il quarto rimase alla guida, sul cruscotto aveva posato una
mitraglietta a caricatore doppio. Salvo indicò loro la
borsa. Muovendosi lentamente la sollevò e l’aprì, mettendosi in favore di luce. I pacchi di banconote azzurre e rosa
erano ben visibili. Avanzò qualche passo.
– Noi abbiamo il nostro, e voi? – chiese il Guercio.
– È tutto in macchina, 100 chili già divisi in pacchetti
da mezzo l’uno. Ma prima vediamo quei soldi da vicino,
amico.
– E noi vediamo la roba – rispose il Guercio.
– A scelta – disse quello più arretrato, aprendo il portellone con la sinistra. La destra era sempre occupata dal
Safari 12 ad altezza d’uomo. Il Guercio osservò i pacchetti ordinati in quattro scatoloni. Ne scelse uno a caso. Con
un taglierino lo aprì, ne estrasse una punta di polvere, vi
appoggiò la lingua, la fece scorrere sulle gengive.
– Miss polvere bianca 2006 – disse tornando al suo
posto.
Salvo, immobile fino a quel momento, appoggiò a terra
il borsone, aperto. Retrocesse passo dopo passo. Due marocchini vennero avanti guardandosi attorno, la glok tenuta bassa. Il primo si chinò per chiudere la cerniera, l’altro
lo guardò, solo un attimo, incerto nel momento che il suo
socio si trovò nell’eventuale linea di tiro della sua arma.
Un fischio lacerante ruppe il silenzio, un eurostar smosse
la nebbia alle loro spalle soffiandola via, pallidi riflessi di
finestrini passarono sul cortile. Il rumore coprì gli spari.
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La testa del primo nordafricano scoppiò, la materia cerebrale schizzò dappertutto, in faccia al suo compare, intorno per metri, mentre il corpo crollava su una pozza scura,
sempre più larga.
– Cazzo! – riuscì a dire il secondo, cercando scampo
sotto un vagone merci, prima di volare indietro investito
da una scarica dell’Uzi che lo tranciò dal basso verso l’alto. Il terzo urlò e urlò ancora, pieno di rabbia e terrore,
come chi sa di essere già morto, fece fuoco due volte con
il fucile, buttandosi a terra, i proiettili frantumavano il cemento intorno a lui sollevando sbuffi di polvere grigia,
cercava di rotolare sotto il fuoristrada, una pallottola di
0.38 special gli entrò nel collo e gli uscì dall’ano. Tremò
qualche secondo e rimase immobile. Il Guercio aveva già
mandato in frantumi il vetro del Touran con due scariche
di pallettoni. L’uomo al volante con una spalla squarciata
e la faccia coperta di sangue aveva dato gas, saltando
avanti, una pioggia di proiettili provenienti dall’alto forò
il tettuccio. Il mezzo singhiozzò, sbandando andò a fermarsi contro un mucchio di ferraglia.
Silenzio.
– Ehi! – sospirò Salvo, camminando verso i tre cadaveri. Poi lasciò cadere l’Uzi e piombò sul cemento a faccia in avanti.
I tre scesero dai ballatoi senza fretta, con i mitra spianati. Uno venne avanti, scalciò via le armi, poi si curvò su
Salvo. Lo rivoltò. Aveva gli occhi spalancati, vuoti. Uno
squarcio all’addome lasciava uscire un fluido appiccicoso.
L’altro si avvicinò alla portiera e la spalancò saltando indietro. Il tipo al volante, marocchino o giù di lì, finiva di
dissanguarsi rovesciato sul sedile.
– Che guardate, abbiamo un lavoro da fare! – disse a
voce bassa l’uomo in nero, dopo aver ricaricato la sua 0.38.
– Tore, Mezzo, tiratelo giù dalla macchina, poi buttatelo sul mucchio. Sì, anche Salvo, porca... anche lui!
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– Che cazzo! – esclamò Mezzo – afferrando per un
braccio l’autista – ma guarda, il braccio viene via, aiutatemi! Tore e Vito si avvicinarono, afferrarono il morto per la
cintura e per le gambe e lo scaricarono a terra, bestemmiando.
– Questo è un lavoro da negri, – disse Mezzo. I tre sollevarono i corpi e li lasciarono su un mucchio di traversine e putrelle arrugginite. L’uomo col trench recuperò il
borsone. – Cristo ma guarda, che schifo! – sibilò pulendosi la punta degli stivaletti da qualcosa di vischioso.
– E queste glok, è un peccato buttarle, – mormorò Tore
maneggiando le pistole, raccolte da terra, – non è facile
trovarle. L’occhiata che gli lanciò il capo lo convinse a
lanciarle in mezzo ai cadaveri. Andò al fuoristrada, prese
dei sacchi di plastica neri e li dispose sui sedili del Touareg. Salì, si mise al volante, Mezzo sedette al suo fianco,
Vito dietro.
– Coprite i morti, noi ce ne andiamo e ci troviamo al
solito posto – disse l’uomo in nero. – Quando avete recuperato la roba, date fuoco al mezzo, portatelo dalle parti
della Buffalora, in mezzo alle cave, con questa nebbia nessuno vedrà niente.
Tore spense il motore, Mezzo scese bestemmiando sottovoce dal Touareg, salì sulla cabina di comando della gru.
Azionando le leve spostò il braccio della gru e fece scorrere in avanti il “ragno”, fino a quando fu perpendicolare
ai corpi. Quindi lo abbassò, le dita del congegno afferrarono i morti e li strinsero, sollevandoli. Si sentì distinto un
rumore di ossa sbriciolate.
– Cazzo, che brutta fine, sembrano pupazzi di pan
secco – disse Tore sputando per terra. Mezzo guidò il suo
carico sul nastro trasportatore e li depositò. Tornò indietro,
raccolse allo stesso modo un carico di scarti ferrosi e diresse “il ragno” perpendicolare ai cadaveri, abbassandolo,
per ridurre il rumore al minimo. Aspettava. I fili dell’alta
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tensione vibrarono, poi dalla nebbia uscì il rombo sempre
più prossimo di un treno, fu alle loro spalle urlando.
Schiacciò un bottone giallo. Le mostruose dita si aprirono,
una cascata di detriti metallici piombò giù ruggendo. Durò
pochi secondi, lunghissimi. Quando la nuvola di povere
rossastra evaporò, dei cadaveri non vi era più traccia, seppelliti sotto tonnellate di ferro. I tre si scambiarono un’occhiata di soddisfazione, il Touran si mosse, passarono la
recinzione, Tore fece cenno di fermarsi e scese dalla vettura. Con pazienza rimise a posto la rete, usando pinza e
fili di ferro plastificato, verde.
Già oltre la Mandolossa, imboccando la circonvallazione per la Val Trompia, l’uomo in nero guidava senza
parlare. Il Guercio fumava una sigaretta dopo l’altra.
– Potevano anche non aver portato niente, magari la
coca poteva essere da qualche altra parte, – disse al suo
capo, – fai conto che fosse una trappola o che non si fidassero di noi. Sparavano per primi e a quest’ora...
– Si rischia per vincere, no? – rispose l’altro, – le informazioni erano giuste, è così che le cose funzionano.
Domani quello sarà il primo carico a finire nell’altoforno
e tutto sparirà. Anche questa è una informazione giusta.
– Meglio di Terminator 2 – concluse il Guercio buttando il mozzicone dal finestrino.
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