La guerra finisce. Nel 1946, con il referendum, l`Italia diventa una

Transcript

La guerra finisce. Nel 1946, con il referendum, l`Italia diventa una
IL DOPOGUERRA (1945-55)
CONTESTO STORICO: La guerra finisce. Nel 1946, con il referendum, l’Italia diventa una
repubblica (per questo oggi festeggiamo il 2 giugno) e manda il re in esilio. Il territorio dell’Istria
che era italiano, diventa iugoslavo, mentre la città di Trieste rimane divisa al suo interno fino al
1954. Le cicatrici della guerra non si chiudono facilmente e l’Italia deve lavorare duro per
risollevarsi. In questo clima, si apre la prima edizione del Festival della Canzone di Saremo nel
1951, che da voce a un’Italia che cerca di dimenticare e di tornare a cantare “canzonette”. Ma la
vita resta dura e un momento di particolare crisi fu rappresentato dall’inondazione del Polesine
che mette in ginocchio una zona già impoverita nel 1952.
LA NOSTRA CANZONE
Echi dell’insoddisfazione italiana per la divisione di Trieste arrivano anche sul palco di Saremo
e, nel 1952, Nilla Pizzi canta “Vola colomba” (Bixio Cherubini- Carlo Concina) e vince la
competizione. I versi sono dedicati a due giovani finanzati che vivono in due zone diverse di
Trieste e sono uniti dal suono delle campane della cattedrale di San Giusto, che superano i
confini artificiali all’interno della città stessa. Con un tocco di nostalgia per un’Italia che lavora
duro e un tocco di dialetto (“el mio vecio”), Nilla Pizzi canta parole patriottiche e religiose,
accompagnata dai mandolini e da un coro maschile che ricorda i venerati cori alpini.
Versione consigliata: https://www.youtube.com/watch?v=0vj26bTTl-Y
Vola colomba
Fly Dove
Dio del Ciel se fossi una colomba
Vorrei volar laggiù dov'è il mio amor,
Che inginocchiato a San Giusto
Prega con l'animo mesto:
Fa che il mio amore torni
Ma torni presto
God of Heaven if I were a dove
I would fly there where my love
Is kneeling in San Giusto cathedral
She is praying with a sad soul:
make my love come back
come back soon
Vola, colomba bianca, vola
Diglielo tu che tornerò
Dille che non sarà più sola
E che mai più la lascerò
Fly, white dove, fly
Tell her, tell her that I will come back
tell her she will never be alone again
And never again I will leave her
Fummo felici uniti e ci han divisi
Ci sorrideva il sole, il cielo, il mar
Noi lasciavamo il cantiere
Lieti del nostro lavoro
E il campanon din don
Ci faceva il coro
We were happy together and they divided us
The sun smiled, the sky and the see
We were leaving the shipyard
Happy of our work
And the big bell – din don Sang in a choir
Vola, colomba bianca, vola…
Fly....
Tutte le sere m'addormento triste
E nei miei sogni piango e invoco te
Pure el mi vecio ti sogna
Pensa alle pene sofferte
Piange e nasconde il viso tra le coperte
Every evening I wake up sad
And in my dreams I cry and invoke you
And even my old man dreams
He thinks of the past sufferance
He cries and hides his face under the blanket
Vola, colomba bianca, vola...
Fly...
Nilla Pizzi nell’inondazione del Po
Da Gian Franco Venè, Vola Colomba. Vita quotidiana degli italiani negli anni del dopoguerra,
1945-1960. Milano: Mondadori, 1990; pp. 237-9.
L’anno successiov al micidiale straripamento del Po che uccise più di duenceto persone nel
Polesione, ci trovammo, ragazzi, da quelle parti. Era il novembre del 1952: distese d’acqua
ristagnavano tra vapori di nebbia ghiacciata; i segni della devastazione abbandonati a se stessi;
riquadri vuoti di finestre incorniciate dalla calcina, casolari rinserrati dalla crosta fangosa, radici
capovolte che gli uccelli scambiavano per rami. . . . venne buio presto, alle sei del pomeriggio
pareva che il paese fosse stato di nuovo ingoiato dall’acqua morta.
Per bere qualcosa di caldo, il sindacalista ci portò al Circolo dei lavoratori: una baracca di
compagni congestionati dal vino, dalla stufa di ferro incandescente e dal gran cantare.
Cantavano, ridendo, in coro, con appassaionata sguaiataggine: “Vola, colomba bianca, vola /
Diglielo tu che tornerò / Dille che non sarà più sola / E che mai più la lascerò,” la canzone
vincitrice del Festival di Sanremo di quell’anno. La trama della serenata non era allegra nè
attinente ai loro affanni, grondava ‘retorica patriottarda’: raccontava di due innamorati triestini
che l’occupazione e la spartizione della città in due zone, una angloamericana, una iugoslava,
aveva separato. Incominciava con un invocazione: “Dio del Ciel se fossi una colomba / Vorrei
volar laggiù dov'è il mio amor!”. Ma quegli uomini già percossi dall’ira di Dio non avevano
affatto l’aria di pregare. Tutte le volte che nei versi ricorreva la parola ‘colomba’, ripigliavano
voce, alzavano le braccia agitandole per simulare il volo, si abbandonavano al suono rotondo e
liberatorio della propria voce: “Colombaaa / lombaaaa”, urlavano i finale come una lieta novella
additandosi l’un l’altro: “Diglielo tu / Che torneròooo / Che torneròooo-ooh!”.
Comunisti, vittime di una catastrofe le cui responsabilità andavano equalmente distribuite tra il
Padreterno e l’inefficienza governativa, divisi come i personaggi della canzone dagli amici e dai
figli emigrati, memori anch’essi di un’epoca in cui gli “sorrideva il cielo, il sole, il mar”,
ritrovavano voglia di vivere e allegria nella canzonetta piccolo-borghese, che Nilla Pizzi, vestita
come un tulipano di taffetà, aveva cantato con la mano sul cuore.