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31 ottobre 2013
L'istinto ragionato
Umberto Eco intervista Virgilio Rospigliosi
La societa' contemporanea è quotidianamente travolta dallo stress da prestazione. I
tempi di lavoro si accelerano, rischiando di indebolire o distruggere le idee prima
ancora che queste possano prendere forma. Mettiamoci dentro tutte le informazioni,
che attraverso i Media ormai viaggiano alla velocità della luce. E il gioco è fatto. L'uomo
si ritrova smarrito, innervosito e privato, suo malgrado, della pazienza necessaria
all'atto creativo. Quindi mi viene da pensare che se l'arte è sempre espressione della
società che la produce, allora siamo proprio messi male. Per fortuna di tanto in tanto si
incontrano artisti alquanto singolari, che rappresentano il tempo in cui vivono, senza
dimenticare la storia dalla quale provengono. Come sospesi tra passato e futuro. Uno
di questi è Virgilio Rospigliosi. Durante l'estate scorsa, ho avuto il piacere di
approfondire il suo interessante percorso artistico. Quindi mi sono proposto per
qualche domanda specifica e diretta.
U.E - E' evidente il suo interesse nei confronti dell'arte classica. Se non fosse per i
messaggi estremamente attuali definirei la sua opera anacronistica. In realta' di
inattuale nel suo lavoro non c'è proprio nulla. Opere Figurative e opere astratte che
sfiorano il minimalismo. Video visionari sul potere dei media. Fotografie digitali sulla
codificazione dell'uomo da parte del consumismo. Mantenendo sempre coerenza,
forza di espressione e di contenuti.
V.R - Credo che in un'opera d'arte la cosa più
importante sia il messaggio. Indipendentemente dalla
modalità espressiva utilizzata. Purtroppo esiste una
catalogazione degli artisti da parte del mercato e da
parte del collezionismo. I quali hanno imposto
determinate regole. C'è una divisione tra artisti
figurativi, artisti informali, videoartisti, fotografi,
performer, ecc. E questa divisione/catalogazione vale
anche per i fruitori. Per esempio, ci sono coloro che
acquistano opere astratte, ma non comprerebbero mai
un'opera figurativa. Oppure il contrario. Lo stesso vale
per la critica. Tutto ciò e' assurdo. L'artista non può essere codificato in uno stile. L'artista
ha il dovere di esprimere "il messaggio" indipendentemente
dalla modalità espressiva che sceglie di usare. Quando mi viene
chiesto di dare qualche indicazione, riguardo al fatto che il mio
modo di fare arte è piuttosto vario, rimango un pò titubante. Nel
mio sito ufficiale ci sono una serie di categorie, tutte nominate in
base al Modus Operandi. Purtroppo codificare il proprio lavoro è
tristemente necessario. Il mercato dell'arte ha deciso così. Io
penso che l'unica categoria o genere che abbia un senso logico
per tutta l'arte dalla preistoria fino ad oggi sia: "figurativo
concettuale". Primo, perchè tutto è figurativo. Secondo, perchè
tutto è concettuale. Prendiamo come esempio l'astrattismo.
L'ormai storico Mark Rothko, classificato come artista
Espressionista Astratto, non è astratto. Perchè nelle sue opere
si riconoscono colori tangibili e forme in qualche modo
riconducibili alla geometria. Quindi concretezza e non
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astrazione. L'uomo non può descrivere ciò che non conosce. Quindi "l'astratto" non
esiste. L'uomo è inglobato in un linguaggio unitario e direttamente proporzionale alle sue
conoscenze terrene, legate alla biologia. Ciò che viene rappresentato dagli artisti
codificati come "astrattisti" (me compreso), in realtà, è "figurativo". Lo stesso vale per
qualsiasi altra catalogazione di genere. L'essere umano non può rappresentare
materialmente qualcosa che non fa parte delle sue conoscenze o della sua natura.
L'artista . L'uomo. Nonostante cerchi in ogni modo di rendere astratta una forma, sarà
sempre una forma impregnata di fattori legati ad una riconoscibilità concreta. Umana.
Viviamo sulla terra e siamo costituiti da processi biologici tangibili e limitati. Solo il
pensiero può essere astratto.
U.E - Quale importanza ha avuto lo studio dei suoi predecessori? Mi riferisco ai
grandi artisti del passato, che a quanto pare lei conosce molto bene.
V.R - Fondamentale. Non ho frequentato accademie. Sono autodidatta. Ho detto in più di
un'occasione che la mia formazione artistica deve molto all'osservazione diretta e attenta
delle opere esposte nei musei. Fin da ragazzino, grazie alla mia famiglia, gironzolavo per la
Galleria degli Uffizi e Musei Vaticani. Ciò mi ha consentito di entrare in contatto visivo con i
capolavori che tutti conosciamo. Realizzavo disegni e copie dal vero per addomesticare
intuito e sensibilità a forme e colori. Dopo aver appreso la tecnica decisi di iniziare il
percorso personale che mi ha portato fino ad oggi.
U.E - In molte sue opere non passano inosservati messaggi, citazioni e riferimenti
provenienti dal mondo dei mass media e della pubblicità. E durante il nostro
colloquio mi ha citato più volte il noto filosofo canadese Marshall McLuhan. Perchè
questo marcato interesse nei confronti della Massmediologia?
V.R - Noi siamo ciò che mangiamo. E l'artista
ha il dovere di comunicare all'umanità ciò che
essa spesso non vede, o non vuole vedere.
McLuhan è stato profetico. Ha scritto cose che
ancora oggi sono prepotentemente attuali.
Aveva capito che ci sarebbe stato un giorno in
cui gli uomini avrebbero interagito tra di loro
senza spostarsi di un centimetro. Aveva capito
che la tecnologia sarebbe diventata una
seconda pelle per l'uomo. In molte mie opere
sottolineo
tutto
ciò
che
la
società
contemporanea distribuisce, senza che
nemmeno ce ne accorgiamo. La pubblicità, la
televisione, il Web, portano nelle nostre case
informazioni che si insediano nei nostri
neuroni. Codificando e paralizzando la nostra mente. Se non
impariamo a gestire queste informazioni, specialmente quelle
negative, rischiamo di diventare eunuchi lobotomizzati, incapaci di
intendere e di volere. E griffati dalla testa ai piedi. McLuhan è stato un precursore e un
punto di riferimento molto importante per me. Una pietra miliare della sociologia
mondiale. Un Genio.
U.E - Durante la nostra telefonata lei si è definito "scienziato". Li per li mi è venuto da
ridere. Trovo però che sia una giusta definizione. Effettivamente l'animo che spinse
illustri scienziati a fare scoperte sensazionali, non poteva che essere animato da uno
spirito creativo. Adiacente alla sensibilità che dovrebbe avere un artista.
V.R - "L'arte è la scienza resa chiara" diceva Jean Cocteau. Io dico: "Lo scienziato senza
creatività non ha futuro. L'artista senza la scienza non avrà un futuro". L'input che permise
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ad Einstein di scrivere la "Teoria sulla relatività", equivale all'input che ebbe Michelangelo
nella geniale idea della "Genesi" sulla Cappella Sistina. Credo che la scoperta della
penicillina sia arte. Lo stesso vale per l'invenzione del microchip. Alcuni esperimenti
effettuati da geniali ricercatori, attraverso marchingegni sofisticati, sono opere d'arte. E
potrebbero essere esposti in musei, gallerie e fiere internazionali. Sarebbero sicuramente
più interessanti di moltissime opere esposte, sia in bellezza che in ricchezza di contenuti.
U.E - Nell'arte è più importante l'istinto o la ragione?
V.R - Direi un istinto molto ragionato. Un bel palazzo senza fondamenta crolla. E'
inevitabile. Come dicevano i Neoplatonici, ci vuole il giusto equilibrio. Personalmente se
dovessi tradurre in percentuale il concetto direi 70% ragione 30% istinto. Non credo che
l'idea debba essere rappresentata appena si presenta nella nostra mente. Credo che l'idea
abbia bisogno di essere filtrata dalla ragione. Ovviamente esistono le intuizioni folgoranti.
Ma bisogna essere in grado di afferrarle e soprattutto gestirle, perché possano essere
rappresentate al meglio. E questo è possibile soltanto attraverso la razionalità. L'arte
contemporanea non è ancora riuscita a scrollarsi di dosso il romanticismo. Lo dimostra il
fatto che spesso nell'immaginario collettivo la figura dell'artista viene associata al
personaggio un pò folle, che in preda ad una crisi mistica e delirante crea il suo capolavoro.
Visioni inventate dalla letteratura dell'800. Stereotipi che potevano andare bene in
quell'epoca, ma che oggi rischiano di ostruire la mente e non portare idee nuove. I
capolavori non nascono solo ed esclusivamente dal fuoco della passione. I Neoplatonici la
definivano "Forza bruta". Nascono da un'alchimia di fattori, primo tra tutti, un pensiero
lucido, basato su una progettualità solida e definita. Certo, la componente passionale è
importante, ma solo in piccole dosi. La troppa passione nell'arte annebbia la vista e
l'intelletto. Oscar Wilde diceva: "Il cuore di un'artista non sta nel petto, ma nella testa".
U.E - L'arte e' verita'?
V.R - La verità è un'illusione. Quindi l'arte è
Illusionismo. Spesso è anche mistificazione. Viviamo
un'era in cui chiunque si può improvvisare artista.
Questo grazie alle tecnologie, come il digitale. Nuove
forme di comunicazione,
che si pongono come media
risolutori nel tentativo di
facilitare, apparentemente,
l'approccio all'arte. E questo
è un danno che crea
confusione e depistaggio, a discapito degli artisti veri, coloro che
hanno realmente qualcosa da dire. Sono favorevole alle tecnologie
nell'arte. Io stesso utilizzo quotidianamente apparecchiature
sofisticate per determinate opere, come video, fotografie. Ma sono
anche estremamente convinto che per arrivare a "B" bisogna
partire da "A". Non si può arrivare a "B" per miracolo. Arnold
Shoenberg ha destrutturato i canoni fondamentali della musica
classica, aprendo le porte alla moderna. Ma era anche a
conoscenza delle modalità con cui si costruiva una sinfonia. Prima
si impara a camminare e dopo si può correre. Penso di essere
stato chiaro.
U.E - "Avere la lampadina e andare a letto con la candela". "Liberte'. Egalite'. Publicite' I
love Dio r". Il pesce pontificio e gli angeli vendicatori". "Annunciazione culturale".
"Natura mutata". "La cultura è un reato". I titoli sono una componente molto importante
nelle sue opere. Aspetto narrativo e forma, sono in perfetta sinergia. I messaggi sono
profondi e ironici. Mai banali. Non teme che la ricercatezza del titolo possa prendere il
sopravvento sull'opera?
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V.R - In alcuni casi i titoli devono assolutamente
prendere il sopravvento. Il titolo per me è molto
importante. Spesso parto da quello. E a volte il resto
su quello. Nel senso che il titolo diventa l'opera
stessa. Una frase, oppure una parola, si proietta
direttamente nel cervello senza mezzi termini. Come
nella pubblicità. Porto sempre con me qualcosa su
cui annotare frasi e parole che poi si trasformano in
titoli. E questo ancora prima di avere realizzato il
dipinto, la fotografia o il video. Naturalmente ciò che
scrivo deve avere una relazione con la forma che lo
accompagna e viceversa. Anche se creare volontariamente un depistaggio narrativo, di
tanto in tanto, può infondere ancora più forza all'opera.
U.E - Nel corso della storia ci sono stati molti artisti che utilizzarono uno pseudonimo.
Lei si firma Virgilio Rospigliosi. In realtà non è il suo vero nome.
V.R - Il nome è soltanto una parola inventata dagli uomini. Un segno di riconoscimento. Per
me è un colore. Diciamo che la scelta dello pseudonimo ha soltanto una funzione estetica.
Mi piaceva il suono. Ho aggiunto da qualche mese il cognome "Rospigliosi". Per molti anni
ho firmato le mie opere soltanto come "Virgilio". La scelta dello pseudonimo proviene
dall'unione del nome e il cognome di due personaggi della storia italiana: "Publio Virgilio
Marone", "Giulio Rospigliosi - Papa Clemente IX".
U.E - Ho l'impressione che l'arte contemporanea si concentri più sulla quantità
piuttosto che sulla qualità. Basti pensare alle Gallerie d'arte che nascono come
funghi, oppure alle manifestazioni Fieristiche, che tra non molto inizieranno a vendere
anche il pesce. Ci sarà un futuro per le nuove generazioni di artisti?
V. R - Il futuro dell'arte è nei "Pixel". E' già stato realizzato di tutto. Il Novecento ha bruciato
le tappe, e ha messo in difficoltà l'arte contemporanea. Siamo ancora tutti figli di coloro che
hanno aperto le porte al moderno. E mi riferisco a grandi maestri come Marcel Duchamp,
tanto per citarne uno. La maggior parte dell'arte odierna non sa più quali pesci prendere.
Artisti che tendono alla provocazione e allo scoop (spesso banale) per attirare l'attenzione.
Ma ormai è minestra riscaldata. Basta entrare in un Social network come Facebook,
oppure su Web, e troviamo fotomontaggi di idee a volte paradossalmente geniali.
Realizzate da sconosciuti senza ambizioni artistiche, e che senza rendersene conto fanno
le scarpe a moltissimi artisti professionisti, quotati e famosi. Forse l'arte contemporanea è
alla frutta. Forse la vera novità consiste in un recupero intelligente e filtrato del passato,
attraverso la filosofia e la tecnologia di oggi. Probabilmente in futuro i mezzi informatici
saranno i sostituti "definitivi" di tele e pennelli. Ci sarà un tempo in cui l'arte sarà puro
pensiero. E non ci sarà neppure bisogno di materializzarlo. La comunicazione avverrà
telepaticamente o in qualche altro modo a noi ignoto. Credo però che bisognerà aspettare
ancora un pò. Il Digitale è diventato una importante modalità espressiva. E sono convinto
che prima o poi si affermerà totalmente. Ma per ora non è ancora in grado di sostituire la
vecchia Pittura. Diciamo che, per il momento, Pittura e Digitale stanno facendo un percorso
parallelo. Sono d'accordo sull'utilizzo delle tecnologie a favore dell'arte. Basta che alla base
ci sia cultura e soprattutto idee importanti. Perchè senza quelle, "l'artista" non funziona.
www.virgiliorospigliosi.it (Official site)
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