La `fabbrica` di Solomeo Spirito imprenditoriale etica del lavoro e
Transcript
La `fabbrica` di Solomeo Spirito imprenditoriale etica del lavoro e
SOCIETÀ E COSTUME La ‘fabbrica’ di Solomeo Spirito imprenditoriale etica del lavoro e ‘genius loci’ Intervista a Brunello Cucinelli Brunello Cucinelli Brunello Cucinelli, classe ’53, è considerato tra i principali imprenditori del cachemire a livello mondiale. Eclettico e ‘spirituale’ ha accompagnato la sua carriera professionale con quella che, in qualche modo, si può considerare una missione, peraltro, compiuta: restaurare l’antico borgo medievale di Solomeo, in Umbria, all’interno del quale hanno trovato posto i ‘laboratori’ della sua fabbrica diffusa e il Foro delle arti. Un’opera, questa ultima, che Cucinelli ha esplicitamente realizzato per contribuire ad “accrescere il patrimonio di bellezza dell’umanità”. In questa intervista oltre a raccontare i suoi anni di studio che lo hanno portato a conseguire il diploma di geometra, ripercorre le tappe principali della sua impresa che oggi conta 500 dipendenti e un fatturato di 144 milioni di euro e della rinascita di Solomeo, affascinante utopia realizzata della quale si considera il custode. Cucinelli, si dice che la scuola tecnica sia stata, per l’Italia, la principale fucina di cervelli e di futuri professionisti e imprenditori. Lei è geometra. Che ne pensa e quanto quella formazione è stata importante per il suo percorso imprenditoriale? “Mi sono diplomato geometra, regolarmente, nel ’72 all’Istituto Arnolfo di Cambio, a Perugia. Ho studiato fortemente nei primi tre anni, perché la scuola era molto dura e di 31 studenti che avevano iniziato il primo anno 26 furono respinti. Avevamo professori piuttosto rigidi e duri che, però, sono stati in grado di insegnarci le basi delle materie tecniche. Un primo 48 livello di conoscenza che poi mi è stato molto utile. Le cose cambiarono radicalmente negli ultimi due anni. Gli insegnanti erano architetti ed ingegneri. Ci davano del lei, ma, come tutti in quel periodo, vivevamo il clima animato dai nuovi stimoli politici e culturali e ci consentirono di crescere molto a livello umano e, vorrei dire, filosofico. Si facevano continue ed interminabili discussioni in classe. Insomma magari avremo studiato poco e imparato, in quel periodo, qualche formula matematica in meno, ma quanto appreso in quegli anni mi ha fatto certamente affrontare la vita in modo diverso”. E dopo cosa è successo? “Dopo ho fatto l’università, ingegneria. Tre anni, ma per modo di dire. In tre anni ho dato un esame, geometria scritta e non sono stato nemmeno ammesso all’orale. Eravamo una marea di ragazzi che andavamo all’università per hobby, per fare gli scherzi. Una sorta di ‘amici miei’ dell’università… Sì è la verità. Però, ripensandoci dopo ho sempre trovato che questa esperienza insieme a quella della vita al bar siano state molto importanti per la mia crescita personale. Guardi il bar degli inizi degli anni ’70 era una cosa molto diversa da ora. Ogni sera eravamo circa 90 persone. C’era chi come me faceva l’università, chi era nulla facente, chi faceva politica. Insomma un ambiente stimolante. Per me era una vera e propria fucina di idee dove ho potuto sviluppare ulteriormente quei grandi ideali con i quali avevo cominciato a familiarizzare durante gli ultimi anni di studio superiore”. Solomeo, una vista del Paese dall’interno dell’azienda E, da quello che si legge, è proprio in questa fase che è iniziata la sua avventura imprenditoriale. “Sì e le dirò che mentre avviavo il lavoro con il cachemire, continuavo a mio modo anche l’avventura da ingegnere – architetto, studiando a casa. Avevo 25 anni, e quella vita un po’ mi aveva trasmesso la voglia di fare, di costruire, di innovare”. Si è detto che l’intuizione principale le venne pensando a ciò che aveva iniziato a fare all’epoca Benetton che, in sostanza, nel suo ambito si traduceva nel fare il cachemire colorato. E’ vero? “Sì quella fu diciamo l’idea. Perché tanto senza idea non si costruisce nulla di nuovo. Ma a spingermi verso l’attività imprenditoriale è stata anche un’altra idea, altrettanto fondamentale: creare un’azienda dove fosse possibile rendere il lavoro dell’uomo più umano. Questo era il vero sogno che avevo in testa allora”. Fa molto ’68, non crede? “Eh magari, sì, se si vuole. Anche se io nel ’68 ero proprio un ragazzetto. Però quegli anni li ho vissuti guardando mio padre. Fino a quando io avevo 15 anni la nostra famiglia viveva in campagna, si faceva i contadini. Una bella atmosfera, non ho mai visto i miei genitori litigare. Poi mio padre è andato a lavorare in fabbrica, faceva i prefabbricati in cemento armato, un lavoro abbastanza duro, con il proprietario che spesso l’offendeva. Tante volte l’ho visto tornare a casa alla sera avvilito, umiliato. E questo sicuramente a me ha un po’ cambiato la vita. E quando è stato il momento di avviare un’impresa mia volevo certo fare il cachemire colorato, ma lo volevo fare in un’atmosfera totalmente diversa, senza offendere l’essere umano. Volevo farlo nel dare dignità morale ed economica all’essere umano. Da lì anche il luogo, no? Volevo che fosse a dimensione umana”. Partendo da questa prospettiva si capisce come sia tutt’altro che casuale che l’altra sua principale intuizione, sviluppare una fabbrica diffusa all’interno di un antico borgo ristrutturato, si sia basata sulla comunione dell’attività lavorativa con la sfera dell’abitare… “Sì è vero. Ed ora, infatti, noi lavoriamo in abitazioni vere. Sedici case di varia grandezza, costruite più meno tra il 1300 al 1700 che sono state ristrutturate, riscaldate e illuminate a sé stanti. In primo luogo perché mi ci sono voluti 25 anni per restaurarle. Poi perché un domani possono essere in qualsiasi momento riconvertite ad abitazioni togliendo solo qualche lampadina moderna o neon che ora ci servono per le lavorazioni. Portandoci dentro l’impresa non volevo cambiare il borgo. Mi interessava solo restituirlo alla vita delle persone. Per cui se un bel giorno l’impresa si sposta … La comunità si ritrova sedici case antiche perfettamente abitabili che io sentendomi il custode del borgo e non, si badi bene, il proprietario, ho ristrutturato”. Il custode? E’ molto bella questa immagine… “Sì ma è molto vecchia sa. Io in tutti questi anni ho avuto maestri che mi hanno sempre insegnato che se ci si sente custodi la vita è migliore. E soprattutto si può apprezzare di più quello che si è fatto e che si sta vivendo. Sentirsi, come 49 ANNO I | n. 3 | MAGGIO - GIUGNO 2009 Il teatro Cucinelli, a Solomeo dire, di passaggio consente di non preoccuparsi troppo del giorno in cui sarai morto. E per quanto mi riguarda io sono di passaggio in un bel luogo che spero di avere contribuito per un certo periodo a restaurare, ad abbellire. Tutto qui”. Anche a partire da queste affermazioni quanta forza le dà e quanto è importante avere trovato, in questo luogo, un punto di equilibrio con le sue radici? “Per me è la vita. Sempre partendo dal presupposto della custodia io lavoro in immobili del 1300 - 1400 e ora sono seduto all’interno di una torre che ha 700 anni. Ho pensato spesso a coloro che l’hanno costruita e sono certo che avevano un’idea millenaria. Se vuole, era un progetto fatto a tre, cinque, dieci secoli. Noi contemporanei ci siamo un po’ dimenticati di questo modo di intendere il progettare e l’abitare… Comunque, tornando alla sua domanda, l’atmosfera che io vivo interiormente quando lavoro nel borgo è completamente diversa da quella nella quale mi troverei se lavorassi in un centro industriale. Qui è un altro tipo di vita. C’è il piacere del restauro, del vedere, dello scoprire dei calcinacci e trovarci sotto una vecchia porta. Sì, questa è stata davvero una bella opera per me ed ho potuto così realizzare il mio sogno di amante dell’architettura, di geometra, ingegnere. Ho persino fatto il responsabile di cantiere. Un bel hobby, divertente”. Dopo il recupero del borgo antico, il Foro delle arti con il nuovo teatro inaugurato il settembre scorso. Sembra esserle riuscita molto bene l’unione virtuosa fra il ‘pensiero 50 calcolante’ della tecnica e della cultura d’impresa e il ‘pensiero meditante’ dell’arte, della filosofia. Ci può spiegare questa parte importante del suo progetto e i futuri sviluppi? “Nel 2000 avevo finito il restauro del Borgo, dopo tanti anni di lavoro. E allora chiedo, diciamo, consulto a San Benedetto e San Francesco con i quali ‘dialogo’ da anni. Che cosa potrei fare adesso? Ed ebbi questa idea di fare un teatro. Un secondo dopo, essendo io amante della cultura dell’antica Grecia, ho pensato: faccio non solo un teatro, faccio un foro delle arti, un ginnasio. Quindi da una parte metto il teatro, centrale, dall’altra c’è l’anfiteatro, vicino c’è l’accademia con la biblioteca, sotto ci sono giardini per passeggiare. Volevo creare un luogo che fosse d’incontro per persone di qualsiasi ceto, di qualsiasi religione, di qualsiasi natura. Essendo poi, stilisticamente parlando, un estimatore di Leon Battista Alberti, Vignola, Palladio, decisi di costruire un teatro di ispirazione classica. Una struttura che potesse anche armonizzarsi con il luogo, in parte medioevale in parte rinascimentale”. Un bella scommessa … “Già. Pensare nel 2000 di assettare un teatro, a pietra, di ispirazione classica, palladiana, con sei anni di lavoro degli scalpellini … Però, le dico, è sempre questione della prospettiva con cui si guarda alle cose da fare. In quel momento io immaginavo e consideravo la costruzione del teatro un progetto a cinque secoli. Un progetto collegato all’azienda, che con i suoi profitti costruisce qualcosa che resta alla collettività. E questo Un momento di lavoro mi diede entusiasmo. Pensi che non trovando, come si può immaginare, degli scalpellini presi alcuni muratori mastri e per sette anni abbiamo scalpellato la pietra facendo dei turni: quindici giorni scalpellinandola, quindici giorni per montarla. E in questo modo colui che ha scalpellinato la pietra la ha anche montata. La pietra la toccava …aveva un rapporto diretto con il teatro. E mi pare rilevante dal punto di vista della dignità del lavoro umano. Io ci credo”. Attenzione all’elemento umano del lavoro ma anche allo spirito del luogo, al cosiddetto ‘genius loci’? “Ah, quello per me è fondamentale. E guardi l’attenzione al ‘genius loci’ parte prima di tutto dalle piccole cose. Solo per fare un esempio. Quando si trattò di realizzare le capriate del nostro teatro e non si trovavano alberi adeguati e delle dimensioni richieste, 15 metri e con un diametro di 42 centimetri, qualcuno disse che si potevano fare anche con il lamellare. Non se ne parla. Andammo a cercare sino in Spagna per trovare il legno giusto e le nostre capriate ora sono fatte con delle querce dei Pirenei”. ‘Visione’ e tradizione, eclettismo ed etica del lavoro. Passa da qui la strada per l’imprenditoria ‘sostenibile’ ma vincente nell’epoca della globalizzazione? “Guardi io penso che l’impresa oggi debba valorizzare il genio che è in ogni essere umano. Personalmente ritengo di avere intorno a me, mentre lavoro, 500 anime pensanti che hanno una quantità di genio di varia intensità e di varia natura. Il mio obiettivo quotidiano è quello di essere capace di organizzare questo genio. Quando mi chiedono della mia azienda e del suo successo rispondo che non ho scoperto chissà che cosa in questi anni. Ho solo riscoperto il valore dell’essere umano. Ho ascoltato per esempio quello che diceva Adam Smith nella sua teoria sui sentimenti umani, ovvero che se c’è rispetto, se c’è passione, lavoriamo con uno spirito diverso. Un ragazzo di 23 anni che viene a fare l’artigiano nella mia azienda conosce in un istante numeri e profitti dell’azienda e persino la mia vita privata. Questo per millenni non è mai successo prima. Mio padre quando andava a lavorare non conosceva nulla del suo titolare e men che meno i profitti dell’azienda in cui lavorava. Non conosceva niente. Lavorava e basta. Ora come faccio ad avere dei giovani nella mia azienda? Come faccio a convincerli? Penso che gli devo dare un po’ più di stipendio della media, farli lavorare in un ambiente molto decoroso se è possibile e per ultimo fargli sapere che se lavorano per me il 20% del profitto noi lo diamo a beneficio dell’umanità. Come? Creando una scuola, un piazza, una strada. Come facevano gli antichi”. Sta parlando del prossimo progetto? “Effettivamente abbiamo già in mente un altro bellissimo progetto, per me molto importante. Siamo a buon punto e c’è già un plastico ma non posso anticipare altro se non che sarà sempre un luogo per lo spirito e per l’anima. Vorrei proseguire con il rendere al paese un’atmosfera di spiritualità. Di vita normale con spiritualità. Io personalmente sono alla ricerca di condizioni di vita normali, serene, di pace”. 51